Esoterismo e dintorni


Con quale inchiesta abbia avuto inizio la cosiddetta pista esoterica è oggi argomento forse poco conosciuto e di sicuro scarsamente dibattuto, su cui una coltre di silezio è scesa con il trascorrere del tempo. Un po' per volontà di tutti gli attori coinvolti nella vicenda (indaganti e indagati), un po' per la scarsa attrattiva che la tale vicenda è solita suscitare da un certo momento in poi, quando cioè finisce per sfociare nei soliti cliché dei servizi deviati e dei poteri occulti.
Di questa storia ne hanno parlato sommariamente sia Mario Spezi nel suo libro "Dolci colline di sangue", sia Nino Filastò in "Storia delle merende infami".
In tempi più recenti l'argomento è stato trattato a fondo dall'ottimo Antonio Segnini nel suo blog "Quattro cose sul mostro" e in maniera un po' meno approfondita ma egualmente efficace dal solito Flanz Vinci sul sito "Insufficienza di prove".
Qui proviamo a fornire un veloce resoconto, cercando di seguire un non semplice ordine cronologico.
Per iniziare, dobbiamo tornare indietro agli anni dei delitti del Mostro, quando vicino Mercatale esisteva una villa adibita a casa di riposo per anziani benestanti. In questa villa aveva soggiornato anche il padre del Sostituto Procuratore fiorentino Francesco Fleury, uno dei titolari sull'inchiesta del Mostro. Il che potrebbe non significare nulla, ma potrebbe anche indurci a pensare che negli ambienti della magistratura fiorentina si fosse molto lontani dall'avere qualsivoglia sospetto sui proprietari della struttura.
In questa villa aveva anche lavorato per qualche giorno Pietro Pacciani come giardiniere. Ma da questa attività era stato ben presto allontanato perché - pare - avesse avuto atteggiamenti poco riguardosi nei confronti della moglie del proprietario.
Successivamente, nel 1992, la struttura aveva cambiato nome ed era stata trasformata in un hotel-ristorante di lusso piuttosto rinomato in zona.
Circa tre anni dopo, attorno alla metà degli anni '90, alle porte della villa si presentò la signora Gabriella Pasquali Carlizzi, giornalista, scrittrice, figura controversa e sicuramente molto discussa nel panorama investigativo italiano.
Qualche anno prima la Carlizzi aveva fondato il periodico "L'altra Repubblica", dalle cui pagine presentava le sue inchieste sui principali casi di cronaca nera in Italia, quasi sempre dicendosi portatrice di clamorose verità, per lo più riguardanti l'ingerenza dei servizi segreti o di frange deviate della massoneria. Via via, nel corso degli anni, la Carlizzi si era infatti detta in possesso della verità sui delitti di via Poma e dell'Olgiata, sulla morte dell'attore Walter Chiari, sulla Banda della Magliana, sul caso Moro, sul rapimento di Emanuela Orlandi, sull'omicidio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e sulle stragi mafiose di Capaci e di via D'Amelio, ricavandone svariate querele e in alcuni casi qualche condanna.
A onor del vero, va detto che discordanti sono le opinioni sull'operato della giornalista. Chi la ritiene senza ombra di dubbio una millantatrice e complottista dalla spiccata fantasia, chi ne riconosce meriti e in parte virtù. Riportiamo, ad esempio, quanto scritto dal ricercatore Enrico Manieri nel suo blog "Il Mostro di Firenze" nell'agosto del 2010, in occasione della prematura scomparsa della giornalista: "Le Sue ipotesi di lavoro furono da alcuni condivise, da molti osteggiate, ma certamente ebbero il merito indiscusso di tenere viva l'attenzione dei media e di indicare elementi spesso inediti, destinati poi ad aprire nuovi filoni e spunti di indagine."
Nel 1995, appunto, la Carlizzi stava indagando sul celebre scrittore Alberto Bevilacqua come autore dei delitti del Mostro di Firenze, (si veda il capitolo Mostrologia minore). Durante le sue indagini aveva scoperto che il Bevilacqua aveva frequentato saltuariamente la villa di cui sopra e che ivi, verso la metà degli anni '80, aveva lavorato Pacciani, ora fresco di condanna in primo grado per quattordici omicidi attribuiti al Mostro.
La giornalista decise dunque di recarsi personalmente presso l'hotel-ristorante per svolgere alcune indagini, ma quando vi si presentò fu allontanata senza troppi complimenti dai proprietari (di cui si omettono nome e generalità).
La Carlizzi presentò un esposto alle forze dell'ordine ma tutto sembrò chiudersi senza ulteriori conseguenze.


Il pittore svizzero
La faccenda sarebbe forse finita lì se un pittore svizzero residente in Francia, Jean Claude F., piuttosto discusso nell'ambiente artistico europeo per le tematiche delle sue opere, qualche tempo dopo non avesse preso in affitto alcune stanze della villa per esporre e vendere i propri quadri. Dopo circa un anno il tale Jean Claud aveva accumulato un cospicuo debito; un debito mai saldato perché costui - almeno stando alla denuncia presentata dai proprietari - aveva lasciato precipitosamente la villa, abbandonandovi parte dei suoi averi.
Il materiale abbandonato inquietò fortemente i suddetti proprietari che intesero sporgere denuncia, non solo per il mancato pagamento ma anche perché giudicarono tale roba di spiccato interesse per le indagini che stavano prendendo piede sul caso del Mostro di Firenze.
Il 14 maggio 1997, sei giorni prima dell'inizio del Processo ai CdM, i proprietari della villa si presentarono dunque alla porta dell'ufficio del dottor Michele Giuttari per sporgere denuncia. Giuttari era colui che aveva preso in mano le indagini sul Mostro e che, anche sulla base delle ben note dichiarazioni della Ghiribelli (vedasi capitolo Alfa, Gamma e Delta), era palesemente orientato verso delitti commessi da una pluralità di persone dalla probabile matrice esoterica.
Fra maggio e giugno di quel 1997, Giuttari fece sequestrare dai suoi agenti il materiale appartenuto al pittore. Furono rinvenuti un revolver calibro 38 e svariati coltelli, parecchie riviste pornografiche, un blocco Skizzen Brunen simile a quello sequestrato al Pacciani, ritratti di donne torturate e private del seno sinistro o del pube e più in generale quadri e disegni raffiguranti scene di violenza e depravazione riconducibili alle scene rinvenute in occasione dei delitti del Mostro.
Furono in seguito repertati una pagina del quotidiano "La Nazione" del 26 marzo 1996 custodita in una copertina di plastica e riportante notizie sugli omicidi del Mostro e sui compagni di merende, più altri oggetti giudicati molto significativi e riconducibili all'esercizio di pratiche di magia nera.
Giuttari scoprì che il pittore era proprietario di un terreno e di una malmessa casa colonica sull'Appenino emiliano, che venne perquisita e messa sotto sequestro. All'interno, sulle pareti del rudere vi erano murales raffiguranti animali e donne con gli organi genitali messi in evidenza, i cui temi ricordavano i noti disegni del Pacciani. Sul posto vennero interrogati alcuni amici dell'artista, i quali diedero una versione differente dei fatti. Riferirono che Jean Claude aveva dovuto lasciare frettolosamente la villa di San Casciano perché era stato vittima delle angherie delle proprietarie (madre e figlia), che da loro era stato rinchiuso, drogato e sequestrato più volte nelle stanze della villa, infine che lo stesso pittore era stato in passato legato da una relazione sentimentale con la predetta figlia.
Si riscontra, dunque, un primo tentativo di rovesciare le parti, tentativo che tempo dopo verrà accolto favorevolmente da Giuttari. Per il momento, tuttavia, il pittore rimaneva la figura centrale della neonata indagine, quella prima rudimentale forma di pista esoterica presuntamente riconducibile ai delitti del Mostro, cui la villa di San Casciano faceva da sfondo.
Sarà lo stesso Giuttari a raccontare alcuni particolari di questa indagine nel libro "Compagni di sangue", scritto con il noto conduttore e giallista Carlo Lucarelli e pubblicato nel dicembre 1998. A proposito del pittore racconterà: "...Chi è, veramente, il pittore? Un ispiratore? Un ideologo di quelle torture sessuali, che rappresentava nei suoi quadri ma che venivano realizzate da altri? O semplicemente un ammiratore affascinato di quei delitti e di quei luoghi? Fa parte di quel secondo livello, appena sfiorato dall'inchiesta bis? La villa, che lo ha ospitato, è stata luogo di riunioni particolari tra le persone interessate a quegli omicidi, una specie di club riservatissimo composto da pervertiti con tendenze sadiche, dediti a riti satanici?..."
A proposito della famiglia, scriverà: "...e proprio successivi accertamenti sui proprietari della villa consentono di appurare che si tratta di persone dedite ai riti di magia nera."

Il pittore frattanto aveva fatto completamente perdere le proprie tracce, nonostante i ripetuti tentativi di rintracciarlo che avevano coinvolto il consolato svizzero, l'interpol, la polizia francese e i conoscenti emiliani. Erano però anche cominciate le beghe burocratiche e legali dello stesso Giuttari che lo tennero lontano dalle indagini per un paio di anni e su cui non intendiamo soffermarci più di tanto. Basti sapere che nell'agosto del 1998 il poliziotto ricevette la promozione a vicequestore vicario con annesso cambio di sede. Giuttari lo giudicò un tentativo di allontanarlo dalle indagini sul Mostro che - a suo dire - si stavano avvicinando a una verità scomoda, e si oppose al trasferimento. Ne nacque una querelle legale con i più alti organi della polizia di stato e con il Ministero degli Interni. A questa si aggiunse una feroce polemica a distanza con i poliziotti della vecchia SAM, rei a dire del Giuttari di aver trascurato importanti prove che attestavano la presenza di più persone sui luoghi del delitto, e un'altrettanto feroce polemica sulla sua neonata attività di scrittore e le sue partecipazioni a talk show televisi che mal si conciliavano con i suoi doveri di poliziotto.
Dopo due anni di dispute, minacce, denunce, ricorsi e controricorsi, Giuttari tornò a capo delle indagini sul Mostro nel 2001 per scoprire che il pittore era stato frattanto rintracciato a Montelieu sulla Costa Azzurra e aveva rilasciato una lunga intervista a un giornalista svizzero, tale Paolo Mariani. Nell'intervista il pittore si disse perseguitato per il suo gusto per l'erotismo, talvolta violento; affermò di essere completamente estraneo alla vicenda del mostro, paventando un complotto ai suoi danni, dichiarò di non aver mai conosciuto Pacciani e di aver soggiornato per un breve periodo in una villa a San Casciano gestita - testuali parole - "da una famiglia di truffatori" da cui era fuggito appena aveva potuto. A proposito di costoro aggiunse: "mi hanno rubato tutto: i miei effetti personali, i miei mobili, le mie carte, le mie opere, persino i miei ricordi.".
Giuttari volò in Francia e interrogò personalmente il pittore il 9 aprile 2001. Si ritrovò davanti un sessanticinquenne claudicante, ben deciso a rispedire al mittente tutte le accuse a suo carico e a collaborare con le forze di polizia. L'uomo dichiarò di esser giunto in Toscana solamente nel 1997 (dodici anni dopo l'ultimo delitto del mostro), ribadì di essere stato soggiogato, drogato e tenuto sotto sequestro per lungo tempo dai proprietari della villa presso cui aveva preso alloggio. In quello e negli interrogatori successivi cominciò anche a parlare delle pratiche di magia nera cui gli stessi proprietari erano dediti, facendo passare questi ultimi, in breve tempo, da sgradevoli truffatori a pericolosi satanisti.
Evidentemente il pittore venne ritenuto credibile perché passò nel giro di poche settimane da principale sospettato dell'inchiesta a testimone chiave contro i proprietari della villa.
Vennero quindi ascoltate da Giuttari tutte le persone che nel corso del tempo avevano avuto a che fare con la struttura. Fra le altre, furono raccolte le gravi testimonianze di due ex dipendenti.
La prima: "In quella casa succedeva di tutto. Nelle stanze c'erano soltanto due reti dove i vecchietti venivano tenuti tra feci e urine. Nessuno se ne curava. Un giorno uno di loro morì. Lo chiusero in una stanza e ci ordinarono di non parlarne con nessuno. I familiari dovevano ancora pagare la retta mensile e quindi non dovevano sapere che era morto. Lo tennero così per giorni. Gli anziani erano praticamente abbandonati a sé stessi."
La seconda testimonianza: "Dopo le dieci in quella villa nessuno poteva più mettere piede. Arrivavano diverse persone e si compivano riti magici e satanici. Si celebravano messe nere, cose strane, stranissime. Erano tutti strani. Ricordo la figlia della proprietaria: aveva appena sette anni, ma era una bambina che dava l'angoscia, metteva paura. Aveva sempre uno sguardo allucinato e quando usciva in giardino scavava delle buche. Diceva che costruiva le tombe. Tutti erano strani, anche quelli che venivano nella villa, ma a noi dipendenti non era permesso entrare quando scendeva la sera e venivano chiusi i cancelli."
Accuse gravi e circostanziate che avrebbero dovuto portare a conseguenze clamorose. In realà vedremo come non avrebbero condotto a nulla se non a un enorme trambusto mediatico. Della vicenda si interessarono le principali trasmissioni delle più importanti reti televisive, come "Porta a porta" (puntata del 26 settembre 2001) in cui il presentatore Bruno Vespa si crogiolò di un parterre d'eccezione fra cui spiaccavano lo stesso Giuttari, la Carlizzi (colei che per certi versi aveva aperto la strada per le indagini su quella che era stata ormai ribattezzata la "villa degli orrori") e il criminologo Francesco Bruno, che - come vedremo - avrebbe avuto, forse suo malgrado, un ruolo nella vicenda.


I servizi segreti
Nel settembre del 2001, dunque nel pieno delle indagini sulla cosiddetta "villa degli orrori", erano difatti entrati in ballo gli immancabili servizi segreti.
Tutto ebbe vorismilmente inizio con la lettura da parte della già citata Gabriella Pasquali Carlizzi del libro "Coniglio il martedì" (edito da Sperling e Kupfer nel 1993), il cui autore era tale Aurelio Mattei, psicologo e criminologo consulente del S.I.S.D.E. (Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica), i cosiddetti "servizi segreti civili".
Il libro ricostruiva in maniera romanzata i delitti del Mostro di Firenze e offriva una nuova prospettiva agli omicidi, anticipando sia la teoria dei molteplici autori (i compagni di merende sarebbero arrivati soltanto 4 anni dopo), sia la matrice esoterica degli stessi omicidi.
La Carlizzi ne era rimasta evidentemente colpita o quantomeno aveva creduto di poter individuare fra le pagine del romanzo una interessante pista da seguire e si era convinta che l'autore fosse a conoscenza di inconfessabili verità sui delitti che per ovvie ragioni non poteva divulgare pubblicamente. Dimostrando ottimo spirito investigativo e notevole tenacia, la donna era riuscita a contattate il Mattei e a ottenere un colloquio. L'incontro aveva acuito nella giornalista la sensazione che nella vicenda del mostro vi fosse stata l'ingerenza da parte di poteri occulti e deviati al fine di ostacolare la ricerca della verità.
Correva l'anno 1998 e la giornalista aveva inteso informare Giuttari di ciò che aveva scoperto, senza però ottenere grande riscontro dallo stesso, forse anche perché nello stesso periodo erano arrivate le già accennate grane legali e burocratiche che avevano tenuto il poliziotto lontano dalle indagini fino al 2001.
Come ipotizzia il blogger e ricercatore Antonio Segnini, in realtà tali grane ben si conciliavano con le idee della Carlizzi, visto che il S.I.S.D.E. era uno strumento del Ministero degli Interni e proprio da tale ministero erano partiti quelli che Giuttari considerava tentativi di fermare le sue indagini. Questo probabilmente rafforzò nel poliziotto la convinzione di essere sulla pista giusta e che appunto "i servizi" si fossero messi in moto per proteggere qualche personaggio intoccabile coinvolto nella setta che aveva come punto di ritrovo la villa di Mercatale e che commissionava i delitti del Mostro.
Per far luce sulla vicenda, nel settembre 2001, gli uomini di Giuttari si presentarono nell'abitazione romana e negli uffici di Aurelio Mattei per una perquisizione. Interrogato, lo psicologo confermò di aver collaborato con il S.I.S.D.E. e ivi di aver ricevuto dal professor Francesco Bruno la copia di un dossier riservato sui delitti del Mostro che gli era stato commissionato nel 1984 dal dottor Vincenzo Parisi, all'epoca a capo del "servizio" stesso. Da tale documento il Mattei aveva preso alcuni spunti per il proprio romanzo.
Scattò dunque la perquisizione nella casa e nei due uffici del rinomato professore, volto noto al grande pubblico per la frequente partecipazione a programmi televisivi cosiddetti generalisti.
Giuttari torchiò lo psichiatra in un interrogatorio lungo ben 9 ore, al termine del quale, volente o nolente, Bruno offrì la propria collaborazione alle nuove indagini, mettendo a disposizione i dossier che aveva redatto (uno nel 1984, uno che era il completamento del precedente nel biennio 1985-1986 dopo il delitto degli Scopeti e uno nel 1994).
Soffermiamoci un attimo su questi dossier, precisando che l'argomento sarà trattato più approfonditamente nel capitolo denominato Mostrologia minore - La teoria del professor Bruno e che qui ci limitiamo alla brevissima disamina dei due aspetti che maggiormente interessano questo capitolo.
Fondamentalmente lo psichiatra ipotizzava che i delitti commessi dal Mostro fossero "...rituali compiuti in omaggio a un qualche rito satanico di cui l'assassino è un seguace o a qualche pratica di stregoneria o magia nera" e che l'assassino avesse come propria base una clinica o una casa di cura e di riposo per anziani non autosufficienti sita a Bagno a Ripoli o a Pontassieve.
Il riferimento a delitti satanici e alla casa di cura per anziani ben si conciliava con la pista che stava seguendo Giuttari. Si rafforzò nel poliziotto la convinzione che i servizi segreti sapessero la verità sugli omicidi almeno sin dal 1984 e che lui ancora una volta fosse sulla strada giusta. Di qui le plurime dichiarazioni vittoriose rilasciate alla stampa dallo stesso Giuttari:
"Abbiamo fatto un bel passo avanti, il cerchio si stringe" (Repubblica, 7 settembre 2001) o ancora "...(vi è) la certezza che dietro i duplici delitti del mostro di Firenze c'era un movente esoterico. Ora non si tratta più di indizi, abbiamo le prove documentali..." (Repubblica, 6 ottobre 2001).
Nota a margine, l'ipotetica clinica o casa di cura per anziani cui aveva fatto riferimento il professor Bruno non c'entrava geograficamente nulla con la villa di Mercatale su cui aveva puntato Giuttari.
A ogni modo, l'ennesima presunta ingerenza dei Servizi Segreti in una storia di cronaca nera non fu accolta di buon occhio da tutti. Diversi furono gli articoli che cominciarono a ironizzare sulla piega che stavano prendendo le indagini. La sensazione era che in Italia quando una qualsiasi vicenda cronachistica non avesse soluzione, venivano tirati in ballo i cosiddetti poteri forti, quasi a giustificare la difficoltà delle indagini e ad acquietare le coscienze di quanti erano allla ricerca di una verità.
Degno di nota un articolo apparso su "L’Unità" a firma del filosofo e scrittore Sergio Givone, dal titolo "Il mostro di Firenze tra sette e 007". Ne riportiamo uno stralcio tratto dal blog "Quattro cose sul mostro":
"E così, dopo la coda del diavolo, spunta anche quella perfin più diavolesca dei servizi segreti. Non era bastato ipotizzare che dietro il mostro di Firenze ci fossero personaggi arcimostruosi: ricchi professionisti, imprenditori, docenti universitari che abbisognando di organi sessuali di giovani donne per certi riti satanici non trovarono di meglio che commissionarli a Pacciani e ai suoi compagni di merenda. Adesso, a distanza di poche settimane da quelle sensazionali rivelazioni, vengono tirati in ballo i servizi segreti; che, abituati come sono a coprire e a depistare, farebbero lo stesso anche con le indagini sul mostro..."
Frattanto, a livello penale, era stato dapprima aperto un procedimento giudiziario nei confronti del proprietari della villa per rapina, sequestro di persona e calunnia; in seguito, nel 2002, da questo fu scorporato un secondo fascicolo riguardante l'ipotetico reato di "favoreggiamento personale nei confronti degli ignoti mandanti di omicidio continuato addebitati al c.d. Mostro di Firenze".
Ne derivarono numerosi ed estenuanti interrogatori e nuove e più approfondite perquisizioni su tutte le proprietà della famiglia, al fine di trovare le prove che legavano definitivamente la setta satanica alle vicende del Mostro. In particolare si cercava una fantomatica stanza segreta all'interno della struttura dove tali prove erano presuntamente custodite.
Frattanto la famiglia o ciò che ne rimaneva, ormai salita ai disonori della cronaca come dedita al satanismo e a capo di una setta che commissionava i delitti del mostro, era stata costretta ad abbandonare tutto e trasferirsi altrove. Le persone indagate, prostrate dalla vicenda, denunciarono più volte, tramite i propri legali, oltre alla catastrofica gogna mediatica di cui erano rimaste vittime, anche le prepotenze che - a loro dire - dovettero subire da parte degli organi inquirenti.

Alla fine tutto si dissolse in una bolle di sapone. Le indagini sulla famiglia non produssero alcun risultato e il gran clamore mediatico svanì improvvisamente così come era iniziato.
La gran mole di interrogatori non produsse nulla di penalmente rilevamente. Alle capillari e invasive perquisizioni seguì qualche scusa per il disturbo e null'altro.
E le parole delle infermiere su ciò che avveniva nella casa di riposo durante gli anni '80? Forse avevano mentito per un qualche imperscrutabile motivo; forse, come sosteneva Filastò, si trattava di "...un paio di dipendenti licenziati, e per questo pieni di malanimo". Quel che è certo è che a tali dichiarazioni non furono mai trovati riscontri di alcun tipo.
Dopo tre ulteriori lunghissimi anni in cui le indagini parvero arenate e dopo svariate minacce da parte degli avvocati della famiglia di fare ricorso alle istituzioni superiori, il 17 settembre 2005 il titolare dell'inchiesta, il dottor Paolo Canessa, ne chiese l'archiviazione con le seguenti parole:
"...i fatti addebitati alle indagate si fondano esclusivamente su ipotesi di Polizia Giudiziaria che non hanno trovato né al momento della stesura della nota, né successivamente, elementi concreti di riscontro per cui non appare possibile sostenere l'accusa in giudizio in ordine al reato ipotizzato...".

Per la famiglia, anni di tribolazioni e sofferenze immotivate, dunque.
Per le indagini, uno smacco.
Per Giuttari si doveva semplicemente cercare altrove. In lui si era ormai insediata l'idea di una setta che aveva commissionato i delitti del Mostro ai Compagni di Merende. Per Giuttari, a capo dei "compagni" vi era Pacciani, il quale per un verso era fortemente interessato alla magia (nella sua abitazione erano stati sequestrati un tabellone per sedute spiritiche, un libro sui demoni e non meglio precisate ricette magiche), per un altro verso era profumatamente pagato dai mandanti per commettere quegli omicidi. Inoltre, da un lato i suddetti "compagni" si riunivano a casa del mago Indovino, dove - a sentire la Ghiribelli - si sarebbero consumate orge a base di sesso e magia; dall'altro gli esponenti di più alto livello della setta si riunivano in una qualche villa dei dintorni, che a quel punto evidentemente doveva ancora essere identificata.
Ben presto il poliziotto avrebbe creduto di essere nuovamente sulla pista giusta con l'individuazione, tramite altre vie, del dottor Francesco Calamandrei come uno dei capi della setta e il collante fra i vari membri, e del dottor Francesco Narducci come uno dei maggiori esponenti.
Ma prima di parlare dei personaggi appartenenti a questo fantomatico secondo livello, è bene soffermarci un attimo sulla situazione patrimoniale del Pacciani e di come questa sia evoluta nel corso degli anni, soprattutto negli anni dei delitti.


8 commenti:

  1. Salve, questo articolo é presente o c'è solo il titolo??

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    1. A breve sarà disponibile, pochi giorni ancora.
      Ciao.

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    2. Ciao, complimenti per l'ottimo lavor, ma questo capitolo non è ancora disponibile? grazie

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  2. Ciao non hai una newsletter? vorrei essere aggiornata hai un blog fantastico!

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  3. blog fantastico, documentato molto bene, ma anche appassionante come un romanzo di s.king. Ma questo capitolo mancante è in programma di essere pubblicato? Lo aspetto con grande curiosità!

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  4. Capitolo finalmente pubblicato. Buona lettura e saluti a tutti.
    L.

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