Il Processo ai CdM


Il 20 Maggio 1997 ebbe inizio il processo di primo grado, presieduto dal dottor Federico Lombardi, ai cosiddetti Compagni di Merende.
Imputati a vario titolo erano:
Mario Vanni, accuato dal Lotti di essere stato complice del Pacciani negli ultimi cinque duplici omicidi attribuiti al Mostro di Firenze;
▪ lo stesso Giancarlo Lotti, autoaccusatosi di aver partecipato agli ultimi quattro duplici omicidi commessi dal Mostro;
Giovanni Faggi accusato sempre dal Lotti di essere stato basista nel delitto delle Bartoline (ottobre 1981) e guardone nel delitto degli Scopeti (1985);
▪ infine l'avvocato sancascinaese Alberto Corsi per il reato minore di favoreggiamento.
Il colleggio difensivo era costiuito rispettivamente:
▪ dagli avvocati Giangualberto Pepi e Nino Filastò per Mario Vanni (a processo in corso subentrò l'avvocato Antonio Mazzeo al posto dell'avvocato Pepi, in palese conflitto con Filastò);
▪ dall'avvocato Stefano Bertini per Giancarlo Lotti;
▪ dagli avvocati Sigfrido Feynes e Federico Bagattini per Giovanni Faggi;
▪ infine dall'avvocato Gabriele Zanobini per Alberto Corsi.

La Pubblica Accusa era anche in questo caso rappresentata dal Sostituto Procuratore Paolo Canessa, che si era districato ottimamente in occasione del Processo Pacciani.
A tal proposito, giova ricordare che le indagini che avevano portato al nuovo Processo erano nate proprio da una costola del Processo Pacciani. La Sentenza Ognibene aveva, infatti, condannato il contadino di Mercatale all'ergastolo per 7 degli 8 duplici omicidi attribuiti al Mostro, con esclusione di quello del 1968, ma nel contempo aveva invitato gli inquirenti a continuare le indagini perché giudicava poco probabile che l'imputato avesse commesso tutti i delitti da solo e in special modo il delitto del 1985 la cui dinamica poteva far supporre il coinvolgimento di più persone.
Come già visto nel capitolo dedicato al Processo Pacciani, c'erano infatti state alcune testimonianze (su tutte quella di Lorenzo Nesi) che spingevano verso la tesi di più persone presenti agli Scopeti la sera del duplice omicidio. Nesi affermava infatti di aver visto il Pacciani in automobile in compagnia di un'altra persona non identificata la sera in cui verosimilmente era avvenuto il delitto e in un luogo non lontano dalla piazzola degli Scopeti.
Inoltre, la testimonianza resa a processo dal miglior amico di Pacciani, Mario Vanni, era stata così reticente da indispettire il presidente Ognibene e la Corte, ma anche da far convergere su di lui l'interesse della Procura di Firenze.
Succedeva così che mentre Pacciani veniva assolto in secondo grado, la Procura indagava serratamente sui suoi complici fino a giungere all'arresto e all'istituzione di un nuovo e ben più complesso processo. Un processo che stavolta aveva due testimoni oculari, di cui uno reo confesso per gli ultimi quattro duplici omicidi attribuiti al Mostro di Firenze.

Anche questo dibattimento vide l'alternarsi di momenti ad altissima tensione emotiva con altri involontariamente comici che col tempo sarebbero finiti per diventare veri e propri tormentoni del web. Fra i momenti più toccanti annoveriamo sicuramente la deposizione resa dal sempre presente Renzo Rontini o l'ira di quest'ultimo verso l'avvocato Filastò che legittimamente tentava di difendere dalle infamanti accuse il suo assistito, quel Vanni che Rontini riteneva senza dubbio alcuno essere stato il feroce torturatore della propria adorata figlia.
Fra i momenti di involontaria comicità, impossibile non citare la deposizione del Nesi e i suoi aneddoti coloriti ("la Manfredi, la prostituta molto signora") o la celebre invettiva del Vanni contro Canessa ("il malaccio inguaribile") e l'altrettanto famosa risposta del PM ("le minacce a me sono acqua 'alda").


La Fiat 124 blu
Il momento forse più importante (almeno col senno del poi) dell'intero dibattimento si ebbe verso la fine del processo, in data 16 marzo 1998 (vedasi relativa appendice), quando il difensore di Mario Vanni, l'avvocato Nino Filastò, interruppe la requisitoria finale degli avvocati di Parte Civile per chiedere la riapertura dell'istruttoria sulla base di nuovi documenti di cui la Difesa del Vanni era venuta in possesso.
Si trattava del documento che attestava l'acquisto da parte del Lotti nel luglio del 1985 di un'automobile Fiat 124 blu che in teoria andava a sostituire la Fiat 128 rossa, l'automobile che secondo gli inquirenti la Ghiribelli aveva visto nella piazzola degli Scopeti la presunta sera del duplice omicidio. Dunque, secondo la Difesa del Vanni, se Lotti aveva acquistato una 124 blu nel luglio del 1985, in settembre non possedeva più la 128 rossa. Di conseguenza, l'automobile vista agli Scopeti non era quella di Giancarlo Lotti.
La Corte approvò la riapertura dell'istruttoria.
La difesa del Lotti, nella persona dell'avvocato Stefano Bertini, presentò tuttavia un documento secondo cui la Fiat 128 rossa era stata assicurata dal Lotti fino al 20 settembre 1985 e dunque, indipendentemente dall'acquisto di una nuova vettura, fino a quella data il Lotti aveva sicuramente guidato la 128 rossa. Di conseguenza, l'automobile vista agli Scopeti era certamente la sua.
Da notare la perversa ironia del gioco delle parti processuali che si era venuta a creare: la difesa del Vanni forniva documenti che scagionavano il Lotti, la difesa del Lotti forniva documenti che invece lo collocavano sulla scena del crimine, di fatto accusandolo di complicità con il Pacciani e il Vanni stesso.
In questa fase processuale, comunque, i difensori del Vanni non avevano ancora i documenti relativi all'assicurazione della nuova automobile, né tantomeno erano a conoscenza dei due incidenti che il Lotti aveva avuto con questa nell'estate del 1985. Per tale motivo non risultò subito chiaro quale delle due vetture fosse assicurata e quale delle due il Lotti guidasse in quel settembre 1985. Né d'altra parte, i diversi testimoni convocati a deporre sul tema furono in grado di chiarire questo aspetto.
Chiamato nuovamente a rispondere alle domande delle Parti per far chiarezza sul punto, Lotti dichiarò confusamente di aver guidato fino al 20 settembre 1985 esclusivamente la 128 rossa, in quanto fino a quella data non aveva ancora eseguito la voltura dell'assicurazione sulla nuova automobile. Nell'occasione il Lotti apparve, oltre che poco chiaro nelle spiegazioni, anche piuttosto infastidito di dover rispondere nuovamente alle domande in aula. Fu a questo punto che, per la prima volta, subì una dura reprimenda da parte del presidente Federico Lombardi a causa del suo atteggiamento ambiguo e a tratti arrogante.

Alla fine, almeno in questa fase processuale, sembrò se non proprio plausibile, almeno possibile, che il Lotti avesse sì acquistato la 124 blu in luglio (si scoprirà in seguito che in realtà l'acquisto era avvenuto in maggio), ma avesse cominciato a circolare con la nuova automobile dopo il 20 settembre 1985 (ben dopo dunque il duplice delitto degli Scopeti). L'episodio dell'acquisto della "nuova" vettura non venne dunque tenuto in debita considerazione.
Il dibattimento riprese regolarmente il proprio corso e, meno di una settimana dopo, il 24 marzo 1998, arrivò la sentenza di condanna all'ergastolo per Mario Vanni, giudicato complice del Pacciani negli ultimi cinque duplici omicidi commessi dal Mostro (Calenzano, Baccaiano, Giogoli, Vicchio e Scopeti) e a trent'anni per Giancarlo Lotti, giudicato complice di Pacciani e di Vanni negli ultimi quattro duplici omicidi del Mostro (da Baccaiano a Scopeti). Vennero invece assolti il Faggi e il Corsi.
La sentenza di primo grado in questo caso invitava gli organi inquirenti a proseguire le indagini e a fare luce sul famigerato dottore che aveva commissionato gli omicidi e pagato i feticci al Pacciani, vicenda cui aveva accennato Lotti sia nella famosa lettera alla questura di Firenze, sia vagamente in sede processuale.


Il Processo d'Appello ai CdM
Ovviamente gli avvocati difensori del Vanni presentarono ricorso nei confronti della sentenza di primo grado. Anche la Pubblica Accusa presentò un suo ricorso, in questo caso per l'assoluzione del Faggi. Non intese, invece, far ricorso per l'assoluzione dell'avvocato Corsi, che dunque - fortuna sua - uscì definitivamente di scena dopo il processo di primo grado.
In data 17 maggio 1999 ebbe inizio il Processo d'Appello contro i CdM. A presiedere le udienze in qualità di giudice era il dottor Arturo Cindolo; consigliere relatore era il dottor Bruno Loche.
Nel frattempo la Difesa del Vanni era riuscita a entrare in possesso delle carte che permettevano di chiarire la questione relativa all'assicurazione delle due automobili del Lotti. In udienza, gli avvocati Filastò e Mazzeo riuscirono a dimostrare senza tema di smentita che ben prima del delitto degli Scopeti il Lotti guidava già la nuova automobile, sbugiardando clamorosamente le dichiarazioni dello stesso Lotti rilasciate in primo grado.
Colpo di scena, di fronte alle nuove carte, anche la Pubblica Accusa, rappresentata nell'occasione dal Procuratore Generare, dottor Daniele Propato, chiese inaspettatamente l'assoluzione del Vanni e la condanna a 18 anni di carcere per calunnia nei confronti di Giancarlo Lotti.
Un incubo per la Procura di Firenze, che sembrava rivivere le stesse tribolate vicissitudini del processo Pacciani: condanna in primo grado, assoluzione in secondo.
Pur tuttavia, il pur valido lavoro della difesa di Mario Vanni non riuscì - almeno a parere dei giudici di secondo grado - a fornire la prova decisiva per l'assoluzione del Vanni.
Il 31 maggio 1999 fu infatti confermata la condanna all'ergastolo per Mario Vanni per gli ultimi quattro duplici omicidi commessi dal Mostro (gli venne espunta la colpevolezza per l'omicidio di Calenzano) e fu ridotta a 26 anni di reclusione la condanna di Giancarlo Lotti.
La sentenza di secondo grado, a differenza della precedente ad opera del giudice Lombardi, definiva però inconsistenti le dichiarazioni del Lotti su un presunto dottore che commissionava i delitti e pagava i feticci, tacciandole come semplici illazioni.
Il 26 settembre del 2000 la Cassazione confermò in maniera definitiva le condanne.

Nei successivi capitoli, studieremo nel dettaglio sia gli imputati coinvolti nel processo ai CdM, sia i cosiddetti testimoni algebrici.
E della questione dell'assicurazione torneremo a parlare in maniera più esaustiva nel capitolo dedicato a Giancarlo Lotti.


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