Data: Sabato, 6 Giugno 1981;
Luogo: Mosciano di Scandicci, campagna di Roveta, lungo via dell'Arrigo in località Villabianca;
Orario: 22.30/23.00, secondo la testimonianza piuttosto incerta di un contadino che abitava a circa 200 metri in linea d'area dal luogo del delitto. L'uomo riferì di aver udito l'autoradio dell'automobile accesa fino alle ore 22.45 circa, poi più nulla;
Vittime: Giovanni Foggi, 30 anni; Carmela De Nuccio, 22 anni;
Automobile: Fiat Ritmo color rame, targata FI 986116;
Fase Lunare: Tre giorni dopo il novilunio (età lunare -25gg). Illuminazione al 16%. Il 6 giugno a Firenze la luna non ha avuto tramonto. Il tramonto ha avuto inizio il 7 giugno alle ore 00:37.
Uscirono verso le ore 22.15 con la scusa di andare a prendere un gelato e si appartarono sulle colline di Roveta non lontano dalla discoteca Anastacia, in una zona frequentata abitualmente da coppie e da guardoni.
Fu verosimilmente poco dopo il loro arrivo che si scatenò l'assalto da parte del killer.
In quel luogo si verificò la prima escissione pubica nella storia di colui che a breve sarebbe diventato noto come il Mostro di Firenze. Con un'arma bianca molto tagliente, l'assassino recise di netto la cintura, i jeans e le mutandine della ragazza all'altezza del fianco sinistro, dunque scostati gli indumenti, esportò in maniera piuttosto precisa il vello pubico. Terminata l'operazione il killer tornò dal cadavere del ragazzo in macchina e lo colpì con tre profonde coltellate ampiamente post-mortem.
L'arma bianca, sia per quanto riguarda l'escissione che per quanto riguarda le coltellate, risulta verosimilmente adoperata da soggetto destrimane. Un dato su cui, però, non tutti i mostrologi concordano.
Partirono le indagini e il primo a essere interrogato dagli inquirenti fu tale Antonio Leone, ex fidanzato di Carmela, il quale venne condotto in caserma assieme al fratello.
Il Leone svolgeva l'attività di fornaio a Scandicci e dopo la fine della relazione con Carmela aveva iniziato ad avere atteggiamenti minacciosi nei suoi confronti, tanto che la stessa famiglia De Nuccio aveva consigliato alla ragazza di sporgere denuncia.
In realtà, ben presto, il pur molesto ragazzo fu giudicato completamente estraneo al delitto e lasciato andare.
Il 9 giugno, appena tre giorni dopo il delitto, il giornalista Antonio Villoresi, parlò in un articolo de "La Nazione" delle numerose e inquietanti analogie fra l'omicidio di Scandicci e quello di Borgo San Lorenzo di 7 anni prima. Quello stesso giorno, le prime analisi sui bossoli rinvenuti sulle due scene del crimine confermarono ufficiosamente che a sparare era stata la stessa pistola, una Calibro 22 long Rifle, probabilmente Beretta e probabilmente a impugnarla era stata la stessa mano. Nonostante a nessuno era ancora venuto in mente di collegare anche il delitto di Signa del 1968, si iniziò in quel momento a parlare per la prima volta e molto timidamente di Serial Killer. Il termine divenne di dominio pubblico dopo il delitto successivo.
Le indagini si indirizzarono quasi subito nel fitto sottobosco di guardoni che popolavano la zona del duplice omicidio. In particolar modo verso tale Carlo Tommasi, detto il Pastorino, guardiacaccia cinquantenne, che prestava servizio nei boschi poco distanti e che soleva recarsi a spiare le coppie armato di una pistola scacciacani.
L'uomo, possessore di un fucile calibro 22, si dimostrò da subito estremamente reticente nei confronti degli inquirenti. Arrestato con l'accusa di omicidio, rimase in carcere anche dopo che venne giudicato estraneo ai fatti perché sospettato di falsa testimonianza.
La pista Tommasi andò raffreddandosi con l'entrata in scena di Enzo Spalletti, 36 anni, noto guardone che bazzicava le campagne della Roveta, luogo dell'omicidio, e il poco distante ristorante pizzeria "La Taverna Del Diavolo", in località Pian De' Cerri, risaputo ritrovo di guardoni.
La prima fu una telefonata anonima giunta alla questura di Firenze alle 22.30 di giovedì 11 giugno. Tale telefonata fu presa dal brigadiere Pietro Bittau: in essa un anonimo interlocutore affermava di aver visto la notte del delitto un'automobile Ford Taunus rossa, targata FI 669906, dalle parti della campagna di Roveta in orario compatibile con il duplice omicidio.
Sempre lo stesso giorno, arrivò la seconda testimonianza: un tale di nome Guido Margheri, che la vulgata mostrologica indicava come poliziotto, riferì alle forze dell'ordine che la sera di sabato 6 giugno, verso le 22.45, a bordo di una Fiat 500, aveva raggiunto il ristorante "La Cesira", distante pochi minuti di automobile dal luogo del delitto, e ivi si era intrattenuto per circa 15 minuti.
Verso le 23.00 era ripartito in direzione Taverna del Diavolo, alla cui altezza aveva svoltato in via dell'Arrigo per poi svoltare nuovamente in via delle Croci. Qui aveva incontrato un'automobile Ford Taunus color arancione, marciante in senso contrario al suo e dunque verso il luogo del delitto. La strada stretta aveva obbligato il predetto Guido a fermarsi per permettere il transito dell'altra vettura. Questa era un'automobile a lui familiare in quanto apparteneva a un noto guardone di zona, dunque Guido fu in grado di fornire oltre al modello e al colore anche i primi numeri di targa.
Tale testimonianza venne confermata dai proprietari del ristorante "La Cesira", i quali riconobbero il Margheri come loro cliente abituale. I successivi riscontri portarono gli inquirenti a stabilire che l'incrocio fra le due automobili era avvenuto fra le 23.00 e le 23.30 a circa due chilometri di distanza dal luogo del delitto, verso cui stava viaggiando la Ford Taunus.
Nella giornata di giovedì 11 giugno, gli inquirenti si trovarono dunque due segnalazioni convergenti che indicavano una stessa vettura in prossimità del luogo del delitto in orario più o meno compatibile con lo stesso. Risultò a quel punto facile appurare che l'automobile segnalata apparteneva in entrambi i casi a un noto guardone di zona, tale Enzo Spalletti, classe 1945, residente a Montelupo Fiorentino in via del Turbone, sposato e padre di tre figli, autista di ambulanze presso la locale Misericordia.
Soffermiamoci un attimo sulla telefonata anonima: come parte della odierna mostrologia sostiene, è probabile che chi abbia fatto quella telefonata conoscesse almeno di vista lo Spalletti, perché è difficile pensare a qualcuno che si fosse trovato a passare dalla Roveta e avesse incrociato un'automobile sconosciuta e, pur senza sapere nulla del duplice omicidio, ne avesse memorizzato la targa, per poi - saputo del delitto - riferirla a distanza di cinque giorni alla questura di Firenze.
Dunque è probabile che la fonte di tale telefonata fosse stata un altro guardone, una coppia o un abitante della zona, se non lo stesso Margheri, qualcuno insomma che bazzicasse la Roveta e avesse familiarità con l'automobile dello Spalletti, ne conoscesse la targa o quanto meno sapesse dove andare a recuperarla.
La mattina successiva, venerdì 12 giugno alle ore 10.00, venne interrogata la moglie dello Spalletti, la signora Carla Agnoletti, la quale - a dispetto della vulgata mostrologica che spesso ha alterato le parole della donna - rilasciava le seguenti dichiarazioni:
▪ la sera del delitto il marito era uscito da casa da solo verso le 21.30;
▪ lei era andata a letto verso l'una del mattino, a quell'ora il marito non era ancora rientrato; non era in grado di dire a che ora fosse rientrato;
▪ la mattina successiva (domenica) il marito non le aveva detto nulla del duplice omicidio; l'uomo era uscito verso le 11.00 ed era andato al bar "Pinelli", sempre al Turbone; da lì verso mezzogiorno aveva chiamato per avvisare che stava rientrando a casa. Era rientrato verso le 12.30 e solo allora, durante il pranzo, le aveva parlato per la prima volta del delitto; le aveva raccontato che la sera precedente aveva visto che era stata uccisa una coppia dalle parti di Scandicci, che l'uomo era stato ucciso in macchina a colpi di pistola, mentre la donna era stata uccisa e portata a qualche metro di distanza dall'automobile; la Agnoletti non ricordava e dunque non riportava altri particolari del racconto del marito.
Queste le testuali parole della donna: "...mio marito mi disse che aveva visto la sera nei pressi di Scandicci in una strada vecchia, mi ha precisato anche la località che attualmente non ricordo, che avevano ucciso una coppia di fidanzati. Mi precisò che il ragazzo lo avevano ucciso in macchina con alcuni colpi di pistola mentre la ragazza era stata uccisa e portata qualche metro più in la. Non ricordo altri particolari che mi possa aver riferito mio marito della disgrazia di Scandicci, nella circostanza di tempo e di luogo..."
▪ marito e moglie avevano trascorso il pomeriggio della domenica insieme; il marito era poi uscito la sera, ma era tornato a casa molto prima del solito e non era stato fuori per più di un'ora;
▪ nei giorni successivi il marito si era mostrato di umore più cupo, come se il delitto lo avesse turbato; inoltre usciva meno spesso e dichiarava di voler far luce sul duplice omicidio;
▪ lei era a conoscenza dell'attività di guardone del marito;
▪ lei escludeva di aver appreso del delitto tramite TV, radio o giornali; ribadiva di averne avuto per la prima volta notizia dal marito all'ora di pranzo della domenica.
Ulteriori indagini portarono gli inquirenti a scoprire che già alle 11 della domenica mattina (orario in cui - secondo la moglie - lo Spalletti si era recato al bar Pinelli), la notizia del duplice omicidio si era sommariamente sparsa per il paese e sul luogo dove erano stati rinvenuti i cadaveri vi era un discreto assembramento di persone, fra forze dell'ordine, giornalisti e semplici curiosi.
Una certa tradizione mostrologica, supportata da diversi articoli di giornale dell'epoca, vorrebbe che la domenica al bar lo Spalletti avesse riferito particolari, come l'escissione del pube, che solo chi fosse stato presente sul luogo del delitto, avrebbe potuto sapere. In realtà non c'è traccia documentale di tali dichiarazioni, tantomeno così circonstanziate, da parte dello Spalletti.
Al contrario, c'è il verbale dell'interrogatorio della moglie, in cui - come visto - costei non solo non fa alcun riferimento al pube escisso, ma dichiara che il marito era uscito da casa la domenica mattina verso le 11 e fino a quel momento non aveva fatto cenno dell'avvenuto delitto. Potrebbe dunque essere presa in considerazione l'ipotesi che nel momento in cui lo Spalletti era uscito, ancora non sapesse nulla dell'omicidio e avesse appreso la notizia successivamente, durante la sua passeggiata mattutina.
È pur vero che all'ora di pranzo di domenica, Enzo aveva riferito alla moglie di "aver visto che avevano ucciso una coppia", ma questa può essere anche intesa come una fanfaronata dell'uomo, pienamente nello stile del personaggio.
Altro aspetto da sottolineare è che - sempre dalle dichiarazioni della Agnoletti - risulterebbe che il marito le avrebbe confidato che "la ragazza era stata uccisa e portata qualche metro più in la", particolare questo sicuramente vero, ma che in quel momento solo chi aveva assistito al duplice omicidio poteva conoscere, anche perché i giornali nei giorni immediatamente successivi al delitto riferirono, invece, che la povera Carmela aveva tentato la fuga ma era stata raggiunta dall'assassino nel luogo dove poi sarebbe avvenuta l'escissione pubica. Si legge, infatti, su un articolo de "La Nazione" di lunedì 8 giugno a firma di Mario Spezi: "...più atroce è stato il destino di Carmela, quasi sicuramente il vero obiettivo dell'assassino. La ragazza, ferita solo di striscio ad un polso da uno dei colpi sparati contro il suo fidanzato, ha aperto la portiera destra della macchina e ha cercato una fuga impossibile attraverso i campi. Ha fatto non più di dieci metri, poi, nel buio, è rotolata in un campo sottostante. L'assassino le è piombato addosso e l'ha colpita con furia al collo con il coltello...".
Ovviamente, queste informazioni sarebbero state rettificate dalla stampa nei giorni successivi, fatto sta che Spalletti aveva fornito alla moglie una versione corretta dell'accaduto già domenica all'ora di pranzo. Ciò avrebbe acuito i sospetti degli inquirenti nei suoi confronti, tuttavia, con il senno di poi, anche in questo caso non si può escludere che l'uomo potesse aver appreso questi particolari proprio quella domenica mattina. Anche perché, la domanda da porsi è: avrebbe resistito lo Spalletti alla voglia di raccontare subito alla moglie quanto era accaduto nella notte se avesse davvero saputo qualcosa prima di uscire da casa? Torneremo nel dettaglio sull'argomento nella parte dedicata alla "Mostrologia a Mosciano".
Quello stesso 12 giugno, verso le ore 12.30, venne interrogata la signora Graziella Pinelli, titolare del bar-trattoria al Turbone presso cui si era recato lo Spalletti la domenica mattina. Costei dichiarò che Enzo era arrivato nel suo bar verso le 10, si era intrattenuto per poco tempo, giusto il tempo di fare colazione, che il bar in quel momento era pressoché deserto e non si era assolutamente parlato del duplice omicidio avvenuto nella notte, anche perché lei stessa aveva appreso del delitto solamente il giorno dopo, lunedì 8 giugno. Secondo la testimone, lo Spalletti era ritornato nel bar verso le 14, questa volta si era intrattenuto per più tempo in compagnia di altri avventori, ma ancora una volta la donna escludeva categoricamente si fosse parlato del delitto.
Sono dichiarazioni che non coincidono con quelle fornite dalla Agnoletti. A parte l'orario discrepante (secondo la Pinelli, Enzo era arrivato al bar attorno alle 10, secondo la moglie era uscito da casa attorno alle 11), nella deposizione della Pinelli non c'è traccia della telefonata che Spalletti avrebbe fatto dal bar attorno a mezzogiorno, preannunciando il suo imminente ritorno a casa. Inoltre, secondo la titolare, l'uomo aveva lasciato il bar subito dopo aver fatto colazione, eppure era rientrato a casa solo verso mezzogiorno e mezzo. Non si può, dunque, escludere che dopo essere stato al bar, lo Spalletti avesse fatto altri giri e la famosa telefonata l'avesse fatta da altro luogo. Vien da sé che proprio durante questi ulteriori giri, Enzo potrebbe aver appreso del delitto e dei relativi dettagli.
Nel frattempo, quella stessa mattina, lo Spalletti era stato portato in Procura e interrogato alla presenza dei due magistrati che si occupavano del caso, Silvia Della Monica e Adolfo Izzo, del commissario Sandro Federico e del colonnello Olinto Dell'Amico.
Inizialmente il sospettato si difese affermando di non sapere nulla del delitto, di non aver visto nulla e di aver riportato esclusivamente informazioni lette sui giornali al bar Pinelli nel pomeriggio di domenica, cosa impossibile in quanto la notizia del duplice omicidio non era stata ancora riportata da alcun giornale quel giorno.
Questa la parte di interrogatorio particolarmente interessante:
"...c'erano le fotografie dei due giovani uccisi, un ragazzo e una ragazza. Io non ho comprato i giornali. Io lo compro tutti i giorni per la Misericordia e, pertanto, non lo compro la domenica. Dal Pinelli c'erano vari amici, quelli soliti... Io sono certo d'aver appreso la notizia dal giornale come ho detto sempre. Escludo di averla appresa dalle chiacchiere degli amici del bar..."
Messo al corrente dell'impossibilità di aver letto la notizia sui giornali nella giornata di domenica, lo Spalletti replicò: "...Mi sarò sbagliato. Sono confuso, è la prima volta che mi capita una cosa del genere..."
Nel pomeriggio, nel corso dello stesso lunghissimo interrogatorio, lo Spalletti corresse disordinatamente il tiro: "...questa mattina mi sono sbagliato, mi ero confuso e tutt'ora lo sono, il giornale domenica non riportava dell'omicidio ed io l'ho appreso dai conoscenti davanti al bar G. di Montelupo Fiorentino. Perlomeno mi è parso di sentire parlare dell'omicidio ma ora mi chiedo se l'hanno trovati alle 11, come è possibile che a mezzogiorno già si era sparsa la voce a Montelupo? Penso pertanto di averlo appreso più tardi sempre davanti al bar G... Escludo che furono raccontati particolari. Io ricordo che pensai, ma come sono stato lassù fino a mezzanotte ed essendo sconvolto mi misi subito in macchina e tornai a casa..."
In quelle sei ore di interrogatorio Spalletti affermò, fra le altre cose in maniera del tutto inverosimile, di essersi appartato in zona Roveta, la sera del delitto, con una prostituta napoletana che aveva trovato a Firenze sul Lungarno Vespucci; in seguito, incalzato dalle pressanti domande degli inquirenti, ritrattò la storia della prostituta napoletana e dichiarò di essersi incontrato con un suo amico guardone, tale Fosco Fabbri, dalle parti della Taverna del Diavolo e ivi di essersi appostato con lui in attesa di una coppia da spiare. Accennò a un'automobile Ford Capri blu parcheggiata in zona che, disturbata dall'amico Fabbri, si era allontanata a gran velocità azionando una sirena bitonale. Affermò di essere rientrato a casa verso mezzanotte (orario che non coincideva con quanto dichiarato da sua moglie). Dichiarò, infine, che la zona del delitto non era propriamente frequentata da lui e dal Fabbri, in quanto loro preferivano appunto appostarsi nella campagna circostante la taverna, a circa un paio di chilometri di distanza dal luogo dell'omicidio.
Viste le reticenze, le falsità, le successive ritrattazioni e la comprovata menzogna sull'orario di rientro a casa la notte del delitto, il 15 giugno lo Spalletti venne arrestato per falsa testimonianza. La speranza degli inquirenti era che il carcere potesse convincerlo a raccontare finalmente ciò che sapeva, come lo avesse saputo ed eventualmente cosa avesse davvero visto.
Buona parte dell'odierna mostrologia ritiene che l'arresto dello Spalletti fu un errore, perché da un lato spinse i guardoni ad assumere un atteggiamento di estrema diffidenza verso le forze dell'ordine, anziché di collaborazione, dall'altro portò probabilmente Spalletti a rendersi conto di aver parlato troppo e in maniera maldestra e di aver così acceso i riflettori di inquirenti e media sull'oscuro mondo cui lui stesso apparteneva, quello dei guardoni, in special modo dei frequentatori della Roveta.
Forse fu questo il motivo per cui da quel momento in poi l'uomo decise di trincerarsi dietro un malcelato silenzio.
Interrogato, il Fabbri confermò che la sera dell'omicidio era stato con lo Spalletti sulle colline antistanti la Taverna del Diavolo in attesa di una coppia e che era rincasato verso mezzanotte senza notare nulla di strano. Dichiarò anch'egli che il luogo del delitto non era da loro direttamente frequentato, ma più in generale non era frequentato da guardoni perché troppo aperto e dunque non offriva adeguati ripari per chi volesse spiare. Aggiunse però: "Effettivamente io sono passato davanti al viottolo in cui è avvenuto il delitto anzi chiaramente davanti all'imbocco del viottolo, ma escludo di aver notato qualcosa di sospetto, né ho sentito grida o spari. Tra l'altro lì vicino vi è una discoteca e quindi vi è molto frastuono".
Fabbri riferì di aver saputo del duplice delitto soltanto il lunedì mattina mentre era al lavoro e da quel giorno di non essere più tornato a spiare le coppie. Aggiunse di non aver fatto alcuna ricerca per individuare l'assassino perché le voci che circolavano era che si trattasse di un ex spasimante della ragazza.
Nel corso dei successivi interrogatori, Spalletti e Fabbri furono messi a confronto e in un'occasione gli inquirenti colsero cenni d'intesa fra i due, in special modo da parte dello Spalletti verso l'amico. Questo amplificò i sospetti delle forze nell'ordine, che si ritrovarono a essere ancor più indispettiti dall'atteggiamento mendace e cialtronesco dello Spalletti.
Fu durante uno dei numerosi interrogatori cui venne sottoposto che il Fabbri rivelò un paio di particolari piuttosto interessanti per le indagini, qualcosa che in futuro avrebbe parecchio solleticato la fantasia di svariati mostrologi:
1. Confermò la presenza, la notte del delitto, di una Ford Capri blu parcheggiata dalle parti della Taverna del Diavolo, con all'interno una coppia che, disturbata dai guardoni e in particolar modo dallo Spalletti, si era allontanata a gran velocità azionando una sirena. Più volte, forse per ripicca, la suddetta automobile era quindi passata davanti alla Taverna con la sirena accesa. Da notare come per lo Spalletti l'automobile era stata disturbata dal Fabbri e per il Fabbri, invece, era accaduto l'esatto contrario.
2. Dichiarò che all'incirca nel 1977, non molto distante dalla zona dell'omicidio, era stato avvicinato da un "uomo in divisa", moro, alto e robusto, di circa trent'anni, che, puntandogli contro un'arma da fuoco, gli aveva fatto una sorta di paternale su quanto fosse immorale la sua attività di guardone. Ben presto il predicozzo si era, però, trasformato in un "j'accuse" nei confronti delle coppie, che a differenza dei guardoni, commettevano reato nell'appartarsi in automobile in un luogo pubblico. Il Fabbri era stato lasciato libero dopo circa una mezz'oretta senza che gli fosse stato torto un capello. Non era stato in grado di chiarire quale tipo di divisa indossasse il misterioso uomo.
In seguito, alcuni studiosi avrebbero associato quest'uomo proprio al guardiacaccia Tommasi, ma va detto che né l'età né la descrizione sembrano corrispondere.
Nel frattempo, la vulgata mostrologica asserisce che durante il periodo di carcerazione di Enzo, sua moglie e suo fratello, Dino Spalletti, vennero fatti oggetto di alcune telefonate anonime in cui l'interlocutore con fare rassicurante li informava che presto il loro congiunto sarebbe stato scagionato. L'ignoto si raccomandava tuttavia di assicurarsi che Enzo non parlasse e in un'occasione, secondo l'avvocato Filastò, con fare quasi paternalistico avrebbe affermato: "Cosa gli è venuto in mente a quel bischero di dire che aveva letto degli omicidi sui giornali? Ben gli sta un po' di carcere!"
Della reale esistenza di queste telefonate non risulta essere mai stato fornito alcun riscontro documentale, anche perché queste sarebbero avvenute prima che fossero predisposte in data 18 giugno 1981 le intercettazioni telefoniche a casa dello Spalletti e del Fabbri. Tuttavia, dopo le presunte telefonate, Enzo Spalletti si sarebbe preoccupato di far trasferire moglie e figli a casa del suocero. Non solo, qualche mese dopo, l'autista di ambulanze sarebbe stato effettivamente scagionato - così come preannunciava la telefonata - da un nuovo omicidio del MdF.
Ammettendo che tali telefonate fossero realmente avvenute, sarebbe interessante capirne l'origine. Molti mostrologi ritengono fossero opera del "Mostro" che, da un lato voleva assicurarsi il silenzio dello Spalletti con le buone maniere, dall'altro gli faceva comunque sapere di poter arrivare alla sua famiglia in qualsiasi momento. Non può, tuttavia, escludersi che provenissero dal gruppo di guardoni della Roveta, preoccupati che lo Spalletti potesse parlare e dunque accendere ancora più i riflettori sul loro mondo, già messo duramente in subbuglio dalle forze dell'ordine. Il trasferimento di moglie e figli può essere inteso proprio come protezione dagli stessi guardoni, fra i quali - è risaputo - circolavano sia personaggi poco raccomandabili, sia armi da fuoco. Fu un articolo del neonato quotidiano "La Città" del 29 ottobre 1981 a riferire che, qualche giorno dopo l'arresto dello Spalletti, nella campagna della Roveta aveva avuto luogo una furiosa lite fra guardoni, cui aveva assistito anche il Fabbri, durante la quale era stato esploso un colpo di pistola.
Non è un mistero, infatti, che l'ordine circolato fra i voyeur della zona fosse l'assoluto silenzio. Ciò emerse anche da una telefonata intercorsa fra Dino Spalletti e il Fabbri, datata 22 giugno e intercettata dall'autorità preposta, nella quale Fosco ribadiva quanto fosse importante che Enzo tacesse.
Piccola nota a margine: la voce mostrologica secondo cui il testimone Guido Margheri fosse un poliziotto trae origine proprio da una delle suddette intercettazioni, allorché il Fabbri, parlando con Dino Spalletti, ipotizzò (erroneamente) che il Margheri appartenesse a qualche corpo di polizia.
Nel giro di qualche mese, comunque, il polverone sollevatosi attorno ai voyeur andò lentamente dissipandosi. Dapprima Carlo Tommasi, il Pastorino, venne rilasciato e sarà definitivamente prosciolto dall'accusa di falsa testimonianza in data 16 febbraio 1982. In seguito a scrivere la parola fine sul caso Spalletti fu - come dicevamo - un nuovo omicidio del MdF, compiuto il 22 ottobre 1981 a Travalle di Calenzano. Due giorni dopo, il 24 ottobre, Spalletti venne scarcerato dopo oltre quattro mesi di reclusione e pare che la scarcerazione arrivò appena prima che il detenuto fosse trasferito nel carcere di Arezzo. Fedele alla linea intrapresa, l'uomo seguitò nel suo mutismo. Sarà definitivamente prosciolto il 24 febbraio del 1989 dal Giudice Istruttore Mario Rotella.
Da allora, almeno fino a oggi, lo Spalletti non ha mai parlato di ciò che ha visto la notte dell'omicidio di Mosciano, sempre ammesso abbia realmente visto qualcosa. Sarebbe interessante capire perché abbia trascorso quei quattro mesi di carcere (non propriamente pochini) in assoluto silenzio, senza cercare minimamente di collaborare con le forze dell'ordine, senza dire assolutamente nulla sulla vicenda, se non ripetere di essere innocente.
Pare che le sue ultime parole sull'argomento siano state tese a far ricadere la colpa dei delitti su qualcuno appartenente alle forze dell'ordine. La fonte di questa notizia, da prendersi con il beneficio del dubbio, è proprio il fautore dell'ipotesi "Mostro in divisa", l'avvocato Nino Filastò, cui ai tempi del Processo Pacciani, lo Spalletti avrebbe fatto privatamente dichiarazioni di questo tipo.
Risulta, a tal proposito, che già nell'interrogatorio del 13 giugno 1981, Enzo Spalletti dichiarò ai magistrati Della Monica e Izzo: "Voi lo sapete che io non sono l'assassino, ma mi tenete in galera perché state proteggendo qualcun altro". Alle proteste indignate dei due magistrati di fronte a tali gravi insinuazioni ("Ma che sta dicendo? Cosa intende dire?... Se ha qualcosa da dire, parli!..."), l'uomo avrebbe risposto bonariamente "Niente, niente, dicevo così, tanto per dire qualcosa... l'ho detto per rabbia perché sono innocente".
A oggi, primo scorcio del 2018, Enzo Spalletti è vivo e pare in ottima salute; Fosco Fabbri è morto nel giugno del 1996.
Furono numerosi i cosiddetti "Indiani" (così venivano chiamati i guardoni per la capacità di avvicinarsi alle automobili delle coppie strisciando sul terreno senza far rumore) ad essere attenzionati. Fra questi vi erano personaggi noti in zona con improbabili soprannomi, quali Bourbon, Centomini, il muratore, tale Antonio, che era una specie di capoccia di zona, il napoletano, i fratelli Scansano, i quali pare alternassero l'attività di guardoni con rapine e furti nelle ville. Ma vi era anche gente insospettabile, come ben noti professionisti fiorentini, un vigile in pensione e persino qualche giovane donna.
In particolar modo fu un medico residente a Samminiatello, frazione di Montelupo Fiorentino, a finire sotto la lente d'ingrandimento delle forze dell'ordine e - suo malgrado - a salire ai disonori della cronaca. Si trattava di un quarantottenne ginecologo della Scandicci bene, il cui nome all'epoca non venne divulgato, ma che diventò noto alle cronache fiorentine come Dottor B. dopo alcuni articoli, farciti di non troppo velate accuse, che il giornalista Mario Spezi gli aveva dedicato fra il 1982 e il 1983.
Ancora fino a poco tempo fa sul nome del suddetto ginecologo vigeva il più stretto riserbo, tanto che il mai troppo compianto studioso De Gothia, pur di non rivelarne le generalità, era solito affermare non senza una punta di sana ironia che "il dottor B. aveva lo stesso cognome di un noto allenatore di calcio italiano degli anni '80, campione d'Italia in provincia, che chiuse la carriera all'Inter".
Come emerge dalla già citata sentenza Rotella si tratta, difatti, del dottor Enzo Bagnoli, classe 1933, nato in provincia di Pisa, residente a Montelupo Fiorentino, celibe. Costui presentava caratteristiche estremamente interessanti, tanto da rimanere a lungo uno dei principali indiziati per i delitti del MdF. Si trattava infatti di individuo mai coniugato, che viveva solo con l'anziana madre, che era stato in cura per disturbi nervosi, detentore di una pistola Beretta calibro 22, il cui nome era emerso dal giro dei guardoni che gravitavano attorno a Roveta. Ad colorandum, come si scoprirà dopo il collegamento con il duplice omicidio di Signa del 1968, era il medico curante della famiglia di Francesco Vinci.
Tuttavia, sia le prove di sparo sulla Beretta del medico sia la perquisizione nella sua abitazione diedero esito negativo e i sospetti vennero momentaneamente accantonati, almeno fino al delitto successivo, quando, subito dopo il duplice omicidio di Calenzano nell'ottobre di quello stesso anno, il dottore subì una nuova perquisizione.
Successivamente, nell'estate del 1982, arrivò il collegamento con il delitto di Signa e i sardi che avevano gravitato attorno alla Locci si ritrovarono a essere i principali indiziati per i delitti del Mostro. Eppure il dottor B. non uscì completamente di scena. Fu anzi in quel periodo che lo Spezi concentrò i sospetti su di lui, sostenendo in diversi articoli su "La Nazione" e nel suo libro "Il Mostro di Firenze" (edito da Sonzogno nel 1983) di aver individuato in lui l'autore degli omicidi.
Complice la scoperta che il ginecologo abitava nello stesso paese non solo del guardone Enzo Spalletti, ma anche e soprattutto di Francesco Vinci e che della famiglia Vinci era il medico curante, Spezi ipotizzò che il dottore potesse essere il mandante dei delitti e che Francesco Vinci (forse aiutato da qualcun altro) potesse esserne l'esecutore materiale. Già nel 1983 veniva dunque avanzata l'ipotesi di un mostro a più teste, quasi un'anteprima di quella che parecchi anni dopo sarebbe stata la pista dei Compagni di Merende.
Sarà in seguito lo stesso Spezi a lasciar cadere le sue accuse nei confronti del ginecologo per concentrarsi sulla cosiddetta "Teoria Carlo", di cui avremo modo di parlare in un successivo capitolo.
Negli anni seguenti e fino al termine della scia delittuosa, il dottor B. verrà comunque regolarmente sottoposto a controlli e perquisizioni dopo ogni delitto del Mostro. Anche subito dopo la scoperta dell'ultimo duplice omicidio, a Scopeti il 9 settembre 1985, come ci avrebbe fatto sapere l'avvocato Bevacqua durante un'udienza del Processo Pacciani, una pattuglia si recò prontamente a casa del ginecologo a Montelupo per raccogliere informazioni sui suoi spostamenti.
L'interesse degli inquirenti verso il mondo dei guardoni si sarebbe però raffreddato in breve tempo e le forze dell'ordine si sarebbero presto convinte di dover cercare il Mostro altrove. Come avrebbe avuto modo di spiegare il futuro dirigente della SAM (Squadra Anti Mostro), Sandro Federico, nella trasmissione Telefono Giallo andata in onda nell'ottobre del 1987 e dedicata proprio alla vicenda del MdF, i guardoni non avevano alcun interesse a proteggere il Mostro, anzi avevano tutto l'interesse che questi non colpisse, sia perché il MdF rappresentava un pericolo anche per loro nel malaugurato caso potessero vedere qualcosa, sia perché la sua presenza limitava fortemente il numero delle coppie che si appartava nelle campagne fiorentine. Addirittura, in quella stessa trasmissione, il dottor Federico riferiva che i guardoni si ritenevano le sentinelle delle coppie, la miglior difesa nei confronti del Mostro.
A distanza di molti anni, nei vari salotti mostrologici si continua tuttora a dibattere se il MdF fosse stato o meno in precedenza un guardone o se più in generale provenisse da quel mondo. Sicuramente ci sono delle similitudini fra il comportamento del Mostro e quello dei guardoni, come ad esempio la condivisione e profonda conoscenza di determinati luoghi graditi alle coppie o il sapersi muovere abilmente nel buio della campagna e avvicinarsi alle macchine senza fare il minimo rumore. Similitudini che in seguito saranno rese ancora più marcate dalle condanne dei Compagni di Merende, considerando che almeno Pacciani e Lotti erano due guardoni, il primo chiamato in causa da alcune testimonianze, il secondo per propria stessa ammissione.
Ci sono però anche profonde differenze che sembrano ostacolare un'estrazione voyeuristica del mostro: su tutte, il guardone traeva e trae piacere nell'assistere al compimento del rapporto sessuale della coppia, il MdF interrompeva o - meglio ancora - impediva tale rapporto. E questa appare un'insanabile dicotomia fra le due parti.
● Le due vittime furono raggiunte da 8 colpi d'arma da fuoco in totale (3 lui, 5 lei), ma i bossoli trovati sul luogo del delitto furono soltanto 5. Un particolare quello dei bossoli mancanti che si era già riscontrato nel 1974 (pur con le scusanti del caso) e che si ripeterà nel 1983 e nel 1984. La faccenda dei bossoli mancanti rispetto ai colpi effettivamente esplosi ha fatto nascere la teoria – non ulteriormente suffragata e dagli esperti giudicata poco attendibile - secondo cui il Mostro (o i Mostri) usasse due pistole, una delle quali un revolver (dunque che non rilasciava bossoli).
● La povera Carmela De Nuccio venne ritrovata con gli occhi sbarrati e la parte anteriore della collana che portava al collo fra le labbra. Secondo alcune ricostruzioni, la collana le era scivolata in bocca nel momento in cui il killer l'aveva presa di peso e portata sul luogo dove poi aveva effettuato le escissioni (ricostruzione che sembrerebbe corretta nel caso in cui l'assassino l'avesse sollevata e caricata di peso su una spalla e dunque la De Nuccio si fosse ritrovata con la testa penzoloni e la collana le fosse ricaduta verso il volto).
Tuttavia il poliziotto Ruggero Perugini ha sempre dichiarato (sia al Processo Pacciani, sia recentemente in uno speciale sul MdF andato in onda su Canale 9) che a suo parere quella collanina fu infilata appositamente dall'assassino fra le labbra della ragazza in modo da richiamare l'immagine di un frammento della "Primavera del Botticelli", una cui copia sarebbe stata ritrovata e sequestrata diversi anni dopo a casa di Pietro Pacciani.
● A proposito del Pacciani, secondo le testimonianze raccolte dalla Procura di Firenze, la sua ex fidanzata, Miranda Bugli, nel giugno del 1981 viveva in via Donizetti a Scandicci e lavorava nella locale Casa del Popolo, distante meno di 5 km da via dell'Arrigo.
Abbiamo già avuto modo di vedere a proposito del delitto di Signa che - secondo la Procura - Pacciani colpiva in talune occasioni in prossimità dei luoghi frequentati dalla Bugli.
Fino a quel momento c'erano stati difatti tre delitti: nel primo le vittime risiedevano a poca distanza dall'abitazione della Bugli; nel secondo, il luogo del delitto era vicinissimo alle zone in cui Pacciani era nato e dove aveva vissuto per quasi cinquant'anni; nel terzo la Bugli lavorava a poca distanza dal luogo del delitto.
● L'asportazione del vello pubico della povera Carmela comincia – come da dichiarazioni del dottor Mauro Maurri al Processo Pacciani – fra le ore 11 e le ore 12 di un ipotetico orologio e termina nello stesso punto poco più in basso.
● A differenza del delitto di 7 anni prima, questa volta il killer non aveva sprecato colpi, puntando da subito al bersaglio grosso, e non aveva avuto bisogno dell'arma bianca per finire le vittime. Si evidenzia dunque un utilizzo più sicuro dell'arma da fuoco. Come detto, il criminologo Francesco De Fazio parlò, durante un'udienza del Processo Pacciani, di un killer migliorato negli anni nell'uso della pistola, ma non un cosiddetto "tiratore di professione". Questo contrasta con alcune teorie che vogliono il killer appartenente a un corpo militare o comunque molto vicino ad ambienti polizieschi. Sempre De Fazio affermò nella stessa occasione che il killer aveva invece una buona manualità con l'arma bianca, dunque era senz'altro più avvezzo all'uso del coltello rispetto alla pistola. Il che più che a un "uomo in divisa" potrebbe far pensare a un macellaio, un conciatore, un imbalsamatore, un calzolaio, persino un chirurgo.
● Da notare come gli ultimi due delitti (1974 e 1981) erano avvenuti in luoghi decisamente isolati ma comunque molto prossimi a un punto di ritrovo per giovani: la discoteca Teen Club per il delitto di Borgo e la discoteca Anastacia per il delitto di Mosciano.
● Come quella della Pettini, anche la borsa della De Nuccio venne trafugata e il contenuto sparso per terra vicino alla macchina. Tuttavia, questa volta la borsa venne lasciata sulla scena del crimine e degli effetti personali della ragazza non è dato sapere se mancasse qualcosa o meno. Ciò che non fu mai ritrovato fu un portafoglio di marca Gucci di Carmela, ma anche in questo caso non è dato sapere se fu sottratto dal killer.
Va detto però che secondo la deposizione di Vittorio Sifone al Processo Pacciani (27 aprile 1994), la sensazione che lui ebbe quando scoprì i cadaveri fu che la ragazza avesse scagliato lei stessa la borsa contro il killer come in atteggiamento di reazione o di difesa.
● Sempre durante il Processo Pacciani, lo stesso Sifone affermò di aver notato erba schiacciata dovuta a tracce di trascinamento dalla macchina al luogo in cui poi fu trovato il cadavere di Carmela. Al contrario, il dottor Mauro Maurri dichiarò, avendo analizzato vestiti e assenza di escoriazioni da trascinamento sul corpo della ragazza, che verosimilmente il cadavere era stato sollevato e portato in braccio. Identica osservazione la fece il dottor Aurelio Bonelli, l'unico medico legale a essere intervenuto direttamente sul luogo del delitto, il quale testimoniò con una certa sicurezza che a suo parere la ragazza non era stata trascinata ma portata di peso. A conferma delle considerazioni espresse dai medici legali (ove mai ce ne fosse bisogno), non risulta siano state rivenute tracce di fango sul corpo o sui vestiti della ragazza nonostante il giorno precedente al delitto fosse stato discretamente piovoso.
● Le due vittime maschili dei due delitti, Giovanni Foggi e Pasquale Gentilcore, erano entrambi di Pontassieve. Si indagò dunque per prima cosa in questo senso (amicizie comuni, collegamenti con Pontassieve) senza però arrivare a nulla.
● Mentre Stefania Pettini era completamente nuda, Carmela De Nuccio era completamente vestita, a parte il taglio dei jeans eseguito con un colpo netto di coltello che aveva reciso cintura e tessuti. Questo ha portato molti ad affermare che l'assassino si fosse rifiutato di toccare con le proprie mani la ragazza come per una sorta di repulsione nei confronti di essa in quanto donna. Questa idea però non tiene conto che l'assassino aveva comunque estratto la ragazza dalla macchina e portata di peso per 12 metri fino al luogo dell'escissione. Probabilmente, dunque, il coltello era il modo più semplice e veloce per scostare gli indumenti e scoprirle il pube.
● I 12 metri di distanza fra automobile e luogo di ritrovamento del cadavere di Carmela rappresentano la distanza maggiore che si sia mai registrata in un delitto compiuto dal MdF. Mai prima di allora e mai dopo, il killer avrebbe trasportato o trascinato un cadavere così lontano. Sicuramente la costituzione molto minuta della De Nuccio ha agevolato il trasporto, ma in maniera più probabile possiamo affermare che la conformazione fisica del luogo e il fatto che fosse frequentato da guardoni, avesse obbligato il killer a cercare una posizione strategica per operare al meglio e contemporaneamente tenere i dintorni sotto controllo.
● Giovanni Foggi venne ritrovato semivestito. Indossava gli slip e aveva i pantaloni infilati su una sola gamba. Secondo la tesi ufficiale e in linea con la dinamica dell'omicidio in cui i due giovani sembrarono completamente colti di sorpresa, si stava svestendo. Esiste però una tesi mostrologica secondo cui il giovane si era accorto della presenza di un estraneo o comunque di qualcosa che non andava e si stava velocemente rivestendo. Ancor più radicale l'avvocato Nino Filastò che, in accordo con la sua visione di "mostro in divisa", nel suo libro "Storia Delle Merende Infami", spiega come gli spari in realtà avessero colpito il Foggi mentre si stava infilando i pantaloni. La gamba destra infatti risultava vestita fino a metà gluteo e questo in genere accade mentre ci si infila i pantaloni (al contrario, togliendoseli, si tende a scoprire i glutei contemporaneamente, tanto più da seduti in un'automobile). Considerando anche che il rapporto fra i due ragazzi non era stato ancora consumato, Filastò desume che qualcuno li aveva interrotti e li aveva invitati a rivestirsi. E questo qualcuno non poteva essere altri che un uomo in divisa, magari lo stesso che aveva incontrato tempo prima il Fabbri, un'autorità che si era presentato con il fare rassicurante di chi fa rispettare la legge per poi colpire quando le vittime meno se lo aspettavano.
● Strettamente connesso con il punto precedente, sul cruscotto della macchina venne rinvenuto il portafoglio del Foggi. A parere dei cosiddetti filastoniani, una volta di più questo particolare dimostrerebbe l'evidenza di un "mostro in divisa" che, prima di colpire, aveva chiesto i documenti ai ragazzi. C'è però da dire che il Foggi venne identificato immediatamente dai primi due poliziotti giunti sul posto e questo potrebbe essere il motivo per cui il suo portafogli sarebbe stato rinvenuto sul cruscotto.
(NdA: Come ha fatto notare nei commenti in calce a questo scritto l'utente Mr. Simon86, nel verbale di sopralluogo del 10 giugno 1981, a firma del dottor Sandro Federico, è riportato esplicitamente che i documenti per il riconoscimento erano stati trovati addosso alle vittime, confermando di fatto quello che era un'ovvia supposizione).
● Già parecchi anni prima, attorno al 1973, un tale Renato Sereni, mentre era appartato in auto con la sua fidanzata, aveva scoperto e messo in fuga un giovane guardone. Rintracciatolo successivamente, lo aveva identificato per Enzo Spalletti, si era quindi presentato alla vetreria dove all'epoca lo Spalletti lavorava per fargli una rumorosa scenata davanti ai suoi colleghi. Enzo aveva minacciato querela, ma (ovviamente) la vicenda non aveva avuto alcun seguito giudiziario e lo Spalletti aveva continuato imperterrito la sua attività di guardone. Nel corso degli anni saranno, comunque, numerosi gli alterchi che lo avrebbero visto coinvolto con le coppie oggetto delle sue poco gradite attenzioni.
● Durante la perquisizione in casa dello Spalletti venne rinvenuta una audiocassetta in cui erano state registrate le effusioni amorose di una coppia appartata in auto. Tale registrazione risaliva a qualche anno prima e la coppia in questione nulla aveva a che fare con le successive vicende legate al MdF. L'audiocassetta prova che lo Spalletti (e forse non era l'unico) non si limitava a spiare le coppie ma in alcune occasioni si spingeva fino a registrarne i momenti di intimità.
● Secondo quanto riportato dal ricercatore Francis Trinipet nella terza parte della sua più che apprezzabile retrospettiva "In cerca del Mostro", i funerali di Giovanni e Carmela si celebrarono presso la chiesa di San Bartolomeo in Tuto a Scandicci, la cui costruzione all'epoca non era stata ancora ultimata. Analizzando le foto del funerale, gli inquirenti notarono fra i partecipanti la presenza di tale Mario Bagni, residente al Vingone, con attività lavorativa a Calenzano, noto per essere un guardone che bazzicava la campagna della Roveta, il cui già citato soprannome era "il muratore". Non risultarono relazioni di parentela o amicizia fra il suddetto Bagni e le famiglie delle vittime.
Il soggetto fu sottoposto a perquisizione in data 15 giugno. Per quanto ci è dato sapere, le relative indagini non diedero, evidentemente, alcun esito.
● Abbiamo visto come il guardone Enzo Spalletti abitasse nello stesso paese di Francesco Vinci; ci troviamo dunque al terzo delitto su tre che avviene in un luogo nelle cui vicinanze viveva o era di passaggio il Vinci.
● A proposito del delitto del 1968 e di guardoni, sembra che anche Giovanni Mele, fratello di Stefano, avesse l'abitudine di frequentare la Taverna del Diavolo e la campagna di Roveta sia per spiare le coppie appartate, sia egli stesso per appartarsi in automobile con eventuali amanti. A parlarci delle strane abitudini del Mele sarà la sua compagna Iolanda Libbra nel 1984. A quanto si apprende, la Iolanda in precedenza aveva frequentato anche il Fosco Fabbri; la donna potrebbe dunque essere ulteriore punto di contatto fra il Giovanni Mele e il giro di guardoni della Roveta.
● Sempre a proposito di guardoni, nel Febbraio del 1986 uscì, fra l'indifferenza generale, nella sale cinematografiche un film dal titolo "L'assassino è ancora fra noi" per la regia di Camillo Teti, inspirato alle vicende del Mostro di Firenze. Parte del film tratta con discreto dettaglio il mondo dei guardoni che ruotava attorno alla campagna di Roveta e alla Taverna del Diavolo, nonché i misteriosi (e talvolta borghesi) personaggi che frequentavano tale mondo.
Per tentare di fare chiarezza e ragionare su base probabilistica, partiamo dai punti fermi che abbiamo evidenziato in questo capitolo:
1. La sera del delitto Spalletti era uscito da casa attorno alle 21.30 ed era rientrato a orario non definito, sicuramente dopo l'una del mattino, stando alle dichiarazioni della moglie;
2. Parte di quella serata, Spalletti l'aveva trascorsa con Fosco Fabbri nelle campagne attorno alla "Taverna del Diavolo" alla ricerca di coppie da spiare. Fabbri era rientrato verso mezzanotte, almeno a suo dire;
3. Il delitto si era verosimilmente compiuto fra le 22.30 e le 23.00;
4. Fra le 23.00 e le 23.30 l'automobile dello Spalletti stava risalendo via delle Croci verso il luogo del delitto e, a circa due km di distanza dallo stesso, aveva incrociato l'automobile del Margheri. A quell'ora il duplice omicidio si era probabilmente già consumato;
5. La mattina dopo lo Spalletti non aveva parlato alla moglie del delitto;
6. Era uscito da casa verso le 10 (secondo la titolare del bar Pinelli) o verso le 11 (secondo la moglie). Aveva fatto colazione al bar che in quel momento era deserto. Non aveva parlato con nessuno dell'avvenuto delitto. Aveva lasciato il bar subito dopo aver fatto colazione. Non sappiamo dove era andato successivamente;
7. Verso mezzogiorno aveva chiamato telefonicamente a casa (secondo la moglie dal telefono del bar Pinelli, ma sappiamo che non fu così) per riferire che sarebbe rientrato a breve;
8. Era arrivato a casa verso mezzogiorno e mezzo e durante il pranzo aveva per la prima volta parlato alla moglie del delitto. Le aveva detto di aver assistito al duplice omicidio e che la vittima femminile era stata portata dall'assassino a qualche metro di distanza dall'automobile. Un particolare che nessuno poteva sapere in quel momento, considerando che anche i quotidiani del giorno successivo avrebbero scritto che la povera Carmela aveva provato a fuggire.
Stabilito questo, possiamo avanzare le seguenti ipotesi:
► Ipotesi N° 1: la più semplice. Spalletti non vide nulla. La sera del delitto si intrattenne per un po' di tempo con Fabbri dalle parti della Taverna del Diavolo. Anche a causa della Ford Capri che, con la sua sirena bitonale, disturbava i guardoni, andò a fare un giro in auto in cerca di coppie nei dintorni, poi risalendo verso via delle Croci incontrò il Margheri poco dopo le undici. Continuò i suoi giri alla ricerca di coppie, magari si allontanò dalla zona, forse si fermò da qualche parte o si intrattenne con qualcuno di cui non aveva piacere raccontare, ma in ogni caso non venne vide nulla e non seppe nulla dell'omicidio appena commesso.
Apprese del delitto da qualcuno la mattina successiva, durante i giri che compì dopo aver fatto colazione al bar Pinelli. Apprese anche particolari che fino a quel momento erano sconosciuti a tutti. Tornò a casa e ne parlò per la prima volta alla moglie.
Successivamente, una volta rientrato nelle indagini, preferì non rivelare (forse per paura, forse per solidarietà o per qualsiasi altro motivo) da chi aveva ricevuto quelle informazioni. Da qui le bugie da lui raccontate che lo avrebbero presto inguaiato.
Tale ipotesi non presenta particolari incongruenze e spiega anche eventuali dichiarazioni ambigue dello stesso Spalletti, come il riferimento alle forze dell'ordine che sarebbero state implicate nel delitto, in quanto potevano essere voci che aveva colto da chi gli aveva passato informazioni o magari era rimasto semplicemente colpito dal racconto del suo amico Fosco.
Certo, nel caso si abbracci questa ipotesi, rimarrebbe da chiedersi cosa avesse fatto quella notte Spalletti, visto che era rientrato a casa sicuramente dopo l'una del mattino. Inoltre, ci si potrebbe chiedere perché lo Spalletti abbia preferito farsi diversi mesi di carcere piuttosto che rivelare da chi avesse avuto le sue informazioni, dando al contrario l'impressione di sapere qualcosa, andando a complicare la sua situazione e dando ragione a chi lo accusava di reticenza.
► Ipotesi N° 2: Dopo aver passato parte della serata con Fabbri, aver fatto un giro in auto, aver incrociato la vettura del Margheri, lo Spalletti potrebbe essere arrivato sulla scena del crimine a omicidio compiuto. Potrebbe aver notato l'automobile ferma del Foggi, essersi avvicinato e aver scoperto il cadavere dell'uomo. A quel punto avrebbe curiosato nei dintorni e aver scorto anche il cadavere della povera Carmela. Era tornato a casa molto tardi, quando già la moglie dormiva. Il mattino dopo aveva inizialmente taciuto quanto da lui visto. Solo a pranzo aveva deciso di parlare alla moglie.
Tale ipotesi è in linea sia con l'automobile dello Spalletti vista dal Margheri dirigersi verso il luogo dell'omicidio in un orario in cui lo stesso sembrava già essersi compiuto, sia col fatto che Enzo non mostrò di avere paura quando raccontò di aver visto il duplice omicidio. In generale, nei confronti della moglie il suo non fu l'atteggiamento di una persona spaventata dagli eventi, ma di una persona che si vantava di sapere qualcosa. Anche, successivamente, davanti agli inquirenti l'atteggiamento dello Spalletti è parso più quello un po' guascone un po' cialtronesco di chi si crede furbo e pensa di potersela cavare con qualche frottola e qualche mezza verità.
Tuttavia, nel caso prendessimo per buona questa ipotesi, ci sarebbe da chiedersi perché Spalletti non parlò alla moglie dell'omicidio la mattina appena svegli, ma lo fece solo dopo essere uscito ed essere tornato a casa per pranzo? E se la sera prima era arrivato a cose compiute sul luogo del delitto, come faceva a sapere che Carmela era stata portata dall'assassino lì dove poi era stata ritrovata? Ma soprattutto, non avendo nessun informatore da compromettere o da coinvolgere, perché non aveva raccontato ai carabinieri di essere arrivato sul luogo del delitto a cose compiute e di aver curiosato fra i cadaveri, preferendo farsi quattro mesi di carcere piuttosto che raccontare quella che era una banale verità? E perché a distanza di tanti anni ancora non racconta ciò che successe quella notte? Non sarebbe meglio per lui togliersi questo peso dalla coscienza?
► Ipotesi N° 3: Lo Spalletti, impegnato nella sua attività di guardone, si trovava proprio nei pressi del luogo del duplice omicidio, quando lo stesso fu commesso. Vide qualcosa da lontano, udì gli spari, notò strani movimenti nel buio, qualcuno che spostava il corpo della ragazza, senza riuscire bene a identificare gli attori coinvolti in quel tragico fatto di sangue. Ovviamente rimase ben nascosto dov'era e si avvicinò all'automobile del Foggi solo dopo esser stato ben certo che l'assassino si fosse allontanato.
Questa ipotesi spiegherebbe come faceva lo Spalletti a sapere che il corpo di Carmela era stato spostato dal killer, ma non spiegherebbe perché non aveva raccontato alla moglie del delitto la mattina appena svegli. Forse perché preferiva non farle sapere nulla per non coinvolgerla? Ma allora perché gliene aveva parlato a pranzo? E non dovendo proteggere o coinvolgere nessuno, perché non aveva raccontato agli inquirenti quella che, anche in questo caso, era una banale verità? E anche qui, perché a distanza di tanti anni ancora non dice nulla sul poco che vide quella notte?
Infine, se Spalletti aveva assistito al duplice omicidio che era avvenuto fra le 22.30 e le 23.00, come mai fra le 23.00 e le 23.30 si trovava a due km di distanza, risalendo via delle Croci proprio in direzione del luogo del delitto? Forse dopo aver assistito al delitto, era fuggito via, salvo poi ripensarci e decidere di tornare indietro a curiosare?
► Ipotesi N° 4: Questa ipotesi è collegata alla precedente con una importante variazione: lo Spalletti vide il killer, magari sapeva persino chi fosse o comunque sapeva che si trattava di un personaggio importante, forse un membro delle forze dell'ordine, qualcuno insomma da cui era possibile temere delle ritorsioni per lui e per la sua famiglia.
Se prendiamo per buona questa ipotesi, sappiamo perché Spalletti era a conoscenza di alcuni particolari fino a quel momento ignoti e possiamo capire perchè decise di tacere e negare ogni addebito. Dobbiamo però evidenziare diversi dubbi, alcuni simili all'ipotesi precedente: se aveva paura o poteva temere qualche ritorsione, perché con la moglie si era vantato di sapere qualcosa? E perché se n'era vantato solo dopo essere uscito nella mattinata del giorno successivo? E se non aveva paura, perché allora non dichiarò almeno alla moglie di aver visto un poliziotto o affine commettere l'omicidio, vanteria che avrebbe fatto sicuramente colpo? E perché ancora oggi non rivela una verità che farebbe sicuramente colpo sull'opinione pubblica? Teme forse ritorsioni da parte di ambienti deviati, a distanza di quarant'anni dagli eventi?
► Ipotesi N° 5: Questa ipotesi è identica alla precedente, con un'unica differenza: Enzo Spalletti vide più persone sulla scena del crimine che commettevano il delitto. Forse poteva contribuire a indentificarne qualcuna ma credeva che la ragnatela dei killers fosse così fitta e ramificata da temere per l'incolumità sua e della propria famiglia. Per questo decise di tacere e negare ogni evidenza.
Anche qui ci sono però gli stessi dubbi dell'ipotesi precedente, forse ancora più accentuati: Enzo non doveva essere molto spaventato da quanto aveva visto? Probabilmente no, se aveva ritenuto opportuno parlarne con naturalezza con la moglie, vantandosi di aver assistito al duplice omicidio. E ancora, se davvero non aveva paura, perché non dichiarò almeno alla moglie che l'assassino non era una singola persona? Perché non gliene parlò la mattina, ma aspettò l'ora di pranzo dopo essere uscito?
► Ipotesi N° 6: Enzo Spalletti aveva coperto all'epoca e copre tuttora in maniera volontaria l'autore dell'omicidio: o perché lo conosceva e magari era stato proprio lui a dargli la dritta di un posto dove trovare coppiette appartate oppure perché lo ricattava. L'idea della conoscenza appare più verosimile del ricatto e in questo senso potrebbero spiegarsi le telefonate anonime arrivate in famiglia che avrebbero avuto un tono confidenziale. In questo senso potrebbe pure spiegarsi perché ancora oggi lo Spalletti non parli. Lui, direttamente o indirettamente, è complice. Deve, quindi, assolutamente tacere.
Soffermandoci un attimo sulle sei ipotesi descritte, risulta evidente da queste brevi considerazioni che le ipotesi 3, 4 e 5 difficilmente possano essere considerate valide ancora oggi a distanza di tanto tempo. È difficile pensare che a distanza di quarant'anni lo Spalletti possa avere ancora paura di ciò che ha visto, oltretutto una paura che non parve dimostrare neanche all'epoca.
Le ipotesi 1 e 2 (Spalletti non vide nulla), molto simili fra loro, rimangono dunque le più probabili. Poiché la mattina della domenica non fece alcun cenno dell'avvenimento alla moglie, mentre ne parlò a pranzo, appare più probabile l'ipotesi 1.
Una certa probabilità ce l'ha anche l'ipotesi 6, che però comporterebbe uno Spalletti complice di un delitto (e quindi indirettamente di tutti gli altri delitti) così atroce. Possibile, certo, ma decisamente più difficile.
Tale teoria fu espressa la prima volta nel 1994 in uno scritto dal titolo "Il sentiero non battuto: Attraverso gli anelli di 12 scuri"; scritto che fu inviato all'avvocato Filastò, al quale piacque particolarmente tant'è che in occasione del Processo ai CdM chiese alla corte di produrlo agli atti (la richiesta venne respinta).
In seguito, lo stesso De Gothia rivisitò la sua opera e nel 2004 pubblicò una versione aggiornata dal titolo: "Maniac attraverso gli anelli di dodici scuri".
In sintesi, De Gothia racconta come nelle settimane precedenti al duplice omicidio di Mosciano, sulle tv private fiorentine passasse con insistenza il trailer del film "MANIAC", horror-slasher americano del 1980, il cui protagonista era appunto un maniaco omicida che era solito fare lo scalpo alle vittime femminili. La scena principale del trailer era l'assalto del killer a una coppia appartata in auto. Secondo De Gothia era così fitto il passaggio di questa anteprima cinematografica a qualsiasi ora del giorno o della notte, da far persino nascere fra i giovani fiorentini dell'epoca modi di dire inerenti al trailer. Questa visione potrebbe aver fortemente influenzato la mente di per sé labile di colui che già aveva ucciso una o forse due coppie in passato (forse nel '68, sicuramente nel '74), portando l'omicida alla deriva seriale degli anni '80.
Il trailer, stando allo scritto di De Gothia, smise improvvisamente di essere mandato in onda.
Il film, dal canto suo, fu proiettato a Firenze dal 28 agosto al 2 settembre 1981 presso il Supercinema. Successivamente tornò in proiezione presso lo stesso cinema dal 15 al 22 ottobre 1981, curiosamente (o forse no!) negli stessi giorni del secondo delitto del 1981, quello di Calenzano. L'autore lascia intendere che la visione del film in quei giorni di ottobre potrebbe aver spinto il MdF a colpire per la seconda volta in quell'anno, ad appena quattro mesi di distanza dal precedente duplice omicidio.
La cosiddetta teoria "Maniac" è stata a lungo uno dei cavalli di battaglia dell'avvocato Filastò, tuttora convinto che la visione di alcuni film usciti nelle sale cinematografiche negli stessi giorni dei delitti del mostro abbia fortemente influenzato gli omicidi stessi.
Luogo: Mosciano di Scandicci, campagna di Roveta, lungo via dell'Arrigo in località Villabianca;
Orario: 22.30/23.00, secondo la testimonianza piuttosto incerta di un contadino che abitava a circa 200 metri in linea d'area dal luogo del delitto. L'uomo riferì di aver udito l'autoradio dell'automobile accesa fino alle ore 22.45 circa, poi più nulla;
Vittime: Giovanni Foggi, 30 anni; Carmela De Nuccio, 22 anni;
Automobile: Fiat Ritmo color rame, targata FI 986116;
Fase Lunare: Tre giorni dopo il novilunio (età lunare -25gg). Illuminazione al 16%. Il 6 giugno a Firenze la luna non ha avuto tramonto. Il tramonto ha avuto inizio il 7 giugno alle ore 00:37.
Prima del delitto
Fidanzati da poco, ma già in odore di matrimonio, la sera del delitto, il trentenne di Pontassieve Giovanni Foggi e la ventunenne di origine salentine Carmela De Nuccio, cenarono a casa dei genitori di lei a Scandicci.Uscirono verso le ore 22.15 con la scusa di andare a prendere un gelato e si appartarono sulle colline di Roveta non lontano dalla discoteca Anastacia, in una zona frequentata abitualmente da coppie e da guardoni.
Fu verosimilmente poco dopo il loro arrivo che si scatenò l'assalto da parte del killer.
Scena del crimine
Giovanni Foggi fu raggiunto da 3 colpi mortali d'arma da fuoco, mentre la De Nuccio venne raggiunta da 5 colpi altrettanto mortali d'arma da fuoco, quindi venne tirata fuori dalla macchina e portata a circa 12 metri di distanza su un terrapieno da dove il killer avrebbe verosimilmente potuto controllare i dintorni.In quel luogo si verificò la prima escissione pubica nella storia di colui che a breve sarebbe diventato noto come il Mostro di Firenze. Con un'arma bianca molto tagliente, l'assassino recise di netto la cintura, i jeans e le mutandine della ragazza all'altezza del fianco sinistro, dunque scostati gli indumenti, esportò in maniera piuttosto precisa il vello pubico. Terminata l'operazione il killer tornò dal cadavere del ragazzo in macchina e lo colpì con tre profonde coltellate ampiamente post-mortem.
L'arma bianca, sia per quanto riguarda l'escissione che per quanto riguarda le coltellate, risulta verosimilmente adoperata da soggetto destrimane. Un dato su cui, però, non tutti i mostrologi concordano.
Dopo il delitto
I cadaveri vennero scoperti la mattina dopo, domenica 7 giugno verso le ore 9.00, da un poliziotto in borghese di nome Vittorio Sifone.Partirono le indagini e il primo a essere interrogato dagli inquirenti fu tale Antonio Leone, ex fidanzato di Carmela, il quale venne condotto in caserma assieme al fratello.
Il Leone svolgeva l'attività di fornaio a Scandicci e dopo la fine della relazione con Carmela aveva iniziato ad avere atteggiamenti minacciosi nei suoi confronti, tanto che la stessa famiglia De Nuccio aveva consigliato alla ragazza di sporgere denuncia.
In realtà, ben presto, il pur molesto ragazzo fu giudicato completamente estraneo al delitto e lasciato andare.
Il 9 giugno, appena tre giorni dopo il delitto, il giornalista Antonio Villoresi, parlò in un articolo de "La Nazione" delle numerose e inquietanti analogie fra l'omicidio di Scandicci e quello di Borgo San Lorenzo di 7 anni prima. Quello stesso giorno, le prime analisi sui bossoli rinvenuti sulle due scene del crimine confermarono ufficiosamente che a sparare era stata la stessa pistola, una Calibro 22 long Rifle, probabilmente Beretta e probabilmente a impugnarla era stata la stessa mano. Nonostante a nessuno era ancora venuto in mente di collegare anche il delitto di Signa del 1968, si iniziò in quel momento a parlare per la prima volta e molto timidamente di Serial Killer. Il termine divenne di dominio pubblico dopo il delitto successivo.
Le indagini si indirizzarono quasi subito nel fitto sottobosco di guardoni che popolavano la zona del duplice omicidio. In particolar modo verso tale Carlo Tommasi, detto il Pastorino, guardiacaccia cinquantenne, che prestava servizio nei boschi poco distanti e che soleva recarsi a spiare le coppie armato di una pistola scacciacani.
L'uomo, possessore di un fucile calibro 22, si dimostrò da subito estremamente reticente nei confronti degli inquirenti. Arrestato con l'accusa di omicidio, rimase in carcere anche dopo che venne giudicato estraneo ai fatti perché sospettato di falsa testimonianza.
La pista Tommasi andò raffreddandosi con l'entrata in scena di Enzo Spalletti, 36 anni, noto guardone che bazzicava le campagne della Roveta, luogo dell'omicidio, e il poco distante ristorante pizzeria "La Taverna Del Diavolo", in località Pian De' Cerri, risaputo ritrovo di guardoni.
Il caso Spalletti
A porre il predetto Spalletti al centro delle indagini furono due testimonianze disgiunte.La prima fu una telefonata anonima giunta alla questura di Firenze alle 22.30 di giovedì 11 giugno. Tale telefonata fu presa dal brigadiere Pietro Bittau: in essa un anonimo interlocutore affermava di aver visto la notte del delitto un'automobile Ford Taunus rossa, targata FI 669906, dalle parti della campagna di Roveta in orario compatibile con il duplice omicidio.
Sempre lo stesso giorno, arrivò la seconda testimonianza: un tale di nome Guido Margheri, che la vulgata mostrologica indicava come poliziotto, riferì alle forze dell'ordine che la sera di sabato 6 giugno, verso le 22.45, a bordo di una Fiat 500, aveva raggiunto il ristorante "La Cesira", distante pochi minuti di automobile dal luogo del delitto, e ivi si era intrattenuto per circa 15 minuti.
Verso le 23.00 era ripartito in direzione Taverna del Diavolo, alla cui altezza aveva svoltato in via dell'Arrigo per poi svoltare nuovamente in via delle Croci. Qui aveva incontrato un'automobile Ford Taunus color arancione, marciante in senso contrario al suo e dunque verso il luogo del delitto. La strada stretta aveva obbligato il predetto Guido a fermarsi per permettere il transito dell'altra vettura. Questa era un'automobile a lui familiare in quanto apparteneva a un noto guardone di zona, dunque Guido fu in grado di fornire oltre al modello e al colore anche i primi numeri di targa.
Tale testimonianza venne confermata dai proprietari del ristorante "La Cesira", i quali riconobbero il Margheri come loro cliente abituale. I successivi riscontri portarono gli inquirenti a stabilire che l'incrocio fra le due automobili era avvenuto fra le 23.00 e le 23.30 a circa due chilometri di distanza dal luogo del delitto, verso cui stava viaggiando la Ford Taunus.
Nella giornata di giovedì 11 giugno, gli inquirenti si trovarono dunque due segnalazioni convergenti che indicavano una stessa vettura in prossimità del luogo del delitto in orario più o meno compatibile con lo stesso. Risultò a quel punto facile appurare che l'automobile segnalata apparteneva in entrambi i casi a un noto guardone di zona, tale Enzo Spalletti, classe 1945, residente a Montelupo Fiorentino in via del Turbone, sposato e padre di tre figli, autista di ambulanze presso la locale Misericordia.
Soffermiamoci un attimo sulla telefonata anonima: come parte della odierna mostrologia sostiene, è probabile che chi abbia fatto quella telefonata conoscesse almeno di vista lo Spalletti, perché è difficile pensare a qualcuno che si fosse trovato a passare dalla Roveta e avesse incrociato un'automobile sconosciuta e, pur senza sapere nulla del duplice omicidio, ne avesse memorizzato la targa, per poi - saputo del delitto - riferirla a distanza di cinque giorni alla questura di Firenze.
Dunque è probabile che la fonte di tale telefonata fosse stata un altro guardone, una coppia o un abitante della zona, se non lo stesso Margheri, qualcuno insomma che bazzicasse la Roveta e avesse familiarità con l'automobile dello Spalletti, ne conoscesse la targa o quanto meno sapesse dove andare a recuperarla.
La mattina successiva, venerdì 12 giugno alle ore 10.00, venne interrogata la moglie dello Spalletti, la signora Carla Agnoletti, la quale - a dispetto della vulgata mostrologica che spesso ha alterato le parole della donna - rilasciava le seguenti dichiarazioni:
▪ la sera del delitto il marito era uscito da casa da solo verso le 21.30;
▪ lei era andata a letto verso l'una del mattino, a quell'ora il marito non era ancora rientrato; non era in grado di dire a che ora fosse rientrato;
▪ la mattina successiva (domenica) il marito non le aveva detto nulla del duplice omicidio; l'uomo era uscito verso le 11.00 ed era andato al bar "Pinelli", sempre al Turbone; da lì verso mezzogiorno aveva chiamato per avvisare che stava rientrando a casa. Era rientrato verso le 12.30 e solo allora, durante il pranzo, le aveva parlato per la prima volta del delitto; le aveva raccontato che la sera precedente aveva visto che era stata uccisa una coppia dalle parti di Scandicci, che l'uomo era stato ucciso in macchina a colpi di pistola, mentre la donna era stata uccisa e portata a qualche metro di distanza dall'automobile; la Agnoletti non ricordava e dunque non riportava altri particolari del racconto del marito.
Queste le testuali parole della donna: "...mio marito mi disse che aveva visto la sera nei pressi di Scandicci in una strada vecchia, mi ha precisato anche la località che attualmente non ricordo, che avevano ucciso una coppia di fidanzati. Mi precisò che il ragazzo lo avevano ucciso in macchina con alcuni colpi di pistola mentre la ragazza era stata uccisa e portata qualche metro più in la. Non ricordo altri particolari che mi possa aver riferito mio marito della disgrazia di Scandicci, nella circostanza di tempo e di luogo..."
▪ marito e moglie avevano trascorso il pomeriggio della domenica insieme; il marito era poi uscito la sera, ma era tornato a casa molto prima del solito e non era stato fuori per più di un'ora;
▪ nei giorni successivi il marito si era mostrato di umore più cupo, come se il delitto lo avesse turbato; inoltre usciva meno spesso e dichiarava di voler far luce sul duplice omicidio;
▪ lei era a conoscenza dell'attività di guardone del marito;
▪ lei escludeva di aver appreso del delitto tramite TV, radio o giornali; ribadiva di averne avuto per la prima volta notizia dal marito all'ora di pranzo della domenica.
Ulteriori indagini portarono gli inquirenti a scoprire che già alle 11 della domenica mattina (orario in cui - secondo la moglie - lo Spalletti si era recato al bar Pinelli), la notizia del duplice omicidio si era sommariamente sparsa per il paese e sul luogo dove erano stati rinvenuti i cadaveri vi era un discreto assembramento di persone, fra forze dell'ordine, giornalisti e semplici curiosi.
Una certa tradizione mostrologica, supportata da diversi articoli di giornale dell'epoca, vorrebbe che la domenica al bar lo Spalletti avesse riferito particolari, come l'escissione del pube, che solo chi fosse stato presente sul luogo del delitto, avrebbe potuto sapere. In realtà non c'è traccia documentale di tali dichiarazioni, tantomeno così circonstanziate, da parte dello Spalletti.
Al contrario, c'è il verbale dell'interrogatorio della moglie, in cui - come visto - costei non solo non fa alcun riferimento al pube escisso, ma dichiara che il marito era uscito da casa la domenica mattina verso le 11 e fino a quel momento non aveva fatto cenno dell'avvenuto delitto. Potrebbe dunque essere presa in considerazione l'ipotesi che nel momento in cui lo Spalletti era uscito, ancora non sapesse nulla dell'omicidio e avesse appreso la notizia successivamente, durante la sua passeggiata mattutina.
È pur vero che all'ora di pranzo di domenica, Enzo aveva riferito alla moglie di "aver visto che avevano ucciso una coppia", ma questa può essere anche intesa come una fanfaronata dell'uomo, pienamente nello stile del personaggio.
Altro aspetto da sottolineare è che - sempre dalle dichiarazioni della Agnoletti - risulterebbe che il marito le avrebbe confidato che "la ragazza era stata uccisa e portata qualche metro più in la", particolare questo sicuramente vero, ma che in quel momento solo chi aveva assistito al duplice omicidio poteva conoscere, anche perché i giornali nei giorni immediatamente successivi al delitto riferirono, invece, che la povera Carmela aveva tentato la fuga ma era stata raggiunta dall'assassino nel luogo dove poi sarebbe avvenuta l'escissione pubica. Si legge, infatti, su un articolo de "La Nazione" di lunedì 8 giugno a firma di Mario Spezi: "...più atroce è stato il destino di Carmela, quasi sicuramente il vero obiettivo dell'assassino. La ragazza, ferita solo di striscio ad un polso da uno dei colpi sparati contro il suo fidanzato, ha aperto la portiera destra della macchina e ha cercato una fuga impossibile attraverso i campi. Ha fatto non più di dieci metri, poi, nel buio, è rotolata in un campo sottostante. L'assassino le è piombato addosso e l'ha colpita con furia al collo con il coltello...".
Ovviamente, queste informazioni sarebbero state rettificate dalla stampa nei giorni successivi, fatto sta che Spalletti aveva fornito alla moglie una versione corretta dell'accaduto già domenica all'ora di pranzo. Ciò avrebbe acuito i sospetti degli inquirenti nei suoi confronti, tuttavia, con il senno di poi, anche in questo caso non si può escludere che l'uomo potesse aver appreso questi particolari proprio quella domenica mattina. Anche perché, la domanda da porsi è: avrebbe resistito lo Spalletti alla voglia di raccontare subito alla moglie quanto era accaduto nella notte se avesse davvero saputo qualcosa prima di uscire da casa? Torneremo nel dettaglio sull'argomento nella parte dedicata alla "Mostrologia a Mosciano".
Quello stesso 12 giugno, verso le ore 12.30, venne interrogata la signora Graziella Pinelli, titolare del bar-trattoria al Turbone presso cui si era recato lo Spalletti la domenica mattina. Costei dichiarò che Enzo era arrivato nel suo bar verso le 10, si era intrattenuto per poco tempo, giusto il tempo di fare colazione, che il bar in quel momento era pressoché deserto e non si era assolutamente parlato del duplice omicidio avvenuto nella notte, anche perché lei stessa aveva appreso del delitto solamente il giorno dopo, lunedì 8 giugno. Secondo la testimone, lo Spalletti era ritornato nel bar verso le 14, questa volta si era intrattenuto per più tempo in compagnia di altri avventori, ma ancora una volta la donna escludeva categoricamente si fosse parlato del delitto.
Sono dichiarazioni che non coincidono con quelle fornite dalla Agnoletti. A parte l'orario discrepante (secondo la Pinelli, Enzo era arrivato al bar attorno alle 10, secondo la moglie era uscito da casa attorno alle 11), nella deposizione della Pinelli non c'è traccia della telefonata che Spalletti avrebbe fatto dal bar attorno a mezzogiorno, preannunciando il suo imminente ritorno a casa. Inoltre, secondo la titolare, l'uomo aveva lasciato il bar subito dopo aver fatto colazione, eppure era rientrato a casa solo verso mezzogiorno e mezzo. Non si può, dunque, escludere che dopo essere stato al bar, lo Spalletti avesse fatto altri giri e la famosa telefonata l'avesse fatta da altro luogo. Vien da sé che proprio durante questi ulteriori giri, Enzo potrebbe aver appreso del delitto e dei relativi dettagli.
Nel frattempo, quella stessa mattina, lo Spalletti era stato portato in Procura e interrogato alla presenza dei due magistrati che si occupavano del caso, Silvia Della Monica e Adolfo Izzo, del commissario Sandro Federico e del colonnello Olinto Dell'Amico.
Inizialmente il sospettato si difese affermando di non sapere nulla del delitto, di non aver visto nulla e di aver riportato esclusivamente informazioni lette sui giornali al bar Pinelli nel pomeriggio di domenica, cosa impossibile in quanto la notizia del duplice omicidio non era stata ancora riportata da alcun giornale quel giorno.
Questa la parte di interrogatorio particolarmente interessante:
"...c'erano le fotografie dei due giovani uccisi, un ragazzo e una ragazza. Io non ho comprato i giornali. Io lo compro tutti i giorni per la Misericordia e, pertanto, non lo compro la domenica. Dal Pinelli c'erano vari amici, quelli soliti... Io sono certo d'aver appreso la notizia dal giornale come ho detto sempre. Escludo di averla appresa dalle chiacchiere degli amici del bar..."
Messo al corrente dell'impossibilità di aver letto la notizia sui giornali nella giornata di domenica, lo Spalletti replicò: "...Mi sarò sbagliato. Sono confuso, è la prima volta che mi capita una cosa del genere..."
Nel pomeriggio, nel corso dello stesso lunghissimo interrogatorio, lo Spalletti corresse disordinatamente il tiro: "...questa mattina mi sono sbagliato, mi ero confuso e tutt'ora lo sono, il giornale domenica non riportava dell'omicidio ed io l'ho appreso dai conoscenti davanti al bar G. di Montelupo Fiorentino. Perlomeno mi è parso di sentire parlare dell'omicidio ma ora mi chiedo se l'hanno trovati alle 11, come è possibile che a mezzogiorno già si era sparsa la voce a Montelupo? Penso pertanto di averlo appreso più tardi sempre davanti al bar G... Escludo che furono raccontati particolari. Io ricordo che pensai, ma come sono stato lassù fino a mezzanotte ed essendo sconvolto mi misi subito in macchina e tornai a casa..."
In quelle sei ore di interrogatorio Spalletti affermò, fra le altre cose in maniera del tutto inverosimile, di essersi appartato in zona Roveta, la sera del delitto, con una prostituta napoletana che aveva trovato a Firenze sul Lungarno Vespucci; in seguito, incalzato dalle pressanti domande degli inquirenti, ritrattò la storia della prostituta napoletana e dichiarò di essersi incontrato con un suo amico guardone, tale Fosco Fabbri, dalle parti della Taverna del Diavolo e ivi di essersi appostato con lui in attesa di una coppia da spiare. Accennò a un'automobile Ford Capri blu parcheggiata in zona che, disturbata dall'amico Fabbri, si era allontanata a gran velocità azionando una sirena bitonale. Affermò di essere rientrato a casa verso mezzanotte (orario che non coincideva con quanto dichiarato da sua moglie). Dichiarò, infine, che la zona del delitto non era propriamente frequentata da lui e dal Fabbri, in quanto loro preferivano appunto appostarsi nella campagna circostante la taverna, a circa un paio di chilometri di distanza dal luogo dell'omicidio.
Viste le reticenze, le falsità, le successive ritrattazioni e la comprovata menzogna sull'orario di rientro a casa la notte del delitto, il 15 giugno lo Spalletti venne arrestato per falsa testimonianza. La speranza degli inquirenti era che il carcere potesse convincerlo a raccontare finalmente ciò che sapeva, come lo avesse saputo ed eventualmente cosa avesse davvero visto.
Buona parte dell'odierna mostrologia ritiene che l'arresto dello Spalletti fu un errore, perché da un lato spinse i guardoni ad assumere un atteggiamento di estrema diffidenza verso le forze dell'ordine, anziché di collaborazione, dall'altro portò probabilmente Spalletti a rendersi conto di aver parlato troppo e in maniera maldestra e di aver così acceso i riflettori di inquirenti e media sull'oscuro mondo cui lui stesso apparteneva, quello dei guardoni, in special modo dei frequentatori della Roveta.
Forse fu questo il motivo per cui da quel momento in poi l'uomo decise di trincerarsi dietro un malcelato silenzio.
Fosco Fabbri
Incarcerato Spalletti, gli inquirenti rivolsero le proprie attenzioni verso l'amico Fosco Fabbri, con molta probabilità detto Ricciolo, piccolo artigiano di Montelupo, all'epoca quarantottenne, possessore di una Fiat 127 color gialloverde. Personaggio interessante costui, guardone da lunga data, musicista presso la banda di paese, Fosco aveva un fratello, Mariano, impiegato nel Corpo Forestale presso la frazione di San Piero a Sieve, nel comune di Borgo San Lorenzo. A fine puramente cronachistico, giova ricordare che era da poco stato fatto il collegamento con il delitto di Rabatta (comune appunto di Borgo San Lorenzo) e che quattro anni dopo, nel 1985, in una cassetta postale di San Piero a Sieve sarebbe stata imbucata dal Mostro la famigerata lettera destinata alla dottoressa Della Monica (vedasi capitolo Scopeti).Interrogato, il Fabbri confermò che la sera dell'omicidio era stato con lo Spalletti sulle colline antistanti la Taverna del Diavolo in attesa di una coppia e che era rincasato verso mezzanotte senza notare nulla di strano. Dichiarò anch'egli che il luogo del delitto non era da loro direttamente frequentato, ma più in generale non era frequentato da guardoni perché troppo aperto e dunque non offriva adeguati ripari per chi volesse spiare. Aggiunse però: "Effettivamente io sono passato davanti al viottolo in cui è avvenuto il delitto anzi chiaramente davanti all'imbocco del viottolo, ma escludo di aver notato qualcosa di sospetto, né ho sentito grida o spari. Tra l'altro lì vicino vi è una discoteca e quindi vi è molto frastuono".
Fabbri riferì di aver saputo del duplice delitto soltanto il lunedì mattina mentre era al lavoro e da quel giorno di non essere più tornato a spiare le coppie. Aggiunse di non aver fatto alcuna ricerca per individuare l'assassino perché le voci che circolavano era che si trattasse di un ex spasimante della ragazza.
Nel corso dei successivi interrogatori, Spalletti e Fabbri furono messi a confronto e in un'occasione gli inquirenti colsero cenni d'intesa fra i due, in special modo da parte dello Spalletti verso l'amico. Questo amplificò i sospetti delle forze nell'ordine, che si ritrovarono a essere ancor più indispettiti dall'atteggiamento mendace e cialtronesco dello Spalletti.
Fu durante uno dei numerosi interrogatori cui venne sottoposto che il Fabbri rivelò un paio di particolari piuttosto interessanti per le indagini, qualcosa che in futuro avrebbe parecchio solleticato la fantasia di svariati mostrologi:
1. Confermò la presenza, la notte del delitto, di una Ford Capri blu parcheggiata dalle parti della Taverna del Diavolo, con all'interno una coppia che, disturbata dai guardoni e in particolar modo dallo Spalletti, si era allontanata a gran velocità azionando una sirena. Più volte, forse per ripicca, la suddetta automobile era quindi passata davanti alla Taverna con la sirena accesa. Da notare come per lo Spalletti l'automobile era stata disturbata dal Fabbri e per il Fabbri, invece, era accaduto l'esatto contrario.
2. Dichiarò che all'incirca nel 1977, non molto distante dalla zona dell'omicidio, era stato avvicinato da un "uomo in divisa", moro, alto e robusto, di circa trent'anni, che, puntandogli contro un'arma da fuoco, gli aveva fatto una sorta di paternale su quanto fosse immorale la sua attività di guardone. Ben presto il predicozzo si era, però, trasformato in un "j'accuse" nei confronti delle coppie, che a differenza dei guardoni, commettevano reato nell'appartarsi in automobile in un luogo pubblico. Il Fabbri era stato lasciato libero dopo circa una mezz'oretta senza che gli fosse stato torto un capello. Non era stato in grado di chiarire quale tipo di divisa indossasse il misterioso uomo.
In seguito, alcuni studiosi avrebbero associato quest'uomo proprio al guardiacaccia Tommasi, ma va detto che né l'età né la descrizione sembrano corrispondere.
Nel frattempo, la vulgata mostrologica asserisce che durante il periodo di carcerazione di Enzo, sua moglie e suo fratello, Dino Spalletti, vennero fatti oggetto di alcune telefonate anonime in cui l'interlocutore con fare rassicurante li informava che presto il loro congiunto sarebbe stato scagionato. L'ignoto si raccomandava tuttavia di assicurarsi che Enzo non parlasse e in un'occasione, secondo l'avvocato Filastò, con fare quasi paternalistico avrebbe affermato: "Cosa gli è venuto in mente a quel bischero di dire che aveva letto degli omicidi sui giornali? Ben gli sta un po' di carcere!"
Della reale esistenza di queste telefonate non risulta essere mai stato fornito alcun riscontro documentale, anche perché queste sarebbero avvenute prima che fossero predisposte in data 18 giugno 1981 le intercettazioni telefoniche a casa dello Spalletti e del Fabbri. Tuttavia, dopo le presunte telefonate, Enzo Spalletti si sarebbe preoccupato di far trasferire moglie e figli a casa del suocero. Non solo, qualche mese dopo, l'autista di ambulanze sarebbe stato effettivamente scagionato - così come preannunciava la telefonata - da un nuovo omicidio del MdF.
Ammettendo che tali telefonate fossero realmente avvenute, sarebbe interessante capirne l'origine. Molti mostrologi ritengono fossero opera del "Mostro" che, da un lato voleva assicurarsi il silenzio dello Spalletti con le buone maniere, dall'altro gli faceva comunque sapere di poter arrivare alla sua famiglia in qualsiasi momento. Non può, tuttavia, escludersi che provenissero dal gruppo di guardoni della Roveta, preoccupati che lo Spalletti potesse parlare e dunque accendere ancora più i riflettori sul loro mondo, già messo duramente in subbuglio dalle forze dell'ordine. Il trasferimento di moglie e figli può essere inteso proprio come protezione dagli stessi guardoni, fra i quali - è risaputo - circolavano sia personaggi poco raccomandabili, sia armi da fuoco. Fu un articolo del neonato quotidiano "La Città" del 29 ottobre 1981 a riferire che, qualche giorno dopo l'arresto dello Spalletti, nella campagna della Roveta aveva avuto luogo una furiosa lite fra guardoni, cui aveva assistito anche il Fabbri, durante la quale era stato esploso un colpo di pistola.
Non è un mistero, infatti, che l'ordine circolato fra i voyeur della zona fosse l'assoluto silenzio. Ciò emerse anche da una telefonata intercorsa fra Dino Spalletti e il Fabbri, datata 22 giugno e intercettata dall'autorità preposta, nella quale Fosco ribadiva quanto fosse importante che Enzo tacesse.
Piccola nota a margine: la voce mostrologica secondo cui il testimone Guido Margheri fosse un poliziotto trae origine proprio da una delle suddette intercettazioni, allorché il Fabbri, parlando con Dino Spalletti, ipotizzò (erroneamente) che il Margheri appartenesse a qualche corpo di polizia.
Nel giro di qualche mese, comunque, il polverone sollevatosi attorno ai voyeur andò lentamente dissipandosi. Dapprima Carlo Tommasi, il Pastorino, venne rilasciato e sarà definitivamente prosciolto dall'accusa di falsa testimonianza in data 16 febbraio 1982. In seguito a scrivere la parola fine sul caso Spalletti fu - come dicevamo - un nuovo omicidio del MdF, compiuto il 22 ottobre 1981 a Travalle di Calenzano. Due giorni dopo, il 24 ottobre, Spalletti venne scarcerato dopo oltre quattro mesi di reclusione e pare che la scarcerazione arrivò appena prima che il detenuto fosse trasferito nel carcere di Arezzo. Fedele alla linea intrapresa, l'uomo seguitò nel suo mutismo. Sarà definitivamente prosciolto il 24 febbraio del 1989 dal Giudice Istruttore Mario Rotella.
Da allora, almeno fino a oggi, lo Spalletti non ha mai parlato di ciò che ha visto la notte dell'omicidio di Mosciano, sempre ammesso abbia realmente visto qualcosa. Sarebbe interessante capire perché abbia trascorso quei quattro mesi di carcere (non propriamente pochini) in assoluto silenzio, senza cercare minimamente di collaborare con le forze dell'ordine, senza dire assolutamente nulla sulla vicenda, se non ripetere di essere innocente.
Pare che le sue ultime parole sull'argomento siano state tese a far ricadere la colpa dei delitti su qualcuno appartenente alle forze dell'ordine. La fonte di questa notizia, da prendersi con il beneficio del dubbio, è proprio il fautore dell'ipotesi "Mostro in divisa", l'avvocato Nino Filastò, cui ai tempi del Processo Pacciani, lo Spalletti avrebbe fatto privatamente dichiarazioni di questo tipo.
Risulta, a tal proposito, che già nell'interrogatorio del 13 giugno 1981, Enzo Spalletti dichiarò ai magistrati Della Monica e Izzo: "Voi lo sapete che io non sono l'assassino, ma mi tenete in galera perché state proteggendo qualcun altro". Alle proteste indignate dei due magistrati di fronte a tali gravi insinuazioni ("Ma che sta dicendo? Cosa intende dire?... Se ha qualcosa da dire, parli!..."), l'uomo avrebbe risposto bonariamente "Niente, niente, dicevo così, tanto per dire qualcosa... l'ho detto per rabbia perché sono innocente".
A oggi, primo scorcio del 2018, Enzo Spalletti è vivo e pare in ottima salute; Fosco Fabbri è morto nel giugno del 1996.
Il dottor B.
Come abbiamo testé visto, il coinvolgimento dello Spalletti e la sopraggiunta consapevolezza che la campagna di Roveta fosse il punto di ritrovo di numerosi guardoni portarono le forze dell'ordine a concentrare le loro attenzioni sul mondo ambiguo e semisconosciuto dei "voyeur", sospettando che qui il Mostro potesse aver trovato se non proprio complicità o protezione, almeno l'ambiente ideale in cui mimetizzarsi.Furono numerosi i cosiddetti "Indiani" (così venivano chiamati i guardoni per la capacità di avvicinarsi alle automobili delle coppie strisciando sul terreno senza far rumore) ad essere attenzionati. Fra questi vi erano personaggi noti in zona con improbabili soprannomi, quali Bourbon, Centomini, il muratore, tale Antonio, che era una specie di capoccia di zona, il napoletano, i fratelli Scansano, i quali pare alternassero l'attività di guardoni con rapine e furti nelle ville. Ma vi era anche gente insospettabile, come ben noti professionisti fiorentini, un vigile in pensione e persino qualche giovane donna.
In particolar modo fu un medico residente a Samminiatello, frazione di Montelupo Fiorentino, a finire sotto la lente d'ingrandimento delle forze dell'ordine e - suo malgrado - a salire ai disonori della cronaca. Si trattava di un quarantottenne ginecologo della Scandicci bene, il cui nome all'epoca non venne divulgato, ma che diventò noto alle cronache fiorentine come Dottor B. dopo alcuni articoli, farciti di non troppo velate accuse, che il giornalista Mario Spezi gli aveva dedicato fra il 1982 e il 1983.
Ancora fino a poco tempo fa sul nome del suddetto ginecologo vigeva il più stretto riserbo, tanto che il mai troppo compianto studioso De Gothia, pur di non rivelarne le generalità, era solito affermare non senza una punta di sana ironia che "il dottor B. aveva lo stesso cognome di un noto allenatore di calcio italiano degli anni '80, campione d'Italia in provincia, che chiuse la carriera all'Inter".
Come emerge dalla già citata sentenza Rotella si tratta, difatti, del dottor Enzo Bagnoli, classe 1933, nato in provincia di Pisa, residente a Montelupo Fiorentino, celibe. Costui presentava caratteristiche estremamente interessanti, tanto da rimanere a lungo uno dei principali indiziati per i delitti del MdF. Si trattava infatti di individuo mai coniugato, che viveva solo con l'anziana madre, che era stato in cura per disturbi nervosi, detentore di una pistola Beretta calibro 22, il cui nome era emerso dal giro dei guardoni che gravitavano attorno a Roveta. Ad colorandum, come si scoprirà dopo il collegamento con il duplice omicidio di Signa del 1968, era il medico curante della famiglia di Francesco Vinci.
Tuttavia, sia le prove di sparo sulla Beretta del medico sia la perquisizione nella sua abitazione diedero esito negativo e i sospetti vennero momentaneamente accantonati, almeno fino al delitto successivo, quando, subito dopo il duplice omicidio di Calenzano nell'ottobre di quello stesso anno, il dottore subì una nuova perquisizione.
Successivamente, nell'estate del 1982, arrivò il collegamento con il delitto di Signa e i sardi che avevano gravitato attorno alla Locci si ritrovarono a essere i principali indiziati per i delitti del Mostro. Eppure il dottor B. non uscì completamente di scena. Fu anzi in quel periodo che lo Spezi concentrò i sospetti su di lui, sostenendo in diversi articoli su "La Nazione" e nel suo libro "Il Mostro di Firenze" (edito da Sonzogno nel 1983) di aver individuato in lui l'autore degli omicidi.
Complice la scoperta che il ginecologo abitava nello stesso paese non solo del guardone Enzo Spalletti, ma anche e soprattutto di Francesco Vinci e che della famiglia Vinci era il medico curante, Spezi ipotizzò che il dottore potesse essere il mandante dei delitti e che Francesco Vinci (forse aiutato da qualcun altro) potesse esserne l'esecutore materiale. Già nel 1983 veniva dunque avanzata l'ipotesi di un mostro a più teste, quasi un'anteprima di quella che parecchi anni dopo sarebbe stata la pista dei Compagni di Merende.
Sarà in seguito lo stesso Spezi a lasciar cadere le sue accuse nei confronti del ginecologo per concentrarsi sulla cosiddetta "Teoria Carlo", di cui avremo modo di parlare in un successivo capitolo.
Negli anni seguenti e fino al termine della scia delittuosa, il dottor B. verrà comunque regolarmente sottoposto a controlli e perquisizioni dopo ogni delitto del Mostro. Anche subito dopo la scoperta dell'ultimo duplice omicidio, a Scopeti il 9 settembre 1985, come ci avrebbe fatto sapere l'avvocato Bevacqua durante un'udienza del Processo Pacciani, una pattuglia si recò prontamente a casa del ginecologo a Montelupo per raccogliere informazioni sui suoi spostamenti.
L'interesse degli inquirenti verso il mondo dei guardoni si sarebbe però raffreddato in breve tempo e le forze dell'ordine si sarebbero presto convinte di dover cercare il Mostro altrove. Come avrebbe avuto modo di spiegare il futuro dirigente della SAM (Squadra Anti Mostro), Sandro Federico, nella trasmissione Telefono Giallo andata in onda nell'ottobre del 1987 e dedicata proprio alla vicenda del MdF, i guardoni non avevano alcun interesse a proteggere il Mostro, anzi avevano tutto l'interesse che questi non colpisse, sia perché il MdF rappresentava un pericolo anche per loro nel malaugurato caso potessero vedere qualcosa, sia perché la sua presenza limitava fortemente il numero delle coppie che si appartava nelle campagne fiorentine. Addirittura, in quella stessa trasmissione, il dottor Federico riferiva che i guardoni si ritenevano le sentinelle delle coppie, la miglior difesa nei confronti del Mostro.
A distanza di molti anni, nei vari salotti mostrologici si continua tuttora a dibattere se il MdF fosse stato o meno in precedenza un guardone o se più in generale provenisse da quel mondo. Sicuramente ci sono delle similitudini fra il comportamento del Mostro e quello dei guardoni, come ad esempio la condivisione e profonda conoscenza di determinati luoghi graditi alle coppie o il sapersi muovere abilmente nel buio della campagna e avvicinarsi alle macchine senza fare il minimo rumore. Similitudini che in seguito saranno rese ancora più marcate dalle condanne dei Compagni di Merende, considerando che almeno Pacciani e Lotti erano due guardoni, il primo chiamato in causa da alcune testimonianze, il secondo per propria stessa ammissione.
Ci sono però anche profonde differenze che sembrano ostacolare un'estrazione voyeuristica del mostro: su tutte, il guardone traeva e trae piacere nell'assistere al compimento del rapporto sessuale della coppia, il MdF interrompeva o - meglio ancora - impediva tale rapporto. E questa appare un'insanabile dicotomia fra le due parti.
Particolarità a Mosciano
● La pistola con cui vennero freddate le vittime era la solita Beretta Calibro 22 Long Rifle che aveva già sparato sicuramente almeno a Rabatta. I proiettili usati per questo delitto furono Winchester a piombo nudo con impresso sul fondello la solita lettera H. Da qui in poi il killer utilizzerà esclusivamente proiettili a piombo nudo (con l'unica eccezione di un singolo colpo sparato a Giogoli), mentre nei due delitti precedenti erano stati usati proiettili a palla ramata. In questa occasione, dunque, il killer attinse per la prima volta a una seconda scatola di cartucce, anche questa, come la precedente, prodotta attorno al 1966.● Le due vittime furono raggiunte da 8 colpi d'arma da fuoco in totale (3 lui, 5 lei), ma i bossoli trovati sul luogo del delitto furono soltanto 5. Un particolare quello dei bossoli mancanti che si era già riscontrato nel 1974 (pur con le scusanti del caso) e che si ripeterà nel 1983 e nel 1984. La faccenda dei bossoli mancanti rispetto ai colpi effettivamente esplosi ha fatto nascere la teoria – non ulteriormente suffragata e dagli esperti giudicata poco attendibile - secondo cui il Mostro (o i Mostri) usasse due pistole, una delle quali un revolver (dunque che non rilasciava bossoli).
● La povera Carmela De Nuccio venne ritrovata con gli occhi sbarrati e la parte anteriore della collana che portava al collo fra le labbra. Secondo alcune ricostruzioni, la collana le era scivolata in bocca nel momento in cui il killer l'aveva presa di peso e portata sul luogo dove poi aveva effettuato le escissioni (ricostruzione che sembrerebbe corretta nel caso in cui l'assassino l'avesse sollevata e caricata di peso su una spalla e dunque la De Nuccio si fosse ritrovata con la testa penzoloni e la collana le fosse ricaduta verso il volto).
Tuttavia il poliziotto Ruggero Perugini ha sempre dichiarato (sia al Processo Pacciani, sia recentemente in uno speciale sul MdF andato in onda su Canale 9) che a suo parere quella collanina fu infilata appositamente dall'assassino fra le labbra della ragazza in modo da richiamare l'immagine di un frammento della "Primavera del Botticelli", una cui copia sarebbe stata ritrovata e sequestrata diversi anni dopo a casa di Pietro Pacciani.
● A proposito del Pacciani, secondo le testimonianze raccolte dalla Procura di Firenze, la sua ex fidanzata, Miranda Bugli, nel giugno del 1981 viveva in via Donizetti a Scandicci e lavorava nella locale Casa del Popolo, distante meno di 5 km da via dell'Arrigo.
Abbiamo già avuto modo di vedere a proposito del delitto di Signa che - secondo la Procura - Pacciani colpiva in talune occasioni in prossimità dei luoghi frequentati dalla Bugli.
Fino a quel momento c'erano stati difatti tre delitti: nel primo le vittime risiedevano a poca distanza dall'abitazione della Bugli; nel secondo, il luogo del delitto era vicinissimo alle zone in cui Pacciani era nato e dove aveva vissuto per quasi cinquant'anni; nel terzo la Bugli lavorava a poca distanza dal luogo del delitto.
● L'asportazione del vello pubico della povera Carmela comincia – come da dichiarazioni del dottor Mauro Maurri al Processo Pacciani – fra le ore 11 e le ore 12 di un ipotetico orologio e termina nello stesso punto poco più in basso.
● A differenza del delitto di 7 anni prima, questa volta il killer non aveva sprecato colpi, puntando da subito al bersaglio grosso, e non aveva avuto bisogno dell'arma bianca per finire le vittime. Si evidenzia dunque un utilizzo più sicuro dell'arma da fuoco. Come detto, il criminologo Francesco De Fazio parlò, durante un'udienza del Processo Pacciani, di un killer migliorato negli anni nell'uso della pistola, ma non un cosiddetto "tiratore di professione". Questo contrasta con alcune teorie che vogliono il killer appartenente a un corpo militare o comunque molto vicino ad ambienti polizieschi. Sempre De Fazio affermò nella stessa occasione che il killer aveva invece una buona manualità con l'arma bianca, dunque era senz'altro più avvezzo all'uso del coltello rispetto alla pistola. Il che più che a un "uomo in divisa" potrebbe far pensare a un macellaio, un conciatore, un imbalsamatore, un calzolaio, persino un chirurgo.
● Da notare come gli ultimi due delitti (1974 e 1981) erano avvenuti in luoghi decisamente isolati ma comunque molto prossimi a un punto di ritrovo per giovani: la discoteca Teen Club per il delitto di Borgo e la discoteca Anastacia per il delitto di Mosciano.
● Come quella della Pettini, anche la borsa della De Nuccio venne trafugata e il contenuto sparso per terra vicino alla macchina. Tuttavia, questa volta la borsa venne lasciata sulla scena del crimine e degli effetti personali della ragazza non è dato sapere se mancasse qualcosa o meno. Ciò che non fu mai ritrovato fu un portafoglio di marca Gucci di Carmela, ma anche in questo caso non è dato sapere se fu sottratto dal killer.
Va detto però che secondo la deposizione di Vittorio Sifone al Processo Pacciani (27 aprile 1994), la sensazione che lui ebbe quando scoprì i cadaveri fu che la ragazza avesse scagliato lei stessa la borsa contro il killer come in atteggiamento di reazione o di difesa.
● Sempre durante il Processo Pacciani, lo stesso Sifone affermò di aver notato erba schiacciata dovuta a tracce di trascinamento dalla macchina al luogo in cui poi fu trovato il cadavere di Carmela. Al contrario, il dottor Mauro Maurri dichiarò, avendo analizzato vestiti e assenza di escoriazioni da trascinamento sul corpo della ragazza, che verosimilmente il cadavere era stato sollevato e portato in braccio. Identica osservazione la fece il dottor Aurelio Bonelli, l'unico medico legale a essere intervenuto direttamente sul luogo del delitto, il quale testimoniò con una certa sicurezza che a suo parere la ragazza non era stata trascinata ma portata di peso. A conferma delle considerazioni espresse dai medici legali (ove mai ce ne fosse bisogno), non risulta siano state rivenute tracce di fango sul corpo o sui vestiti della ragazza nonostante il giorno precedente al delitto fosse stato discretamente piovoso.
● Le due vittime maschili dei due delitti, Giovanni Foggi e Pasquale Gentilcore, erano entrambi di Pontassieve. Si indagò dunque per prima cosa in questo senso (amicizie comuni, collegamenti con Pontassieve) senza però arrivare a nulla.
● Mentre Stefania Pettini era completamente nuda, Carmela De Nuccio era completamente vestita, a parte il taglio dei jeans eseguito con un colpo netto di coltello che aveva reciso cintura e tessuti. Questo ha portato molti ad affermare che l'assassino si fosse rifiutato di toccare con le proprie mani la ragazza come per una sorta di repulsione nei confronti di essa in quanto donna. Questa idea però non tiene conto che l'assassino aveva comunque estratto la ragazza dalla macchina e portata di peso per 12 metri fino al luogo dell'escissione. Probabilmente, dunque, il coltello era il modo più semplice e veloce per scostare gli indumenti e scoprirle il pube.
● I 12 metri di distanza fra automobile e luogo di ritrovamento del cadavere di Carmela rappresentano la distanza maggiore che si sia mai registrata in un delitto compiuto dal MdF. Mai prima di allora e mai dopo, il killer avrebbe trasportato o trascinato un cadavere così lontano. Sicuramente la costituzione molto minuta della De Nuccio ha agevolato il trasporto, ma in maniera più probabile possiamo affermare che la conformazione fisica del luogo e il fatto che fosse frequentato da guardoni, avesse obbligato il killer a cercare una posizione strategica per operare al meglio e contemporaneamente tenere i dintorni sotto controllo.
● Giovanni Foggi venne ritrovato semivestito. Indossava gli slip e aveva i pantaloni infilati su una sola gamba. Secondo la tesi ufficiale e in linea con la dinamica dell'omicidio in cui i due giovani sembrarono completamente colti di sorpresa, si stava svestendo. Esiste però una tesi mostrologica secondo cui il giovane si era accorto della presenza di un estraneo o comunque di qualcosa che non andava e si stava velocemente rivestendo. Ancor più radicale l'avvocato Nino Filastò che, in accordo con la sua visione di "mostro in divisa", nel suo libro "Storia Delle Merende Infami", spiega come gli spari in realtà avessero colpito il Foggi mentre si stava infilando i pantaloni. La gamba destra infatti risultava vestita fino a metà gluteo e questo in genere accade mentre ci si infila i pantaloni (al contrario, togliendoseli, si tende a scoprire i glutei contemporaneamente, tanto più da seduti in un'automobile). Considerando anche che il rapporto fra i due ragazzi non era stato ancora consumato, Filastò desume che qualcuno li aveva interrotti e li aveva invitati a rivestirsi. E questo qualcuno non poteva essere altri che un uomo in divisa, magari lo stesso che aveva incontrato tempo prima il Fabbri, un'autorità che si era presentato con il fare rassicurante di chi fa rispettare la legge per poi colpire quando le vittime meno se lo aspettavano.
● Strettamente connesso con il punto precedente, sul cruscotto della macchina venne rinvenuto il portafoglio del Foggi. A parere dei cosiddetti filastoniani, una volta di più questo particolare dimostrerebbe l'evidenza di un "mostro in divisa" che, prima di colpire, aveva chiesto i documenti ai ragazzi. C'è però da dire che il Foggi venne identificato immediatamente dai primi due poliziotti giunti sul posto e questo potrebbe essere il motivo per cui il suo portafogli sarebbe stato rinvenuto sul cruscotto.
(NdA: Come ha fatto notare nei commenti in calce a questo scritto l'utente Mr. Simon86, nel verbale di sopralluogo del 10 giugno 1981, a firma del dottor Sandro Federico, è riportato esplicitamente che i documenti per il riconoscimento erano stati trovati addosso alle vittime, confermando di fatto quello che era un'ovvia supposizione).
● La giovane coppia Foggi-De Nuccio era solita frequentare la campagna di Roveta per assaporare i propri momenti di intimità. Questo sembra essere accertato dalle testimonianze di alcuni guardoni che anzi consideravano l'automobile del Foggi una di quelle gradite a quel particolare e non richiesto pubblico.
Da quanto racconta lo Spalletti (alle cui parole è opportuno concedere il beneficio del dubbio), il sabato prima del duplice omicidio, e dunque orientativamente il 30 maggio, una Fiat Ritmo color rame, simile a quella del Foggi, era stata vista abbandonare di gran carriera il luogo in cui sostava, poco distante da quello dell'omicidio. Questo ha portato diversi mostrologi a ipotizzare che Carmela e Giovanni fossero stato disturbati da qualcuno in quell'occasione, forse dal Mostro stesso. Sicuramente lo spavento che avevano preso, ammesso che di spavento si fosse trattato, non era però stato tale da impedir loro di appartarsi nella stessa zona a una settimana di distanza.● Già parecchi anni prima, attorno al 1973, un tale Renato Sereni, mentre era appartato in auto con la sua fidanzata, aveva scoperto e messo in fuga un giovane guardone. Rintracciatolo successivamente, lo aveva identificato per Enzo Spalletti, si era quindi presentato alla vetreria dove all'epoca lo Spalletti lavorava per fargli una rumorosa scenata davanti ai suoi colleghi. Enzo aveva minacciato querela, ma (ovviamente) la vicenda non aveva avuto alcun seguito giudiziario e lo Spalletti aveva continuato imperterrito la sua attività di guardone. Nel corso degli anni saranno, comunque, numerosi gli alterchi che lo avrebbero visto coinvolto con le coppie oggetto delle sue poco gradite attenzioni.
● Durante la perquisizione in casa dello Spalletti venne rinvenuta una audiocassetta in cui erano state registrate le effusioni amorose di una coppia appartata in auto. Tale registrazione risaliva a qualche anno prima e la coppia in questione nulla aveva a che fare con le successive vicende legate al MdF. L'audiocassetta prova che lo Spalletti (e forse non era l'unico) non si limitava a spiare le coppie ma in alcune occasioni si spingeva fino a registrarne i momenti di intimità.
● Secondo quanto riportato dal ricercatore Francis Trinipet nella terza parte della sua più che apprezzabile retrospettiva "In cerca del Mostro", i funerali di Giovanni e Carmela si celebrarono presso la chiesa di San Bartolomeo in Tuto a Scandicci, la cui costruzione all'epoca non era stata ancora ultimata. Analizzando le foto del funerale, gli inquirenti notarono fra i partecipanti la presenza di tale Mario Bagni, residente al Vingone, con attività lavorativa a Calenzano, noto per essere un guardone che bazzicava la campagna della Roveta, il cui già citato soprannome era "il muratore". Non risultarono relazioni di parentela o amicizia fra il suddetto Bagni e le famiglie delle vittime.
Il soggetto fu sottoposto a perquisizione in data 15 giugno. Per quanto ci è dato sapere, le relative indagini non diedero, evidentemente, alcun esito.
● Abbiamo visto come il guardone Enzo Spalletti abitasse nello stesso paese di Francesco Vinci; ci troviamo dunque al terzo delitto su tre che avviene in un luogo nelle cui vicinanze viveva o era di passaggio il Vinci.
● A proposito del delitto del 1968 e di guardoni, sembra che anche Giovanni Mele, fratello di Stefano, avesse l'abitudine di frequentare la Taverna del Diavolo e la campagna di Roveta sia per spiare le coppie appartate, sia egli stesso per appartarsi in automobile con eventuali amanti. A parlarci delle strane abitudini del Mele sarà la sua compagna Iolanda Libbra nel 1984. A quanto si apprende, la Iolanda in precedenza aveva frequentato anche il Fosco Fabbri; la donna potrebbe dunque essere ulteriore punto di contatto fra il Giovanni Mele e il giro di guardoni della Roveta.
● Sempre a proposito di guardoni, nel Febbraio del 1986 uscì, fra l'indifferenza generale, nella sale cinematografiche un film dal titolo "L'assassino è ancora fra noi" per la regia di Camillo Teti, inspirato alle vicende del Mostro di Firenze. Parte del film tratta con discreto dettaglio il mondo dei guardoni che ruotava attorno alla campagna di Roveta e alla Taverna del Diavolo, nonché i misteriosi (e talvolta borghesi) personaggi che frequentavano tale mondo.
Mostrologia a Mosciano
Nel corso degli anni sono ovviamente sorte molteplici teorie sulla nebulosa vicenda di Enzo Spalletti, in special modo cosa abbia visto la notte del delitto, ammesso abbia realmente visto qualcosa.Per tentare di fare chiarezza e ragionare su base probabilistica, partiamo dai punti fermi che abbiamo evidenziato in questo capitolo:
1. La sera del delitto Spalletti era uscito da casa attorno alle 21.30 ed era rientrato a orario non definito, sicuramente dopo l'una del mattino, stando alle dichiarazioni della moglie;
2. Parte di quella serata, Spalletti l'aveva trascorsa con Fosco Fabbri nelle campagne attorno alla "Taverna del Diavolo" alla ricerca di coppie da spiare. Fabbri era rientrato verso mezzanotte, almeno a suo dire;
3. Il delitto si era verosimilmente compiuto fra le 22.30 e le 23.00;
4. Fra le 23.00 e le 23.30 l'automobile dello Spalletti stava risalendo via delle Croci verso il luogo del delitto e, a circa due km di distanza dallo stesso, aveva incrociato l'automobile del Margheri. A quell'ora il duplice omicidio si era probabilmente già consumato;
5. La mattina dopo lo Spalletti non aveva parlato alla moglie del delitto;
6. Era uscito da casa verso le 10 (secondo la titolare del bar Pinelli) o verso le 11 (secondo la moglie). Aveva fatto colazione al bar che in quel momento era deserto. Non aveva parlato con nessuno dell'avvenuto delitto. Aveva lasciato il bar subito dopo aver fatto colazione. Non sappiamo dove era andato successivamente;
7. Verso mezzogiorno aveva chiamato telefonicamente a casa (secondo la moglie dal telefono del bar Pinelli, ma sappiamo che non fu così) per riferire che sarebbe rientrato a breve;
8. Era arrivato a casa verso mezzogiorno e mezzo e durante il pranzo aveva per la prima volta parlato alla moglie del delitto. Le aveva detto di aver assistito al duplice omicidio e che la vittima femminile era stata portata dall'assassino a qualche metro di distanza dall'automobile. Un particolare che nessuno poteva sapere in quel momento, considerando che anche i quotidiani del giorno successivo avrebbero scritto che la povera Carmela aveva provato a fuggire.
Stabilito questo, possiamo avanzare le seguenti ipotesi:
► Ipotesi N° 1: la più semplice. Spalletti non vide nulla. La sera del delitto si intrattenne per un po' di tempo con Fabbri dalle parti della Taverna del Diavolo. Anche a causa della Ford Capri che, con la sua sirena bitonale, disturbava i guardoni, andò a fare un giro in auto in cerca di coppie nei dintorni, poi risalendo verso via delle Croci incontrò il Margheri poco dopo le undici. Continuò i suoi giri alla ricerca di coppie, magari si allontanò dalla zona, forse si fermò da qualche parte o si intrattenne con qualcuno di cui non aveva piacere raccontare, ma in ogni caso non venne vide nulla e non seppe nulla dell'omicidio appena commesso.
Apprese del delitto da qualcuno la mattina successiva, durante i giri che compì dopo aver fatto colazione al bar Pinelli. Apprese anche particolari che fino a quel momento erano sconosciuti a tutti. Tornò a casa e ne parlò per la prima volta alla moglie.
Successivamente, una volta rientrato nelle indagini, preferì non rivelare (forse per paura, forse per solidarietà o per qualsiasi altro motivo) da chi aveva ricevuto quelle informazioni. Da qui le bugie da lui raccontate che lo avrebbero presto inguaiato.
Tale ipotesi non presenta particolari incongruenze e spiega anche eventuali dichiarazioni ambigue dello stesso Spalletti, come il riferimento alle forze dell'ordine che sarebbero state implicate nel delitto, in quanto potevano essere voci che aveva colto da chi gli aveva passato informazioni o magari era rimasto semplicemente colpito dal racconto del suo amico Fosco.
Certo, nel caso si abbracci questa ipotesi, rimarrebbe da chiedersi cosa avesse fatto quella notte Spalletti, visto che era rientrato a casa sicuramente dopo l'una del mattino. Inoltre, ci si potrebbe chiedere perché lo Spalletti abbia preferito farsi diversi mesi di carcere piuttosto che rivelare da chi avesse avuto le sue informazioni, dando al contrario l'impressione di sapere qualcosa, andando a complicare la sua situazione e dando ragione a chi lo accusava di reticenza.
► Ipotesi N° 2: Dopo aver passato parte della serata con Fabbri, aver fatto un giro in auto, aver incrociato la vettura del Margheri, lo Spalletti potrebbe essere arrivato sulla scena del crimine a omicidio compiuto. Potrebbe aver notato l'automobile ferma del Foggi, essersi avvicinato e aver scoperto il cadavere dell'uomo. A quel punto avrebbe curiosato nei dintorni e aver scorto anche il cadavere della povera Carmela. Era tornato a casa molto tardi, quando già la moglie dormiva. Il mattino dopo aveva inizialmente taciuto quanto da lui visto. Solo a pranzo aveva deciso di parlare alla moglie.
Tale ipotesi è in linea sia con l'automobile dello Spalletti vista dal Margheri dirigersi verso il luogo dell'omicidio in un orario in cui lo stesso sembrava già essersi compiuto, sia col fatto che Enzo non mostrò di avere paura quando raccontò di aver visto il duplice omicidio. In generale, nei confronti della moglie il suo non fu l'atteggiamento di una persona spaventata dagli eventi, ma di una persona che si vantava di sapere qualcosa. Anche, successivamente, davanti agli inquirenti l'atteggiamento dello Spalletti è parso più quello un po' guascone un po' cialtronesco di chi si crede furbo e pensa di potersela cavare con qualche frottola e qualche mezza verità.
Tuttavia, nel caso prendessimo per buona questa ipotesi, ci sarebbe da chiedersi perché Spalletti non parlò alla moglie dell'omicidio la mattina appena svegli, ma lo fece solo dopo essere uscito ed essere tornato a casa per pranzo? E se la sera prima era arrivato a cose compiute sul luogo del delitto, come faceva a sapere che Carmela era stata portata dall'assassino lì dove poi era stata ritrovata? Ma soprattutto, non avendo nessun informatore da compromettere o da coinvolgere, perché non aveva raccontato ai carabinieri di essere arrivato sul luogo del delitto a cose compiute e di aver curiosato fra i cadaveri, preferendo farsi quattro mesi di carcere piuttosto che raccontare quella che era una banale verità? E perché a distanza di tanti anni ancora non racconta ciò che successe quella notte? Non sarebbe meglio per lui togliersi questo peso dalla coscienza?
► Ipotesi N° 3: Lo Spalletti, impegnato nella sua attività di guardone, si trovava proprio nei pressi del luogo del duplice omicidio, quando lo stesso fu commesso. Vide qualcosa da lontano, udì gli spari, notò strani movimenti nel buio, qualcuno che spostava il corpo della ragazza, senza riuscire bene a identificare gli attori coinvolti in quel tragico fatto di sangue. Ovviamente rimase ben nascosto dov'era e si avvicinò all'automobile del Foggi solo dopo esser stato ben certo che l'assassino si fosse allontanato.
Questa ipotesi spiegherebbe come faceva lo Spalletti a sapere che il corpo di Carmela era stato spostato dal killer, ma non spiegherebbe perché non aveva raccontato alla moglie del delitto la mattina appena svegli. Forse perché preferiva non farle sapere nulla per non coinvolgerla? Ma allora perché gliene aveva parlato a pranzo? E non dovendo proteggere o coinvolgere nessuno, perché non aveva raccontato agli inquirenti quella che, anche in questo caso, era una banale verità? E anche qui, perché a distanza di tanti anni ancora non dice nulla sul poco che vide quella notte?
Infine, se Spalletti aveva assistito al duplice omicidio che era avvenuto fra le 22.30 e le 23.00, come mai fra le 23.00 e le 23.30 si trovava a due km di distanza, risalendo via delle Croci proprio in direzione del luogo del delitto? Forse dopo aver assistito al delitto, era fuggito via, salvo poi ripensarci e decidere di tornare indietro a curiosare?
► Ipotesi N° 4: Questa ipotesi è collegata alla precedente con una importante variazione: lo Spalletti vide il killer, magari sapeva persino chi fosse o comunque sapeva che si trattava di un personaggio importante, forse un membro delle forze dell'ordine, qualcuno insomma da cui era possibile temere delle ritorsioni per lui e per la sua famiglia.
Se prendiamo per buona questa ipotesi, sappiamo perché Spalletti era a conoscenza di alcuni particolari fino a quel momento ignoti e possiamo capire perchè decise di tacere e negare ogni addebito. Dobbiamo però evidenziare diversi dubbi, alcuni simili all'ipotesi precedente: se aveva paura o poteva temere qualche ritorsione, perché con la moglie si era vantato di sapere qualcosa? E perché se n'era vantato solo dopo essere uscito nella mattinata del giorno successivo? E se non aveva paura, perché allora non dichiarò almeno alla moglie di aver visto un poliziotto o affine commettere l'omicidio, vanteria che avrebbe fatto sicuramente colpo? E perché ancora oggi non rivela una verità che farebbe sicuramente colpo sull'opinione pubblica? Teme forse ritorsioni da parte di ambienti deviati, a distanza di quarant'anni dagli eventi?
► Ipotesi N° 5: Questa ipotesi è identica alla precedente, con un'unica differenza: Enzo Spalletti vide più persone sulla scena del crimine che commettevano il delitto. Forse poteva contribuire a indentificarne qualcuna ma credeva che la ragnatela dei killers fosse così fitta e ramificata da temere per l'incolumità sua e della propria famiglia. Per questo decise di tacere e negare ogni evidenza.
Anche qui ci sono però gli stessi dubbi dell'ipotesi precedente, forse ancora più accentuati: Enzo non doveva essere molto spaventato da quanto aveva visto? Probabilmente no, se aveva ritenuto opportuno parlarne con naturalezza con la moglie, vantandosi di aver assistito al duplice omicidio. E ancora, se davvero non aveva paura, perché non dichiarò almeno alla moglie che l'assassino non era una singola persona? Perché non gliene parlò la mattina, ma aspettò l'ora di pranzo dopo essere uscito?
► Ipotesi N° 6: Enzo Spalletti aveva coperto all'epoca e copre tuttora in maniera volontaria l'autore dell'omicidio: o perché lo conosceva e magari era stato proprio lui a dargli la dritta di un posto dove trovare coppiette appartate oppure perché lo ricattava. L'idea della conoscenza appare più verosimile del ricatto e in questo senso potrebbero spiegarsi le telefonate anonime arrivate in famiglia che avrebbero avuto un tono confidenziale. In questo senso potrebbe pure spiegarsi perché ancora oggi lo Spalletti non parli. Lui, direttamente o indirettamente, è complice. Deve, quindi, assolutamente tacere.
Soffermandoci un attimo sulle sei ipotesi descritte, risulta evidente da queste brevi considerazioni che le ipotesi 3, 4 e 5 difficilmente possano essere considerate valide ancora oggi a distanza di tanto tempo. È difficile pensare che a distanza di quarant'anni lo Spalletti possa avere ancora paura di ciò che ha visto, oltretutto una paura che non parve dimostrare neanche all'epoca.
Le ipotesi 1 e 2 (Spalletti non vide nulla), molto simili fra loro, rimangono dunque le più probabili. Poiché la mattina della domenica non fece alcun cenno dell'avvenimento alla moglie, mentre ne parlò a pranzo, appare più probabile l'ipotesi 1.
Una certa probabilità ce l'ha anche l'ipotesi 6, che però comporterebbe uno Spalletti complice di un delitto (e quindi indirettamente di tutti gli altri delitti) così atroce. Possibile, certo, ma decisamente più difficile.
Teoria De Gothia sul film MANIAC
Il già citato dottor Stefano Galastri, meglio noto con il nickname De Gothia, per molti versi padre dell'odierna mostrologia e punto di riferimento per chiunque si sia cimentato nella comprensione di questo difficile caso, ha elaborato una sua teoria sulla genesi del delitto di Mosciano, delitto che poi diede il via alla scia di sangue degli anni '80.Tale teoria fu espressa la prima volta nel 1994 in uno scritto dal titolo "Il sentiero non battuto: Attraverso gli anelli di 12 scuri"; scritto che fu inviato all'avvocato Filastò, al quale piacque particolarmente tant'è che in occasione del Processo ai CdM chiese alla corte di produrlo agli atti (la richiesta venne respinta).
In seguito, lo stesso De Gothia rivisitò la sua opera e nel 2004 pubblicò una versione aggiornata dal titolo: "Maniac attraverso gli anelli di dodici scuri".
In sintesi, De Gothia racconta come nelle settimane precedenti al duplice omicidio di Mosciano, sulle tv private fiorentine passasse con insistenza il trailer del film "MANIAC", horror-slasher americano del 1980, il cui protagonista era appunto un maniaco omicida che era solito fare lo scalpo alle vittime femminili. La scena principale del trailer era l'assalto del killer a una coppia appartata in auto. Secondo De Gothia era così fitto il passaggio di questa anteprima cinematografica a qualsiasi ora del giorno o della notte, da far persino nascere fra i giovani fiorentini dell'epoca modi di dire inerenti al trailer. Questa visione potrebbe aver fortemente influenzato la mente di per sé labile di colui che già aveva ucciso una o forse due coppie in passato (forse nel '68, sicuramente nel '74), portando l'omicida alla deriva seriale degli anni '80.
Il trailer, stando allo scritto di De Gothia, smise improvvisamente di essere mandato in onda.
Il film, dal canto suo, fu proiettato a Firenze dal 28 agosto al 2 settembre 1981 presso il Supercinema. Successivamente tornò in proiezione presso lo stesso cinema dal 15 al 22 ottobre 1981, curiosamente (o forse no!) negli stessi giorni del secondo delitto del 1981, quello di Calenzano. L'autore lascia intendere che la visione del film in quei giorni di ottobre potrebbe aver spinto il MdF a colpire per la seconda volta in quell'anno, ad appena quattro mesi di distanza dal precedente duplice omicidio.
La cosiddetta teoria "Maniac" è stata a lungo uno dei cavalli di battaglia dell'avvocato Filastò, tuttora convinto che la visione di alcuni film usciti nelle sale cinematografiche negli stessi giorni dei delitti del mostro abbia fortemente influenzato gli omicidi stessi.
Complimenti per tutto il lavoro. Volevo soltanto sapere una cosa. Come è possibile che l'uomo che riferì di aver udito l'autoradio dell'automobile accesa fino alle ore 22.45 circa e poi più nulla non ha udito i colpi di pistola? Grazie
RispondiEliminaCiao, grazie per i complimenti.
EliminaLa testimonianza dell'uomo che sentì l'autoradio fino alle 22.45 è - come riportato - molto incerta. Una certa vulgata mostrologica la dà per veritiera, sostenendo persino che la canzone che girasse prima del silenzio fosse "Imagine", ma a livello documentale è una testimonianza che non risulta.
Alla fine l'orario del delitto viene desunto più che altro dal fatto che i due giovani avrebbero dovuto rincasare piuttosto presto. Arrivarono alla piazzola attorno alle 22.30 senza dunque potersi trattenere molto. Risulta molto probabile che l'assalto sia avvenuto entro massimo una mezz'ora dal loro arrivo. Più realisticamente entro pochi minuti.
Ma, ad ogni modo, nessuno ha udito degli spari?
EliminaNo, in questo caso non esiste alcun riscontro sui colpi di pistola.
EliminaL'ipotesi di un appartenente alle forze dell'ordine, specialmente con il delitto di Mosciano e le dichiarazioni dello Spalletti, appare molto plausibile: il poliziotto Guido che percorre via degli Arrighi in concomitanza con il delitto, la sua 500 (modello sempre presente anche agli Scopeti e attribuita a Pacciani), l'incrocio con lo Spalletti che conosceva, la telefonata anonima alla questura di Firenze...Chi è questo polizziotto Guido che si premura di rilasciare testimonianza sapendo che lo Spalletti lo ha visto e parla?
RispondiEliminail mostro secondo me e' uno che ha sofferto moltissimo per amore .
EliminaÈ una triste storia......Ho dei forti dubbi che si tratti solamente di questi tre individui.Chissa' quanta gente c'è dietro.....😪😪😱🤦
EliminaComunque Guido non era un poliziotto, è stato detto e ridetto più volte. E questo fa cadere qualsiasi complottismo alla Filastò!
Eliminai compagni di merende ,,,, ridicolo chi li ha indagati .
RispondiEliminail vero mostro e' una persona sola e stop! questa la mia teoria ,uno che ha tanto sofferto per amore lasciato dalla fidanzata , il primo delitto non centra niente con quelli a partire dal 74 , questo stronxo ha trovato la pistola durante le ricerche dell'arma la tenuta nascosta e poi messa in azione anni dopo. sardi e compagni di merenda non centrano una mazza!
RispondiEliminaIl mostro e' una sola persona ma quali feticci e sette e dottori, uccide per appagare se stesso ,oramai credo morto e sepolto.
RispondiEliminaNel 1987, durante una puntata di Telefono Giallo dedicata al MdF, telefonò una Signora Francese,questa Signora disse che sua figlia,tale Elena,mentre era in auto con una amica,in ore serali e presso lo stesso identico luogo del duplice omicidio di Moschiano,fu fermata da dei Carabinieri,i quali intimarono alle due ragazze di tornare indietro perché era stata appena uccisa una coppia di giovani con la pistola. La ragazza il giorno dopo comprò la Nazione e non trovò niente che parlava del duplice delitto,e continuò a comperare giornali per giorni, finché il 6 giugno lesse l' articolo che parlava del duplice delitto. La stranezza clamorosa sta nel fatto che le due ragazze furono fermate a Febbraio del 1981, quindi quasi 4 mesi prima dell' effettivo duplice omicidio. Non è dato sapere se le due ragazze si recassero presso la più vicina stazione dei Carabinieri per raccontare cosa avvenne 4 mesi prima.
RispondiEliminaMa io lo ripeto all'infinito,ma vi pare possibile che un assassino del genere commetta errori simili? si fa vedere con una auto rossa, segue le vittime nei bar e lui con tanto di capelli rossi, poi carica in auto una autostoppista e gli racconta di un omicidio ??? ma andiamo!!!
RispondiEliminaTu non hai capito che era coperto dalla Procura o fai finta,in questi ultimi mesi lo hanno detto due volte persino alla Rai con Salvo Sottile e la persona più preparata sull'argomento, Paolo Cochi,il quale ha partecipato ai processi e ha scritto libri di oltre 500 pagine contenenti documenti inediti,atti,foto,ecc.lo ha ripetuto molte volte in questi ultimi tempi,era l' usciere della Procura,se veniva fuori che il MDF era veramente lui saltavano molte teste potenti,pezzi grossi insomma. Ora pare sia uscita fuori da pochi giorni la notizia che la famiglia di S.P. , l' usciere,era amica della moglie di Vigna,inoltre pare che S.P.pare che andassero a caccia insieme,o fossero andati in gioventù. Inoltre un' altro sospettato,tale P.Poli, confessò ad un' amica di essere lui il mdf,non solo,ma l' identikit di Bardazzi è incredibilmente identico a quest' altro sospettato,eppure non è mai stato chiamato ai processi,questo per farti capire come investigavano 40 anni fa,in modo approssimativo e superficiale, perciò non c'è da stupirsi di uno che lascia tracce dappertutto e non li fanno niente,il criminologo Bruno disse che S.P. voleva farsi catturare,lasciando lettere,videocassette e proiettili dappertutto,era malato e a modo suo voleva finirla con quella vita aberrata. Ricorda molto il fil Indagini su un Cittadino al di sopra di ogni Sospetto,in cui il capo della Polizia uccise una Donna e si divertiva nel dire a tutti che era stato lui,e fece vedere anche le foto dell' omicidio,che soltanto l' uccisore poteva aver fatto ma la giustizia non si mosse. Ti consiglio di guardare quel film perché con il caso del MDF,per me,si sta riproponendo la stessa cosa.
RispondiEliminaAvete l’abilità di far passare una qualsiasi opinione (legittima) di un qualsiasi ricercatore per verità assoluta, oltretutto infarcendola di inesattezze e mezze verità. E poi, a quali processi avrebbe mai partecipato Cochi? Ma per favore, vi bevete qualsiasi cosa…..
EliminaMa per piacere!Gia' quando sento tal dei tali, e oramai sono a decine di questi scrittori che ne inventano di tutti i colori pur di guadagnare qualche picciolo.Diffido sempre. Non c'e' bisogno di grande intuito e intelligenza per capire che il mostro e' sempre stata una sola persona, riguardo al mostro che dietro pagamento consegna pezzi di carne c'e' solo che da schiattarsi dalle risate, con tutto il rispetto per le povere vittime!
RispondiEliminaUn assassino imprendibile solo perche' a quei tempi non esistevano cellulari ne telecamere ne dna ,nessuna copertura da parte di chichessia ,poi per quale motivo si continua a collegare l'omicidio del 68 coi successivi.. la pistola?? chi ha ucciso nel 68 motivo corna ha gettato via l'arma che sicuramente un addetto alle ricerche o qualcun altro ha trovato per puro caso ,portata a casa ben custodita . Il vero mostro inizia a colpire nel 1974
RispondiEliminaSalve e di nuovo tanti complimenti per il blog. Ritengo importante fare due precisazioni imprtanti: Carlo Tommasi fu sospettato ed arrestato prima di Spalletti e non dopo. Su di lui, invece, sarebbe imprtante sapere perché Rotella, in un passaggio della sentenza del 24.2.1989, consideri la sua reticenza, costatagli un sospetto di falsa testimonianza dal quale verrà proscilto solo nel 1982, un elemento che acuí i sospetti su Spalletti. Invece, sulla tesi filastoniana del documento esibito ad un agente, va detto che essa viene smentita dal verbale del 10.6.1981, poiché in essa troviamo un passaggio in cui si dice che i documenti gli sono stati trovati indosso. Quindi è evidente sul cruscotto ci sono stati messi dai lrimi agenti accorsi in loco.
RispondiEliminaUn saluto ed ancora complimenti
Ciao Simon, molte grazie per i complimenti, per il commento e per le due segnalazioni.
EliminaE’ risaputo che il Tommasi finí nel mirino degli inquirenti prima dello Spalletti, se io ho invertito la sequenza è stato solo - mea culpa - per esigenze narrative (mi serviva il gancio per parlare dell’articolo de La Città). Comunque hai fatto bene a segnalarlo, ho provveduto a ristabilire la corretta sequenza temporale.
Molto interessante il riferimento al verbale del 10 giugno 1981, che sono andato a rileggere e non lascia spazio a dubbi. Ho provveduto ad aggiungere una piccola nota nelllo scritto.
Ancora grazie e a presto.
LS
Figurati caro, grazie a te per essere sempre un riferimento importante nelle mie ricerche e la possibilità che esse possano contribuire ad un dibattito sano che migliori anche il tuo splendido lavoro può essere solamente fonte di immensa gioa per me.
RispondiEliminaUn saluto caloroso
Non capite la differenza tra quello che scrivo io e voi,voi scrivete e elencate tutte le indagini e tutti i procedimenti giudiziari e i vari assassini innocenti entrati nelle indagini ma tutto questo non ha portato alla cattura del vero mostro e allora? spalletti mele mucciarini vinci dove' sto mostro ???
RispondiEliminaPrendiamo per buono che Spalletti non abbia visto nulla, perché quell'atteggiamento così misterioso che gli è costato 4 mesi di carcere con il sospetto addirittura di essere il MdF o un complice? Una persona che ha sentito al bar la notizia lo direbbe tranquillamente, non mentirebbe ad esempio di averlo letto dai giornali e ogni giorno in carcere urlerebber la sua innocenza. Perché mentire? Perché chiudersi nel mutismo più duro? Io credo, ma è una teoria, che probabilmente abbia visto ma non riconosciuto il killer (era buio), che abbia mentito e taciuto perché se avesse detto "ho visto la scena ma non ho visto il killer" avrebbe messo in pericolo se stesso e la famiglia. È ipotizzabile che abbia parlato con la moglie dopo pranzo, quando i corpi erano già stati trovati e la notizia era di dominio pubblico. Inoltre credeva che la moglie non sapesse della sua attività notturna. Comunque vada ha pagato un prezzo altissimo, 4 mesi di carcere e ogni volta che c'era un delitto arrivavano a casa i Carabinieri.
RispondiEliminaBuongiorno, un solo appunto. Quando si scrive che i bossoli erano 5 perchè una delle due pistole era automatica è una inesattezza. Un'arma automatica indica che il suo funzionamento è automatico cioè il ciclo di fuoco si esaurisce solamente all'esaurimento del caricatore. Quello che si intendeva, credo, è che si utilizzasse un REVOLVER che, appunto, non rilascia i bossoli dopo la sparo.
RispondiEliminaCiao e grazie per il commento e per la precisazione.
EliminaHo provveduto a correggere il refuso.
Grazie ancora.
LS
Certo che fare affidamento per un duplice omicidio su una vecchia pistola con relativo vecchio munizionamento ,ma' non so ,troppo rischioso per l'assassino, munizioni vecchie e quel tipo di pistola beretta serie 70 ,inceppamento quasi certo.
RispondiEliminaQualcosa non mi convince sull'arma usata ,forse non e' la sola che si porta appresso ,una 22 a tamburo 6 colpi che non rilascia bossoli sul terreno ,ci hanno lavorato i piu' esperti ma anche i piu' esperti possono venire tratti in inganno da striature e percussioni artefatte .
RispondiEliminaMa tommasi lo hanno risarcito? spalletti calamandrei li hanno risarciti? qua' sono almeno un centinaio di innocenti a cui hanno rovinato l'esistenza !! un po di galera anche a chi ha messo dentro innocenti gli farebbe starebbe benissimo.
RispondiEliminaPuo' anche darsi che lo Spalletti possa avere dato delle informazioni al/ai MdF su come raggiungere il luogo dove le coppia si appartava. Cio' npon significa che lo Spalletti conosceva il/i MdF: puo' averlo/i incontrati occasionalmente e magari dietro compenso dato indicazioni su come raggiungere la zona. magari lo Spalletti non si aspettava neanche che il/i MdF arrivasse/ro a commettere un duplice omicidio. Il giorno dopo saputo al bar o per strada di quanto era successo, sarebbe stato preso dal rimorso per aver volontariamente o involontariamente aiutato i/i MdF. Il suo silenzio e i 4 mesi di galera potrebbero essere stati per lui un modo per autopunirsi o espiare la sua colpa: se avesse collaborato e risultato estraneo ai fatti sarebbe stato liberato, e quindi nessuna autopunizone morale. Ma alla fine decise di non parlare proprio per far cadere intenzionalmente i sospetti su di lui e autopunirsi con 4 mesi di carcere.
RispondiEliminaHo letto tantissimi articoli, documenti, libri e ho visto anche tanti filmati/video su questa tristissima storia ma rimango sempre del parere che è Spalletti che può fare luce sulla vicenda. Chi ha visto quella notte? Era uno solo o più persone? Solo Spalletti può dare una svolta definitiva a questo "incubo". A volte avrei voglia di andarlo a cercare per farlo parlare....
RispondiEliminaE uno come spalletti vede e rimane la' a godersi lo spettacolo senza scappare?? poi il giorno dopo o subito si mette a raccontare particolari inediti? spalletti non ha visto un cavolo ha solo tirato a indovinare.
EliminaMa ancora con sto spalletti? spalletti non c'entra niente di niente ha tirato a indovinare
RispondiEliminaMai detto che Spalletti abbia avuto a che fare con il "MDF". Quello che voglio ribadire è che se lo Spalletti dicesse esattamente, per filo e per segno, cosa vide quella notte si avrebbe a disposizione una testimonianza fondamentale per "capire" questa terribile storia. Cmq credo che molti non vogliono arrivare a scoprire la verità una volta per tutte perchè fa comodo lucrare con libri e film sul MDF. Spalletti è ancora vivo e probabilmente solo lui può dare un concreto aiuto a risolvere questa lunga e orribile vicenda.
RispondiEliminaSpalletti non sa niente di niente ,il vero unico serial killerr al 100 x 10000000 e' morto e in putrefazione da almeno quasi 40 anni ossia subito dopo l'ultimo duplice omicidio,quindi di cosa dovrebbe aver paura spalletti?? logica seguite la logica non le fantasie dei vari scrittori ,
RispondiEliminaE' molto difficile seguire la logica in una storia come questa che è piena zeppa di incongruenze, testimonianze strane se non fasulle, indagini con errori voluti e non voluti, depistaggi, morti collaterali a iosa, e via dicendo.
RispondiEliminaSe permetti, io resto convinto che l'unico testimone, tuttora vivente, che ha visto in azione, per sua sfortuna, il cosiddetto MdF, potrebbe dare un contributo molto importante.
Però se ne facciamo una questione di "logica" .....
Nel dipinto "La primavera" di Sandro Botticelli ci sono Clori, Flora, Venere, le Tre Grazie e Mercurio, cioè sei femmine ed un maschio. Sette duplici omicidi: sei donne ed un uomo.
Pertanto i due sfortunati giovani tedeschi sono stati uccisi non per errore ma volutamente!
E il duplice omicidio del 1968? Motivi passionali.
Niente a che vedere con i sette duplici omicidi del MdF.
e di cosa dovrebbe aver paura l'unico testimone vivente? l'unico mai preso e ne minimamente entrato nelle indagini il cosiddetto mostro di firenze sara' morto almeno diciamo 38 anni fa ossia subito o quasi dopo l'omicidio agli scopeti ma altrimenti quando mai si sarebbe fermato.
EliminaOmicidio del 68 non ha niente a che fare col futuro assassino che inizia a colpire nel 1974 , ma quel omicidio del 68 lo ha sicuramente sconvolto per qualche motivo il vero e d unico serial k. ha avuto a che fare sicuramente con quell'omicidio del 68 o addetto alla ricerca dell'arma o come guardone o ha indagato su quel caso ,trova la pistola per puro caso, la conserva la cura la custodisce e lubrifica , nel 74 qualcosa di inspiegabile lo porta ad uccidere con quella stessa arma , quasi nella stessa modalita' del 68.
RispondiEliminaÈ molto probabile che non avesse visto nulla ma che fosse stato in zona dopo l'omicidio senza però andare in quella piazzola. Non è da escludere anche che qualcuno si fosse vendicato della sua attività di guardone dicendo di aver visto la sua auto in via dell'Arrigo. Il resto l'ha fatto da solo perché non voleva che si sapesse che fosse un guardone. Raccontando bugie ha convinto gli inquirenti che fosse un testimone reticente e nei mesi successivi addirittura che fosse il killer. Si è trincerato nel mutismo più totale perché non solo si è accorto di essersi messo nei guai da solo ma che aveva messo a repentaglio la sicurezza della moglie e dei figli. Scarcerato fu oggetto di perquisizioni ad ogni delitto del mostro e fu definitivamente prosciolto solo dalla sentenza Rotella del 13/12/1989. Non parlò più perché è plausibile che avesse paura che il mostro ed eventuali complici lo cercassero e comunque ha avuto già la sua dose di guai.
RispondiEliminaIl contadino ha sentito l autoradio e non ha sentito gli spari?
RispondiEliminaio ai tempi ero una bambina, ma la vicenda del mostro mi ricordo che la seguivo con attenzione, forse perché era diventata una ossessione per tutta la provincia di Firenze. Detto questo, mi ricordo che quando Spalletti era in carcere, i giornali scrissero che a casa Spalletti era arrivata una telefonata anonima dove rassicuravano la moglie sul fatto che Enzo sarebbe uscito presto di prigione. Io mi sono fatta l'idea che a telefonare sia stato proprio il mostro che, sentendosi in colpa per l'ingiusta detenzione di Spalletti, abbia poi ucciso ad ottobre per poterlo scagionare.
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