Dalle testimonianze raccolte dalla Procura di Firenze, quasi esclusivamente addebitabili a Gabriella Ghiribelli, il punto di incontro fra i personaggi coinvolti nella vicenda del Mostro di Firenze sembrava essere la casa del mago Salvatore Indovino, sita in via Faltignano 5A, a circa due chilometri di distanza dalla piazzola degli Scopeti, luogo dell'ultimo delitto del Mostro.
Lo stesso Indovino diveniva figura centrale delle indagini e - secondo la Procura fiorentina - personaggio chiave nei delitti del Mostro.
Prestando infatti fede alle dichiarazioni della Ghiribelli, sebbene queste fossero state smentite dal Galli, dalla Nicoletti e, più in generale, nessuno fra i vari frequentatori della casa di via Faltignano avesse fornito alcun riscontro in merito, secondo la Procura di Firenze, e in particolar modo secondo il dottor Michele Giuttari, era evidente che nella abitazione del sedicente mago si svolgessero, nel fine settimana, riti orgiastici dal forte sapore esoterico.
Ma non solo, la Procura era risalita ad altre testimonianze estremamente suggestive, come quella riportata da Giuttari, relativa a una tale signora Silvia Del Secco, pittrice fiorentina che nella prima metà degli anni '80 stava cercando casa dalle parti di San Casciano.
All'epoca la donna si era fermata davanti a un'abitazione in via Faltignano con la scritta "Vendesi" e si era messa a conversare con due uomini che sostavano all'ingresso della casa. Aveva appreso che uno dei suoi interlocutori era Salvatore Indovino, mago di San Casciano, particolarmente "celebre" per la preparazione di filtri d'amore. Fu lo stesso mago a raccontarle durante quel breve colloquio che per unire una coppia in eterno era necessario disporre di un pezzo di vestito dell'uomo, di una sua foto, di secrezioni vaginali e di peli pubici della donna. L'uomo e la donna avrebbero inoltre dovuto accoppiarsi in un luogo aperto, in automobile, comunicando al mago il giorno, il luogo e il tipo di vettura usata.
Sul momento la giovane pittrice era andata via piuttosto perplessa. In seguito, durante il Processo Pacciani, precisamente il 9 luglio 1994 (dunque all'incirca una decina d'anni dopo quell'incontro) aveva ritenuto opportuno recarsi in questura e riferire quella strana conversazione. Inizialmente, la Procura non diede troppo peso a quelle dichiarazioni, anche perché all'epoca Pacciani veniva considerato il serial killer solitario delle coppiette. In seguito, con l'entrata in scena del Lotti e della Ghiribelli, con la nascita della teoria dei complici, degli eventuali mandanti e della setta esoterica su cui premeva fortemente Giuttari, la casa di via Faltignano, i suoi frequentatori e in special modo la misteriosa figura di Salvatore Indovino assunsero tutt'altra connotazione e in questo senso anche le dichiarazioni della su citata Silvia furono viste sotto una nuova luce.
A queste si sarebbero aggiunte in seguito altre testimonianze, come quelle immancabili di Lorenzo Nesi che, nell'aprile del 2003 avrebbe avuto modo di riferire alcune informazioni che aveva appreso dal suo amico Vanni. Dirà il Nesi: "...in quel posto (via Faltignano, NdA) si facevano cose strane, proprio brutte, tanto che lo stesso Vanni ne rimaneva disgustato. Non erano festini, ma qualcosa di più torbido, che aveva sempre a che vedere con perversioni di sesso, ma di un sesso estremo. Mi viene in mente che la figlia della Sperduto, quella uccisa, per come ho capito dal Vanni, doveva aver subito una serie di violenze molto particolari che non so spiegare durante quelle riunioni a sfondo sessuale..."
Comunque la si pensi in merito, risulta a questo punto essenziale elencare i frequentatori abituali della casa di via Faltignano.
Salvatore spinse la Nicoletti a prostituirsi nei dintorni di Santa Maria Novella a Firenze e per questo venne arrestato e rimase in carcere alle Murate di Firenze dal 26 luglio al 4 dicembre del 1981. Come già visto nel relativo capitolo, condivise per circa tre settimane la detenzione con Francesco Vinci, all'epoca non ancora accusato di essere il Mostro di Firenze, ma già ovviamente coinvolto nelle indagini sul delitto del 1968.
Ció che comunque ci preme maggiormente sottolineare di questa detenzione, è che Indovino era in carcere in occasione del delitto delle Bartoline.
Durante la sua reclusione, probabilmente nel tentativo di escogitare un modo per fare qualche soldo, Indovino si convinse di possedere doti medianiche. Scrisse a tal proposito alla Nicoletti: "La mia sorte è nel mio nome...".
Uscito dal carcere, cominciò a esercitare la professione di mago, dedito in special modo alla preparazione di filtri d'amore. Divenne ben presto noto nel ristretto ambiente da lui frequentato come il Mago di San Casciano.
A questo punto è opportuno ricordare che nel 1968 l'Indovino viveva ancora in Sicilia; nel 1974 era ad Alessandria; nel giugno 1981 era a San Casciano, ma ancora non aveva "scoperto" le sue doti medianiche e non esercitava la professione di mago; nell'ottobre del 1981 era in carcere. Dunque almeno per i primi quattro delitti storicamente attribuiti al MdF un coinvolgimento dell'Indovino sembrerebbe escluso. Solo a partire dal delitto del 1982, la casa di Indovino sarebbe potuta diventare il centro nevralgico dei delitti (a matrice fortemente esoterica) del Mostro di Firenze, come sosteneva la Procura. Per quanto riguarda gli omicidi precedenti, ammesso ci fosse stata una motivazione esoterica e ci fossero stati dei mandanti e degli esecutori materiali, questi dovevano con ragionevole certezza esulare dalla figura di Indovino e dalla di lui dimora.
Appare comunque plausibile, stando anche alle predette dichiarazioni della pittrice fiorentina, Silvia del Secco, che in quegli anni l'Indovino si dedicasse alla preparazione di filtri d'amore e le sue arti magiche fossero principalmente orientate, almeno all'apparenza, a risolvere i problemi d'amore di coppie in crisi, il che apparirebbe anche in linea con le dichiarazioni fornite da Norberto Galli nel precedente capitolo.
Secondo le dichiarazioni della Ghiribelli, invece, fra il 1984 e il 1985 l'abitazione di via Faltignano divenne teatro di sedute spiritiche e messe nere in cui scorrevano fiumi di alcool e terminavano con orge fra i partecipanti che coinvolgevano anche minori. A partecipare a tali festini erano, oltre ai nomi che vedremo nel prosieguo di questo capitolo, anche Pacciani, Vanni e alcuni fra i cosiddetti notabili, cioè importanti professionisti appartenenti al cosiddetto secondo livello.
Vedremo meglio in seguito l'attendibilità di tali dichiarazioni e come queste non abbiano trovato grande riscontro fra gli altri testimoni.
Di Salvatore Indovino come il "Mago di San Casciano" aveva parlato anche l'ex amico del Vanni, il testimone Lorenzo Nesi. Abbiamo già riportato queste dichiarazioni nel capitolo dedicato alle "Morti collaterali".
Abbiamo già evidenziato come la persona scorta dal Nesi non potesse essere l'Indovino, in quanto all'epoca della morte della Manfredi, Salvatore era in carcere e precedentemente non aveva ancora scoperto le sue arti divinatorie.
Nel frattempo, pare che la casa del sedicente mago fosse frequentata anche da giovani donne, spesso senza fissa dimora, sbandate o tossicodipendenti, cui Salvatore dava ospitalità, probabilmente in cambio di prestazioni sessuali. A tal proposito riportiamo le dichiarazioni di tale Ezio Pestelli, proprietario di un negozio di alimentari nella vicina via Scopeti 34, gestito assieme alla moglie (che a dire della Ghiribelli era molto superstiziosa e talvolta marito e moglie avevano partecipato alle sedute spiritiche a casa dell'Indovino):
"...Frequentavano quella abitazione anche alcune donne da me viste e che non conoscevo e delle quali, quindi, non sono in grado di fornire particolari... L'Indovino spesso ospitava nella propria abitazione ragazze sbandate che rimorchiava la sera a Firenze, non so però dove di preciso. Queste ragazze si fermavano per alcuni giorni dall'Indovino e, prima di partire da Faltignano, si fermavano nella mia bottega a prendere un cappuccino con l'Indovino. Li vedevo poi andar via ma non so dove andassero... Le avrò viste tre o quattro volte..."
Nell'estate del 1985, qualche giorno prima del delitto degli Scopeti, Salvatore Indovino, già malato terminale di cancro, denunciò il furto con effrazione presso la sua abitazione di un coltello da cucina e una lente d'ingrandimento.
Secondo le iniziali dichiarazioni del Galli, l'Indovino sarebbe stato in automobile con lui la sera di domenica 8 settembre 1985 quando, tornando da Firenze e diretti a San Casciano, i due uomini passarono per via degli Scopeti e all'imbocco della piazzola notarono una vettura rossa, identificata dieci anni dopo come quella del Lotti. Tuttavia, la presenza dell'Indovino venne smentita dalla stessa Ghiribelli e in seguito il Galli intese allinearsi alle dichiarazioni della sua ex compagna.
Il sedicente mago morì meno di un anno dopo, il 15 agosto 1986, profondamente provato dalla malattia. Di lui esiste un unico reperto fotografico.
Circa un decennio dopo, nell'ormai maturata convinzione del suo pieno coinvolgimento nei delitti del Mostro, la Procura di Firenze chiese l'apertura della sua bara in terra siciliana, nella speranza di trovarvi la famosa Beretta calibro 22. Inutile dire che tali speranze vennero disattese.
Spinta dal proprio compagno, la Nicoletti iniziò in quel periodo l'attività di prostituta a Firenze. Nell'agosto del 1981, mentre Indovino era in carcere, conobbe in piazza a San Casciano Giancarlo Lotti e ne divenne amica e amante. Con l'Indovino le cose non sempre andavano bene e durante qualcuna delle numerose liti, la Nicoletti aveva tentato di trasferirsi presso l'abitazione del Lotti al Ponte Rotto, non trovando però disponibilità ad accoglierla da parte del suo "amante", che da un lato temeva la reazione dell'Indovino, dall'altro non voleva rinunciare alla propria indipendenza. I rapporti fra Nicoletti e Lotti rimasero comunque sempre piuttosto cordiali. Per stessa ammissione della donna, con il Lotti condivideva la dipendenza dall'alcool, dichiarando in una famosa udienza del Processo ai CdM: "fra me e il Lotti c'era il bottiglione di mezzo".
Nel marzo del 1984, a causa di un violento litigio dovuto a una relazione che aveva intrapreso con un suo giovane cliente, la Nicoletti lasciò l'ormai sessantaduenne e già malato Salvatore Indovino, per trasferirsi ad Arezzo, a casa del suo nuovo compagno, tale Carlo Sadotti. Tornò saltuariamente in via Faltignano nei due anni successivi per fare visita all'ormai malato terminale Salvatore.
Nonostante un nuovo compagno e il trasferimento in una città distante un'ottantina di chilometri da San Casciano, evidentemente la Nicoletti continuò a frequentare anche il Lotti, se è vero che nell'estate del 1984 i due si appartarono alla Boschetta di Vicchio, la piazzola teatro poco tempo dopo del tragico delitto in cui persero la vita lo Stefanacci e la Rontini, distante una sessantina di chilometri da San Casciano. In realtà, secondo il Lotti, l'ultima volta che lui e la Nicoletti frequentarono la Boschetta fu nel 1983.
Anche della Nicoletti sappiamo molto poco sulla vita che condusse dalla metà degli anni '80 fino alla metà dei '90, quando anche lei tornò al centro delle indagini in seguito alle dichiarazioni del Lotti e della Ghiribelli.
Ripetutamente intercettata e interrogata, la donna ha sempre smentito di aver mai conosciuto Pacciani e Vanni. Negò inoltre che la dimora del suo convivente fosse mai stata teatro di sedute spiritiche e orge, smentendo di fatto le dichiarazioni della Gabriella Ghiribelli.
Queste sue dichiarazioni in merito:
"...Ho abitato in via di Faltignano fino al marzo del 1984. Io, quando stavamo insieme, non l'ho mai visto fare il mago (riferendosi all'Indovino, NdA). Non ho mai visto in vita mia il Pacciani. L'ho visto in televisione e sui giornali. Ho conosciuto Lotti Giancarlo nel mese di agosto del 1981, mentre il mio convivente, Salvatore Indovino, era in carcere. L'ho conosciuto in piazza a San Casciano. Io vivevo da sola e da quel giorno il Lotti mentre Salvatore era in carcere ha cominciato a frequentare casa mia e abbiamo avuto rapporto uomo-donna. Il Lotti non mi ha presentato mai nessun uomo. Ho visto in televisione, al processo Pacciani, il postino Vanni. Escludo di averlo mai conosciuto e tantomeno che il Lotti me l'abbia presentato".
Tali dichiarazioni sarebbero state confermate anche dalle molteplici intercettazioni cui la Nicoletti era sottoposta. In una del 16 dicembre 1995, Filippa chiedeva al Lotti, riferendosi al Pacciani: "Ma tu mica mi hai presentato qualche volta lui?". Il Lotti rispondeva: "No. Te non l'hai mai conosciuto per nulla". La Nicoletti ribadiva: "Io non l’ho conosciuto né tanto Mario, né al Pacciani. lo non li ho mai visti. Dice lì vicino ci abitava la Sperduto, ma io non ci ho mai parlato, buongiorno, buonasera... è la verità che noi non abbiamo mai avuto a che fare con queste persone, cioè Pacciani e Vanni... Io li conosco a questi due per via della televisione..."
Come abbiamo già avuto modo di far notare, la Ghiribelli aveva, invece, detto che Pacciani aveva frequentato la casa di Indovino in via di Faltignano, salvo poi correggersi e smentirsi nelle successive dichiarazioni e tornare a sostenerlo durante la sua audizione dibattimentale al Processo contro i CdM. La Nicoletti, al contrario, sul punto è sempre apparsa categorica, non contraddicendosi mai.
Al momento in cui scriviamo (ultimo scorcio del 2020), la Nicoletti risulta una dei pochi protagonisti della vicenda ancora in vita.
Interrogato anch'egli a metà anni '90, dichiarò di aver frequentato suo fratello soprattutto durante gli ultimi anni di vita, quando con tutta la famiglia andava a trovarlo nei fine settimana nella sua abitazione a San Casciano Val di Pesa. Nessun riferimento da parte di Sebastiano alle presunte orge che in quello stesso periodo proprio nei fine settimana sarebbero avvenute nella casa di via Faltignano. Anche da lui, dunque, una secca smentita alle dichiarazioni della Ghiribelli.
Amico di Salvatore Indovino, Manuelito lavorava come mago a Sesto Fiorentino e possedeva un grande camper con cui era solito recarsi a casa dell'Indovino, in via Faltignano a San Casciano. Secondo la Ghiribelli, era proprio il Manuelito motore e catalizzatore delle sedute spiritiche che si svolgevano in quell'abitazione. Proprio qui, nei primi anni '80 sembra che il mago instaurò una relazione con Milva Malatesta, la giovane donna di cui abbiamo già parlato svariate volte nel corso di queste pagine e sulla quale a breve ci soffermeremo nuovamente.
Nota ad colorandum, su youtube è rintracciabile una partecipazione del Mago Manuelito, datata 25 dicembre 1978, all'allora noto programma televisivo "Acquario", condotto da Maurizio Costanzo, in onda su RAI 1 in seconda serata.
Presentato come celebre mago operante a Firenze, durante la sua breve comparsata in studio, Manuelito si distinse per un tentativo "divinatorio" nei confronti di un camerman, per essere stato oggetto dell'ironia neanche troppo velata del conduttore Costanzo e per una scarsissima conoscenza dell'italiano, dando la piena sensazione di un personaggio appena un battito di ciglia sopra l'analfabetismo.
Fra fine novembre e inizio dicembre del 1980, una ventina di giorni prima della morte del marito, la Sperduto si trasferì con i figli in via Faltignano, nell'abitazione confinante a quella di Salvatore Indovino. Non è dato sapere se anche dopo questo trasferimento continuò la sua frequentazione con il Pacciani e con il Vanni, i quali – a dire della stessa Sperduto – avevano abusato più volte di lei, in un'occasione anche nella piazzola degli Scopeti, all'interno dell'automobile Fiat 500 del Pacciani.
È certo, comunque che, a parte la Ghiribelli, la quale sul punto si è contraddetta più volte, nessuno fra i normali frequentatori di via Faltignano dichiarò mai di aver visto il Pacciani bazzicare le due abitazioni. Per quanto riguarda il Vanni, invece, oltre a quella della Ghiribelli, vi è anche la testimonianza di Lorenzo Nesi, il quale dichiarò di aver lui stesso accompagnato qualche rara volta il Vanni in un'abitazione fatiscente e molto sporca di via Faltignano dove si sarebbero consumate delle orge fra i vari frequentatori.
Un paio d'anni dopo, nell'aprile del 1983, la Sperduto andò a vivere insieme ai due figli più piccoli, Laura e Luciano, a Poggibonsi con un nuovo compagno, tale Vincenzo Trancucci, di professione spazzino. Da notare che all'epoca la Ghiribelli non si era ancora trasferita a San Casciano e, difatti, la Sperduto ha sempre dichiarato di non aver mai conosciuto personalmente la Ghiribelli, ritrovandosi, dunque, anche lei a smentire le dichiarazioni della Gabriella.
Prostituta fin dalla più giovane età, nel 1979, all'età di 17 anni, Milva conobbe Vincenzo Limongi con cui ebbe un figlio che venne dato in affidamento ai genitori di lui. Fra la fine degli anni '70 e l'inizio degli anni '80, secondo Giovanni Calamosca, divenne l'amante di Francesco Vinci. Da notare che all'epoca Milva aveva meno di vent'anni, mentre Francesco ne aveva all'incirca 45.
Poco prima della morte del padre, nel dicembre 1980, si trasferì con la mamma e i due fratelli in via Faltignano nella casa confinante a quella di Salvatore Indovino. Milva conobbe Salvatore, all'epoca quasi settantenne, e secondo la Ghiribelli ne divenne amante, nonostante la differenza d'età. Fu probabilmente anche amante del su citato mago Manuelito.
Come già ampiamente dibattuto, Milva potrebbe rappresentare il punto di contatto fra i sardi e Pacciani (spiegando così il famoso passaggio di pistola) e successivamente fra i sardi e la congrega di casa Indovino. Ribadiamo, tuttavia, che non esiste alcuna prova concreta (a parte le dichiarazioni non verificabili di Calamosca) che Milva fosse stata realmente l'amante del Vinci. Nessuno fra i frequentatori del giro di via Faltignano ha mai parlato di un'eventuale conoscenza con il Vinci e persino la Ghiribelli, che avrà modo di parlare a lungo, e spesso a sproposito, di ciò che avveniva in quelle abitazioni, accennerrà mai a tale relazione. Come vedremo, lo stesso Luciano Malatesta, fratello minore di Milva, affermò durante il processo ai CdM di non aver mai conosciuto Francesco Vinci, né di essere mai stato a conoscenza di una sua frequentazione con la sorella Milva.
Nel 1988, Milva si trasferì nella piccola frazione di Pino, nel comune di Certaldo e si sposò con un muratore palermitano, Francesco Rubino. Il 30 agosto 1990 nacque Mirko, figlio suo e del Rubino. In seguito Milva sporse una serie di denunce contro il marito per maltrattamenti e percosse, che condussero a una separazione nel luglio del 1993. Circa un mese dopo, fra il 19 ed il 20 agosto 1993, Milva Malatesta morì in circostanze tragiche e fortemente sospette (anche perché a distanza di una settimana dall'analogo assassinio di Francesco Vinci), uccisa e bruciata all'interno della sua vettura assieme al figlio Mirko. C'erano alcuni indizi a carico del Rubino, il quale però nell'aprile del 1995 fu assolto per non aver commesso il fatto.
Per maggiori dettagli sulla morte di Milva e sulle relative indagini, si veda il capitolo "Le Morti Collaterali".
Di ciò che ha affemato Luciano nel corso degli anni, preferiamo fare una sintesti schematica e precisa, al fine di valutare pienamante l'evoluzione delle sue - spesso contestate - dichiarazioni.
Chiamato a testimoniare durante il processo Pacciani (24 Maggio 1994), disse:
▪ di aver visto più volte il Vanni in casa sua ai tempi in cui vivevano alla Sambuca e di aver capito solo in seguito che il Vanni pretendeva rapporti sessuali dalla mamma;
▪ di non aver mai visto il Pacciani in casa sua, né altrove; di averlo visto per la prima volta in televisione;
▪ di aver sempre ritenuto possibile che il padre, Renato, si fosse suicidato in quanto profondamente depresso.
Chiamato a testimoniare durante il processo ai CdM (10 Luglio 1997), affermò:
▪ di aver visto più volte il Vanni avere atteggiamenti intimidatori nei confronti di sua mamma, Maria Antonietta, ai tempi in cui vivevano alla Sambuca e suo padre era ancora vivo;
▪ di aver visto più volte un uomo, che in seguito avrebbe riconosciuto come l'imputato Giovanni Faggi, aggirarsi dalle parti di casa sua alla Sambuca;
▪ di non aver mai visto personalmente il Pacciani in casa sua, né alla Sambuca, né altrove;
▪ di aver saputo dalla sorella minore Laura che suo padre Renato era stato picchiato da due uomini, uno dei quali era lo zio Antonio Andriaccio e l'altro era il Pacciani. La stessa Laura aveva fornito questa testimonianza in occasione del processo Pacciani, dichiarando che lei stessa aveva assistito in prima persona a questa aggressione;
▪ di aver salvato un paio di volte il padre, profondamente depresso e dedito all'abuso di alcool, da propositi suicidi; in un'occasione l'aveva addirittura trovato con un cappio al collo. Tuttavia, Luciano affermò di aver maturato negli ultimi tre anni, in pratica dalla sua deposizione al processo Pacciani, la convinzione che il padre non si fosse suicidato ma fosse stato ucciso;
▪ di non aver mai conosciuto Francesco Vinci, né di aver mai saputo che avesse una relazione con la sorella Milva;
▪ di aver salturiamente frequentato la casa dell'Indovino in via Faltignano, dopo il loro trasferimento dalla Sambuca a fine 1980;
▪ di aver abitato in via Faltignano fino al 1983, dunque all'incirca per due anni e mezzo;
▪ di non aver mai riscontrato segni di sedute spiritiche, messe nere, orge o cose simili in casa dell'Indovino;
▪ infine, di aver visto spesso negli anni 1980 e 1981 un'automobile sportiva targata Gorizia parcheggiata davanti casa dell'Indovino.
Ora, è risaputo che la famosa Fiat 128 coupé di colore rosso di Giancarlo Lotti fosse inizialmente targata Gorizia. È altresì risaputo che il Lotti, a partire dall'agosto 1981, aveva iniziato a frequentare la Nicoletti, quindi è plausibile che si intrattenesse nella di lei abitazione nel periodo in cui Salvatore Indovino era in carcere. Tuttavia, la Fiat 128 coupé era stata acquistata dal Lotti in data 30 marzo 1983 (con targa GO 84888) ed era stato effettuato il cambio targa (divenne FI D56735), all'epoca obbligatorio, in data 28 aprile 1983, dunque un mese dopo l'acquisto.
Non è dato sapere quante automobili sportive targate Gorizia circolassero per San Casciano all'epoca, però sulla base delle date fornite risulta praticamente impossibile che l'automobile sportiva vista dal giovane Malatesta nel 1980 e 1981 fosse di proprietà di Giancarlo Lotti.
Col tempo Luciano ha maturato nuove idee sulla vicenda del Mostro di Firenze e, dopo molti anni di silenzio, a partire dal 2018 ha inteso rilasciare alcune interviste in cui si è ritrovato a fornire nuove, sconcertanti e spesso farneticanti rivelazioni sulla vicenda. In questo paragrafo non intendiamo soffermarci su tali nuovi teorie, che peraltro son costate al Malatesta una querela ancora in corso da parte degli eredi del dottor Pier Luigi Vgna.
Per un maggiore dettaglio sull'argomento, si rimanda al capitolo denominato "Mostrologia minore".
Secondo la teste Gabriella Ghiribelli, Agnello era stato amico anche di un sardo di cognome Sanna e di un tale, il cui soprannome era Draculino. Inoltre, sempre stando alle dichiarazioni della Ghiribelli, aveva frequentato lo stesso Francesco Vinci. Quest'ultimo particolare viene riportato anche dal superpoliziotto e scrittore, Michele Giuttari nel suo libro "Compagni di sangue". Tuttavia, pur non volendo dubitare delle parole della Ghiribelli e degli scritti di Giuttari, dell'amicizia fra Agnello e Vinci non c'è alcun riscontro nelle carte e - a dirla tutta - si tratta di un dato che non è mai stato tenuto in considerazione da nessuno degli inquirenti che si era ritrovato a indagare su un ipotetico passaggio di pistola dal clan dei sardi alla congrega di via Faltignano.
L'Agnello rimane comunque un personaggio misterioso, di cui si sa molto poco. Il 4 agosto del 1994 (in pieno processo Pacciani) uscì da casa sua a Prato dichiarando alla moglie che si sarebbe recato al bar, ma non fece più ritorno. La sua Alfa 164 fu ritrovata bruciata un paio di giorni dopo in un bosco del Mugello. Di lui si è persa qualsiasi traccia.
Anche su questo punto, la Nicoletti avrebbe smentito la donna, parlando di Paradiso come di un amico di Sebastiano che, non sapendo dove portare la sua giovane amante per trascorrere qualche momento di intimità, era solito usufruire di una stanza che Salvatore gli metteva a disposizione. Come avrebbe detto la Nicoletti: "Lì mangiavano e si divertivano e giocavano a carte anche quando Salvatore stava male..."
Convocati a rendere testimonianza nel febbraio del 1996, sia Paradiso che la Patierno confermarono la conoscenza con l'Indovino tramite il di lui fratello, e parlarono di una conoscenza molto sommaria con la Nicoletti, descritta come una donna con forti problemi di alcool. Entrambi confermarono di aver frequentato casa di Salvatore fra la fine del 1984 e gli inizi del 1985, per circa sei o sette mesi. Salvatore concedeva loro una stanza per poche ore, in cambio Maria Grazia faceva le pulizie, cucinava e a volte gli faceva delle iniezioni. Non avevano nessuna contezza di sedute spiritiche o messe nere che sarebbero avvenute in quell'abitazione.
Circa un anno e mezzo dopo, la Patierno sarebbe stata ascoltata come testimone al Processo contro i CdM, ribadendo quanto affermato in precedenza.
Anche di Roberto Venturini aveva parlato la Ghiribelli come di un partecipante alle predette sedute spiritiche. Anche lui, ascoltato nel febbraio del 1996, avrebbe dichiarato: "...Mi viene chiesto se sono a conoscenza che l'Indovino faceva il mago o comunque si intendeva di magia e rispondo negativamente. Indovino non mi ha mai parlato di magia, né ho sentito fare da altri discorsi che lui era esperto di tale arte."
All'interno della Procura di Firenze stava, però, maturando l'idea che fosse lui a fornire i proiettili calibro 22 con la H impressa sul fondello a coloro che commettevano materialmente i delitti storicamente attribuiti al Mostro di Firenze.
Amico di Pacciani, anzi - si dice - uno dei pochi amici del contadino di Mercatale, appassionato di caccia, negli anni '80 il Toscano era stato appuntato dei carabinieri della caserma di Mercatale, finchè questa non venne soppressa e inglobata nella caserma di San Casciano. Era andato in pensione nel 1992, all'età di cinquantanove anni.
Stando alle dichiarazioni del Lotti, risultò essere appunto il fornitore delle cartucce calibro 22. Secondo il Lotti, il carabiniere le passava al Vanni che poi le consegnava al Pacciani, in un giro un po' strano e forse inutile.
Del Toscano abbiamo sentito parlare in occasione del Processo ai Compagni di Merende. A tirarlo in ballo, oltre a Lotti, era stata la signora Maria Antonietta Sperduto, che era solito chiamarlo "palle d'oro" o "mangia orecchie", in quando secondo la testimone il suddetto carabiniere avrebbe avuto atteggiamenti intimidatori e quasi persecutori nei confronti di suo marito, Renato.
Come apprendiamo nell'udienza del 27 gennaio 1998 per bocca del poliziotto Michele Giuttari in veste di testimone al processo contro i CdM, il Toscano aveva sempre posseduto pistole calibro 22, regolarmente denunciate. Tra queste un revolver e due Beretta, l'ultima delle quali era stata aquistata nel 1985 da un carabiniere in pensione, tale Lorenzo Mocarelli.
Nel marzo del 1996 durante una perquisizione nell'abitazione del Toscano furono trovate oltre 200 cartucce Winchester calibro 22 con la lettera W impressa sul fondello (quelle del MdF avevano la lettera H). Toscano dichiarò che tali cartucce gli erano state date proprio dal Mocarelli quando aveva acquistato la predetta Beretta. Tuttavia, secondo la Pubblica Accusa, Mocarelli aveva cessato di frequentare il Poligono alle Cascine, dove era stato solito acquistare le scatole di munizioni, nel 1978 quando ancora erano in commercio le cartucce con la lettera H sul fondello. Quelle con la lettera W sarebbero entrate in produzione fra il 1980 e il 1981. Dunque, sempre secondo l'Accusa, il Mocarelli non avrebbe potuto regalare al Toscano quelle duecento cartucce, in quanto lui stesso non poteva possederle.
Interrogato in merito al Processo contro i CdM, il Mocarelli (ormai ottantenne e con gravi problemi d'udito) non fu in grado di chiarire la questione, non ricordando quante pallottole aveva ceduto al Toscano e soprattutto in quale periodo lui a sua volta le avesse aquistate. L'uomo dichiarò comunque di aver sempre nutrito una profonda stima nei confronti del carabiniere Toscano; inoltre dalle sue parole non fu possibile escludere che avesse potuto acquistare scatole di munizioni anche dopo il 1980 o 1981.
A ogni modo, è doveroso sottolineare che qualunque potesse essere stata l'origine di quelle cartucce calibro 22, queste non erano sicuramente correlabili ai delitti del Mostro. A tal proposito, il Toscano ebbe modo di dichiarare di non essersi mai interessato al caso, nonostante in occasione del delitto degli Scopeti, la caserma dei carabinieri di San Casciano, avesse svolto indagini sulla figura di Pietro Pacciani.
Negli archivi dell'Arma fu inoltre trovato un fonogramma, firmato da Toscano, spedito al comando provinciale alle dieci del mattino del 24 dicembre 1980, in cui la morte di Renato Malatesta veniva, forse troppo sbrigativamente, definita "un sicuro caso di suicidio".
Dopo le dichiarazioni del Lotti, il Toscano fu indagato per alcuni degli omicidi del MdF e per la strana morte di Renato Malatesta (al solito, vedasi capitolo "Le morti collaterali"). Verrà scagionato da tutte le accuse. Morirà nel dicembre del 2013 dopo una breve malattia.
Lo stesso Indovino diveniva figura centrale delle indagini e - secondo la Procura fiorentina - personaggio chiave nei delitti del Mostro.
Prestando infatti fede alle dichiarazioni della Ghiribelli, sebbene queste fossero state smentite dal Galli, dalla Nicoletti e, più in generale, nessuno fra i vari frequentatori della casa di via Faltignano avesse fornito alcun riscontro in merito, secondo la Procura di Firenze, e in particolar modo secondo il dottor Michele Giuttari, era evidente che nella abitazione del sedicente mago si svolgessero, nel fine settimana, riti orgiastici dal forte sapore esoterico.
Ma non solo, la Procura era risalita ad altre testimonianze estremamente suggestive, come quella riportata da Giuttari, relativa a una tale signora Silvia Del Secco, pittrice fiorentina che nella prima metà degli anni '80 stava cercando casa dalle parti di San Casciano.
All'epoca la donna si era fermata davanti a un'abitazione in via Faltignano con la scritta "Vendesi" e si era messa a conversare con due uomini che sostavano all'ingresso della casa. Aveva appreso che uno dei suoi interlocutori era Salvatore Indovino, mago di San Casciano, particolarmente "celebre" per la preparazione di filtri d'amore. Fu lo stesso mago a raccontarle durante quel breve colloquio che per unire una coppia in eterno era necessario disporre di un pezzo di vestito dell'uomo, di una sua foto, di secrezioni vaginali e di peli pubici della donna. L'uomo e la donna avrebbero inoltre dovuto accoppiarsi in un luogo aperto, in automobile, comunicando al mago il giorno, il luogo e il tipo di vettura usata.
Sul momento la giovane pittrice era andata via piuttosto perplessa. In seguito, durante il Processo Pacciani, precisamente il 9 luglio 1994 (dunque all'incirca una decina d'anni dopo quell'incontro) aveva ritenuto opportuno recarsi in questura e riferire quella strana conversazione. Inizialmente, la Procura non diede troppo peso a quelle dichiarazioni, anche perché all'epoca Pacciani veniva considerato il serial killer solitario delle coppiette. In seguito, con l'entrata in scena del Lotti e della Ghiribelli, con la nascita della teoria dei complici, degli eventuali mandanti e della setta esoterica su cui premeva fortemente Giuttari, la casa di via Faltignano, i suoi frequentatori e in special modo la misteriosa figura di Salvatore Indovino assunsero tutt'altra connotazione e in questo senso anche le dichiarazioni della su citata Silvia furono viste sotto una nuova luce.
A queste si sarebbero aggiunte in seguito altre testimonianze, come quelle immancabili di Lorenzo Nesi che, nell'aprile del 2003 avrebbe avuto modo di riferire alcune informazioni che aveva appreso dal suo amico Vanni. Dirà il Nesi: "...in quel posto (via Faltignano, NdA) si facevano cose strane, proprio brutte, tanto che lo stesso Vanni ne rimaneva disgustato. Non erano festini, ma qualcosa di più torbido, che aveva sempre a che vedere con perversioni di sesso, ma di un sesso estremo. Mi viene in mente che la figlia della Sperduto, quella uccisa, per come ho capito dal Vanni, doveva aver subito una serie di violenze molto particolari che non so spiegare durante quelle riunioni a sfondo sessuale..."
Comunque la si pensi in merito, risulta a questo punto essenziale elencare i frequentatori abituali della casa di via Faltignano.
Il mago Salvatore Indovino
Manovale di origini catanesi, classe 1922. Dopo aver scontato 19 anni di carcere per omicidio, negli anni '70 Salvatore Indovino si trasferì ad Alessandria dove, lavorando per un'azienda che si occupava di produzione e distribuzione di bevande, conobbe la sua futura compagna Filippa Nicoletti, di trent'anni più giovane e prossima a separarsi dal marito. Nel 1977 i due si trasferirono in Sicilia. L'anno successivo si spostarono prima a Prato (dove, secondo alcune narrazioni, conobbero Gabriella Ghiribelli), poi a San Casciano Val di Pesa, al civico 5A di via Faltignano.Salvatore spinse la Nicoletti a prostituirsi nei dintorni di Santa Maria Novella a Firenze e per questo venne arrestato e rimase in carcere alle Murate di Firenze dal 26 luglio al 4 dicembre del 1981. Come già visto nel relativo capitolo, condivise per circa tre settimane la detenzione con Francesco Vinci, all'epoca non ancora accusato di essere il Mostro di Firenze, ma già ovviamente coinvolto nelle indagini sul delitto del 1968.
Ció che comunque ci preme maggiormente sottolineare di questa detenzione, è che Indovino era in carcere in occasione del delitto delle Bartoline.
Durante la sua reclusione, probabilmente nel tentativo di escogitare un modo per fare qualche soldo, Indovino si convinse di possedere doti medianiche. Scrisse a tal proposito alla Nicoletti: "La mia sorte è nel mio nome...".
Uscito dal carcere, cominciò a esercitare la professione di mago, dedito in special modo alla preparazione di filtri d'amore. Divenne ben presto noto nel ristretto ambiente da lui frequentato come il Mago di San Casciano.
A questo punto è opportuno ricordare che nel 1968 l'Indovino viveva ancora in Sicilia; nel 1974 era ad Alessandria; nel giugno 1981 era a San Casciano, ma ancora non aveva "scoperto" le sue doti medianiche e non esercitava la professione di mago; nell'ottobre del 1981 era in carcere. Dunque almeno per i primi quattro delitti storicamente attribuiti al MdF un coinvolgimento dell'Indovino sembrerebbe escluso. Solo a partire dal delitto del 1982, la casa di Indovino sarebbe potuta diventare il centro nevralgico dei delitti (a matrice fortemente esoterica) del Mostro di Firenze, come sosteneva la Procura. Per quanto riguarda gli omicidi precedenti, ammesso ci fosse stata una motivazione esoterica e ci fossero stati dei mandanti e degli esecutori materiali, questi dovevano con ragionevole certezza esulare dalla figura di Indovino e dalla di lui dimora.
Appare comunque plausibile, stando anche alle predette dichiarazioni della pittrice fiorentina, Silvia del Secco, che in quegli anni l'Indovino si dedicasse alla preparazione di filtri d'amore e le sue arti magiche fossero principalmente orientate, almeno all'apparenza, a risolvere i problemi d'amore di coppie in crisi, il che apparirebbe anche in linea con le dichiarazioni fornite da Norberto Galli nel precedente capitolo.
Secondo le dichiarazioni della Ghiribelli, invece, fra il 1984 e il 1985 l'abitazione di via Faltignano divenne teatro di sedute spiritiche e messe nere in cui scorrevano fiumi di alcool e terminavano con orge fra i partecipanti che coinvolgevano anche minori. A partecipare a tali festini erano, oltre ai nomi che vedremo nel prosieguo di questo capitolo, anche Pacciani, Vanni e alcuni fra i cosiddetti notabili, cioè importanti professionisti appartenenti al cosiddetto secondo livello.
Vedremo meglio in seguito l'attendibilità di tali dichiarazioni e come queste non abbiano trovato grande riscontro fra gli altri testimoni.
Di Salvatore Indovino come il "Mago di San Casciano" aveva parlato anche l'ex amico del Vanni, il testimone Lorenzo Nesi. Abbiamo già riportato queste dichiarazioni nel capitolo dedicato alle "Morti collaterali".
Brevemente, il Nesi dichiarò, sia nelle dichiarazioni rese nel 1993 a Vigna e Canessa, sia in quelle successive (1996 e 2003), di aver scorto un tipo vestito da mago in casa di una prostituta frequentata da lui e dal Vanni. Sebbene nelle dichiarazioni del 1993 e del 2003 non avesse mai fatto alcun riferimento all'Indovino, in quella resa a Giuttari nel 1996 e nel successivo processo ai CdM (dunque in piena frenesia da "indagini su via Faltignano") affermò di aver riconosciuto in tale mago la persona di Salvatore Indovino. Di seguito alcune delle sue testuali parole (deposizione del 28 Febbraio 1996):
"...Ricordo bene che io feci riferimento a questa figura del mago, dicendo che in un occasione lo avevo addirittura visto nell'abitazione di una prostituta, tale Gina M., dove mi ero recato per prendere il Vanni. Ricordo che quando entrai nella stanza della prostituta, per vedere se c'era ancora Vanni, notai un uomo con la testa grande, un pò rapato, che indossava un mantello nero e nella stanza vi era una luce rossa alla finestra, proprio dove si trovava la persona... Ne parlai con Vanni, quel giorno stesso, quando lo andai a prendere ad un bar lì vicino e lui non si meravigliò di quella presenza. Mi diede l'impressione che per lui fosse un fatto normale, ma non mi spiegò nulla. Non so spiegare perché, ma in qualche modo mi venne di pensare, successivamente, che quell'uomo con il mantello potesse in qualche modo avere a che vedere con i delitti. Quest'uomo, che io vidi seduto davanti alla finestra e di profilo era un uomo di mole grossa, maturo - certamente non si trattava di un ragazzo - e quando si accorse che io aprii la porta e guardai dentro la stanza, ebbe un gesto di stizza. Per i pochi attimi che ebbi modo di vederlo, non riuscii a memorizzare altri particolari, anche perché nella stanza non vi era una buona illuminazione essendoci solamente una lampada che diffondeva una luce rossa... Penso che fosse Salvatore, il mago di San Casciano. L'ho visto per pochi istanti, ma mi è sembrato lui..."Abbiamo già evidenziato come la persona scorta dal Nesi non potesse essere l'Indovino, in quanto all'epoca della morte della Manfredi, Salvatore era in carcere e precedentemente non aveva ancora scoperto le sue arti divinatorie.
Nel frattempo, pare che la casa del sedicente mago fosse frequentata anche da giovani donne, spesso senza fissa dimora, sbandate o tossicodipendenti, cui Salvatore dava ospitalità, probabilmente in cambio di prestazioni sessuali. A tal proposito riportiamo le dichiarazioni di tale Ezio Pestelli, proprietario di un negozio di alimentari nella vicina via Scopeti 34, gestito assieme alla moglie (che a dire della Ghiribelli era molto superstiziosa e talvolta marito e moglie avevano partecipato alle sedute spiritiche a casa dell'Indovino):
"...Frequentavano quella abitazione anche alcune donne da me viste e che non conoscevo e delle quali, quindi, non sono in grado di fornire particolari... L'Indovino spesso ospitava nella propria abitazione ragazze sbandate che rimorchiava la sera a Firenze, non so però dove di preciso. Queste ragazze si fermavano per alcuni giorni dall'Indovino e, prima di partire da Faltignano, si fermavano nella mia bottega a prendere un cappuccino con l'Indovino. Li vedevo poi andar via ma non so dove andassero... Le avrò viste tre o quattro volte..."
Nell'estate del 1985, qualche giorno prima del delitto degli Scopeti, Salvatore Indovino, già malato terminale di cancro, denunciò il furto con effrazione presso la sua abitazione di un coltello da cucina e una lente d'ingrandimento.
Secondo le iniziali dichiarazioni del Galli, l'Indovino sarebbe stato in automobile con lui la sera di domenica 8 settembre 1985 quando, tornando da Firenze e diretti a San Casciano, i due uomini passarono per via degli Scopeti e all'imbocco della piazzola notarono una vettura rossa, identificata dieci anni dopo come quella del Lotti. Tuttavia, la presenza dell'Indovino venne smentita dalla stessa Ghiribelli e in seguito il Galli intese allinearsi alle dichiarazioni della sua ex compagna.
Il sedicente mago morì meno di un anno dopo, il 15 agosto 1986, profondamente provato dalla malattia. Di lui esiste un unico reperto fotografico.
Circa un decennio dopo, nell'ormai maturata convinzione del suo pieno coinvolgimento nei delitti del Mostro, la Procura di Firenze chiese l'apertura della sua bara in terra siciliana, nella speranza di trovarvi la famosa Beretta calibro 22. Inutile dire che tali speranze vennero disattese.
Filippa Nicoletti
Anche lei di origine siciliane, la Nicoletti nacque in provincia di Caltanissetta il 2 luglio 1952. Anche lei si trasferì ad Alessandria negli anni '70. Qui conobbe Salvatore Indovino, di trent'anni più anziano. Sposata con figli, la vita coniugale della Nicoletti era funestata da continui e violenti litigi. Nel 1977 la donna dapprima tentò il suicido, quindi decise di separarsi dal marito per fuggire con Salvatore. La coppia inizialmente andò a vivere in Sicilia, nel paese natale di lui, poi nel 1978 si trasferì a Prato, dove viveva il fratello di Salvatore, infine nello stesso anno, prese in affitto la casa in via Faltignano, a San Casciano.Spinta dal proprio compagno, la Nicoletti iniziò in quel periodo l'attività di prostituta a Firenze. Nell'agosto del 1981, mentre Indovino era in carcere, conobbe in piazza a San Casciano Giancarlo Lotti e ne divenne amica e amante. Con l'Indovino le cose non sempre andavano bene e durante qualcuna delle numerose liti, la Nicoletti aveva tentato di trasferirsi presso l'abitazione del Lotti al Ponte Rotto, non trovando però disponibilità ad accoglierla da parte del suo "amante", che da un lato temeva la reazione dell'Indovino, dall'altro non voleva rinunciare alla propria indipendenza. I rapporti fra Nicoletti e Lotti rimasero comunque sempre piuttosto cordiali. Per stessa ammissione della donna, con il Lotti condivideva la dipendenza dall'alcool, dichiarando in una famosa udienza del Processo ai CdM: "fra me e il Lotti c'era il bottiglione di mezzo".
Nel marzo del 1984, a causa di un violento litigio dovuto a una relazione che aveva intrapreso con un suo giovane cliente, la Nicoletti lasciò l'ormai sessantaduenne e già malato Salvatore Indovino, per trasferirsi ad Arezzo, a casa del suo nuovo compagno, tale Carlo Sadotti. Tornò saltuariamente in via Faltignano nei due anni successivi per fare visita all'ormai malato terminale Salvatore.
Nonostante un nuovo compagno e il trasferimento in una città distante un'ottantina di chilometri da San Casciano, evidentemente la Nicoletti continuò a frequentare anche il Lotti, se è vero che nell'estate del 1984 i due si appartarono alla Boschetta di Vicchio, la piazzola teatro poco tempo dopo del tragico delitto in cui persero la vita lo Stefanacci e la Rontini, distante una sessantina di chilometri da San Casciano. In realtà, secondo il Lotti, l'ultima volta che lui e la Nicoletti frequentarono la Boschetta fu nel 1983.
Anche della Nicoletti sappiamo molto poco sulla vita che condusse dalla metà degli anni '80 fino alla metà dei '90, quando anche lei tornò al centro delle indagini in seguito alle dichiarazioni del Lotti e della Ghiribelli.
Ripetutamente intercettata e interrogata, la donna ha sempre smentito di aver mai conosciuto Pacciani e Vanni. Negò inoltre che la dimora del suo convivente fosse mai stata teatro di sedute spiritiche e orge, smentendo di fatto le dichiarazioni della Gabriella Ghiribelli.
Queste sue dichiarazioni in merito:
"...Ho abitato in via di Faltignano fino al marzo del 1984. Io, quando stavamo insieme, non l'ho mai visto fare il mago (riferendosi all'Indovino, NdA). Non ho mai visto in vita mia il Pacciani. L'ho visto in televisione e sui giornali. Ho conosciuto Lotti Giancarlo nel mese di agosto del 1981, mentre il mio convivente, Salvatore Indovino, era in carcere. L'ho conosciuto in piazza a San Casciano. Io vivevo da sola e da quel giorno il Lotti mentre Salvatore era in carcere ha cominciato a frequentare casa mia e abbiamo avuto rapporto uomo-donna. Il Lotti non mi ha presentato mai nessun uomo. Ho visto in televisione, al processo Pacciani, il postino Vanni. Escludo di averlo mai conosciuto e tantomeno che il Lotti me l'abbia presentato".
Tali dichiarazioni sarebbero state confermate anche dalle molteplici intercettazioni cui la Nicoletti era sottoposta. In una del 16 dicembre 1995, Filippa chiedeva al Lotti, riferendosi al Pacciani: "Ma tu mica mi hai presentato qualche volta lui?". Il Lotti rispondeva: "No. Te non l'hai mai conosciuto per nulla". La Nicoletti ribadiva: "Io non l’ho conosciuto né tanto Mario, né al Pacciani. lo non li ho mai visti. Dice lì vicino ci abitava la Sperduto, ma io non ci ho mai parlato, buongiorno, buonasera... è la verità che noi non abbiamo mai avuto a che fare con queste persone, cioè Pacciani e Vanni... Io li conosco a questi due per via della televisione..."
Come abbiamo già avuto modo di far notare, la Ghiribelli aveva, invece, detto che Pacciani aveva frequentato la casa di Indovino in via di Faltignano, salvo poi correggersi e smentirsi nelle successive dichiarazioni e tornare a sostenerlo durante la sua audizione dibattimentale al Processo contro i CdM. La Nicoletti, al contrario, sul punto è sempre apparsa categorica, non contraddicendosi mai.
Al momento in cui scriviamo (ultimo scorcio del 2020), la Nicoletti risulta una dei pochi protagonisti della vicenda ancora in vita.
Sebastiano Indovino
Fratello di Salvatore, verso la fine degli anni '70, Sebastiano aveva frequentato il famoso "bar dei sardi" a Prato. Fu lui, secondo alcune narrazioni, a conoscere per primo la Ghiribelli e a presentarla a Salvatore. Da notare che quello stesso bar di Prato era il punto di ritrovo anche del clan dei sardi presumibilmente coinvolto nel delitto del 1968.Interrogato anch'egli a metà anni '90, dichiarò di aver frequentato suo fratello soprattutto durante gli ultimi anni di vita, quando con tutta la famiglia andava a trovarlo nei fine settimana nella sua abitazione a San Casciano Val di Pesa. Nessun riferimento da parte di Sebastiano alle presunte orge che in quello stesso periodo proprio nei fine settimana sarebbero avvenute nella casa di via Faltignano. Anche da lui, dunque, una secca smentita alle dichiarazioni della Ghiribelli.
Mago Manuelito
Anch'egli di origine siciliane, nativo di Nissoria in provincia di Enna, il suo vero nome era Francesco Verdino, ma era più conosciuto come Mago Manuelito o Mago del Messico, in quanto aveva trascorso diversi anni a Guadalajara, nella parte occidentale dello stato nordamericano.Amico di Salvatore Indovino, Manuelito lavorava come mago a Sesto Fiorentino e possedeva un grande camper con cui era solito recarsi a casa dell'Indovino, in via Faltignano a San Casciano. Secondo la Ghiribelli, era proprio il Manuelito motore e catalizzatore delle sedute spiritiche che si svolgevano in quell'abitazione. Proprio qui, nei primi anni '80 sembra che il mago instaurò una relazione con Milva Malatesta, la giovane donna di cui abbiamo già parlato svariate volte nel corso di queste pagine e sulla quale a breve ci soffermeremo nuovamente.
Nota ad colorandum, su youtube è rintracciabile una partecipazione del Mago Manuelito, datata 25 dicembre 1978, all'allora noto programma televisivo "Acquario", condotto da Maurizio Costanzo, in onda su RAI 1 in seconda serata.
Presentato come celebre mago operante a Firenze, durante la sua breve comparsata in studio, Manuelito si distinse per un tentativo "divinatorio" nei confronti di un camerman, per essere stato oggetto dell'ironia neanche troppo velata del conduttore Costanzo e per una scarsissima conoscenza dell'italiano, dando la piena sensazione di un personaggio appena un battito di ciglia sopra l'analfabetismo.
Maria Antonietta Sperduto
Classe 1939, moglie di Renato Malatesta e madre della ben nota Milva, la Sperduto aveva origini lucane. Negli anni '70 visse con la famiglia dalle parti della Sambuca, in via Chiantigiana 10, nel comune di Tavernelle Val di Pesa; qui conobbe il postino Mario Vanni con cui ebbe rapporti sessuali, forse a pagamento. Nella seconda metà degli anni '70 conobbe anche Pacciani e ne divenne l'amante.Fra fine novembre e inizio dicembre del 1980, una ventina di giorni prima della morte del marito, la Sperduto si trasferì con i figli in via Faltignano, nell'abitazione confinante a quella di Salvatore Indovino. Non è dato sapere se anche dopo questo trasferimento continuò la sua frequentazione con il Pacciani e con il Vanni, i quali – a dire della stessa Sperduto – avevano abusato più volte di lei, in un'occasione anche nella piazzola degli Scopeti, all'interno dell'automobile Fiat 500 del Pacciani.
È certo, comunque che, a parte la Ghiribelli, la quale sul punto si è contraddetta più volte, nessuno fra i normali frequentatori di via Faltignano dichiarò mai di aver visto il Pacciani bazzicare le due abitazioni. Per quanto riguarda il Vanni, invece, oltre a quella della Ghiribelli, vi è anche la testimonianza di Lorenzo Nesi, il quale dichiarò di aver lui stesso accompagnato qualche rara volta il Vanni in un'abitazione fatiscente e molto sporca di via Faltignano dove si sarebbero consumate delle orge fra i vari frequentatori.
Un paio d'anni dopo, nell'aprile del 1983, la Sperduto andò a vivere insieme ai due figli più piccoli, Laura e Luciano, a Poggibonsi con un nuovo compagno, tale Vincenzo Trancucci, di professione spazzino. Da notare che all'epoca la Ghiribelli non si era ancora trasferita a San Casciano e, difatti, la Sperduto ha sempre dichiarato di non aver mai conosciuto personalmente la Ghiribelli, ritrovandosi, dunque, anche lei a smentire le dichiarazioni della Gabriella.
Milva Malatesta
Figlia di Renato Malatesta, l'uomo trovato impiccato nel Dicembre del 1980 (vedasi capitolo dedicato alle Morti Collaterali) e della appena citata Maria Antonietta Sperduto.Prostituta fin dalla più giovane età, nel 1979, all'età di 17 anni, Milva conobbe Vincenzo Limongi con cui ebbe un figlio che venne dato in affidamento ai genitori di lui. Fra la fine degli anni '70 e l'inizio degli anni '80, secondo Giovanni Calamosca, divenne l'amante di Francesco Vinci. Da notare che all'epoca Milva aveva meno di vent'anni, mentre Francesco ne aveva all'incirca 45.
Poco prima della morte del padre, nel dicembre 1980, si trasferì con la mamma e i due fratelli in via Faltignano nella casa confinante a quella di Salvatore Indovino. Milva conobbe Salvatore, all'epoca quasi settantenne, e secondo la Ghiribelli ne divenne amante, nonostante la differenza d'età. Fu probabilmente anche amante del su citato mago Manuelito.
Come già ampiamente dibattuto, Milva potrebbe rappresentare il punto di contatto fra i sardi e Pacciani (spiegando così il famoso passaggio di pistola) e successivamente fra i sardi e la congrega di casa Indovino. Ribadiamo, tuttavia, che non esiste alcuna prova concreta (a parte le dichiarazioni non verificabili di Calamosca) che Milva fosse stata realmente l'amante del Vinci. Nessuno fra i frequentatori del giro di via Faltignano ha mai parlato di un'eventuale conoscenza con il Vinci e persino la Ghiribelli, che avrà modo di parlare a lungo, e spesso a sproposito, di ciò che avveniva in quelle abitazioni, accennerrà mai a tale relazione. Come vedremo, lo stesso Luciano Malatesta, fratello minore di Milva, affermò durante il processo ai CdM di non aver mai conosciuto Francesco Vinci, né di essere mai stato a conoscenza di una sua frequentazione con la sorella Milva.
Nel 1988, Milva si trasferì nella piccola frazione di Pino, nel comune di Certaldo e si sposò con un muratore palermitano, Francesco Rubino. Il 30 agosto 1990 nacque Mirko, figlio suo e del Rubino. In seguito Milva sporse una serie di denunce contro il marito per maltrattamenti e percosse, che condussero a una separazione nel luglio del 1993. Circa un mese dopo, fra il 19 ed il 20 agosto 1993, Milva Malatesta morì in circostanze tragiche e fortemente sospette (anche perché a distanza di una settimana dall'analogo assassinio di Francesco Vinci), uccisa e bruciata all'interno della sua vettura assieme al figlio Mirko. C'erano alcuni indizi a carico del Rubino, il quale però nell'aprile del 1995 fu assolto per non aver commesso il fatto.
Per maggiori dettagli sulla morte di Milva e sulle relative indagini, si veda il capitolo "Le Morti Collaterali".
Vincenzo Limongi
Soprannominato Kociss per il suo essere "selvaggio", Limongi era stato il primo convivente di Milva Malatesta dalla quale aveva avuto un figlio che venne cresciuto dai genitori di lui. La vita del Limongi trascorse fra furti, rapine e spaccio di droga. Finì in carcere a Sollicciano nello stesso periodo in cui Pacciani era detenuto per la violenza sulle figlie. Il 19 maggio 1991, pochi giorni prima che scadesse il suo periodo di detenzione, a 37 anni, si impiccò nella sua cella. Senza ombra di dubbio un suicidio, ma davvero difficile da spiegare.Luciano Malatesta
Classe 1967, figlio di Renato e Maria Antonietta Sperduto, fratello minore di Milva. Luciano era poco più di un bambino fra la fine degli anni '70 e gli inizi degli anni '80, quando la sua sfortunata famiglia si ritrovò al centro degli avvenimenti che, molti anni dopo, sarebbero stati associati alla tragica epopea del Mostro di Firenze.Di ciò che ha affemato Luciano nel corso degli anni, preferiamo fare una sintesti schematica e precisa, al fine di valutare pienamante l'evoluzione delle sue - spesso contestate - dichiarazioni.
Chiamato a testimoniare durante il processo Pacciani (24 Maggio 1994), disse:
▪ di aver visto più volte il Vanni in casa sua ai tempi in cui vivevano alla Sambuca e di aver capito solo in seguito che il Vanni pretendeva rapporti sessuali dalla mamma;
▪ di non aver mai visto il Pacciani in casa sua, né altrove; di averlo visto per la prima volta in televisione;
▪ di aver sempre ritenuto possibile che il padre, Renato, si fosse suicidato in quanto profondamente depresso.
Chiamato a testimoniare durante il processo ai CdM (10 Luglio 1997), affermò:
▪ di aver visto più volte il Vanni avere atteggiamenti intimidatori nei confronti di sua mamma, Maria Antonietta, ai tempi in cui vivevano alla Sambuca e suo padre era ancora vivo;
▪ di aver visto più volte un uomo, che in seguito avrebbe riconosciuto come l'imputato Giovanni Faggi, aggirarsi dalle parti di casa sua alla Sambuca;
▪ di non aver mai visto personalmente il Pacciani in casa sua, né alla Sambuca, né altrove;
▪ di aver saputo dalla sorella minore Laura che suo padre Renato era stato picchiato da due uomini, uno dei quali era lo zio Antonio Andriaccio e l'altro era il Pacciani. La stessa Laura aveva fornito questa testimonianza in occasione del processo Pacciani, dichiarando che lei stessa aveva assistito in prima persona a questa aggressione;
▪ di aver salvato un paio di volte il padre, profondamente depresso e dedito all'abuso di alcool, da propositi suicidi; in un'occasione l'aveva addirittura trovato con un cappio al collo. Tuttavia, Luciano affermò di aver maturato negli ultimi tre anni, in pratica dalla sua deposizione al processo Pacciani, la convinzione che il padre non si fosse suicidato ma fosse stato ucciso;
▪ di non aver mai conosciuto Francesco Vinci, né di aver mai saputo che avesse una relazione con la sorella Milva;
▪ di aver salturiamente frequentato la casa dell'Indovino in via Faltignano, dopo il loro trasferimento dalla Sambuca a fine 1980;
▪ di aver abitato in via Faltignano fino al 1983, dunque all'incirca per due anni e mezzo;
▪ di non aver mai riscontrato segni di sedute spiritiche, messe nere, orge o cose simili in casa dell'Indovino;
▪ infine, di aver visto spesso negli anni 1980 e 1981 un'automobile sportiva targata Gorizia parcheggiata davanti casa dell'Indovino.
Ora, è risaputo che la famosa Fiat 128 coupé di colore rosso di Giancarlo Lotti fosse inizialmente targata Gorizia. È altresì risaputo che il Lotti, a partire dall'agosto 1981, aveva iniziato a frequentare la Nicoletti, quindi è plausibile che si intrattenesse nella di lei abitazione nel periodo in cui Salvatore Indovino era in carcere. Tuttavia, la Fiat 128 coupé era stata acquistata dal Lotti in data 30 marzo 1983 (con targa GO 84888) ed era stato effettuato il cambio targa (divenne FI D56735), all'epoca obbligatorio, in data 28 aprile 1983, dunque un mese dopo l'acquisto.
Non è dato sapere quante automobili sportive targate Gorizia circolassero per San Casciano all'epoca, però sulla base delle date fornite risulta praticamente impossibile che l'automobile sportiva vista dal giovane Malatesta nel 1980 e 1981 fosse di proprietà di Giancarlo Lotti.
Col tempo Luciano ha maturato nuove idee sulla vicenda del Mostro di Firenze e, dopo molti anni di silenzio, a partire dal 2018 ha inteso rilasciare alcune interviste in cui si è ritrovato a fornire nuove, sconcertanti e spesso farneticanti rivelazioni sulla vicenda. In questo paragrafo non intendiamo soffermarci su tali nuovi teorie, che peraltro son costate al Malatesta una querela ancora in corso da parte degli eredi del dottor Pier Luigi Vgna.
Per un maggiore dettaglio sull'argomento, si rimanda al capitolo denominato "Mostrologia minore".
Domenico Agnello
Classe 1954, di origini catanesi come l'Indovino, residente a Prato, pluripregiudicato, venditore ambulante di frutta e verdura in quel di Mercatale, l'Agnello aveva frequentato sia il cosiddetto bar dei sardi a Prato (ufficialmente il bar Rolando, sito in piazza Duomo 41), sia negli anni '80 la casa di Salvatore Indovino, di cui era amico.Secondo la teste Gabriella Ghiribelli, Agnello era stato amico anche di un sardo di cognome Sanna e di un tale, il cui soprannome era Draculino. Inoltre, sempre stando alle dichiarazioni della Ghiribelli, aveva frequentato lo stesso Francesco Vinci. Quest'ultimo particolare viene riportato anche dal superpoliziotto e scrittore, Michele Giuttari nel suo libro "Compagni di sangue". Tuttavia, pur non volendo dubitare delle parole della Ghiribelli e degli scritti di Giuttari, dell'amicizia fra Agnello e Vinci non c'è alcun riscontro nelle carte e - a dirla tutta - si tratta di un dato che non è mai stato tenuto in considerazione da nessuno degli inquirenti che si era ritrovato a indagare su un ipotetico passaggio di pistola dal clan dei sardi alla congrega di via Faltignano.
L'Agnello rimane comunque un personaggio misterioso, di cui si sa molto poco. Il 4 agosto del 1994 (in pieno processo Pacciani) uscì da casa sua a Prato dichiarando alla moglie che si sarebbe recato al bar, ma non fece più ritorno. La sua Alfa 164 fu ritrovata bruciata un paio di giorni dopo in un bosco del Mugello. Di lui si è persa qualsiasi traccia.
Paradiso e Venturini
Di Luciano Paradiso e della sua giovane amante Maria Grazia Patierno ne aveva parlato la Ghiribelli come di una coppia fortemente interessata a pratiche di magia, che spesso partecipava alla sedute spiritiche in casa dell'Indovino, quando ivi giungeva il mago Manuelito con il suo camper.Anche su questo punto, la Nicoletti avrebbe smentito la donna, parlando di Paradiso come di un amico di Sebastiano che, non sapendo dove portare la sua giovane amante per trascorrere qualche momento di intimità, era solito usufruire di una stanza che Salvatore gli metteva a disposizione. Come avrebbe detto la Nicoletti: "Lì mangiavano e si divertivano e giocavano a carte anche quando Salvatore stava male..."
Convocati a rendere testimonianza nel febbraio del 1996, sia Paradiso che la Patierno confermarono la conoscenza con l'Indovino tramite il di lui fratello, e parlarono di una conoscenza molto sommaria con la Nicoletti, descritta come una donna con forti problemi di alcool. Entrambi confermarono di aver frequentato casa di Salvatore fra la fine del 1984 e gli inizi del 1985, per circa sei o sette mesi. Salvatore concedeva loro una stanza per poche ore, in cambio Maria Grazia faceva le pulizie, cucinava e a volte gli faceva delle iniezioni. Non avevano nessuna contezza di sedute spiritiche o messe nere che sarebbero avvenute in quell'abitazione.
Circa un anno e mezzo dopo, la Patierno sarebbe stata ascoltata come testimone al Processo contro i CdM, ribadendo quanto affermato in precedenza.
Anche di Roberto Venturini aveva parlato la Ghiribelli come di un partecipante alle predette sedute spiritiche. Anche lui, ascoltato nel febbraio del 1996, avrebbe dichiarato: "...Mi viene chiesto se sono a conoscenza che l'Indovino faceva il mago o comunque si intendeva di magia e rispondo negativamente. Indovino non mi ha mai parlato di magia, né ho sentito fare da altri discorsi che lui era esperto di tale arte."
Filipponeri Toscano:
Classe 1933, siciliano di nascita, il Toscano non si può propriamente definire un frequentatore di via Faltignano, tantomeno assiduo.All'interno della Procura di Firenze stava, però, maturando l'idea che fosse lui a fornire i proiettili calibro 22 con la H impressa sul fondello a coloro che commettevano materialmente i delitti storicamente attribuiti al Mostro di Firenze.
Amico di Pacciani, anzi - si dice - uno dei pochi amici del contadino di Mercatale, appassionato di caccia, negli anni '80 il Toscano era stato appuntato dei carabinieri della caserma di Mercatale, finchè questa non venne soppressa e inglobata nella caserma di San Casciano. Era andato in pensione nel 1992, all'età di cinquantanove anni.
Stando alle dichiarazioni del Lotti, risultò essere appunto il fornitore delle cartucce calibro 22. Secondo il Lotti, il carabiniere le passava al Vanni che poi le consegnava al Pacciani, in un giro un po' strano e forse inutile.
Del Toscano abbiamo sentito parlare in occasione del Processo ai Compagni di Merende. A tirarlo in ballo, oltre a Lotti, era stata la signora Maria Antonietta Sperduto, che era solito chiamarlo "palle d'oro" o "mangia orecchie", in quando secondo la testimone il suddetto carabiniere avrebbe avuto atteggiamenti intimidatori e quasi persecutori nei confronti di suo marito, Renato.
Come apprendiamo nell'udienza del 27 gennaio 1998 per bocca del poliziotto Michele Giuttari in veste di testimone al processo contro i CdM, il Toscano aveva sempre posseduto pistole calibro 22, regolarmente denunciate. Tra queste un revolver e due Beretta, l'ultima delle quali era stata aquistata nel 1985 da un carabiniere in pensione, tale Lorenzo Mocarelli.
Nel marzo del 1996 durante una perquisizione nell'abitazione del Toscano furono trovate oltre 200 cartucce Winchester calibro 22 con la lettera W impressa sul fondello (quelle del MdF avevano la lettera H). Toscano dichiarò che tali cartucce gli erano state date proprio dal Mocarelli quando aveva acquistato la predetta Beretta. Tuttavia, secondo la Pubblica Accusa, Mocarelli aveva cessato di frequentare il Poligono alle Cascine, dove era stato solito acquistare le scatole di munizioni, nel 1978 quando ancora erano in commercio le cartucce con la lettera H sul fondello. Quelle con la lettera W sarebbero entrate in produzione fra il 1980 e il 1981. Dunque, sempre secondo l'Accusa, il Mocarelli non avrebbe potuto regalare al Toscano quelle duecento cartucce, in quanto lui stesso non poteva possederle.
Interrogato in merito al Processo contro i CdM, il Mocarelli (ormai ottantenne e con gravi problemi d'udito) non fu in grado di chiarire la questione, non ricordando quante pallottole aveva ceduto al Toscano e soprattutto in quale periodo lui a sua volta le avesse aquistate. L'uomo dichiarò comunque di aver sempre nutrito una profonda stima nei confronti del carabiniere Toscano; inoltre dalle sue parole non fu possibile escludere che avesse potuto acquistare scatole di munizioni anche dopo il 1980 o 1981.
A ogni modo, è doveroso sottolineare che qualunque potesse essere stata l'origine di quelle cartucce calibro 22, queste non erano sicuramente correlabili ai delitti del Mostro. A tal proposito, il Toscano ebbe modo di dichiarare di non essersi mai interessato al caso, nonostante in occasione del delitto degli Scopeti, la caserma dei carabinieri di San Casciano, avesse svolto indagini sulla figura di Pietro Pacciani.
Negli archivi dell'Arma fu inoltre trovato un fonogramma, firmato da Toscano, spedito al comando provinciale alle dieci del mattino del 24 dicembre 1980, in cui la morte di Renato Malatesta veniva, forse troppo sbrigativamente, definita "un sicuro caso di suicidio".
Dopo le dichiarazioni del Lotti, il Toscano fu indagato per alcuni degli omicidi del MdF e per la strana morte di Renato Malatesta (al solito, vedasi capitolo "Le morti collaterali"). Verrà scagionato da tutte le accuse. Morirà nel dicembre del 2013 dopo una breve malattia.
In questa vicenda non c'è nulla di semplice. Continue piste e smentite. Ho visto il video di "Manuelito". Pare conosca meglio lo spagnolo rispetta alla lingua natia. Era quasi sicuramente in ciarlatano. Infatti le uniche cose che dice, circa la cavia che si era prestata ad essere oggetto del consulto di Manuelito, sono state che aveva sofferto molto e che adesso era felice (molto) a livello sentimentale.
RispondiEliminaCredo che Indovino non fosse meglio. Di certo il Vinci non era un personaggio secondario (nel '68 è chiaro che non era il mostro ad aver agito. Le possobilità plausibili erano uno dei fratelli Vinci). Il modo in cui muoiono F. Vinci, la Malatesta fa pensare che firono fortemente volute ma potrebbero riguardare anche altre faccende.
Questo caso non sarà mai risolto, troppo articolato e complesso per ridurlo al Pacciani, Vanni e Lotti.
Una domanda: in base a cosa gli inquirenti si aspettavano di trovare la Beretta calibro 22 nella bara dell'Indovino?
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