Con quale inchiesta abbia avuto inizio la cosiddetta pista esoterica è oggi argomento forse poco conosciuto e scarsamente dibattuto, su cui una coltre di silezio è scesa con il trascorrere del tempo. Questo sia per volontà di tutti gli attori coinvolti (indaganti e indagati), sia per la scarsa attrattiva che la vicenda è solita suscitare da un certo momento in poi, quando cioè finisce per sfociare nei soliti cliché dei servizi deviati e dei poteri occulti.
Di questa storia ne hanno parlato sommariamente sia Mario Spezi nel suo libro "Dolci colline di sangue", sia Nino Filastò in "Storia delle merende infami".
In tempi più recenti l'argomento è stato trattato a fondo dall'ottimo Antonio Segnini nel suo blog "Quattro cose sul mostro" e in maniera un po' meno approfondita ma egualmente efficace dal solito Flanz Vinci sul sito "Insufficienza di prove".
Qui proviamo a fornire un veloce resoconto, cercando di seguire un non semplice ordine cronologico.
Per iniziare, dobbiamo tornare indietro agli anni dei delitti del Mostro, quando vicino Mercatale esisteva una villa adibita a casa di riposo per anziani benestanti. In questa villa aveva soggiornato anche il padre del Sostituto Procuratore fiorentino Francesco Fleury, uno dei titolari sull'inchiesta del Mostro. Il che potrebbe non significare nulla, ma potrebbe anche indurci a pensare che negli ambienti della magistratura fiorentina si fosse molto lontani dall'avere qualsivoglia sospetto sui proprietari della struttura.
In questa villa aveva anche lavorato per qualche giorno Pietro Pacciani come giardiniere. Ma da questa attività era stato ben presto allontanato perché - pare - avesse avuto atteggiamenti poco riguardosi nei confronti della moglie del proprietario.
Successivamente, nel 1992, la struttura aveva cambiato nome ed era stata trasformata in un hotel-ristorante di lusso piuttosto rinomato in zona.
Circa tre anni dopo, attorno alla metà degli anni '90, alle porte della villa si presentó la signora Gabriella Pasquali Carlizzi, giornalista e scrittrice, nonché figura controversa e sicuramente molto discussa nel panorama investigativo italiano.
Soffermiamoci un attimo su questo enigmatico personaggio: qualche anno prima la Carlizzi aveva fondato il periodico "L'altra Repubblica", dalle cui pagine presentava le sue inchieste sui principali casi di cronaca nera in Italia, quasi sempre dicendosi portatrice di clamorose verità, per lo più riguardanti l'ingerenza dei servizi segreti o di frange deviate della massoneria. Via via, nel corso degli anni, la Carlizzi si era infatti detta in possesso di clamorose verità sui delitti di via Poma e dell'Olgiata, sulla morte dell'attore Walter Chiari, sulla Banda della Magliana, sul caso Moro, sul rapimento di Emanuela Orlandi, sull'omicidio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e sulle stragi mafiose di Capaci e di via D'Amelio, ricavandone svariate querele per calunnia e in alcuni casi qualche condanna.
A onor del vero, va detto che discordanti sono le opinioni sull'operato della giornalista. Chi la ritiene senza ombra di dubbio una millantatrice e complottista dalla spiccata fantasia, chi ne riconosce meriti e in parte virtù. Riportiamo, ad esempio, quanto scritto dal ricercatore Enrico Manieri nel suo blog "Il Mostro di Firenze" nell'agosto del 2010, in occasione della prematura scomparsa della giornalista: "Le Sue ipotesi di lavoro furono da alcuni condivise, da molti osteggiate, ma certamente ebbero il merito indiscusso di tenere viva l'attenzione dei media e di indicare elementi spesso inediti, destinati poi ad aprire nuovi filoni e spunti di indagine."
Ma torniamo al 1995. In quel periodo la Carlizzi stava indagando sul celebre scrittore Alberto Bevilacqua, che lei sospettava essere l'autore dei delitti del Mostro di Firenze, (si veda il capitolo Mostrologia minore). Durante le sue indagini aveva scoperto che il Bevilacqua aveva frequentato saltuariamente la villa di cui sopra e che ivi, verso la metà degli anni '80, aveva lavorato Pacciani, ora fresco di condanna in primo grado per quattordici omicidi attribuiti al Mostro.
La giornalista decise dunque di recarsi personalmente presso l'hotel-ristorante per svolgere alcune indagini, ma da lì venne subito e senza troppi complimenti allontanata dai proprietari (di cui si omettono nome e generalità).
La Carlizzi presentó quindi un esposto alle forze dell'ordine ma tutto sembró chiudersi senza ulteriori conseguenze.
Il materiale abbandonato inquietò fortemente i suddetti proprietari che intesero sporgere denuncia, non solo per il mancato pagamento ma anche perché giudicarono tale roba di spiccato interesse per le indagini che stavano prendendo piede sul caso del Mostro di Firenze.
Il 14 maggio 1997, sei giorni prima dell'inizio del Processo ai CdM, i proprietari della villa si presentarono dunque alla porta dell'ufficio del dottor Michele Giuttari per sporgere denuncia. Giuttari era colui che aveva preso in mano le indagini sul Mostro e che, anche sulla base delle ben note dichiarazioni della Ghiribelli (vedasi capitolo Alfa, Gamma e Delta), era palesemente orientato verso delitti commessi da una pluralità di persone dalla probabile matrice esoterica.
Fra maggio e giugno di quel 1997, Giuttari fece sequestrare dai suoi agenti il materiale appartenuto al pittore. Furono rinvenuti un revolver calibro 38 e svariati coltelli, parecchie riviste pornografiche, un blocco Skizzen Brunen simile a quello sequestrato al Pacciani, ritratti di donne torturate e private del seno sinistro o del pube e più in generale quadri e disegni raffiguranti scene di violenza e depravazione, presuntivamente riconducibili alle scene rinvenute in occasione dei delitti del Mostro.
Furono in seguito repertati una pagina del quotidiano "La Nazione" del 26 marzo 1996 custodita in una copertina di plastica e riportante notizie sugli omicidi del Mostro e sui compagni di merende, più altri oggetti giudicati molto significativi e riconducibili all'esercizio di pratiche di magia nera.
Giuttari scoprì che il pittore era proprietario di un terreno e di una malmessa casa colonica sull'Appenino emiliano. La costruzione venne perquisita e messa sotto sequestro. All'interno, sulle pareti, vi erano murales raffiguranti animali e donne con gli organi genitali messi in evidenza, i cui temi ricordavano i noti disegni del Pacciani.
Vennero rintracciati e interrogati alcuni amici di zona dell'artista, i quali diedero una versione differente dei fatti relativi alla fuga dalla villa di Mercatale. Costoro riferirono che Jean Claude aveva dovuto lasciare frettolosamente la villa perché era stato vittima delle angherie delle proprietarie (madre e figlia), che da loro era stato rinchiuso, drogato e sequestrato più volte nelle stanze della villa, infine che lo stesso pittore era stato in passato legato da una relazione sentimentale con la predetta figlia.
Si riscontra, dunque, un primo tentativo di rovesciare le colpe, tentativo che tempo dopo verrà accolto favorevolmente da Giuttari. Per il momento, tuttavia, il pittore rimaneva la figura centrale della neonata indagine in cui, per la prima volta, sembrava prendere rudimentalmente forma la pista esoterica presuntamente riconducibile ai delitti del Mostro, cui la villa di San Casciano faceva da sfondo.
Sarà lo stesso Giuttari a raccontare alcuni particolari di questa indagine nel libro "Compagni di sangue", scritto con il noto conduttore e giallista Carlo Lucarelli e pubblicato nel dicembre 1998. A proposito del pittore racconterà: "...Chi è, veramente, il pittore? Un ispiratore? Un ideologo di quelle torture sessuali, che rappresentava nei suoi quadri ma che venivano realizzate da altri? O semplicemente un ammiratore affascinato di quei delitti e di quei luoghi? Fa parte di quel secondo livello, appena sfiorato dall'inchiesta bis? La villa, che lo ha ospitato, è stata luogo di riunioni particolari tra le persone interessate a quegli omicidi, una specie di club riservatissimo composto da pervertiti con tendenze sadiche, dediti a riti satanici?..."
A proposito della famiglia, scriverà: "...e proprio successivi accertamenti sui proprietari della villa consentono di appurare che si tratta di persone dedite ai riti di magia nera."
Del pittore si erano frattanto perse completamente le tracce, nonostante i ripetuti tentativi di rintracciarlo che avevano coinvolto il consolato svizzero, l'interpol, la polizia francese e i conoscenti emiliani. Erano però anche cominciate le beghe burocratiche e legali dello stesso Giuttari che lo avrebbero tenuto lontano dalle indagini per un paio di anni. Tutto aveva avuto inizio nell'agosto del 1998, quando il poliziotto aveva ricevuto la promozione a vicequestore vicario con annesso cambio di sede.
Giuttari giudicò questa promozione un tentativo di allontanarlo dalle indagini sul Mostro che - a suo dire - si stavano avvicinando a una verità scomoda, e si oppose al trasferimento. Ne nacque una querelle legale con i più alti organi della polizia di stato e con il Ministero degli Interni. A questa si aggiunse una feroce polemica a distanza con i poliziotti della vecchia SAM, rei a dire del Giuttari di aver trascurato importanti prove che attestavano la presenza di più persone sui luoghi dei delitti.
Dopo due anni di dispute, minacce, denunce, ricorsi e controricorsi, Giuttari tornò a capo delle indagini sul Mostro nel 2001, ma le polemiche non si erano affatto spente, come vedremo.
Frattanto, il pittore era stato rintracciato a Montelieu sulla Costa Azzurra e aveva rilasciato una lunga intervista a un giornalista svizzero, tale Paolo Mariani. Nell'intervista il Falbriand si disse perseguitato per il suo gusto per l'erotismo, talvolta violento; affermò di essere completamente estraneo alla vicenda del mostro, paventando un complotto ai suoi danni, dichiarò di non aver mai conosciuto Pacciani e di aver soggiornato per un breve periodo in una villa a San Casciano gestita - testuali parole - "da una famiglia di truffatori" da cui era fuggito appena aveva potuto. A proposito di costoro aggiunse: "mi hanno rubato tutto: i miei effetti personali, i miei mobili, le mie carte, le mie opere, persino i miei ricordi.".
Giuttari volò in Francia e interrogò personalmente il pittore il 9 aprile 2001. Si ritrovò davanti un sessanticinquenne claudicante, ben deciso a rispedire al mittente tutte le accuse a suo carico e a collaborare con le forze di polizia. L'uomo dichiarò di esser giunto in Toscana solamente nel 1997 (dodici anni dopo l'ultimo delitto del mostro), ribadì di essere stato soggiogato, drogato e tenuto sotto sequestro per lungo tempo dai proprietari della struttura presso cui aveva preso alloggio. In quello e negli interrogatori successivi cominciò anche a parlare delle pratiche di magia nera cui gli stessi proprietari erano dediti, trasformandoli, in breve tempo, da sgradevoli truffatori a pericolosi satanisti.
Evidentemente il pittore venne ritenuto credibile perché passò nel giro di poche settimane da principale sospettato dell'inchiesta a testimone chiave contro i proprietari della villa. Lo stesso Procuratore Capo di Firenze, il dottor Antonino Guttadauro, confermò ufficialmente in conferenza stampa che il pittore non era un sospettato ma una persona informata dei fatti.
Vennero a quel punto ascoltati da Giuttari tutti coloro che nel corso del tempo avevano avuto a che fare con la villa. Fra le altre, furono raccolte le gravi testimonianze di due ex dipendenti.
La prima: "In quella casa succedeva di tutto. Nelle stanze c'erano soltanto due reti dove i vecchietti venivano tenuti tra feci e urine. Nessuno se ne curava. Un giorno uno di loro morì. Lo chiusero in una stanza e ci ordinarono di non parlarne con nessuno. I familiari dovevano ancora pagare la retta mensile e quindi non dovevano sapere che era morto. Lo tennero così per giorni. Gli anziani erano praticamente abbandonati a sé stessi."
La seconda testimonianza: "Dopo le dieci in quella villa nessuno poteva più mettere piede. Arrivavano diverse persone e si compivano riti magici e satanici. Si celebravano messe nere, cose strane, stranissime. Erano tutti strani. Ricordo la figlia della proprietaria: aveva appena sette anni, ma era una bambina che dava l'angoscia, metteva paura. Aveva sempre uno sguardo allucinato e quando usciva in giardino scavava delle buche. Diceva che costruiva le tombe. Tutti erano strani, anche quelli che venivano nella villa, ma a noi dipendenti non era permesso entrare quando scendeva la sera e venivano chiusi i cancelli."
Accuse gravi e circostanziate che avrebbero dovuto portare a conseguenze clamorose. In realtà vedremo come non avrebbero condotto a nulla se non a un enorme trambusto mediatico. Della vicenda, infatti, si sarebbero presto interessate le principali trasmissioni delle più importanti reti televisive, come "Porta a porta", in cui il presentatore Bruno Vespa, nella puntata del 26 settembre 2001, poté godere di un parterre d'eccezione fra cui spiaccavano lo stesso Giuttari, la Carlizzi (colei che per certi versi aveva aperto la strada per le indagini su quella che era stata ormai ribattezzata la "villa degli orrori") e il criminologo Francesco Bruno, che - come vedremo - avrebbe avuto, forse suo malgrado, un ruolo nella vicenda.
Tutto aveva avuto verosimilmente inizio con la lettura da parte della già citata Gabriella Pasquali Carlizzi del libro "Coniglio il martedì" (edito da Sperling e Kupfer nel 1993), il cui autore era tale Aurelio Mattei, psicologo e criminologo consulente del S.I.S.D.E. (Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica), i cosiddetti "servizi segreti civili".
Il libro ricostruiva in maniera romanzata i delitti del Mostro di Firenze e offriva una nuova prospettiva agli omicidi, anticipando sia la teoria dei molteplici autori (i compagni di merende sarebbero arrivati soltanto 4 anni dopo), sia la matrice esoterica degli stessi omicidi.
La Carlizzi ne era rimasta evidentemente colpita o quantomeno aveva creduto di poter individuare fra le pagine del romanzo una interessante pista da seguire e si era convinta che l'autore fosse a conoscenza di inconfessabili verità sui delitti che per ovvie ragioni non poteva divulgare pubblicamente. Dimostrando ottimo spirito investigativo e notevole tenacia, la donna era riuscita a contattate il Mattei e a ottenere un colloquio. L'incontro aveva acuito nella giornalista la sensazione che nella vicenda del mostro vi fosse stata l'ingerenza da parte di poteri occulti e deviati al fine di ostacolare la ricerca della verità.
Correva l'anno 1998 e la giornalista aveva inteso informare Giuttari di ciò che aveva scoperto, senza però ottenere grande riscontro dallo stesso, forse anche perché nello stesso periodo erano arrivate le già accennate grane legali e burocratiche che avevano tenuto il poliziotto lontano dalle indagini fino al 2001.
Come ipotizzia il blogger e ricercatore Antonio Segnini, in realtà tali grane ben si conciliavano con le idee della Carlizzi, visto che il S.I.S.D.E. era uno strumento del Ministero degli Interni e proprio da tale ministero erano partiti quelli che Giuttari considerava tentativi di fermare le sue indagini. Questo probabilmente rafforzò nel poliziotto la convinzione di essere sulla pista giusta e che appunto "i servizi" si fossero messi in moto per proteggere qualche personaggio intoccabile coinvolto nella setta che aveva come punto di ritrovo la villa di Mercatale e che commissionava i delitti del Mostro.
Per far luce sulla vicenda, nel settembre 2001, gli uomini di Giuttari si presentarono nell'abitazione romana e negli uffici di Aurelio Mattei per una perquisizione. Interrogato, lo psicologo confermò di aver collaborato con il S.I.S.D.E. e ivi di aver ricevuto dal rinomato professor Francesco Bruno la copia di un dossier riservato sui delitti del Mostro che era stato commissionato nel 1984 al celebre psichiatra dal dottor Vincenzo Parisi, all'epoca a capo del "servizio" stesso. Da tale documento il Mattei aveva preso alcuni spunti per il proprio romanzo.
Scattò dunque la perquisizione nella casa e nei due uffici del professor Bruno, autore del dossier e volto noto al grande pubblico per la frequente partecipazione a programmi televisivi cosiddetti generalisti.
Giuttari torchiò lo psichiatra in un interrogatorio durato ben 9 ore, al termine del quale, volente o nolente, Bruno offrì la propria collaborazione alle nuove indagini, mettendo a disposizione i dossier che aveva redatto (un primo del 1984, un secondo che era il completamento del precedente, redatto nel biennio 1985-1986 dopo il delitto degli Scopeti e un terzo e definitivo del 1994).
Soffermiamoci un attimo su questi dossier, precisando che l'argomento sarà trattato più approfonditamente nel capitolo denominato Mostrologia minore - La teoria del professor Bruno e che qui ci limitiamo alla brevissima disamina dei due aspetti che maggiormente interessano questo capitolo.
Fondamentalmente lo psichiatra ipotizzava che i delitti commessi dal Mostro fossero "...rituali compiuti in omaggio a un qualche rito satanico di cui l'assassino è un seguace o a qualche pratica di stregoneria o magia nera" e che l'assassino avesse come propria base una clinica o una casa di cura e di riposo per anziani non autosufficienti sita a Bagno a Ripoli o a Pontassieve.
Il riferimento a delitti satanici e alla casa di cura per anziani ben si conciliava con la pista che stava seguendo Giuttari. Si rafforzò nel poliziotto la convinzione che i servizi segreti sapessero la verità sugli omicidi almeno sin dal 1984 e che lui ancora una volta fosse sulla strada giusta. Di qui le plurime dichiarazioni vittoriose rilasciate alla stampa dallo stesso Giuttari:
"Abbiamo fatto un bel passo avanti, il cerchio si stringe" (Repubblica, 7 settembre 2001) o ancora "...(vi è) la certezza che dietro i duplici delitti del mostro di Firenze c'era un movente esoterico. Ora non si tratta più di indizi, abbiamo le prove documentali..." (Repubblica, 6 ottobre 2001).
Nota a margine, l'ipotetica clinica o casa di cura per anziani cui aveva fatto riferimento il professor Bruno non c'entrava geograficamente nulla con la villa di Mercatale su cui aveva puntato Giuttari.
A ogni modo, l'ennesima presunta ingerenza dei Servizi Segreti in una storia di cronaca nera non fu accolta di buon occhio da tutti. Diversi furono gli articoli che cominciarono a ironizzare sulla piega che stavano prendendo le indagini. La sensazione era che in Italia quando una qualsiasi vicenda cronachistica non trovava soluzione, venissero tirati in ballo i cosiddetti poteri forti, quasi a giustificare la difficoltà delle indagini e ad acquietare le coscienze di quanti erano allla ricerca di una verità.
Degno di nota un articolo apparso su "L'Unità" quello stesso 7 settembre 2001, a firma del filosofo e scrittore Sergio Givone, dal titolo "Il mostro di Firenze tra sette e 007". Ne riportiamo uno stralcio tratto dal blog "Quattro cose sul mostro":
"E così, dopo la coda del diavolo, spunta anche quella perfin più diavolesca dei servizi segreti. Non era bastato ipotizzare che dietro il mostro di Firenze ci fossero personaggi arcimostruosi: ricchi professionisti, imprenditori, docenti universitari che abbisognando di organi sessuali di giovani donne per certi riti satanici non trovarono di meglio che commissionarli a Pacciani e ai suoi compagni di merenda. Adesso, a distanza di poche settimane da quelle sensazionali rivelazioni, vengono tirati in ballo i servizi segreti; che, abituati come sono a coprire e a depistare, farebbero lo stesso anche con le indagini sul mostro..."
Come abbiamo visto nel capitolo dedicato al delitto degli Scopeti, esisteva la testimonianza di un guardacaccia volontario, tale Giovanni Zoppi, che affermava di aver visto le due future vittime del Mostro, Nadine e Jean-Michel, campeggiare in uno spiazzo piuttosto isolato sul costone del Monte Morello in data 4 settembre 1985. Lo spiazzo si trovava vicino all'allora villa Marini ed era zona notoriamente frequentata da coppie e guardoni.
Il suddetto Zoppi, nell'occasione accompagnato dal collega Francesco Cellai, aveva provveduto ad allontanare i due turisti francesi, in quanto nella zona vigeva il divieto di campeggio. Il giorno dopo la scoperta del delitto degli Scopeti, dunque il 10 settembre, Zoppi aveva visto le foto dei due ragazzi uccisi dal Mostro sul quotidiano "La Nazione", vi aveva riconosciuto la coppia da lui allontanata da Monte Morello ed era immediatamente andato al commissariato di Sesto Fiorentino per rendere la propria testimonianza. Abbiamo anche visto come, sebbene questa testimonianza presentasse spunti interessanti (lo Zoppi, ad esempio, sosteneva di aver visto la Golf bianca dei ragazzi francesi e la tenda di tipo canadese), non venne tenuta in debita considerazione dagli inquirenti in quanto gli scontrini rinvenuti fra gli effetti personali delle due povere vittime (caselli autostradali, rifornimenti di benzina, acquisti effettuati, soste ai ristoranti) attestavano il loro ingresso in Italia il 4 settembre e l'arrivo nella zona di Firenze il venerdì 6 settembre, dunque due giorni dopo l'avvistamento dello Zoppi. Inoltre, i particolari relativi alla Golf bianca e alla tenda canadese, Zoppi li aveva sicuramente letti quello stesso giorno sul giornale in cui - per sua stessa ammissione - aveva visto le foto di Nadine e Jean-Michel e, pur volendolo considerare in perfetta buona sede, questo potrebbe aver condizionato la sua testimonianza.
Circa tre settimane dopo, il 1 ottobre 1985, si presentò presso lo stesso commissariato di polizia di Sesto Fiorentino, alla presenza dell'ispettore Carmine Picarella, lo stesso che aveva raccolto la precedente testimonianza, un secondo guardiacaccia, tale Andrea Ceri, amico e collega dello Zoppi.
Il Ceri consegnò all'ispettore un proiettile calibro 22 Long Rifle di marca Winchester recante impressa sul fondello la lettera "H". Tale proiettile, a suo dire, era stato da lui rinvenuto verso le ore 15.00 di quello stesso giorno nello slargo sul costone del Monte Morello da cui erano stati allontanati i due turisti francesi, ed era vicino a un mucchio di sassi su cui era stata fissata una croce fatta con due ramoscelli. Il suddetto mucchio di sassi era stato già notato nei giorni precedenti dal Ceri e, secondo la sua convinzione, avrebbe potuto avere un qualche riferimento religioso.
Anche questa testimonianza sul momento non ebbe particolari conseguenze sul piano indagatorio, ancora una volta perché le prove documentali sembravano attestare senza smentita che la coppia allontanata dallo Zoppi non fosse quella uccisa dal Mostro e dunque tutti le ipotesi e i ritrovamenti successivi non avevano nulla a che fare con la vicenda del Mostro.
Esattamente sedici anni dopo le cose, però, cambiarono. Come abbiamo visto, nell'autunno del 2001, il dottor Giuttari era alla spasmodica ricerca di prove che attestassero la matrice esoterica dei delitti del Mostro e una testimonianza come quella del Ceri non poteva essere trascurata.
Giovanni Zoppi era frattanto deceduto, così il 1 ottobre 2001, vennero convocati negli uffici della Squadra Mobile i predetti Francesco Cellai e Andrea Ceri.
Il Cellai confermava il racconto reso sedici anni prima da Zoppi. Il Ceri, dal canto suo, rilasciava una testimonianza ben più corposa che qui intendiamo riassumere.
Riferiva di aver saputo, a suo tempo, dal collega Zoppi dell'allontanamento dei due campeggiatori abusivi, poi riconosciuti come i giovani francesi uccisi agli Scopeti. Di aver saputo che lo Zoppi si era recato con alcuni operatori di polizia nella piazzola in questione, ove erano state rinvenute tracce dei due francesi, nello specifico lattine di birra francese e pacchetti vuoti di sigarette di marca francese. Per la cronaca, né lattine di birre, né sigarette sarebbero, invece, state rinvenute nella piazzola degli Scopeti, dove documentatamente Nadine e Jean-Michel avevano sostato prima di essere uccisi.
Il Ceri parlava, quindi, di quegli strani componimenti sul terreno, fatti con sassi e pietre, all'interno dei quali erano posizionati bacche e ramoscelli, da lui notati nello spiazzo di Monte Morello ancor prima che i francesi venissero uccisi e di cui aveva già parlato sedici anni prima. A suo dire si trattava di un vero e proprio mosaico, costruito accuratamente con piccole pietre incastrate tra di loro, di forma circolare. La zona in questione era da lui conosciuta come "sacra", in quanto utilizzata dagli Etruschi come luogo mortuario.
Incuriosito da tale rinvenimento, sempre in quella tarda estate del 1985 si era rivolto ad una signora di Sesto Fiorentino, ben nota per le sue conoscenze esoteriche, tale Rosetta Gasperini, per capire cosa rappresentassero quei cerchi. La donna gli aveva prestato un libro del '700, scritto - testuali parole - "in francese o latino", affinché lui stesso trovasse una risposta. All'interno di quel libro, il Ceri riferì di aver trovato l'immagine di una figura umana su cui erano sovrapposti cerchi del tutto simili a quelli da lui rinvenuti. La Gasperini gli aveva confermato che quella figura faceva riferimento a un rito di magia nera.
Successivamente, il Ceri era tornato sul posto con un poliziotto di Sesto Fiorentino, tale Vittorino Lombardi, il quale aveva scavato all'interno di uno dei cerchi, rinvenendo una porzione di pelliccia che, in base alla sua esperienza di cacciatore, poteva attribuirsi a un animale, probabilmente a un gatto. In seguito, era ritornato con Lombardi e con il Picarella, per fotografare i cerchi. Infine, sempre in compagnia dei suddetti poliziotti, si era recato nella piazzola degli Scopeti, per verificare se fossero presenti anche lì cerchi simili a quelli del Monte Morello, ma l'esito era stato negativo.
Il 1 ottobre 1985, Ceri era nuovamente tornato sul costone del Monte Morello e in quell'occasione aveva rinvenuto, all'interno di una macchia di vegetazione che dava proprio sulla piazzola, una specie di postazione per guardoni e poco più in là la predetta cartuccia calibro 22, integra e senza segni di ruggine o usura, tanto che aveva dedotto che si trovasse lì da poco tempo.
Ceri aveva, quindi, portato la cartuccia al Commissariato di Sesto Fiorentino, consegnandola al Picarella, senza che venisse messa a verbale la sua scoperta.
Sette anni dopo, nel 1992, a seguito dell'invito da parte degli organi inquirenti ai cittadini di collaborare con le indagini sui delitti del Mostro, aveva inviato un fax al dottor Ruggero Perugini, all'epoca a capo della SAM. Il Ceri dichiarava che, dopo l'invio del fax, era stato contattato telefonicamente e in modo fugace da qualcuno della questura, ma in seguito non aveva più avuto notizie né contatti.
Sulla base di queste dichiarazioni, Giuttari dispose due sopralluoghi, il primo proprio quello stesso giorno insieme al Ceri; il secondo due giorni dopo, in data 3 ottobre 2001, insieme al Cellai. Veniva, così, localizzata la piazzola in questione.
Sempre il 3 ottobre venne convocata ed interrogata la signora esperta di esoterismo, Rosetta Gasperini, colei che aveva prestato al Ceri il libro del '700.
La Gasperini riferì che, effettivamente, per interpretare le foto e i racconti del Ceri si era avvalsa di quel tale antico libro, che nella sua famiglia si tramandava di generazione in generazione (e di cui da nessuna parte viene riportato titolo o eventuale autore, giusto per pesare l'attendibilità di certe dichiarazioni). Affermò che - a suo parere - il cerchio di pietre chiuso rappresentava l'unione di due persone e cioè la coppia; il cerchio aperto rappresentava l'individuazione della coppia; il cerchio con le bacche e la croce all'interno rappresentava, infine, l'uccisione della stessa coppia. Dichiarò, inoltre, che avrebbe cercato il suddetto libro per consegnarlo all'ufficio di Giuttari.
Nei giorni seguenti furono sentiti il Picarella e il Lombardi, i quali, pur con i ricordi piuttosto sfumati dal tempo trascorso e fatalmente imprecisi, confermarono sommariamente le dichiarazioni del Ceri circa il rinvenimento dei cerchi di pietra, del proiettile e le ripetute visite alla zona. Secondo il Lombardi, comunque, quei presunti componimenti in pietra gli avevano dato l'impressione che fossero avanzi di un bivacco.
Per il resto, è bene precisare che del proiettile, rinvenuto e consegnato dal Ceri, non vi era più traccia, né riscontro. E che il misterioso libro della Gasperini non era mai stato rinvenuto né tanto meno consegnato.
Ma anche a voler credere sia nella buona fede di Zoppi, Ceri e Gasperini, sia che i famosi cerchi avessero un qualche significato esoterico e che nello slargo di Monte Monrello si celebrassero davvero riti religiosi, rimame la certezza documentale che i francesi erano arrivati in zona Firenze due giorni dopo l'avvistamento dello Zoppi, che non risulta fumassero e soprattutto che non avevano mai cosparso la piazzola degli Scopeti, dove sicuramente avevano sostato, di lattine di birra e pacchi di sigarette.
A dispetto di ciò, a dispetto soprattutto delle evidenze documentali che provavano l'impossibilità di Nadine e Jean-Michel di trovarsi sul Monte Morello in data 4 settembre 1985, Giuttari scrisse nella nota informativa sullo stato delle indagini del 3 dicembre 2001: "...recentemente si è proceduto allo sviluppo di alcune acquisizioni, a suo tempo, documentate dal Commissariato di P.S. di Sesto Fiorentino; elementi, questi, che indubbiamente contribuiscono a fornire una lettura ancora più puntuale del significato esoterico. Si fa riferimento, in particolare, all'acquisizione di alcuni riscontri obbiettivi, che confermerebbero, in maniera attendibile, proprio il significato di cui trattasi..." e ancora "...Le suddette evenienze appaiono di estremo interesse, atteso che forniscono precisi elementi fattuali, acquisiti peraltro in epoca non sospetta, di una ritualità esoterica riconducibile a quel particolare tipo di omicidi..."
Ora, è indubbio che si può credere o meno alla matrice esoterica dei delitti, alla setta potente e depistante, a un secondo o terzo livello, ai mandanti gaudenti, ma parlare di "riscontri obbiettivi che confermerebbero in maniera attendibile il significato esoterico dei delitti" o di "precisi elementi fattuali" sulla base delle dichiarazioni dello Zoppi, del Ceri e della Gasperini, lascia quantomeno perplessi.
Per ultimo, è doveroso riportare che in tempi recenti, il pur ottimo sito mostrodifirenze.com, da sempre piuttosto vicino alle teorie giuttariane, pur dicendosi, per ovvie ragioni, estremamente scettico sulla possibilità che i campeggiatori allontanati dallo Zoppi fossero proprio Nadine e Jean-Michel, ha inteso proporre un percorso alternativo compiuto dai due ragazzi francesi, nel caso in cui gli scontrini raccolti nel corso del loro viaggio non fossero mai esistiti o, più in generale, nel remoto caso in cui non fossero - per una qualche ragione - stati indicativi del reale percorso compiuto e dei relativi giorni. In questo virtuale e improbabile (per stessa ammissione del sito) percorso alternativo, Nadine e Jean-Michel si sarebbero trovati fatalmente a essere nella zona di Firenze proprio la mattina del 4 settembre.
Un esercizio mentale, a parere di chi vi scrive, prettamente inutile, ma, al solito, si lascia al lettore qualsiasi considerazione in merito.
Difatti, il 6 e il 10 settembre furono fatte pervenire a Giuttati due lettere anonime scritte a stampatello, presumibilmente dalla medesima mano, recanti il timbro dell'ufficio postale "Firenze CMP" e affrancate come posta prioritaria. Nella prima era riportato il seguente stralcio:
"Perché invece di dare la caccia ai fantasmi, non la dai ai sicuramente delinquenti creatori di prove contro Pacciani? Come Perugini, Vigna, Spinoso? Forse non risolverai il caso Pacciani, ma almeno sarai un po' meno disonesto ed ottuso".
Riportiamo invece integralmente la seconda lettera:
"La tua presunzione, la tua stupidità, la tua cretinite acuta, non temono confronti. Quando questa ennesima bufala, frutto della tua mente ottusa, sa(rà) evidente per tutti, si spera che questa volta ci sia qualcuno che abbia la capacità di farti cambiare mestiere. C'è da vergognarsi di vivere in un paese dove il potere della polizia sia nelle mani di imbecilli come te.
Torna a Montelepre a dare la caccia ai tuoi compari, ladri di galline, che a Firenze quelli come te vengono impiegati in altri lavori!
P.S. Se la fronte spaziosa è sinonimo di intelligenza, nel tuo caso è da consigliarti di non andare per boschi, i cacciatori potrebbero scambiarti per un cinghiale."
Secondo taluni, con il Post Scriptum, l'anonimo autore intendeva richiamare un episodio avvenuto la sera del 15 agosto 2001 in località Cercina di Sesto Fiorentino, ove fu rinvenuto il cadavere di un bracconiere di cinghiali, ucciso con un'arma da fuoco. Quest'ultima parte del messaggio venne dunque interpretata come una chiara minaccia di morte.
Entrambe le lettere, si dice, presentassero analogie con la missiva anonima giunta alla stazione dei Carabinieri di San Casciano Val di Pesa in data 25 maggio 1992, contenente la famosa asta guida-molla (vedasi capitolo Il contadino di Mercatale).
In seguito, ad aprile del 2002 arrivò una terza lettera anonima, molto probabilmente scritta da diverso autore. La busta di tale missiva risultava bruciacchiata da un sigaro o da una sigaretta; il testo era stato scritto usando un normografo e riportava:
"Eccellentissimo dottore,
Le rose stanno sbocciando di nuovo.
I grossi Frati di Montemurlo vendono ancora mantelli usati e portano le loro elemosine dai fondi dei Tintori al banco di Prato.
Rose e Mantelli impazziranno da Figline a S. Felice come da Borgo a Mercatale.
E tu poveruomo sai solo fumare sigari toscani."
Tale missiva venne fatta analizzare da un esperto che ne diede un'interpretazione in chiave esoterica; parlò di riferimenti a una possibile ripresa degli omicidi addebitabili al Mostro di Firenze, a riti propiziatori, messe nere e persino sacrifici umani. Ovviamente, non si hanno notizie di nuovi omicidi del Mostro o di sacrifici umani in quegli anni a Firenze.
Tuttavia, gli espisodi presuntivamente intimidatori a danno di Giuttari non sembrarono finire qui. Oltre un anno dopo, nella notte fra il 12 e il 13 Giugno 2002, alcuni ignoti forarono, probabilmente con un punteruolo, le quattro gomme della sua autovettura, parcheggiata in posto riservato alle forze di polizia. Nell'occasione, le telecamere non furono di alcuna utilità.
Similmente, il 22 Dicembre 2003, mano ignota, di nuovo tramite presumibile utilizzo di un punteruolo, bucò la gomma anteriore destra dell'automobile di Giuttari. Ancora una volta le successive indagini non diedero alcun risultato.
È opportuno, a questo punto, precisare che non vi è alcuna certezza riguardo i succitati episodi intimidatori. Potrebbero avere avuto lo scopo di intimorire il poliziotto nella speranza di allontanarlo dalle indagini sui mandanti dei delitti del Mostro, ma non può essere aprioristicamente escluso che fossero dovuti a situazioni completamente diverse, specie se consideriamo che nel corso della sua lunga e spesso proficua attività lavorativa, un tipo schietto e deciso come il dottor Giuttari potrebbe aver collezionato un buon numero di nemici o di semplici invidiosi osteggiatori.
Quello che, a parere di chi scrive, lascia piuttosto perplessi è il ricorso a lettere anonime o al danneggiamento delle gomme di un'automobile da parte di una potentissima e crudele setta (o comunque di un potentissimo e crudele secondo livello) al fine di intimidire un poliziotto che aveva chiara fama di essere un duro. In altre parole, risulta poco credibile che una setta così potente da bloccare o depistare indagini e far trasferire funzionari, e così crudele da aver commissionato alcuni dei più efferati omicidi mai commessi in Italia, possa aver fatto ricorso a espedienti tipici dei ragazzacci da strada (bucare le gomme di un'auto) al fine di intimorire un poliziotto e allontanarlo dalle indagini sul loro conto.
Al solito, si lascia al lettore qualsiasi considerazione in merito.
Il primo episodio accadde domenica 23 giugno, poco prima delle esequie di un'anziana signora, quando i familiari si accorsero che il volto della defunta era segnato da una profonda ferita e ipotizzarono che la salma potesse essere stata assalita da un animale, un roditore oppure un uccello.
La mattina successiva, lunedì 24 giugno, furono scoperte altre due salme con lesioni sul volto. Venne a quel punto diposta un'ispezione e avvisata la magistratura. Il medico legale, il ben noto agli appassionati della vicenda dottor Giovanni Marello, escluse che potesse trattarsi di morsi di animali, ritenendo i tagli prodotti da una lama affilata. La polizia scientifica trovò a terra, vicino a una delle salme sfregiate, le tracce di un piccolo rogo, con residui di materia organica. Si pensò dunque a un rito: l'esportazione di lembi di pelle dal volto di una salma, mentre sul pavimento bruciava una qualche materia organica. Da qui il passo che portò all'ipotesi di una messa satanica compiuta nelle Cappelle del Commiato e quindi alla presenza di una setta fu breve.
A seguito di questi inquietanti rinvenimenti e di una presunta fuga di notizie che avrebbe portato la stampa a conoscere informazioni riservate sugli episodi, il dottor Giuttari fu coinvolto in una irosa polemica con il nuovo Procuratore capo di Firenze, il dottor Ubaldo Nannucci, che lo estromise dalle indagini sul misterioso caso. Nota a margine, nell'occasione Giuttari risultò essere dalla parte della ragione e il dottor Nannucci fu in seguito costretto a pubbliche scuse.
A ogni modo, il 29 giugno, nonostante il potenziamento dei controlli nelle cappelle mortuarie, il volto di una quarta salma venne misteriosamente sfregiato. Le telecamere non rivelarono niente di sospetto; il custode notturno e la guardia giurata affermarono di non essersi accorti di nulla. Furono a quel punto verificati tutti i possibili accessi alle cappelle e fu rafforzata ulteriormente la vigilanza. Gli uomini a guardia delle cappelle diventarono otto, due guardie giurate, il custode, due vigili urbani e tre uomini della finanza, ma questo non impedì che la notte successiva venisse sfregiata una quinta salma.
Il primo luglio, il quotidiano La Repubblica parlava di una "...lama affilata, forse un bisturi, una mano ignota ha tagliato via un lembo di pelle dal viso, appena sotto un occhio, e un altro pezzetto l'ha tagliato all'altezza della gola...
Fra l'incredulità generale e il mistero che si faceva sempre più fitto, ci fu una sesta salma sfregiata, poi venne deciso di coprire le bare durante la notte con appositi coperchi di plexiglas e le profanazioni improvvisamente cessarono.
A bocce ferme, la verità cominciò a venire a galla. Le prime analisi accertarono che il piccolo rogo rinvenuto ai piedi di una delle salme altri non era che i resti di un sigaro bruciato, la cui cenere era stata lasciata cadere sul pavimento. Si accertò che nessun essere umano avrebbe potuto compiere le ultime profanazioni, considerando l'altissimo livello di vigilanza che era stato predisposto. Inoltre, furono trovati escrementi di topo e trappole per topi in un ripostiglio prossimo alle cappelle del Commiato e per finire fu rinvenuta la carcassa di un ratto in un armadietto metallico all'interno del suddetto rispostiglio. A seguito di questa scoperta, furono analizzati i vestiti delle salme profanate, ove vennero rinvenute microspopiche tracce di peli di topo. E la verità cominciò fatalmente a prendere forma.
Dal quotidiano La Repubblica del 29 agosto 2002:
"Forse era veramente un topo il «maniaco» che fra il 23 giugno e il 5 luglio ha profanato sei salme esposte alle Cappelle del Commiato di Careggi in attesa del funerale. La soluzione del «giallo» è rimasta a lungo in bilico fra le valutazioni del medico legale Giovanni Marello, secondo il quale le lesioni sul volto e sul torace delle salme erano state eseguite con una lama affilata, e le analisi della Polizia scientifica, che ha trovato microscopici peli di topo su alcune delle salme. Ieri è venuto alla luce un indizio che sembra avvalorare la pista del topo. Sì, perché in un ripostiglio delle cappelle è stato trovato per l'appunto un roditore morto, stecchito da tempo..."
E questo, a dispetto di ciò che talvolta ancora oggi si sente raccontare in giro sull'inestricabile mistero delle Cappelle del Commiato e sulla inquietante profanazione delle salme da parte di adepti a una setta, è tutto quanto c'è da dire in merito.
A livello penale, era stato dapprima aperto un procedimento giudiziario nei confronti del proprietari per rapina, sequestro di persona e calunnia; in seguito, nel 2002, da questo fu scorporato un secondo fascicolo riguardante l'ipotetico reato di "favoreggiamento personale nei confronti degli ignoti mandanti di omicidio continuato addebitati al c.d. Mostro di Firenze".
Ne derivarono numerosi ed estenuanti interrogatori e nuove e più approfondite perquisizioni su tutte le proprietà della famiglia, al fine di trovare le prove che legavano definitivamente la setta satanica alle vicende del Mostro. In particolare si cercava una fantomatica stanza segreta all'interno della struttura dove tali prove erano presuntamente custodite.
Frattanto la famiglia o ciò che ne rimaneva, ormai salita ai disonori della cronaca come dedita al satanismo e a capo di una setta che commissionava i delitti del mostro, era stata costretta ad abbandonare tutto e trasferirsi altrove. Le persone indagate, prostrate dalla vicenda, denunciarono più volte, tramite i propri legali, oltre alla catastrofica gogna mediatica di cui erano rimaste vittime, anche le prepotenze che - a loro dire - dovettero subire da parte degli organi inquirenti.
Alla fine tutto si dissolse in una bolla di sapone. Le indagini sulla famiglia non produssero alcun risultato e il gran clamore mediatico svanì improvvisamente così come era iniziato.
La gran mole di interrogatori non produsse nulla di penalmente rilevamente. Alle capillari e invasive perquisizioni seguì qualche scusa per il disturbo e null'altro.
E le parole delle infermiere su ciò che avveniva nella casa di riposo durante gli anni '80? Forse avevano mentito per un qualche imperscrutabile motivo; forse, come sosteneva Filastò, si trattava di "...un paio di dipendenti licenziati, e per questo pieni di malanimo". Quel che è certo è che a tali dichiarazioni non furono mai trovati riscontri di alcun tipo.
Un insuccesso che ridiede voce a detrattori e antagonisti di Giuttari. Nacque da lì a breve un'ulteriore e feroce polemica sulla neonata attività di scrittore dello stesso Giuttari e sulle partecipazioni a talk show televisi che mal si conciliavano con i suoi doveri di poliziotto. In particolare, Giuttari entrò in rotta di collisione con il suo diretto superiore, il questore di Firenze, dottor Giuseppe De Donno, in quanto secondo quest'ultimo la ricerca spasmodica dei mandanti distoglieva la Squadra Mobile dalle normali attività anti-crimine; e soprattutto con il nuovo Procuratore della Repubblica di Firenze, il già citato dottor Nannucci, a sua volta piuttosto scettico sulle indagini condotte da Giuttari. Anche in questo caso seguirono esposti, querele (successivamente ritirate), accuse e relative pubbliche scuse, al cui termine Giuttari non solo rimase saldamente al proprio posto, ma dall'aprile del 2003 fu posto a capo di un apposito pool investigativo, creato per l'occasione e denominato GIDES (Gruppo Investigativo Delitti Seriali), alla ricerca pressoché esclusiva dei possibili mandanti dei delitti del Mostro di Firenze.
Dopo tre ulteriori lunghissimi anni in cui le indagini parvero arenate e dopo svariate minacce da parte degli avvocati della famiglia di fare ricorso alle istituzioni superiori, il 17 settembre 2005 il titolare dell'inchiesta, il dottor Paolo Canessa, ne chiese l'archiviazione con le seguenti parole:
"...i fatti addebitati alle indagate si fondano esclusivamente su ipotesi di Polizia Giudiziaria che non hanno trovato né al momento della stesura della nota, né successivamente, elementi concreti di riscontro per cui non appare possibile sostenere l'accusa in giudizio in ordine al reato ipotizzato...".
Per la famiglia, anni di tribolazioni e sofferenze immotivate, dunque.
Per le indagini, uno smacco.
Per Giuttari, invece, si doveva semplicemente cercare altrove. Per lui, la villa che racchiudeva la soluzione a tutti gli enigmi relativi alla vicenda del Mostro esisteva. Doveva solo essere trovata.
Ben presto, il capo del GIDES avrebbe creduto di essere nuovamente sulla pista giusta con l'individuazione di villa "La Sfacciata", posta di fronte alla piazzola dove si era consumato il duplice omicidio di Giogoli nl 1983, come il luogo di ritrovo dei mandanti.
Avrebbe, inoltre, individuato nel dottor Francesco Calamandrei uno dei capi della setta e nel dottor Francesco Narducci uno dei maggiori esponenti. Attorono a queste due figure ne ruotavano tante altre, tutte di particolare spicco nel panorama dell'alta borghesia fiorentina.
Di questa storia ne hanno parlato sommariamente sia Mario Spezi nel suo libro "Dolci colline di sangue", sia Nino Filastò in "Storia delle merende infami".
In tempi più recenti l'argomento è stato trattato a fondo dall'ottimo Antonio Segnini nel suo blog "Quattro cose sul mostro" e in maniera un po' meno approfondita ma egualmente efficace dal solito Flanz Vinci sul sito "Insufficienza di prove".
Qui proviamo a fornire un veloce resoconto, cercando di seguire un non semplice ordine cronologico.
Per iniziare, dobbiamo tornare indietro agli anni dei delitti del Mostro, quando vicino Mercatale esisteva una villa adibita a casa di riposo per anziani benestanti. In questa villa aveva soggiornato anche il padre del Sostituto Procuratore fiorentino Francesco Fleury, uno dei titolari sull'inchiesta del Mostro. Il che potrebbe non significare nulla, ma potrebbe anche indurci a pensare che negli ambienti della magistratura fiorentina si fosse molto lontani dall'avere qualsivoglia sospetto sui proprietari della struttura.
In questa villa aveva anche lavorato per qualche giorno Pietro Pacciani come giardiniere. Ma da questa attività era stato ben presto allontanato perché - pare - avesse avuto atteggiamenti poco riguardosi nei confronti della moglie del proprietario.
Successivamente, nel 1992, la struttura aveva cambiato nome ed era stata trasformata in un hotel-ristorante di lusso piuttosto rinomato in zona.
Circa tre anni dopo, attorno alla metà degli anni '90, alle porte della villa si presentó la signora Gabriella Pasquali Carlizzi, giornalista e scrittrice, nonché figura controversa e sicuramente molto discussa nel panorama investigativo italiano.
Soffermiamoci un attimo su questo enigmatico personaggio: qualche anno prima la Carlizzi aveva fondato il periodico "L'altra Repubblica", dalle cui pagine presentava le sue inchieste sui principali casi di cronaca nera in Italia, quasi sempre dicendosi portatrice di clamorose verità, per lo più riguardanti l'ingerenza dei servizi segreti o di frange deviate della massoneria. Via via, nel corso degli anni, la Carlizzi si era infatti detta in possesso di clamorose verità sui delitti di via Poma e dell'Olgiata, sulla morte dell'attore Walter Chiari, sulla Banda della Magliana, sul caso Moro, sul rapimento di Emanuela Orlandi, sull'omicidio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e sulle stragi mafiose di Capaci e di via D'Amelio, ricavandone svariate querele per calunnia e in alcuni casi qualche condanna.
A onor del vero, va detto che discordanti sono le opinioni sull'operato della giornalista. Chi la ritiene senza ombra di dubbio una millantatrice e complottista dalla spiccata fantasia, chi ne riconosce meriti e in parte virtù. Riportiamo, ad esempio, quanto scritto dal ricercatore Enrico Manieri nel suo blog "Il Mostro di Firenze" nell'agosto del 2010, in occasione della prematura scomparsa della giornalista: "Le Sue ipotesi di lavoro furono da alcuni condivise, da molti osteggiate, ma certamente ebbero il merito indiscusso di tenere viva l'attenzione dei media e di indicare elementi spesso inediti, destinati poi ad aprire nuovi filoni e spunti di indagine."
Ma torniamo al 1995. In quel periodo la Carlizzi stava indagando sul celebre scrittore Alberto Bevilacqua, che lei sospettava essere l'autore dei delitti del Mostro di Firenze, (si veda il capitolo Mostrologia minore). Durante le sue indagini aveva scoperto che il Bevilacqua aveva frequentato saltuariamente la villa di cui sopra e che ivi, verso la metà degli anni '80, aveva lavorato Pacciani, ora fresco di condanna in primo grado per quattordici omicidi attribuiti al Mostro.
La giornalista decise dunque di recarsi personalmente presso l'hotel-ristorante per svolgere alcune indagini, ma da lì venne subito e senza troppi complimenti allontanata dai proprietari (di cui si omettono nome e generalità).
La Carlizzi presentó quindi un esposto alle forze dell'ordine ma tutto sembró chiudersi senza ulteriori conseguenze.
Il pittore svizzero
La faccenda sarebbe forse finita lì se un pittore svizzero residente in Francia, Jean Claude Falbriand, piuttosto discusso nell'ambiente artistico europeo per le scabrose tematiche delle sue opere, qualche tempo dopo non avesse preso in affitto alcune stanze della villa per esporre e vendere i propri quadri. Dopo circa un anno il tale Jean Claud aveva accumulato un cospicuo debito; un debito mai saldato perché costui - almeno stando alla denuncia presentata dai proprietari - aveva lasciato precipitosamente la villa, abbandonandovi parte dei suoi averi e facendo perdere le proprie tracce.Il materiale abbandonato inquietò fortemente i suddetti proprietari che intesero sporgere denuncia, non solo per il mancato pagamento ma anche perché giudicarono tale roba di spiccato interesse per le indagini che stavano prendendo piede sul caso del Mostro di Firenze.
Il 14 maggio 1997, sei giorni prima dell'inizio del Processo ai CdM, i proprietari della villa si presentarono dunque alla porta dell'ufficio del dottor Michele Giuttari per sporgere denuncia. Giuttari era colui che aveva preso in mano le indagini sul Mostro e che, anche sulla base delle ben note dichiarazioni della Ghiribelli (vedasi capitolo Alfa, Gamma e Delta), era palesemente orientato verso delitti commessi da una pluralità di persone dalla probabile matrice esoterica.
Fra maggio e giugno di quel 1997, Giuttari fece sequestrare dai suoi agenti il materiale appartenuto al pittore. Furono rinvenuti un revolver calibro 38 e svariati coltelli, parecchie riviste pornografiche, un blocco Skizzen Brunen simile a quello sequestrato al Pacciani, ritratti di donne torturate e private del seno sinistro o del pube e più in generale quadri e disegni raffiguranti scene di violenza e depravazione, presuntivamente riconducibili alle scene rinvenute in occasione dei delitti del Mostro.
Furono in seguito repertati una pagina del quotidiano "La Nazione" del 26 marzo 1996 custodita in una copertina di plastica e riportante notizie sugli omicidi del Mostro e sui compagni di merende, più altri oggetti giudicati molto significativi e riconducibili all'esercizio di pratiche di magia nera.
Giuttari scoprì che il pittore era proprietario di un terreno e di una malmessa casa colonica sull'Appenino emiliano. La costruzione venne perquisita e messa sotto sequestro. All'interno, sulle pareti, vi erano murales raffiguranti animali e donne con gli organi genitali messi in evidenza, i cui temi ricordavano i noti disegni del Pacciani.
Vennero rintracciati e interrogati alcuni amici di zona dell'artista, i quali diedero una versione differente dei fatti relativi alla fuga dalla villa di Mercatale. Costoro riferirono che Jean Claude aveva dovuto lasciare frettolosamente la villa perché era stato vittima delle angherie delle proprietarie (madre e figlia), che da loro era stato rinchiuso, drogato e sequestrato più volte nelle stanze della villa, infine che lo stesso pittore era stato in passato legato da una relazione sentimentale con la predetta figlia.
Si riscontra, dunque, un primo tentativo di rovesciare le colpe, tentativo che tempo dopo verrà accolto favorevolmente da Giuttari. Per il momento, tuttavia, il pittore rimaneva la figura centrale della neonata indagine in cui, per la prima volta, sembrava prendere rudimentalmente forma la pista esoterica presuntamente riconducibile ai delitti del Mostro, cui la villa di San Casciano faceva da sfondo.
Sarà lo stesso Giuttari a raccontare alcuni particolari di questa indagine nel libro "Compagni di sangue", scritto con il noto conduttore e giallista Carlo Lucarelli e pubblicato nel dicembre 1998. A proposito del pittore racconterà: "...Chi è, veramente, il pittore? Un ispiratore? Un ideologo di quelle torture sessuali, che rappresentava nei suoi quadri ma che venivano realizzate da altri? O semplicemente un ammiratore affascinato di quei delitti e di quei luoghi? Fa parte di quel secondo livello, appena sfiorato dall'inchiesta bis? La villa, che lo ha ospitato, è stata luogo di riunioni particolari tra le persone interessate a quegli omicidi, una specie di club riservatissimo composto da pervertiti con tendenze sadiche, dediti a riti satanici?..."
A proposito della famiglia, scriverà: "...e proprio successivi accertamenti sui proprietari della villa consentono di appurare che si tratta di persone dedite ai riti di magia nera."
Del pittore si erano frattanto perse completamente le tracce, nonostante i ripetuti tentativi di rintracciarlo che avevano coinvolto il consolato svizzero, l'interpol, la polizia francese e i conoscenti emiliani. Erano però anche cominciate le beghe burocratiche e legali dello stesso Giuttari che lo avrebbero tenuto lontano dalle indagini per un paio di anni. Tutto aveva avuto inizio nell'agosto del 1998, quando il poliziotto aveva ricevuto la promozione a vicequestore vicario con annesso cambio di sede.
Giuttari giudicò questa promozione un tentativo di allontanarlo dalle indagini sul Mostro che - a suo dire - si stavano avvicinando a una verità scomoda, e si oppose al trasferimento. Ne nacque una querelle legale con i più alti organi della polizia di stato e con il Ministero degli Interni. A questa si aggiunse una feroce polemica a distanza con i poliziotti della vecchia SAM, rei a dire del Giuttari di aver trascurato importanti prove che attestavano la presenza di più persone sui luoghi dei delitti.
Dopo due anni di dispute, minacce, denunce, ricorsi e controricorsi, Giuttari tornò a capo delle indagini sul Mostro nel 2001, ma le polemiche non si erano affatto spente, come vedremo.
Frattanto, il pittore era stato rintracciato a Montelieu sulla Costa Azzurra e aveva rilasciato una lunga intervista a un giornalista svizzero, tale Paolo Mariani. Nell'intervista il Falbriand si disse perseguitato per il suo gusto per l'erotismo, talvolta violento; affermò di essere completamente estraneo alla vicenda del mostro, paventando un complotto ai suoi danni, dichiarò di non aver mai conosciuto Pacciani e di aver soggiornato per un breve periodo in una villa a San Casciano gestita - testuali parole - "da una famiglia di truffatori" da cui era fuggito appena aveva potuto. A proposito di costoro aggiunse: "mi hanno rubato tutto: i miei effetti personali, i miei mobili, le mie carte, le mie opere, persino i miei ricordi.".
Giuttari volò in Francia e interrogò personalmente il pittore il 9 aprile 2001. Si ritrovò davanti un sessanticinquenne claudicante, ben deciso a rispedire al mittente tutte le accuse a suo carico e a collaborare con le forze di polizia. L'uomo dichiarò di esser giunto in Toscana solamente nel 1997 (dodici anni dopo l'ultimo delitto del mostro), ribadì di essere stato soggiogato, drogato e tenuto sotto sequestro per lungo tempo dai proprietari della struttura presso cui aveva preso alloggio. In quello e negli interrogatori successivi cominciò anche a parlare delle pratiche di magia nera cui gli stessi proprietari erano dediti, trasformandoli, in breve tempo, da sgradevoli truffatori a pericolosi satanisti.
Evidentemente il pittore venne ritenuto credibile perché passò nel giro di poche settimane da principale sospettato dell'inchiesta a testimone chiave contro i proprietari della villa. Lo stesso Procuratore Capo di Firenze, il dottor Antonino Guttadauro, confermò ufficialmente in conferenza stampa che il pittore non era un sospettato ma una persona informata dei fatti.
Vennero a quel punto ascoltati da Giuttari tutti coloro che nel corso del tempo avevano avuto a che fare con la villa. Fra le altre, furono raccolte le gravi testimonianze di due ex dipendenti.
La prima: "In quella casa succedeva di tutto. Nelle stanze c'erano soltanto due reti dove i vecchietti venivano tenuti tra feci e urine. Nessuno se ne curava. Un giorno uno di loro morì. Lo chiusero in una stanza e ci ordinarono di non parlarne con nessuno. I familiari dovevano ancora pagare la retta mensile e quindi non dovevano sapere che era morto. Lo tennero così per giorni. Gli anziani erano praticamente abbandonati a sé stessi."
La seconda testimonianza: "Dopo le dieci in quella villa nessuno poteva più mettere piede. Arrivavano diverse persone e si compivano riti magici e satanici. Si celebravano messe nere, cose strane, stranissime. Erano tutti strani. Ricordo la figlia della proprietaria: aveva appena sette anni, ma era una bambina che dava l'angoscia, metteva paura. Aveva sempre uno sguardo allucinato e quando usciva in giardino scavava delle buche. Diceva che costruiva le tombe. Tutti erano strani, anche quelli che venivano nella villa, ma a noi dipendenti non era permesso entrare quando scendeva la sera e venivano chiusi i cancelli."
Accuse gravi e circostanziate che avrebbero dovuto portare a conseguenze clamorose. In realtà vedremo come non avrebbero condotto a nulla se non a un enorme trambusto mediatico. Della vicenda, infatti, si sarebbero presto interessate le principali trasmissioni delle più importanti reti televisive, come "Porta a porta", in cui il presentatore Bruno Vespa, nella puntata del 26 settembre 2001, poté godere di un parterre d'eccezione fra cui spiaccavano lo stesso Giuttari, la Carlizzi (colei che per certi versi aveva aperto la strada per le indagini su quella che era stata ormai ribattezzata la "villa degli orrori") e il criminologo Francesco Bruno, che - come vedremo - avrebbe avuto, forse suo malgrado, un ruolo nella vicenda.
I servizi segreti
Nel settembre del 2001, dunque nel pieno delle indagini sulla cosiddetta "villa degli orrori", erano difatti entrati in ballo gli immancabili servizi segreti.Tutto aveva avuto verosimilmente inizio con la lettura da parte della già citata Gabriella Pasquali Carlizzi del libro "Coniglio il martedì" (edito da Sperling e Kupfer nel 1993), il cui autore era tale Aurelio Mattei, psicologo e criminologo consulente del S.I.S.D.E. (Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica), i cosiddetti "servizi segreti civili".
Il libro ricostruiva in maniera romanzata i delitti del Mostro di Firenze e offriva una nuova prospettiva agli omicidi, anticipando sia la teoria dei molteplici autori (i compagni di merende sarebbero arrivati soltanto 4 anni dopo), sia la matrice esoterica degli stessi omicidi.
La Carlizzi ne era rimasta evidentemente colpita o quantomeno aveva creduto di poter individuare fra le pagine del romanzo una interessante pista da seguire e si era convinta che l'autore fosse a conoscenza di inconfessabili verità sui delitti che per ovvie ragioni non poteva divulgare pubblicamente. Dimostrando ottimo spirito investigativo e notevole tenacia, la donna era riuscita a contattate il Mattei e a ottenere un colloquio. L'incontro aveva acuito nella giornalista la sensazione che nella vicenda del mostro vi fosse stata l'ingerenza da parte di poteri occulti e deviati al fine di ostacolare la ricerca della verità.
Correva l'anno 1998 e la giornalista aveva inteso informare Giuttari di ciò che aveva scoperto, senza però ottenere grande riscontro dallo stesso, forse anche perché nello stesso periodo erano arrivate le già accennate grane legali e burocratiche che avevano tenuto il poliziotto lontano dalle indagini fino al 2001.
Come ipotizzia il blogger e ricercatore Antonio Segnini, in realtà tali grane ben si conciliavano con le idee della Carlizzi, visto che il S.I.S.D.E. era uno strumento del Ministero degli Interni e proprio da tale ministero erano partiti quelli che Giuttari considerava tentativi di fermare le sue indagini. Questo probabilmente rafforzò nel poliziotto la convinzione di essere sulla pista giusta e che appunto "i servizi" si fossero messi in moto per proteggere qualche personaggio intoccabile coinvolto nella setta che aveva come punto di ritrovo la villa di Mercatale e che commissionava i delitti del Mostro.
Per far luce sulla vicenda, nel settembre 2001, gli uomini di Giuttari si presentarono nell'abitazione romana e negli uffici di Aurelio Mattei per una perquisizione. Interrogato, lo psicologo confermò di aver collaborato con il S.I.S.D.E. e ivi di aver ricevuto dal rinomato professor Francesco Bruno la copia di un dossier riservato sui delitti del Mostro che era stato commissionato nel 1984 al celebre psichiatra dal dottor Vincenzo Parisi, all'epoca a capo del "servizio" stesso. Da tale documento il Mattei aveva preso alcuni spunti per il proprio romanzo.
Scattò dunque la perquisizione nella casa e nei due uffici del professor Bruno, autore del dossier e volto noto al grande pubblico per la frequente partecipazione a programmi televisivi cosiddetti generalisti.
Giuttari torchiò lo psichiatra in un interrogatorio durato ben 9 ore, al termine del quale, volente o nolente, Bruno offrì la propria collaborazione alle nuove indagini, mettendo a disposizione i dossier che aveva redatto (un primo del 1984, un secondo che era il completamento del precedente, redatto nel biennio 1985-1986 dopo il delitto degli Scopeti e un terzo e definitivo del 1994).
Soffermiamoci un attimo su questi dossier, precisando che l'argomento sarà trattato più approfonditamente nel capitolo denominato Mostrologia minore - La teoria del professor Bruno e che qui ci limitiamo alla brevissima disamina dei due aspetti che maggiormente interessano questo capitolo.
Fondamentalmente lo psichiatra ipotizzava che i delitti commessi dal Mostro fossero "...rituali compiuti in omaggio a un qualche rito satanico di cui l'assassino è un seguace o a qualche pratica di stregoneria o magia nera" e che l'assassino avesse come propria base una clinica o una casa di cura e di riposo per anziani non autosufficienti sita a Bagno a Ripoli o a Pontassieve.
Il riferimento a delitti satanici e alla casa di cura per anziani ben si conciliava con la pista che stava seguendo Giuttari. Si rafforzò nel poliziotto la convinzione che i servizi segreti sapessero la verità sugli omicidi almeno sin dal 1984 e che lui ancora una volta fosse sulla strada giusta. Di qui le plurime dichiarazioni vittoriose rilasciate alla stampa dallo stesso Giuttari:
"Abbiamo fatto un bel passo avanti, il cerchio si stringe" (Repubblica, 7 settembre 2001) o ancora "...(vi è) la certezza che dietro i duplici delitti del mostro di Firenze c'era un movente esoterico. Ora non si tratta più di indizi, abbiamo le prove documentali..." (Repubblica, 6 ottobre 2001).
Nota a margine, l'ipotetica clinica o casa di cura per anziani cui aveva fatto riferimento il professor Bruno non c'entrava geograficamente nulla con la villa di Mercatale su cui aveva puntato Giuttari.
A ogni modo, l'ennesima presunta ingerenza dei Servizi Segreti in una storia di cronaca nera non fu accolta di buon occhio da tutti. Diversi furono gli articoli che cominciarono a ironizzare sulla piega che stavano prendendo le indagini. La sensazione era che in Italia quando una qualsiasi vicenda cronachistica non trovava soluzione, venissero tirati in ballo i cosiddetti poteri forti, quasi a giustificare la difficoltà delle indagini e ad acquietare le coscienze di quanti erano allla ricerca di una verità.
Degno di nota un articolo apparso su "L'Unità" quello stesso 7 settembre 2001, a firma del filosofo e scrittore Sergio Givone, dal titolo "Il mostro di Firenze tra sette e 007". Ne riportiamo uno stralcio tratto dal blog "Quattro cose sul mostro":
"E così, dopo la coda del diavolo, spunta anche quella perfin più diavolesca dei servizi segreti. Non era bastato ipotizzare che dietro il mostro di Firenze ci fossero personaggi arcimostruosi: ricchi professionisti, imprenditori, docenti universitari che abbisognando di organi sessuali di giovani donne per certi riti satanici non trovarono di meglio che commissionarli a Pacciani e ai suoi compagni di merenda. Adesso, a distanza di poche settimane da quelle sensazionali rivelazioni, vengono tirati in ballo i servizi segreti; che, abituati come sono a coprire e a depistare, farebbero lo stesso anche con le indagini sul mostro..."
Monte Morello
I detrattori del lavoro di Giuttari, del resto, trovarono ampio margine di critica anche in altri piste che, contemporaneamente, il capo della Squadra Mobile fiorentina stava conducendo per dimostrare la matrice esoterica dei delitti del Mostro di Firenze.Come abbiamo visto nel capitolo dedicato al delitto degli Scopeti, esisteva la testimonianza di un guardacaccia volontario, tale Giovanni Zoppi, che affermava di aver visto le due future vittime del Mostro, Nadine e Jean-Michel, campeggiare in uno spiazzo piuttosto isolato sul costone del Monte Morello in data 4 settembre 1985. Lo spiazzo si trovava vicino all'allora villa Marini ed era zona notoriamente frequentata da coppie e guardoni.
Il suddetto Zoppi, nell'occasione accompagnato dal collega Francesco Cellai, aveva provveduto ad allontanare i due turisti francesi, in quanto nella zona vigeva il divieto di campeggio. Il giorno dopo la scoperta del delitto degli Scopeti, dunque il 10 settembre, Zoppi aveva visto le foto dei due ragazzi uccisi dal Mostro sul quotidiano "La Nazione", vi aveva riconosciuto la coppia da lui allontanata da Monte Morello ed era immediatamente andato al commissariato di Sesto Fiorentino per rendere la propria testimonianza. Abbiamo anche visto come, sebbene questa testimonianza presentasse spunti interessanti (lo Zoppi, ad esempio, sosteneva di aver visto la Golf bianca dei ragazzi francesi e la tenda di tipo canadese), non venne tenuta in debita considerazione dagli inquirenti in quanto gli scontrini rinvenuti fra gli effetti personali delle due povere vittime (caselli autostradali, rifornimenti di benzina, acquisti effettuati, soste ai ristoranti) attestavano il loro ingresso in Italia il 4 settembre e l'arrivo nella zona di Firenze il venerdì 6 settembre, dunque due giorni dopo l'avvistamento dello Zoppi. Inoltre, i particolari relativi alla Golf bianca e alla tenda canadese, Zoppi li aveva sicuramente letti quello stesso giorno sul giornale in cui - per sua stessa ammissione - aveva visto le foto di Nadine e Jean-Michel e, pur volendolo considerare in perfetta buona sede, questo potrebbe aver condizionato la sua testimonianza.
Circa tre settimane dopo, il 1 ottobre 1985, si presentò presso lo stesso commissariato di polizia di Sesto Fiorentino, alla presenza dell'ispettore Carmine Picarella, lo stesso che aveva raccolto la precedente testimonianza, un secondo guardiacaccia, tale Andrea Ceri, amico e collega dello Zoppi.
Il Ceri consegnò all'ispettore un proiettile calibro 22 Long Rifle di marca Winchester recante impressa sul fondello la lettera "H". Tale proiettile, a suo dire, era stato da lui rinvenuto verso le ore 15.00 di quello stesso giorno nello slargo sul costone del Monte Morello da cui erano stati allontanati i due turisti francesi, ed era vicino a un mucchio di sassi su cui era stata fissata una croce fatta con due ramoscelli. Il suddetto mucchio di sassi era stato già notato nei giorni precedenti dal Ceri e, secondo la sua convinzione, avrebbe potuto avere un qualche riferimento religioso.
Anche questa testimonianza sul momento non ebbe particolari conseguenze sul piano indagatorio, ancora una volta perché le prove documentali sembravano attestare senza smentita che la coppia allontanata dallo Zoppi non fosse quella uccisa dal Mostro e dunque tutti le ipotesi e i ritrovamenti successivi non avevano nulla a che fare con la vicenda del Mostro.
Esattamente sedici anni dopo le cose, però, cambiarono. Come abbiamo visto, nell'autunno del 2001, il dottor Giuttari era alla spasmodica ricerca di prove che attestassero la matrice esoterica dei delitti del Mostro e una testimonianza come quella del Ceri non poteva essere trascurata.
Giovanni Zoppi era frattanto deceduto, così il 1 ottobre 2001, vennero convocati negli uffici della Squadra Mobile i predetti Francesco Cellai e Andrea Ceri.
Il Cellai confermava il racconto reso sedici anni prima da Zoppi. Il Ceri, dal canto suo, rilasciava una testimonianza ben più corposa che qui intendiamo riassumere.
Riferiva di aver saputo, a suo tempo, dal collega Zoppi dell'allontanamento dei due campeggiatori abusivi, poi riconosciuti come i giovani francesi uccisi agli Scopeti. Di aver saputo che lo Zoppi si era recato con alcuni operatori di polizia nella piazzola in questione, ove erano state rinvenute tracce dei due francesi, nello specifico lattine di birra francese e pacchetti vuoti di sigarette di marca francese. Per la cronaca, né lattine di birre, né sigarette sarebbero, invece, state rinvenute nella piazzola degli Scopeti, dove documentatamente Nadine e Jean-Michel avevano sostato prima di essere uccisi.
Il Ceri parlava, quindi, di quegli strani componimenti sul terreno, fatti con sassi e pietre, all'interno dei quali erano posizionati bacche e ramoscelli, da lui notati nello spiazzo di Monte Morello ancor prima che i francesi venissero uccisi e di cui aveva già parlato sedici anni prima. A suo dire si trattava di un vero e proprio mosaico, costruito accuratamente con piccole pietre incastrate tra di loro, di forma circolare. La zona in questione era da lui conosciuta come "sacra", in quanto utilizzata dagli Etruschi come luogo mortuario.
Incuriosito da tale rinvenimento, sempre in quella tarda estate del 1985 si era rivolto ad una signora di Sesto Fiorentino, ben nota per le sue conoscenze esoteriche, tale Rosetta Gasperini, per capire cosa rappresentassero quei cerchi. La donna gli aveva prestato un libro del '700, scritto - testuali parole - "in francese o latino", affinché lui stesso trovasse una risposta. All'interno di quel libro, il Ceri riferì di aver trovato l'immagine di una figura umana su cui erano sovrapposti cerchi del tutto simili a quelli da lui rinvenuti. La Gasperini gli aveva confermato che quella figura faceva riferimento a un rito di magia nera.
Successivamente, il Ceri era tornato sul posto con un poliziotto di Sesto Fiorentino, tale Vittorino Lombardi, il quale aveva scavato all'interno di uno dei cerchi, rinvenendo una porzione di pelliccia che, in base alla sua esperienza di cacciatore, poteva attribuirsi a un animale, probabilmente a un gatto. In seguito, era ritornato con Lombardi e con il Picarella, per fotografare i cerchi. Infine, sempre in compagnia dei suddetti poliziotti, si era recato nella piazzola degli Scopeti, per verificare se fossero presenti anche lì cerchi simili a quelli del Monte Morello, ma l'esito era stato negativo.
Il 1 ottobre 1985, Ceri era nuovamente tornato sul costone del Monte Morello e in quell'occasione aveva rinvenuto, all'interno di una macchia di vegetazione che dava proprio sulla piazzola, una specie di postazione per guardoni e poco più in là la predetta cartuccia calibro 22, integra e senza segni di ruggine o usura, tanto che aveva dedotto che si trovasse lì da poco tempo.
Ceri aveva, quindi, portato la cartuccia al Commissariato di Sesto Fiorentino, consegnandola al Picarella, senza che venisse messa a verbale la sua scoperta.
Sette anni dopo, nel 1992, a seguito dell'invito da parte degli organi inquirenti ai cittadini di collaborare con le indagini sui delitti del Mostro, aveva inviato un fax al dottor Ruggero Perugini, all'epoca a capo della SAM. Il Ceri dichiarava che, dopo l'invio del fax, era stato contattato telefonicamente e in modo fugace da qualcuno della questura, ma in seguito non aveva più avuto notizie né contatti.
Sulla base di queste dichiarazioni, Giuttari dispose due sopralluoghi, il primo proprio quello stesso giorno insieme al Ceri; il secondo due giorni dopo, in data 3 ottobre 2001, insieme al Cellai. Veniva, così, localizzata la piazzola in questione.
Sempre il 3 ottobre venne convocata ed interrogata la signora esperta di esoterismo, Rosetta Gasperini, colei che aveva prestato al Ceri il libro del '700.
La Gasperini riferì che, effettivamente, per interpretare le foto e i racconti del Ceri si era avvalsa di quel tale antico libro, che nella sua famiglia si tramandava di generazione in generazione (e di cui da nessuna parte viene riportato titolo o eventuale autore, giusto per pesare l'attendibilità di certe dichiarazioni). Affermò che - a suo parere - il cerchio di pietre chiuso rappresentava l'unione di due persone e cioè la coppia; il cerchio aperto rappresentava l'individuazione della coppia; il cerchio con le bacche e la croce all'interno rappresentava, infine, l'uccisione della stessa coppia. Dichiarò, inoltre, che avrebbe cercato il suddetto libro per consegnarlo all'ufficio di Giuttari.
Nei giorni seguenti furono sentiti il Picarella e il Lombardi, i quali, pur con i ricordi piuttosto sfumati dal tempo trascorso e fatalmente imprecisi, confermarono sommariamente le dichiarazioni del Ceri circa il rinvenimento dei cerchi di pietra, del proiettile e le ripetute visite alla zona. Secondo il Lombardi, comunque, quei presunti componimenti in pietra gli avevano dato l'impressione che fossero avanzi di un bivacco.
Per il resto, è bene precisare che del proiettile, rinvenuto e consegnato dal Ceri, non vi era più traccia, né riscontro. E che il misterioso libro della Gasperini non era mai stato rinvenuto né tanto meno consegnato.
Ma anche a voler credere sia nella buona fede di Zoppi, Ceri e Gasperini, sia che i famosi cerchi avessero un qualche significato esoterico e che nello slargo di Monte Monrello si celebrassero davvero riti religiosi, rimame la certezza documentale che i francesi erano arrivati in zona Firenze due giorni dopo l'avvistamento dello Zoppi, che non risulta fumassero e soprattutto che non avevano mai cosparso la piazzola degli Scopeti, dove sicuramente avevano sostato, di lattine di birra e pacchi di sigarette.
A dispetto di ciò, a dispetto soprattutto delle evidenze documentali che provavano l'impossibilità di Nadine e Jean-Michel di trovarsi sul Monte Morello in data 4 settembre 1985, Giuttari scrisse nella nota informativa sullo stato delle indagini del 3 dicembre 2001: "...recentemente si è proceduto allo sviluppo di alcune acquisizioni, a suo tempo, documentate dal Commissariato di P.S. di Sesto Fiorentino; elementi, questi, che indubbiamente contribuiscono a fornire una lettura ancora più puntuale del significato esoterico. Si fa riferimento, in particolare, all'acquisizione di alcuni riscontri obbiettivi, che confermerebbero, in maniera attendibile, proprio il significato di cui trattasi..." e ancora "...Le suddette evenienze appaiono di estremo interesse, atteso che forniscono precisi elementi fattuali, acquisiti peraltro in epoca non sospetta, di una ritualità esoterica riconducibile a quel particolare tipo di omicidi..."
Ora, è indubbio che si può credere o meno alla matrice esoterica dei delitti, alla setta potente e depistante, a un secondo o terzo livello, ai mandanti gaudenti, ma parlare di "riscontri obbiettivi che confermerebbero in maniera attendibile il significato esoterico dei delitti" o di "precisi elementi fattuali" sulla base delle dichiarazioni dello Zoppi, del Ceri e della Gasperini, lascia quantomeno perplessi.
Per ultimo, è doveroso riportare che in tempi recenti, il pur ottimo sito mostrodifirenze.com, da sempre piuttosto vicino alle teorie giuttariane, pur dicendosi, per ovvie ragioni, estremamente scettico sulla possibilità che i campeggiatori allontanati dallo Zoppi fossero proprio Nadine e Jean-Michel, ha inteso proporre un percorso alternativo compiuto dai due ragazzi francesi, nel caso in cui gli scontrini raccolti nel corso del loro viaggio non fossero mai esistiti o, più in generale, nel remoto caso in cui non fossero - per una qualche ragione - stati indicativi del reale percorso compiuto e dei relativi giorni. In questo virtuale e improbabile (per stessa ammissione del sito) percorso alternativo, Nadine e Jean-Michel si sarebbero trovati fatalmente a essere nella zona di Firenze proprio la mattina del 4 settembre.
Un esercizio mentale, a parere di chi vi scrive, prettamente inutile, ma, al solito, si lascia al lettore qualsiasi considerazione in merito.
Minacce e intimidazioni
Nonostante le teorie talvolta improbabili che il dottor Giuttari sembrava inseguire e nonostante i soliti e inevitabili detrattori, a corroborare le certezze sul proprio operato furono alcuni tentativi intimidatori che il poliziotto ricevette in quello stesso settembre del 2001 e che lui associò alla volontà da parte dei cosiddetti poteri forti di intimorirlo per farlo desistere dalle indagini.Difatti, il 6 e il 10 settembre furono fatte pervenire a Giuttati due lettere anonime scritte a stampatello, presumibilmente dalla medesima mano, recanti il timbro dell'ufficio postale "Firenze CMP" e affrancate come posta prioritaria. Nella prima era riportato il seguente stralcio:
"Perché invece di dare la caccia ai fantasmi, non la dai ai sicuramente delinquenti creatori di prove contro Pacciani? Come Perugini, Vigna, Spinoso? Forse non risolverai il caso Pacciani, ma almeno sarai un po' meno disonesto ed ottuso".
Riportiamo invece integralmente la seconda lettera:
"La tua presunzione, la tua stupidità, la tua cretinite acuta, non temono confronti. Quando questa ennesima bufala, frutto della tua mente ottusa, sa(rà) evidente per tutti, si spera che questa volta ci sia qualcuno che abbia la capacità di farti cambiare mestiere. C'è da vergognarsi di vivere in un paese dove il potere della polizia sia nelle mani di imbecilli come te.
Torna a Montelepre a dare la caccia ai tuoi compari, ladri di galline, che a Firenze quelli come te vengono impiegati in altri lavori!
P.S. Se la fronte spaziosa è sinonimo di intelligenza, nel tuo caso è da consigliarti di non andare per boschi, i cacciatori potrebbero scambiarti per un cinghiale."
Secondo taluni, con il Post Scriptum, l'anonimo autore intendeva richiamare un episodio avvenuto la sera del 15 agosto 2001 in località Cercina di Sesto Fiorentino, ove fu rinvenuto il cadavere di un bracconiere di cinghiali, ucciso con un'arma da fuoco. Quest'ultima parte del messaggio venne dunque interpretata come una chiara minaccia di morte.
Entrambe le lettere, si dice, presentassero analogie con la missiva anonima giunta alla stazione dei Carabinieri di San Casciano Val di Pesa in data 25 maggio 1992, contenente la famosa asta guida-molla (vedasi capitolo Il contadino di Mercatale).
In seguito, ad aprile del 2002 arrivò una terza lettera anonima, molto probabilmente scritta da diverso autore. La busta di tale missiva risultava bruciacchiata da un sigaro o da una sigaretta; il testo era stato scritto usando un normografo e riportava:
"Eccellentissimo dottore,
Le rose stanno sbocciando di nuovo.
I grossi Frati di Montemurlo vendono ancora mantelli usati e portano le loro elemosine dai fondi dei Tintori al banco di Prato.
Rose e Mantelli impazziranno da Figline a S. Felice come da Borgo a Mercatale.
E tu poveruomo sai solo fumare sigari toscani."
Tale missiva venne fatta analizzare da un esperto che ne diede un'interpretazione in chiave esoterica; parlò di riferimenti a una possibile ripresa degli omicidi addebitabili al Mostro di Firenze, a riti propiziatori, messe nere e persino sacrifici umani. Ovviamente, non si hanno notizie di nuovi omicidi del Mostro o di sacrifici umani in quegli anni a Firenze.
Tuttavia, gli espisodi presuntivamente intimidatori a danno di Giuttari non sembrarono finire qui. Oltre un anno dopo, nella notte fra il 12 e il 13 Giugno 2002, alcuni ignoti forarono, probabilmente con un punteruolo, le quattro gomme della sua autovettura, parcheggiata in posto riservato alle forze di polizia. Nell'occasione, le telecamere non furono di alcuna utilità.
Similmente, il 22 Dicembre 2003, mano ignota, di nuovo tramite presumibile utilizzo di un punteruolo, bucò la gomma anteriore destra dell'automobile di Giuttari. Ancora una volta le successive indagini non diedero alcun risultato.
È opportuno, a questo punto, precisare che non vi è alcuna certezza riguardo i succitati episodi intimidatori. Potrebbero avere avuto lo scopo di intimorire il poliziotto nella speranza di allontanarlo dalle indagini sui mandanti dei delitti del Mostro, ma non può essere aprioristicamente escluso che fossero dovuti a situazioni completamente diverse, specie se consideriamo che nel corso della sua lunga e spesso proficua attività lavorativa, un tipo schietto e deciso come il dottor Giuttari potrebbe aver collezionato un buon numero di nemici o di semplici invidiosi osteggiatori.
Quello che, a parere di chi scrive, lascia piuttosto perplessi è il ricorso a lettere anonime o al danneggiamento delle gomme di un'automobile da parte di una potentissima e crudele setta (o comunque di un potentissimo e crudele secondo livello) al fine di intimidire un poliziotto che aveva chiara fama di essere un duro. In altre parole, risulta poco credibile che una setta così potente da bloccare o depistare indagini e far trasferire funzionari, e così crudele da aver commissionato alcuni dei più efferati omicidi mai commessi in Italia, possa aver fatto ricorso a espedienti tipici dei ragazzacci da strada (bucare le gomme di un'auto) al fine di intimorire un poliziotto e allontanarlo dalle indagini sul loro conto.
Al solito, si lascia al lettore qualsiasi considerazione in merito.
Le cappelle del commiato
Comunque la si voglia vedere, è indubbio che vi era l'acclarata tendenza a collegare qualsiasi episodio strano o inquietante che si verificava in quegli anni a Firenze con le indagini sulla famigerata setta esoterica. Ciò è provato anche dalla ben nota vicenda delle cosiddette "Cappelle del Commiato". Si tratta di episodi presuntivamente misteriosi, avvenuti fra il giugno e il luglio del 2002 nelle sale mortuarie dell'ospedale di Careggi, a Firenze, che contribuirono a diffondere la convinzione che nell'ombra del capoluogo toscano si muovesse una misteriosa setta intenta a lanciare oscuri segnali e velate minacce.Il primo episodio accadde domenica 23 giugno, poco prima delle esequie di un'anziana signora, quando i familiari si accorsero che il volto della defunta era segnato da una profonda ferita e ipotizzarono che la salma potesse essere stata assalita da un animale, un roditore oppure un uccello.
La mattina successiva, lunedì 24 giugno, furono scoperte altre due salme con lesioni sul volto. Venne a quel punto diposta un'ispezione e avvisata la magistratura. Il medico legale, il ben noto agli appassionati della vicenda dottor Giovanni Marello, escluse che potesse trattarsi di morsi di animali, ritenendo i tagli prodotti da una lama affilata. La polizia scientifica trovò a terra, vicino a una delle salme sfregiate, le tracce di un piccolo rogo, con residui di materia organica. Si pensò dunque a un rito: l'esportazione di lembi di pelle dal volto di una salma, mentre sul pavimento bruciava una qualche materia organica. Da qui il passo che portò all'ipotesi di una messa satanica compiuta nelle Cappelle del Commiato e quindi alla presenza di una setta fu breve.
A seguito di questi inquietanti rinvenimenti e di una presunta fuga di notizie che avrebbe portato la stampa a conoscere informazioni riservate sugli episodi, il dottor Giuttari fu coinvolto in una irosa polemica con il nuovo Procuratore capo di Firenze, il dottor Ubaldo Nannucci, che lo estromise dalle indagini sul misterioso caso. Nota a margine, nell'occasione Giuttari risultò essere dalla parte della ragione e il dottor Nannucci fu in seguito costretto a pubbliche scuse.
A ogni modo, il 29 giugno, nonostante il potenziamento dei controlli nelle cappelle mortuarie, il volto di una quarta salma venne misteriosamente sfregiato. Le telecamere non rivelarono niente di sospetto; il custode notturno e la guardia giurata affermarono di non essersi accorti di nulla. Furono a quel punto verificati tutti i possibili accessi alle cappelle e fu rafforzata ulteriormente la vigilanza. Gli uomini a guardia delle cappelle diventarono otto, due guardie giurate, il custode, due vigili urbani e tre uomini della finanza, ma questo non impedì che la notte successiva venisse sfregiata una quinta salma.
Il primo luglio, il quotidiano La Repubblica parlava di una "...lama affilata, forse un bisturi, una mano ignota ha tagliato via un lembo di pelle dal viso, appena sotto un occhio, e un altro pezzetto l'ha tagliato all'altezza della gola...
Fra l'incredulità generale e il mistero che si faceva sempre più fitto, ci fu una sesta salma sfregiata, poi venne deciso di coprire le bare durante la notte con appositi coperchi di plexiglas e le profanazioni improvvisamente cessarono.
A bocce ferme, la verità cominciò a venire a galla. Le prime analisi accertarono che il piccolo rogo rinvenuto ai piedi di una delle salme altri non era che i resti di un sigaro bruciato, la cui cenere era stata lasciata cadere sul pavimento. Si accertò che nessun essere umano avrebbe potuto compiere le ultime profanazioni, considerando l'altissimo livello di vigilanza che era stato predisposto. Inoltre, furono trovati escrementi di topo e trappole per topi in un ripostiglio prossimo alle cappelle del Commiato e per finire fu rinvenuta la carcassa di un ratto in un armadietto metallico all'interno del suddetto rispostiglio. A seguito di questa scoperta, furono analizzati i vestiti delle salme profanate, ove vennero rinvenute microspopiche tracce di peli di topo. E la verità cominciò fatalmente a prendere forma.
Dal quotidiano La Repubblica del 29 agosto 2002:
"Forse era veramente un topo il «maniaco» che fra il 23 giugno e il 5 luglio ha profanato sei salme esposte alle Cappelle del Commiato di Careggi in attesa del funerale. La soluzione del «giallo» è rimasta a lungo in bilico fra le valutazioni del medico legale Giovanni Marello, secondo il quale le lesioni sul volto e sul torace delle salme erano state eseguite con una lama affilata, e le analisi della Polizia scientifica, che ha trovato microscopici peli di topo su alcune delle salme. Ieri è venuto alla luce un indizio che sembra avvalorare la pista del topo. Sì, perché in un ripostiglio delle cappelle è stato trovato per l'appunto un roditore morto, stecchito da tempo..."
E questo, a dispetto di ciò che talvolta ancora oggi si sente raccontare in giro sull'inestricabile mistero delle Cappelle del Commiato e sulla inquietante profanazione delle salme da parte di adepti a una setta, è tutto quanto c'è da dire in merito.
La villa degli "errori"
Dopo questo breve ma necessario excursus, torniamo adesso a occuparci della famosa "villa degli orrori", su cui si stavano concentrando gli sforzi degli uomini di Giuttari alla ricerca di prove che corroborassero l'idea della setta esoterica che commissionava i delitti del Mostro.A livello penale, era stato dapprima aperto un procedimento giudiziario nei confronti del proprietari per rapina, sequestro di persona e calunnia; in seguito, nel 2002, da questo fu scorporato un secondo fascicolo riguardante l'ipotetico reato di "favoreggiamento personale nei confronti degli ignoti mandanti di omicidio continuato addebitati al c.d. Mostro di Firenze".
Ne derivarono numerosi ed estenuanti interrogatori e nuove e più approfondite perquisizioni su tutte le proprietà della famiglia, al fine di trovare le prove che legavano definitivamente la setta satanica alle vicende del Mostro. In particolare si cercava una fantomatica stanza segreta all'interno della struttura dove tali prove erano presuntamente custodite.
Frattanto la famiglia o ciò che ne rimaneva, ormai salita ai disonori della cronaca come dedita al satanismo e a capo di una setta che commissionava i delitti del mostro, era stata costretta ad abbandonare tutto e trasferirsi altrove. Le persone indagate, prostrate dalla vicenda, denunciarono più volte, tramite i propri legali, oltre alla catastrofica gogna mediatica di cui erano rimaste vittime, anche le prepotenze che - a loro dire - dovettero subire da parte degli organi inquirenti.
Alla fine tutto si dissolse in una bolla di sapone. Le indagini sulla famiglia non produssero alcun risultato e il gran clamore mediatico svanì improvvisamente così come era iniziato.
La gran mole di interrogatori non produsse nulla di penalmente rilevamente. Alle capillari e invasive perquisizioni seguì qualche scusa per il disturbo e null'altro.
E le parole delle infermiere su ciò che avveniva nella casa di riposo durante gli anni '80? Forse avevano mentito per un qualche imperscrutabile motivo; forse, come sosteneva Filastò, si trattava di "...un paio di dipendenti licenziati, e per questo pieni di malanimo". Quel che è certo è che a tali dichiarazioni non furono mai trovati riscontri di alcun tipo.
Un insuccesso che ridiede voce a detrattori e antagonisti di Giuttari. Nacque da lì a breve un'ulteriore e feroce polemica sulla neonata attività di scrittore dello stesso Giuttari e sulle partecipazioni a talk show televisi che mal si conciliavano con i suoi doveri di poliziotto. In particolare, Giuttari entrò in rotta di collisione con il suo diretto superiore, il questore di Firenze, dottor Giuseppe De Donno, in quanto secondo quest'ultimo la ricerca spasmodica dei mandanti distoglieva la Squadra Mobile dalle normali attività anti-crimine; e soprattutto con il nuovo Procuratore della Repubblica di Firenze, il già citato dottor Nannucci, a sua volta piuttosto scettico sulle indagini condotte da Giuttari. Anche in questo caso seguirono esposti, querele (successivamente ritirate), accuse e relative pubbliche scuse, al cui termine Giuttari non solo rimase saldamente al proprio posto, ma dall'aprile del 2003 fu posto a capo di un apposito pool investigativo, creato per l'occasione e denominato GIDES (Gruppo Investigativo Delitti Seriali), alla ricerca pressoché esclusiva dei possibili mandanti dei delitti del Mostro di Firenze.
Dopo tre ulteriori lunghissimi anni in cui le indagini parvero arenate e dopo svariate minacce da parte degli avvocati della famiglia di fare ricorso alle istituzioni superiori, il 17 settembre 2005 il titolare dell'inchiesta, il dottor Paolo Canessa, ne chiese l'archiviazione con le seguenti parole:
"...i fatti addebitati alle indagate si fondano esclusivamente su ipotesi di Polizia Giudiziaria che non hanno trovato né al momento della stesura della nota, né successivamente, elementi concreti di riscontro per cui non appare possibile sostenere l'accusa in giudizio in ordine al reato ipotizzato...".
Per la famiglia, anni di tribolazioni e sofferenze immotivate, dunque.
Per le indagini, uno smacco.
Per Giuttari, invece, si doveva semplicemente cercare altrove. Per lui, la villa che racchiudeva la soluzione a tutti gli enigmi relativi alla vicenda del Mostro esisteva. Doveva solo essere trovata.
Ben presto, il capo del GIDES avrebbe creduto di essere nuovamente sulla pista giusta con l'individuazione di villa "La Sfacciata", posta di fronte alla piazzola dove si era consumato il duplice omicidio di Giogoli nl 1983, come il luogo di ritrovo dei mandanti.
Avrebbe, inoltre, individuato nel dottor Francesco Calamandrei uno dei capi della setta e nel dottor Francesco Narducci uno dei maggiori esponenti. Attorono a queste due figure ne ruotavano tante altre, tutte di particolare spicco nel panorama dell'alta borghesia fiorentina.
Non c'è!
RispondiEliminaSalve, questo articolo é presente o c'è solo il titolo??
RispondiEliminaA breve sarà disponibile, pochi giorni ancora.
EliminaCiao.
Ciao, complimenti per l'ottimo lavor, ma questo capitolo non è ancora disponibile? grazie
EliminaCiao non hai una newsletter? vorrei essere aggiornata hai un blog fantastico!
RispondiEliminablog fantastico, documentato molto bene, ma anche appassionante come un romanzo di s.king. Ma questo capitolo mancante è in programma di essere pubblicato? Lo aspetto con grande curiosità!
RispondiEliminaGrazie per i complimenti. Il capitolo è on line.
EliminaL.
Capitolo finalmente pubblicato. Buona lettura e saluti a tutti.
RispondiEliminaL.
documentato benissimo il problema e' che il vero mostro di firenze che agiva da solo per appagare un senso di frustazione uccidendo coppiette nessuno sapra' mai chi fosse e di certo e sicuro mai nemmeno lontanissimamente sfiorato da indagine.
RispondiEliminacose da manicomio , ma si puo' credere a ghiribelli al lotti e altri simili personaggi.
RispondiEliminaQuesti omicidi non e' roba che avrebbe potuto commettere una cerchia di persone ,prima o poi qualche errore lo avrebbero commesso prima cosa, poi cosa importantissima sono le escissioni le coltellate il frugare e gettare via la borsetta della vittima in piu' di una occasione che indica secondo mio personale parere che il mostro e' al 100x 100 una sola ed unica persona mai nemmeno alla lontana indagato o sospettato.
RispondiEliminaPiu' persone e tutte d'accordo di mutilare accoltellare sparare , sparare chi spara? sempre uno del gruppo? o si alternano con la pistola ? piu' persone che sanno usare una pistola? solo uno spara ?gli altri guardano? 100 x 100 il vero mostro di firenze e' una sola e unica persona morta dopo l'omicidio agli scopeti , non si sarebbe mai fermato a costo di essere catturato.
RispondiEliminaMa poi sempre e solo una cal 22 lr entra in scena la sua firma chiunque innocente viene indagato o arrestato al suo posto lui trova il modo di farlo scagionare ,nessuno puo' permettersi di far passare per mostro di firenze chi non e' il mostro di firenze e se era ancora in vita avrebbe fatto scagionare sicuramente i compagni di merende.
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