Il farmacista


Il dottor Francesco Calamandrei è stato l'unico imputato al Processo contro i presunti mandanti dei delitti del Mostro di Firenze.
Nato il 27 Agosto 1941, proveniente da ottima e benestante famiglia, fu amico di infanzia di Giulio Zucconi, il ginecologo che negli anni dei delitti era sospettato di essere il MdF. Amico dai tempi dell'università anche del giornalista Mario Spezi, con cui negli ambienti mostrologici si tramanda avesse condiviso movimentate serate all'insegna della goliardia. All'università conobbe anche il Sertoli, un altro poi rientrato nel giro dei sospettati. Ereditò la farmacia nel cuore di San Casciano che era stata del padre e del nonno. Nel 1969 si sposò con la signora Mariella Ciulli, la coppia ebbe due figli, Francesca e Marco. Non fu probabilmente un matrimonio felice: lui era affetto da sindrome di disturbo bipolare, lei aveva sofferto sin dalla più tenera età di vari disturbi psicologici. Si separarono nel 1985. Il divorzio acuì probabilmente l'instabilità mentale della signora Ciulli.
Rancorosa nei confronti del marito e ossessionata dalla vicenda del Mostro di Firenze, la donna lentamente cominciò a sovrapporre le due figure nella sua mente, intraprendendo un percorso irreversibile di allontanamento dalla realtà. Fra gli appunti della dottoressa che l'aveva in cura, Adima Ringressi, è possibile leggere l'evoluzione della malattia della povera Mariella Ciulli.


Le accuse della moglie
Tre anni dopo la separazione, nel 1988, l'ex signora Calamandrei si recò presso la stazione dei carabinieri di San Casciano dove riferì di aver visto anni prima il marito con una pistola beretta e di aver trovato in un frigorifero di casa i feticci strappati alle vittime del mostro di Firenze. Furono immediatamente effettuati controlli e perquisizioni in casa Calamandrei, ma non fu rinvenuto nulla di particolarmente indicativo per le indagini. Sul momento la faccenda sembrò finire lì.
La donna però non si rassegnò. Nonostante le fosse stata diagnosticata una psicosi schizoaffettiva di tipo depressivo, continuò la sua battaglia per consegnare alla giustizia il suo ex marito mostro. Contattò più volte Renzo Rontini, il padre della povera Pia uccisa a Vicchio nel 1984, raccontandogli con precisione e dovizia di particolari le sue convinzioni e le prove che aveva raccolto. A quanto riferisce nell'udienza del 5 febbraio 2008 del Processo Calamandrei l'avvocato Patrizio Pellegrini, parte civile per i coniugi Rontini, lo stesso Renzo non ritenne attendibili le accuse della Ciulli, pregandola di rivolgersi al dottor Ruggero Perugini, all'epoca a capo della SAM (Squadra Anti Mostro). Perugini, a sua volta, non credette a una singola parola di quanto sosteneva la donna.
La Ciulli non si perse d'animo e divenne presenza fissa nei locali della SAM, ove soleva ripetere con pazienza le solite accuse.
Il 21 Marzo 1991, si presentò alla questura di Firenze dove rese alcune dichiarazioni inerenti al delitto del 1968 a Signa in cui furono uccisi la Locci e il Lo Bianco.
La donna dichiarò che la notte del duplice omicidio, lei e l'allora suo fidanzato Francesco Calamandrei, rientrando da una cena, passarono proprio dal luogo del delitto udendo gli spari. Terminata l'azione omicidiaria, si fermarono a curiosare e notarono un bambino (ovviamente Natalino Mele, NdA) che il marito accompagnò a casa del De Felice. Il giorno dopo lei e il Calamandrei tornarono sul luogo del delitto, il farmacista curiosò attorno alla macchina e raccolse qualcosa da terra che subito nascose. La donna aggiunse che Francesco Calamandrei era possessore di una pistola ereditata dal padre di cui si disfece il giorno dopo il delitto degli Scopeti buttandola a mare da Punta Ala.
Nell'aprile del 1991, la Ciulli ribadiva queste accuse negli uffici della SAM. Come si appura dal blog "Quattro Cose Sul Mostro", fu inviato un rapporto dalla SAM stessa al Procuratore Pier Luigi Vigna in cui era riportato:
"In data 11.04.1991 la Ciulli si ripresentava alla SAM per integrare le sue precedenti dichiarazioni ed esternava rammarico per quella che considerava inerzia da parte della P.G. e della A.G. in ordine alle accuse da lei mosse nei confronti del marito. Pertanto la Ciulli veniva sentita a verbale dalla S.V. il 16 aprile 1991 alle ore 16.45. Emergeva con tutta evidenza la inattendibilità della teste, nonché la incrollabile volontà di nuocere al Calamandrei in quanto la stessa sosteneva di essersi nuovamente recata con lui sul luogo del delitto il pomeriggio seguente all'omicidio del 1968 e di aver preso una coperta da dentro l'auto degli uccisi mentre il Calamandrei aveva preso un beauty-case. La S.V. contestava alla Ciulli che ciò non poteva essere vero perché dagli atti processuali risultava che l’auto era stata rimossa e posta sotto sequestro presso la Compagnia di Signa alle ore 9.30 del giorno 22.8.1968, poche ore dopo il delitto, avvenuto nella notte precedente. Dal momento in cui furono rinvenuti i cadaveri del Lo Bianco e della Locci l'auto fu piantonata dai CC fino alla rimozione. La Ciulli prese atto della contestazione, si dichiarò sollevata nella coscienza e disse che l'auto da lei vista quel pomeriggio era sicuramente un'altra vettura".

Eppure dopo breve tempo, la donna ritornò alla carica con le accuse al marito. Chiunque abbia raccolto le testimonianze della Ciulli sostiene che a sentirla parlare non si sarebbe mai detto che fosse affetta da un qualche disturbo psichiatrico. Era estremamente coerente, lucida e precisa nei suoi particolareggiati racconti, tanto da instillare inevitabilmente il dubbio nei suoi interlocutori, soprattutto in coloro che non avevano una profonda conoscenza della "vicenda mostro", che quelle accuse potessero avere un certo fondamento. Lo stesso Rontini, pur profondamente scettico ma nel contempo strenuamente impegnato nella spasmodica ricerca degli assassini di sua figlia, nella primavera del 1992 decise di contattare telefonicamente il Calamandrei nella sua farmacia a San Casciano per invitarlo a un colloquio privato e cercare di capire cosa ci fosse di vero nelle dichiarazioni della moglie. Il colloquio fra i due si tenne a Vicchio nella casa di Renzo Rontini e dovette concludersi positivamente, perché al termine dello stesso il Calamandrei, a detta della sua compagna, apparve visibilmente sollevato.

La Ciulli frattanto continuava imperterrita con le accuse nei confronti dell'ex marito, coinvolgendo altri ben noti personaggi, come Vigna e il giornalista Mario Spezi. Nel dicembre del 1991, confidò infatti a un sacerdote che un gruppo di persone molto altolocate, fra cui suo marito, suo figlio e il Procuratore Vigna, stava progettando l'ennesimo duplice omicidio del "Mostro", da compiersi alla Madonna del Sasso a Pontassieve.

Con l'arrivo di Giuttari, le dichiarazioni della Ghiribelli e con il conseguente inizio delle indagini sui mandanti e sulla pista esoterica, nel luglio del 1998 il Calamandrei subì una lunga perquisizione, al termine della quale venne sequestrato vario materiale per lo più suggestivo: quadri, libri di magia, appunti dello stesso farmacista che erano probabilmente stati scritti nei periodi di più acuta depressione dovuta alla sua malattia e in cui aveva riversato i malesseri e i fallimenti di una vita.
A dispetto delle esternazioni della Ciulli che erano ormai divenute sempre più deliranti, gli inquirenti iniziarono davvero a ritenere che il dottor Calamandrei potesse essere non solo coinvolto nei delitti, ma anche il trait d'union fra i mandanti dei delitti, i cosiddetti notabili, e la bassa manovalanza (Pacciani, Vanni e Lotti).
Risulta a questo punto doveroso elencare alcuni aspetti della vicenda e della vita del Calamandrei che - partendo proprio dalle accuse della moglie - hanno potuto far nascere i sospetti in seno agli inquirenti:
● la conoscenza fra Calamandrei e il dottor Giulio Zucconi, a lungo sospettato da voci di popolo di avere a che fare con i delitti del Mostro;
● la conoscenza fra Calamandrei e il dottor Francesco Narducci, anche lui sospettato di aver avuto a che fare con i delitti: una conoscenza che il farmacista ha sempre negato, ma che sembrava venire attestata da diverse testimonianze (vedremo nel prossimo capitolo quanto attendibili);
● le dichiarazioni del Pacciani all'avvocato Fioravanti, secondo cui il farmacista Calamandrei era uomo fortemente interessato a pratiche di magia. Il che di per sé non è reato, ma rappresenta sicuramente un indizio suggestivo agli occhi di chi cerca mandanti dediti a pratiche di magia e riti esoterici;
● una lettera scritta dal Vanni, mentre era in carcere, indirizzata proprio al farmacista. Una lettera che sembra innocua, come le tante che scrisse il Vanni nel periodo di detenzione, cercando aiuto presso diversi conoscenti e notabili di San Casciano, ma che per l'Accusa indicava una conoscenza pregressa fra le parti. La lettera recitava testualmente:
"Carissimo Farmacia Calandrei gli scrivo questa lettera per farli sapere che stò male in 9 mesi non mi è riuscito di telefonare alla moglie Luisa che schifo cari farmacisti che vergogna è questa non ne posso più di stare in galera non ho fatto nulla è una vergogna questa e chiedo la Nazione e non la portano da 10 giorni che sistema è questo… Mi ha detto il mio avvocato di Firenze che fino al processo non mi mandano a casa il signor giudice Vigna e Canessa insomma siamo a un bel punto ha detto l'avvocato Pepi Gianpiero che stia tranquillo e beato ci vuole pazienza insomma. Quando tornerò a casa faremo un bel carteggio se lo permette il Maresciallo perché io sono innocente non ho fatto nulla di male e vi faccio tanti saluti a Francesca e signorina farmacista. Arrivederci a presto tanti saluti Vanni Mario".
● infine ci sarebbero le dichiarazioni della signora Rossana Mascia, donna di origini campane, compagna del Calamandrei nei primi anni '90. La Mascia ebbe modo di dipingere agli inquirenti il farmacista come una specie di strozzino, dedito all'alcool, alla cocaina, agli psicofarmaci, talvolta violento, in preda a turbe psichiche e profondamente attratto dalla magia.
Inoltre, la donna stessa confermò paradossalmente la faccenda già raccontata dalla Ciulli riguardo la pistola buttata in mare da Punta Ala. A suo dire infatti fu lo stesso Calamandrei a raccontarle questo particolare e le riferì di essersi disfatto di quella pistola per evitare noie burocratiche.
Infine, sempre la Rossana riferì del colloquio fra Rontini e Calamandrei avvenuto nella primavera del 1992. Dalle sue dichiarazioni emerge che il farmacista appariva molto turbato all'idea di incontrare il padre di una delle vittime del mostro e chiese alla donna di accompagnarlo, in modo da dare l'impressione al Rontini di avere una vita normale, una compagna, degli affetti. Stando sempre alle dichiarazioni della signora Rossana, dopo l'incontro (cui lei comunque non aveva assistito) il Calamandrei apparve estremamente sollevato, come se avesse "scansato un pericolo".

Nessuno dei punti sopra elencati aveva e ha tuttora il benché minimo valore probatorio, anzi alcuni appaiono decisamente pretestuosi come la lettera del Vanni, tuttavia inseriti in un contesto di testimonianze, alcune delle quali presuntamente concordanti, che individuavano in Calamandrei il punto di contatto fra i mandanti dei delitti e i sicari prezzolati, potevano avvallare un quadro indiziario su cui le Procure di Firenze e Perugia stavano concentrando i propri sforzi.
Frattanto, nel 1999 Calamandrei vendette la farmacia. Nel 2000, la Ciulli, in seguito a perizia psichiatrica, fu interdetta. Le indagini proseguirono e la pista relativa a un secondo livello dedito a riti esoterici prese sempre più corpo. Nel 2004 fu disposta una nuova imponente perquisizione a casa del farmacista, durante la quale fu sequestrato diverso materiale definito "utile per le indagini". Contemporaneamente gli fu notificato un avviso di garanzia, in quanto ritenuto uno dei mandanti degli ultimi cinque duplici omicidi attribuiti al cosiddetto Mostro di Firenze (da ottobre 1981 a Calenzano a settembre 1985 a Scopeti). Successivamente nella richiesta di rinvio a giudizio del 4 dicembre 2006 l'imputazione per il duplice delitto di Calenzano venne meno, probabilmente perché per quel delitto non esisteva per la Giustizia un esecutore materiale e dunque non potevano esistere i mandanti.
Nel 2005 il Calamandrei ricevette un nuovo avviso di garanzia da parte della Procura di Perugia per concorso nell'omicidio del dottor Francesco Narducci. Secondo la Procura perugina, Narducci, che faceva parte del gruppo di notabili che commissionava i delitti del Mostro, avrebbe avuto un ripensamento dopo il duplice delitto del 1985; probabilmente avrebbe voluto lasciare il gruppo o peggio ancora parlare, in ogni caso rappresentava una minaccia per i suoi facoltosi complici. Il Calamandrei avrebbe perciò ordinato il suo omicidio per assicurare a se stesso e agli altri l'impunità dai delitti del mostro.
Nel 2009, il farmacista fu prosciolto da quest'ultima accusa perché non erano emerse prove durante le indagini preliminari (vedasi capitolo Una morte misteriosa).
Aveva frattanto però preso il via il processo fiorentino ai presunti mandanti.


Il Processo
A Firenze, il 27 Novembre 2007 ci fu la prima udienza del Processo con rito abbreviato, presieduto dal GUP, dottor Silvio De Luca, che vedeva imputato il dottor Francesco Calamandrei come mandante dei delitti del Mostro Firenze.
L'accusa era sostenuta dai PM Paolo Canessa e Alessandro Crini; la difesa era a carico dell'ottimo avvocato Gabriele Zanobini, lo stesso che aveva difeso Alberto Corsi durante il processo ai CdM. Si trattava anche in questo caso di un processo puramente indiziario. Prove che supportassero non solo la colpevolezza del Calamandrei ma anche l'esistenza dei mandanti, non vi erano, in più la principale testimone dell'Accusa, Gabriella Ghiribelli, era venuta a mancare meno di tre anni prima, privando di fatto la Procura della propria arma migliore.
Il processo fu funestato dalla morte per overdose del figlio dell'imputato, Marco, il 4 marzo 2008 in quel di Arezzo.
Il 6 Maggio, la Pubblica Accusa chiese l'ergastolo (da ridursi a 30 anni per via del rito abbreviato) nei confronti dell'imputato per associazione a delinquere finalizzata all'omicidio e al concorso degli ultimi quattro delitti attribuiti al Mostro di Firenze. La Procura identificò nel Calamandrei l'intermediario fra i compagni di merende (Pacciani, Vanni, Lotti) e i notabili che usavano i feticci in riti satanici e orgiastici all'interno di villa "La Sfacciata" in via di Giogoli.
Ciò che però sembrava non tornare nel teorema della Pubblica Accusa e che l'avvocato Zanobini non mancò di sottolineare più volte durante la sua mirabile arringa difensiva, era che nei delitti del 1982 (Baccaiano) e del 1983 (Giogoli) non erano stati asportati feticci dalle vittime femminili. Dunque, nei primi due omicidi per cui il Calamandrei era imputato, era venuto a mancare il motivo principale per cui quegli stessi delitti erano stati commissionati; mentre nei successivi due delitti (Vicchio e Scopeti), gli unici due fra i mandanti gaudenti che vivevano a villa "La Sfacciata" (il Reinecke e il Parker), avevano già da qualche mese abbandonato la zona per trasferirsi altrove (vedasi capitolo Il secondo livello).
Il Calamandrei si sarebbe quindi ritrovato a fare da intermediario fra i notabili e i killer prezzolati in quattro omicidi il cui fine era quello di portare all'interno di Villa "La Sfacciata" i feticci, ma in due di questi quattro omicidi non c'erano feticci e negli altri due non era più disponibile la villa in quanto lasciata dai due mandanti che la abitavano. Veniva dunque a cadere il movente o meglio il collegamento omicidi-feticci-riti, su cui basava le proprie fondamenta il teorema dell'Accusa.

Il 21 Maggio 2008, il giudice De Luca assolse l'imputato da ogni accusa perché il fatto non sussisteva. La sentenza affermava testualmente:
"I sillogismi dell'Accusa non si sono tradotti in indizi gravi, precisi e concordanti, ma sono risultati solo ipotesi, inizialmente anche plausibili, ma non collegate da riscontri oggettivi".
La Pubblica Accusa non intese fare ricorso contro la sentenza.
Dopo l'assoluzione il Calamandrei commentò amaramente: "Sono contento, ma io sono stato condannato già nel 1988, quando iniziò per me questa vicenda. Questa assoluzione non risarcisce di 20 anni di sofferenze."
Francesco Calamandrei morì il primo maggio 2012 nell'androne del proprio palazzo a San Casciano Val di Pesa, stroncato da un malore, profondamente provato nel fisico e nello spirito dalle infamanti accuse. Morì - è opportuno ribadirlo - da persona innocente.

Col senno di poi, come visto, è plausibile sostenere che le sfortune giudiziarie del dottor Calamandrei abbiano avuto origine dall'insistenza con cui la moglie ha martellato per anni gli inquirenti, finché non ha trovato dall'altra parte il contesto e le persone giuste perché le sue accuse potessero essere non solo ascoltate ma anche prese in seria considerazione.
Eppure, a un'attenta lettura dei fatti, non si può non riconoscere come i resoconti che la Ciulli ha fatto nel corso degli anni agli inquirenti e ai suoi occasionali interlocutori (da Renzo Rontini in giù), sebbene in apparenza lucidi e precisi, fossero davvero il confuso disegno di una persona che, morbosamente ossessionata dalla vicenda del Mostro e rancorosa verso il marito, cercava anche piuttosto ingenuamente e sicuramente in maniera farneticante di far quadrare tutti i punti oscuri della vicenda, attingendo a piene mani a fatti ed eventi realmente accaduti e adattandoli al meglio alla figura del proprio marito.
Per esempio, quando la Ciulli riferisce di aver trovato i feticci custoditi dal marito in un frigorifero appare un chiaro riferimento alla incresciosa vicenda del già citato dottor Garimeta Gentile (vedasi capitolo dedicato all'omicidio delle Bartoline), allorché dopo il delitto delle Bartoline si era sparsa la diceria popolare che la moglie del ginecologo avesse fatto l'insana scoperta dei feticci in un frigorifero.
Il racconto dell'episodio avvenuto in occasione del delitto del 1968, improponibile per chi conosce l'evoluzione dei fatti a Signa, ne è un altro lampante esempio: il Calamandrei e la Ciulli che passarono dal luogo del delitto, il marito che accompagnò il piccolo Natalino Mele (dando finalmente spiegazione a come questi fosse riuscito ad arrivare a casa dei De Felice), sempre loro due che tornarono sul luogo del delitto il giorno successivo, il marito che frugò all'interno dell'automobile (da notare che nella realtà la stessa era stata già rimossa dalle forze dell'ordine) e trovò la pistola (dando finalmente spiegazione al famoso passaggio dell'arma dai sardi al mostro).

A oggi (primo scorcio del 2020) la signora Mariella Ciulli, di anni 72, risulta essere ancora in vita, assistita dalla figlia Francesca, la stessa che ha lottato strenuamente per l'innocenza di un padre che era rimasto vittima delle infamanti accuse della madre.
E comunque la si pensi, non si puó non ammirare l'incredibile tempra e forza d'animo di Francesca, tuttora impegnata tenacemente nella difesa della memoria del padre.


2 commenti:

  1. Povero uomo accusato ingiustamente da gente fuori di testa.Che purtroppo comandano anche.

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  2. Non ci posso credere! ma come si fa ad ipotizzare simili boiate! i feticci in frigo??? pacciani che glieli porta incartati magari nella cartapaglia da macellaio a peso.

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