Via Faltignano


Dalle testimonianze raccolte dalla Procura di Firenze, in buona parte addebitabili a Gabriella Ghiribelli, il punto di incontro fra i personaggi coinvolti nella vicenda del Mostro di Firenze sembrava essere la casa del mago Salvatore Indovino, sita in via Faltignano 5A, a circa due chilometri di distanza dalla piazzola degli Scopeti, luogo dell'ultimo delitto del Mostro.
Lo stesso Indovino diveniva figura centrale delle indagini e - secondo la Procura fiorentina - personaggio chiave nei delitti del Mostro.
Prestando infatti fede alle dichiarazioni della Ghiribelli, emergeva che nella abitazione del sedicente mago si svolgevano, in special modo nel fine settimana, riti orgiastici dal forte sapore esoterico.
Ma non solo, la Procura era risalita ad altre testimonianze estremamente suggestive, come quella riportata da Michele Giuttari relativa a una tale signora Silvia Del Secco, pittrice fiorentina che nella prima metà degli anni '80 stava cercando casa dalle parti di San Casciano.
All'epoca la donna si era fermata davanti a un'abitazione in via Faltignano con la scritta "Vendesi" e si era messa a conversare con due uomini che sostavano all'ingresso della casa. Aveva appreso che uno dei suoi interlocutori era Salvatore Indovino, mago di San Casciano, particolarmente "celebre" per la preparazione di filtri d'amore. Fu lo stesso mago a raccontarle durante quel breve colloquio che per unire una coppia in eterno era necessario disporre di un pezzo di vestito dell'uomo, di una sua foto, di secrezioni vaginali e di peli pubici della donna. L'uomo e la donna avrebbero inoltre dovuto accoppiarsi in un luogo aperto, in automobile, comunicando al mago il giorno, il luogo e il tipo di vettura usata.
Sul momento la giovane pittrice era andata via piuttosto perplessa. In seguito, durante il Processo Pacciani, precisamente il 9 luglio 1994 (dunque all'incirca una decina d'anni dopo quell'incontro) aveva ritenuto opportuno recarsi in questura e riferire quella strana conversazione. Inizialmente, la Procura non diede troppo peso a quelle dichiarazioni, anche perché all'epoca Pacciani veniva considerato il serial killer solitario delle coppiette. In seguito, con l'entrata in scena del Lotti e della Ghiribelli, con la nascita della teoria dei complici, degli eventuali mandanti e della setta esoterica su cui premeva fortemente Giuttari, la casa di via Faltignano, i suoi frequentatori e in special modo la misteriosa figura di Salvatore Indovino assunsero tutt'altra connotazione e in questo senso anche le dichiarazioni della su citata Silvia furono viste sotto una nuova luce.
Comunque la si pensi in merito, risulta a questo punto essenziale elencare i frequentatori abituali della casa di via Faltignano.


Il mago Salvatore Indovino
Manovale di origini catanesi, classe 1922. Dopo aver scontato 19 anni di carcere per omicidio, negli anni '70 Salvatore Indovino si trasferì ad Alessandria dove, lavorando per un'azienda che si occupava di produzione e distribuzione di bevande, conobbe la sua futura compagna Filippa Nicoletti, di trent'anni più giovane e prossima a separarsi dal marito. Nel 1977 i due si trasferirono in Sicilia. L'anno successivo si spostarono prima a Prato (dove, secondo alcune narrazioni, conobbero Gabriella Ghiribelli), poi a San Casciano Val di Pesa, al civico 5A di via Faltignano.
Salvatore spinse la Nicoletti a prostituirsi nei dintorni di Santa Maria Novella a Firenze e per questo venne arrestato e rimase in carcere alle Murate di Firenze dal 26 luglio al 4 dicembre del 1981. Come già visto nel relativo capitolo, condivise per circa tre settimane la detenzione con Francesco Vinci, all'epoca non ancora accusato di essere il Mostro di Firenze, ma già ovviamente coinvolto nelle indagini sul delitto del 1968.
Ció che comunque ci preme maggiormente sottolineare di questa detenzione, è che Indovino era in carcere in occasione del delitto delle Bartoline.
Durante la sua reclusione, probabilmente nel tentativo di escogitare un modo per fare qualche soldo, Indovino si convinse di possedere doti profetiche e, uscito dal carcere, cominciò a esercitare la professione di mago, dedito in special modo alla preparazione di filtri d'amore. Divenne ben presto noto nell'ambiente come il Mago di San Casciano.
Secondo una certa vulgata mostrologica, subito dopo la scarcerazione, conobbe la Ghiribelli, in quanto entrambi si ritrovarono ricoverati contemporaneamente presso l'ospedale di Prato: lui per una frattura al braccio, lei per abuso di alcool.
A questo punto è opportuno ricordare che nel 1968 l'Indovino viveva ancora in Sicilia; nel 1974 era ad Alessandria; nel giugno 1981 era a San Casciano, ma ancora non aveva "scoperto" le sue doti medianiche e non esercitava la professione di mago; nell'ottobre del 1981 era in carcere. Dunque almeno per i primi quattro delitti storicamente attribuiti al MdF un coinvolgimento dell'Indovino sembrerebbe escluso. Solo a partire dal delitto del 1982, la casa di Indovino sarebbe potuta diventare il centro nevralgico dei delitti (a matrice fortemente esoterica) del Mostro di Firenze, come sosteneva la Procura. Per quanto riguarda gli omicidi precedenti, ammesso ci fosse stata una motivazione esoterica e ci fossero stati dei mandanti e degli esecutori materiali, questi dovevano con ragionevole certezza esulare dalla figura di Indovino e dalla di lui dimora.
Secondo le dichiarazioni della Ghiribelli, infatti, fu fra il 1984 e il 1985 che l'abitazione di via Faltignano divenne teatro di sedute spiritiche e messe nere in cui scorrevano fiumi di alcool, solite poi trasformarsi in orge fra i partecipanti, comprendenti anche ragazze minorenni. A partecipare a tali festini erano, oltre ai nomi che vedremo nel prosieguo di questo capitolo, anche Pacciani, Vanni e alcuni fra i cosiddetti notabili, cioè importanti professionisti, medici o avvocati, appartenenti al cosiddetto secondo livello.
Vedremo meglio in seguito l'attendibilità di tali dichiarazioni.
Nell'estate del 1985, qualche giorno prima del delitto degli Scopeti, Salvatore Indovino, già malato terminale di cancro, denunciò il furto con effrazione presso la sua abitazione di un coltello da cucina e una lente d'ingrandimento.
Secondo le iniziali dichiarazioni del Galli, l'Indovino sarebbe stato in automobile con lui la sera di domenica 8 settembre 1985 quando, tornando da Firenze e diretti a San Casciano, i due uomini passarono per via degli Scopeti e all'imbocco della piazzola notarono una vettura rossa, identificata dieci anni dopo come quella del Lotti. Tuttavia, la presenza dell'Indovino venne smentita dalla stessa Ghiribelli e in seguito il Galli intese allinearsi alle dichiarazioni della sua ex compagna.
Il sedicente mago morì meno di un anno dopo, il 15 agosto 1986, profondamente provato dalla malattia. Di lui esiste un unico reperto fotografico.
Circa un decennio dopo, nell'ormai maturata convinzione del suo pieno coinvolgimento nei delitti del Mostro, la Procura di Firenze chiese l'apertura della sua bara in terra siciliana, nella speranza di trovarvi la famosa Beretta calibro 22. Inutile dire che tali speranze verranno disattese.


Filippa Nicoletti
Anche lei di origine siciliane, la Nicoletti nacque in provincia di Caltanissetta il 2 luglio 1952. Anche lei si trasferì ad Alessandria negli anni '70. Qui conobbe Salvatore Indovino, di trent'anni più anziano. Sposata con figli, la vita coniugale della Nicoletti era funestata da continui e violenti litigi. Nel 1977 la donna dapprima tentò il suicido, quindi decise di separarsi dal marito per fuggire con Salvatore. La coppia inizialmente andò a vivere in Sicilia, nel paese natale di lui, poi nel 1978 si trasferì a Prato, dove viveva il fratello di Salvatore, infine nello stesso anno, prese in affitto la casa in via Faltignano, a San Casciano.
Spinta dal proprio compagno, la Nicoletti iniziò in quel periodo l'attività di prostituta a Firenze. Nell'agosto del 1981, mentre Indovino era in carcere, conobbe in piazza a San Casciano Giancarlo Lotti e ne divenne amica e amante. Con l'Indovino le cose non sempre andavano bene e durante qualcuna delle numerose liti, la Nicoletti aveva tentato di trasferirsi presso l'abitazione del Lotti al Ponte Rotto, non trovando però disponibilità ad accoglierla da parte del suo "amante", che da un lato temeva la reazione dell'Indovino, dall'altro non voleva rinunciare alla propria indipendenza. I rapporti fra Nicoletti e Lotti rimasero comunque sempre piuttosto cordiali. Per stessa ammissione della donna, con il Lotti condivideva la dipendenza dall'alcool, dichiarando in una famosa udienza del Processo ai CdM: "fra me e il Lotti c'era il bottiglione di mezzo".
Nel marzo del 1984, a causa di un violento litigio dovuto a una relazione che aveva intrapreso con un suo giovane cliente, la Nicoletti lasciò l'ormai sessantaduenne e già malato Salvatore Indovino, per trasferirsi ad Arezzo, a casa del suo nuovo compagno. Tornò saltuariamente in via Faltignano nei due anni successivi per fare visita all'ormai malato terminale Salvatore.
Nonostante un nuovo compagno e il trasferimento in una città distante un'ottantina di chilometri da San Casciano, evidentemente la Nicoletti continuò a frequentare anche il Lotti, se è vero che nell'estate del 1984 i due si appartarono alla Boschetta di Vicchio, la piazzola teatro poco tempo dopo del tragico delitto in cui persero la vita lo Stefanacci e la Rontini, distante a sua volta circa una sessantina di chilometri da San Casciano.
Anche della Nicoletti sappiamo molto poco sulla vita che condusse dalla metà degli anni '80 fino alla metà dei '90, quando anche lei tornò al centro delle indagini in seguito alle dichiarazioni del Lotti e della Ghiribelli.
Ripetutamente intercettata e interrogata, la donna ha sempre smentito di aver mai conosciuto Pacciani e Vanni. Negò inoltre che la dimora del suo convivente fosse mai stata teatro di sedute spiritiche e orge, smentendo di fatto le dichiarazioni della Ghiribelli.
Al momento in cui scriviamo (ultimo scorcio del 2020), la Nicoletti risulta una dei pochi protagonisti della vicenda ancora in vita.


Sebastiano Indovino
Fratello di Salvatore, verso la fine degli anni '70, Sebastiano frequentava il famoso "bar dei sardi" a Prato. Fu lui, secondo alcune narrazioni, a conoscere per primo la Ghiribelli e a presentarla a Salvatore. Da notare che quello stesso bar di Prato era il punto di ritrovo anche del clan dei sardi presumibilmente coinvolto nel delitto del 1968.
Interrogato anch'egli a metà anni '90, dichiarò di aver frequentato suo fratello soprattutto durante gli ultimi anni di vita, quando con tutta la famiglia andava a trovarlo nei fine settimana nella sua abitazione a San Casciano Val di Pesa. Nessun riferimento da parte di Sebastiano alle presunte orge che in quello stesso periodo proprio nei fine settimana sarebbero avvenute nella casa di via Faltignano. Anche da lui, dunque, una secca smentita alle dichiarazioni della Ghiribelli.


Domenico Agnello
Classe 1954, di origini catanesi come l'Indovino, residente a Prato, pluripregiudicato, venditore ambulante di frutta e verdura in quel di Mercatale, l'Agnello aveva frequentato sia il cosiddetto bar dei sardi a Prato (ufficialmente il bar Rolando, sito in piazza Duomo 41), sia negli anni '80 la casa di Salvatore Indovino, di cui era amico.
Secondo la teste Gabriella Ghiribelli, Agnello era stato amico anche di un sardo di cognome Sanna e di un tale, il cui soprannome era Draculino. Inoltre, sempre stando alle dichiarazioni della Ghiribelli, aveva frequentato lo stesso Francesco Vinci. Quest'ultimo particolare viene riportato anche dal superpoliziotto e scrittore, Michele Giuttari nel suo libro "Compagni di sangue". Tuttavia, pur non volendo dubitare delle parole della Ghiribelli e degli scritti di Giuttari, dell'amicizia fra Agnello e Vinci non c'è alcun riscontro nelle carte e - a dirla tutta - si tratta di un dato che non è mai stato tenuto in considerazione da nessuno degli inquirenti che si era ritrovato a indagare su un ipotetico passaggio di pistola dal clan dei sardi alla congrega di via Faltignano.
L'Agnello rimane comunque un personaggio misterioso, di cui si sa molto poco. Il 4 agosto del 1994 (in pieno processo Pacciani) uscì da casa sua a Prato dichiarando alla moglie che si sarebbe recato al bar, ma non fece più ritorno. La sua Alfa 164 fu ritrovata bruciata un paio di giorni dopo in un bosco del Mugello. Di lui si è persa qualsiasi traccia.


Mago Manuelito
Anch'egli di origine siciliane, nativo di Nissoria in provincia di Enna, il suo vero nome era Francesco Verdino, ma era più conosciuto come Mago Manuelito o Mago del Messico, in quanto aveva trascorso diversi anni a Guadalajara, nella parte occidentale dello stato nordamericano.
Amico di Salvatore Indovino, Manuelito lavorava come mago a Sesto Fiorentino e possedeva un grande camper con cui era solito recarsi a casa dell'Indovino, in via Faltignano a San Casciano. Proprio qui, nei primi anni '80 sembra che instaurò una relazione con Milva Malatesta, la giovane donna di cui abbiamo già parlato svariate volte nel corso di queste pagine e sulla quale a breve ci soffermeremo nuovamente.
Nota ad colorandum, su youtube è rintracciabile una partecipazione del Mago Manuelito, datata 25 dicembre 1978, all'allora noto programma televisivo "Acquario", condotto da Maurizio Costanzo, in onda su RAI 1 in seconda serata.
Presentato come celebre mago operante a Firenze, durante la sua breve comparsata in studio, Manuelito si distinse per un tentativo "divinatorio" nei confronti di un camerman, per essere stato oggetto dell'ironia neanche troppo velata del conduttore Costanzo e per una scarsissima conoscenza dell'italiano, dando la piena sensazione di un personaggio appena un battito di ciglia sopra l'analfabetismo.


Milva Malatesta
Figlia di Renato Malatesta, l'uomo trovato impiccato nel Dicembre del 1980 (vedasi capitolo dedicato alle Morti Collaterali) e di Maria Antonietta Sperduto, l'amante del Pacciani e del Vanni.
Prostituta fin dalla più giovane età, nel 1979, all'età di 17 anni, conobbe Vincenzo Limongi con cui ebbe un figlio che venne dato in affidamento ai genitori di lui. Fra la fine degli anni '70 e l'inizio degli anni '80, secondo il già citato Giovanni Calamosca, divenne l'amante di Francesco Vinci. Da notare che all'epoca Milva aveva meno di vent'anni, mentre Francesco ne aveva all'incirca 45.
Poco prima della morte del padre, nel dicembre 1980, si trasferì con la mamma e i due fratelli in via Faltignano nella casa confinante a quella di Salvatore Indovino. Milva conobbe Salvatore, all'epoca quasi settantenne, e secondo la Ghiribelli ne divenne amante, nonostante la differenza d'età. Fu probabilmente anche amante del su citato mago Manuelito.
Come già ampiamente dibattuto, Milva potrebbe rappresentare il punto di contatto fra i sardi e la congrega di casa Indovino, dunque fra i sardi e Pacciani (spiegando così il famoso passaggio di pistola). Ribadiamo tuttavia che non esiste alcuna prova concreta (a parte le dichiarazioni non verificabili di Calamosca) che Milva sia stata realmente l'amante del Vinci.
Nel 1988, la donna si trasferì nella piccola frazione di Pino, nel comune di Certaldo e si sposò con un muratore palermitano, Francesco Rubino. Il 30 agosto 1990 nacque Mirko, figlio suo e del Rubino. In seguito Milva sporse una serie di denunce contro il marito per maltrattamenti e percosse, che condussero a una separazione nel luglio del 1993. Circa un mese dopo, fra il 19 ed il 20 agosto 1993, Milva Malatesta morì in circostanze tragiche e fortemente sospette (anche perché a distanza di una settimana dall'analogo assassinio di Francesco Vinci), uccisa e bruciata all'interno della sua vettura assieme al figlio Mirko. C'erano molti indizi a carico del suo ex marito, Francesco Rubino, il quale però nel 1995 fu assolto per non aver commesso il fatto.


Vincenzo Limongi
Soprannominato Kociss per il suo essere "selvaggio", Limongi era stato il primo convivente di Milva Malatesta dalla quale aveva avuto un figlio che venne cresciuto dai genitori di lui. La vita del Limongi trascorse fra furti, rapine e spaccio di droga. Finì in carcere a Sollicciano nello stesso periodo in cui Pacciani era detenuto per la violenza sulle figlie. Il 19 maggio 1991, pochi giorni prima che scadesse il suo periodo di detenzione, a 37 anni, si impiccò nella sua cella. Senza ombra di dubbio un suicidio, ma davvero difficile da spiegare.


Maria Antonietta Sperduto
Moglie di Renato Malatesta e madre di Milva, la Sperduto aveva origini lucane. Negli anni '70 visse con la famiglia dalle parti della Sambuca, a Tavernelle Val di Pesa; qui conobbe il postino Mario Vanni con cui ebbe rapporti sessuali, forse a pagamento, forse no. Nella seconda metà degli anni '70 conobbe anche Pacciani e ne divenne l'amante.
Nel novembre del 1980, poco prima della morte del marito, la Sperduto si trasferì con i figli in via Faltignano. Continuò le sue frequentazioni sia con il Pacciani che col Vanni, i quali – a suo dire – abusarono più volte di lei; in un'occasione l'abuso avvenne nella piazzola degli Scopeti all'interno dell'automobile Fiat 500 del Pacciani.
Nell'aprile del 1983 la Sperduto abbandonò la casa di via Faltignano per trasferirsi a Poggibonsi con un nuovo compagno.
La donna ha sempre dichiarato di non aver mai conosciuto personalmente Gabriella Ghiribelli, smentendo anch'ella le dichiarazioni della suddetta teste.


Filippo Neri Toscano:
Amico di Pacciani, anzi uno dei pochi amici del contadino di Mercatale. Negli anni '80 il Toscano era stato appuntato dei carabinieri della caserma di Mercatale. Stando alle dichiarazioni del Lotti, risultò essere il fornitore delle cartucce calibro 22 per i delitti del Mostro. Secondo il Lotti, il carabiniere le passava al Vanni che poi le consegnava al Pacciani.
Del Toscano abbiamo sentito parlare in occasione del Processo ai Compagni di Merende. A tirarlo in ballo, oltre a Lotti, è stata la signora Maria Antonietta Sperduto, che era solito chiamarlo "palle d'oro" o "mangia orecchie", in quando secondo la testimone il suddetto carabiniere avrebbe avuto atteggiamenti intimidatori e quasi persecutori nei confronti di suo marito, Renato.
Come apprendiamo nell'udienza del 27 gennaio 1998 per bocca del poliziotto Michele Giuttari in veste di testimone al processo contro i CdM, il Toscano aveva sempre posseduto pistole calibro 22, regolarmente denunciate. Tra queste un revolver e due Beretta, l'ultima delle quali era stata aquistata nel 1985 da un carabiniere in pensione, tale Lorenzo Mocarelli.
Nel marzo del 1996 durante una perquisizione nell'abitazione del Toscano furono trovate oltre 200 cartucce Winchester calibro 22 con la lettera W impressa sul fondello (quelle del MdF avevano la lettera H). Toscano dichiarò che tali cartucce gli erano state date proprio dal Mocarelli in occasione dell'acquisto della Beretta. Tuttavia, secondo la Pubblica Accusa, Mocarelli aveva cessato di frequentare il Poligono alle Cascine, dove era solito acquistare le scatole di munizioni, nel 1978 quando ancora erano in commercio le cartucce con la lettera H sul fondello. Quelle con la lettera W sarebbero entrate in produzione fra il 1980 e il 1981. Dunque, sempre secondo l'Accusa, il Mocarelli non avrebbe potuto regalare al Toscano quelle duecento cartucce, in quanto lui stesso non poteva possederle.
Interrogato in merito al Processo contro i CdM, il Mocarelli (ormai ottantenne e con gravi problemi d'udito) non fu in grado di chiarire la questione, non ricordando quante pallottole aveva ceduto al Toscano e soprattutto in quale periodo lui a sua volta le avesse aquistate. L'uomo dichiarò comunque di aver sempre nutrito una certa stima nei confronti del carabiniere Toscano; inoltre dalle sue parole non fu possibile escludere che avesse potuto acquistare scatole di munizioni anche dopo il 1980/1981.
A ogni modo, è doveroso sottolineare che qualunque potesse essere stata l'origine di quelle cartucce calibro 22, queste non erano sicuramente correlabili alla vicenda del Mostro. A tal proposito, Toscano ebbe modo di dichiarare di non essersi mai interessato al caso del "Mostro", il che suona strano perché la caserma di San Casciano, in occasione del delitto degli Scopeti, si interessò alla persona di Pietro Pacciani. È anche vero che il Toscano sembra aver prestato servizio esclusivamente presso la caserma di Mercatale.
Dopo le dichiarazioni del Lotti, il Toscano fu indagato per alcuni degli omicidi del MdF e per la strana morte di Renato Malatesta del dicembre del 1980 che lui frettolosamente aveva archiviato come suicidio.


3 commenti:

  1. In questa vicenda non c'è nulla di semplice. Continue piste e smentite. Ho visto il video di "Manuelito". Pare conosca meglio lo spagnolo rispetta alla lingua natia. Era quasi sicuramente in ciarlatano. Infatti le uniche cose che dice, circa la cavia che si era prestata ad essere oggetto del consulto di Manuelito, sono state che aveva sofferto molto e che adesso era felice (molto) a livello sentimentale.
    Credo che Indovino non fosse meglio. Di certo il Vinci non era un personaggio secondario (nel '68 è chiaro che non era il mostro ad aver agito. Le possobilità plausibili erano uno dei fratelli Vinci). Il modo in cui muoiono F. Vinci, la Malatesta fa pensare che firono fortemente volute ma potrebbero riguardare anche altre faccende.
    Questo caso non sarà mai risolto, troppo articolato e complesso per ridurlo al Pacciani, Vanni e Lotti.

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  2. ha h ah aah abracadabra fattura chenun quaglia h ah ah aah ah i maghi a hah h aah proprio credibilissima questa cosa e' stato il mago silvan

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  3. Una domanda: in base a cosa gli inquirenti si aspettavano di trovare la Beretta calibro 22 nella bara dell'Indovino?

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