Mario Vanni


Vanni nacque a San Casciano il 23 dicembre del 1927. Soprannominato "Torsolo" per via del fisico esile e della limitata intelligenza, privo di ogni forma di cultura, sprovvisto di una propria automobile e di patente, era un emarginato sociale, dedito all'alcool e alla frequentazione di prostitute.
Nel gennaio del 1963, all'età di trentacinque anni, sposò Luisa Landozzi, donna che soffriva di crisi epilettiche e che - secondo l'avvocato Filastò - per questo motivo non era solita concedersi al proprio marito.
L'inadempimento dei doveri coniugali fu sin da subito causa di profonde liti fra i novelli sposi; liti che degenerarono il 9 settembre 1963 quando - stando alla versione ufficiale - Vanni inseguì la moglie minacciandola e facendola ruzzolare per le scale di casa. La donna, in quel momento incinta, denunciò il marito per maltrattamenti.
Una versione differente del controverso episodio della caduta è riportato nel libro "Storia Delle Merende Infami" di Nino Filastò. Secondo il celebre avvocato non fu la moglie a denunciare il Vanni, ma furono i vicini che, allertati dalle frequenti liti, si sentirono in diritto di avvisare i carabinieri e sporgere denuncia. Interrogato in merito, Vanni ammise che talvolta aveva schiaffeggiato la moglie, ma dichiarò che mai si sarebbe sognato di scaraventarla per le scale.
Comunque sia andata realmente, nel marzo del 1964 il tribunale di Firenze assolse Mario Vanni dalle accuse. Poco dopo nacque Annunziata, unica figlia della coppia. Affetta da una grave malattia, la bambina morì il 5 gennaio 1970.
Cattolico praticante e convinto fascista, nel 1966 Vanni intraprese la professione di postino, che svolgerà per 22 anni fino al 31 maggio 1987.
Nel 1973 conobbe Pietro Pacciani, appena trasferitosi dal Mugello a San Casciano Val di Pesa, divenendone il più fidato amico.
Fu il Vanni, che già aveva intrapreso una specie di relazione con Maria Antonietta Sperduto, a portare per la prima volta il Pacciani in casa della Sperduto, pentendosene poi subito a causa del comportamento violento di Pietro nei confronti sia della donna, sia soprattutto del marito di questa (il già citato Renato Malatesta).
A quando invece risalga l'amicizia con Lotti non è dato saperlo con certezza; è noto tuttavia che negli anni settanta e ottanta i due ebbero una frequentazione piuttosto intensa. Anche nella prima metà degli anni novanta, con Pacciani già al centro delle indagini sul Mostro e Vanni che in quel periodo manifestava un'insolita disponibilità economica, continuò la frequentazione con il Lotti, tant'è che quest'ultimo nell'estate del 1995 ebbe una breve relazione estiva con la giovane nipote di Mario, Alessandra Bartalesi.
Il 26 maggio 1994 - proprio in virtù dell'amicizia con Pietro - Vanni fu ascoltato come testimone durante il processo Pacciani. In quell'occasione le sue parole in aula suscitarono l'ilarità generale allorché alla prima domanda del PM Canessa: "Signor Vanni che lavoro fa lei?", rispose: "Io sono stato a fa' delle merende co' i' Pacciani, no?"
Nacque in quel preciso momento la locuzione "Compagni Di Merende".
Il 12 febbraio 1996 Vanni fu arrestato per concorso in omicidio e vilipendio di cadavere in concomitanza con l'assoluzione del Pacciani. Le accuse contro di lui vertevano tutte sulle testimonianze del reo confesso Giancarlo Lotti e del suo amico Fernando Pucci, che individuarono nel postino il complice armato di coltello del Pacciani, in pratica colui che effettuava le escissioni sulle vittime femminili. A parte le suddette dichiarazioni, ulteriori prove o eventualmente indizi sulla sua partecipazione ai delitti non furono però mai trovate.
Durante il processo ai CdM emerse la testimonianza di Renzo Rontini, il quale si disse più che certo di aver incontrato il Vanni nei pressi del bar di Vicchio dove lavorava sua figlia Pia nei giorni precedenti all'omicidio. Una testimonianza importante, ma che la difesa di Mario Vanni nelle persone dell'avvocato Pepi prima e degli avvocati Filastò e Mazzeo in seguito, ha sempre giudicato non attendibile.

Sulla base delle dichiarazioni di Lotti e Pucci, dopo dieci lunghi mesi di dibattimento, il 24 marzo 1998 Vanni venne condannato in primo grado all'ergastolo per cinque degli otto duplici omicidi del "Mostro" (omicidi dell'ottobre 1981, del 1982, 1983, 1984, 1985).
Nonostante gli ottimi risultati conseguiti dalle indagini difensive in vista del secondo grado di giudizio e nonostante in Appello la stessa Pubbica Accusa ne avesse chiesto l'assoluzione, il 31 maggio 1999 la prima sessione della Corte di Assise di Appello di Firenze, presieduta dal dottor Arturo Cindolo e dal consigliere relatore Bruno Loche, confermò la condanna all'ergastolo per Mario Vanni per gli ultimi quattro duplici omicidi del Mostro (1982, 1983, 1984, 1985), assolvendolo di fatto dall'omicidio di Travalle dell'ottobre 1981.
Tale condanna vene resa definitiva il 26 settembre 2000 dalla sentenza dalla Corte di Cassazione.
Ad oggi Vanni e Lotti risultano gli unici due condannati in via definitiva, e dunque dopo tre gradi di giudizio, per i delitti attribuiti al Mostro di Firenze.
A differenza di Lotti, Vanni ha sempre negato qualsiasi addebito, rigettando fortemente tutte le accuse.


La registrazione in carcere
Tre anni dopo la sentenza definitiva, il 30 giugno 2003, il testimone Lorenzo Nesi, in accordo con la Procura di Firenze che stava indagando su un eventuale secondo livello che avrebbe commissionato gli omicidi attribuiti al Mostro, si recò presso il carcere Don Bosco di Pisa dove era recluso il Vanni per aver un colloquio chiarificatore. Il Nesi si disse certo, in virtù della fraterna amicizia che li legava, di poter convincere il Vanni a dire finalmente la verità sull'intera vicenda del Mostro. Il colloquio tra i due venne registrato dalla Polizia Giudiziaria: ebbe inizio alle 19.21 e si concluse alle 20.50.
Emersero chiaramente durante il colloquio le precarie condizioni psichiche in cui versava il Vanni e le sue difficoltà cognitive. L'intero dialogo, a un attento ascolto, ha infatti ben poco senso. Ma ciò che è da sottolineare è il seguente botta e risposta:

MV: È stato Ulisse che ha ammazzato tutte questa gente, nero.
LN: Chi gl'è il nero?
MV: È un americano.
LN: Un americano? E chi ammazzava?
MV: Ulisse. Ulisse si chiama.
LN: Un l'ha ammazzati il Pacciani? O 'un l'ha ammazzati il Pacciani?
MV: No.
LN: E indo gli era quest'americano?
MV: E indo gli era? Nel bosco lo trovi. Lo trovò nel bosco. Ogni cosa gl'aveva. Che l'era stato lui a fa' questi delitti.
LN: Ma chi l'ha detto questo?
MV: Eh...
LN: Perché ora, fino a ora tu m'ha detto che questi omicidi l'ha fatti il Pacciani. E questo Ulisse, e questo nero chi gl'è?
MV: Ulisse si chiamava.
LN: Ma 'ndo gli stava?
MV: Eh, in America.
LN: In...
MV: In America...
LN: E veniva a fa' gli omicidi qui?
MV: Davvero.
LN: Mh. Icché tu mi dici, Mario? Ma vien via! Ma te lo conoscevi questo nero?
MV: No. Io non lo conoscevo. Ho saputo la storia dopo, che gli era stato lui a ammazza' tutte e sedici le persone.
LN: I te tu m'hai detto che gli omicidi l'aveva fatti il Pacciani.
MV: Sì. O 'un te l'ho detto? Gl'è stato questo nero a ammazzà tutta questa gente, questo Ulisse americano. Gli ha lasciato una lettera, s'è ammazzato, hai capito? E ha preso il procuratore ogni cosa.
LN: Ma chi te l'ha detto?
MV: Alla televisione s'è sentito per Dio!

Inizialmente la Procura reputò tali dichiarazioni alla stregua di vaneggiamenti, anche perché inserite in un contesto per lo più farneticante da parte del Vanni. In seguito la stessa Procura scoprì che nel gruppo di notabili su cui stava svolgendo indagini nell'eventualità di delitti su commissione, come Lotti aveva vagamente accennato nella sua lettera, c'era un americano soprannominato appunto "Ulisse", al secolo Mario Robert Parker. Le vaneggianti dichiarazioni del Vanni assunsero così di colpo tutt'altro valore (vedasi capitolo Il secondo livello) e la Procura si convinse di stare indagando nella giusta direzione.
Già l'anno dopo, nel 2004, la pena dell'ex postino venne sospesa per motivi di salute e il Vanni fu trasferito in una casa di riposo a Pelago in provincia di Firenze. Ricoverato il 12 aprile 2009 nell'ospedale di Ponte a Niccheri morì il giorno dopo, all'età di 81 anni, affetto ormai da anni da profonda demenza senile.
Le esequie si tennero il 15 aprile nel cimitero di San Casciano in Val di Pesa dove fu sepolto, alla presenza della sorella, dei nipoti e di pochi sparuti amici.


Le prove contro Vanni
A distanza di molti anni dalle vicende giudiziarie che lo hanno visto coinvolto, si può affermare con certezza che la condanna dopo tre gradi di giudizio del Vanni si è basata fondamentalmente sui seguenti punti:
● Testimonianza di Giancarlo Lotti che si è autoaccusato degli ultimi 4 duplici delitti del Mostro, commessi assieme a Pacciani e Vanni.
● Testimonianza di Fernando Pucci, testimone oculare dell'ultimo omicidio del Mostro a Scopeti. Secondo Pucci a portarlo sul luogo del delitto la sera stessa del delitto fu Giancarlo Lotti che aveva ricevuto da Pacciani e Vanni il compito di fare da palo durante l'azione omicidiaria.
● Una presunta ammissione dello stesso Vanni, il quale - stando ai verbali - avrebbe confermato durante un interrogatorio di aver ricevuto dal Lotti informazioni sulla Panda celestina di Claudio Stefanacci (la vittima maschile del delitto del 1984), notata nella piazzola della Boschetta proprio dal Lotti e dal Pucci.
Fu lo stesso PM Canessa, in un'udienza del Processo ai CdM a dichiarare: "...cioè, il Vanni, il quale nel corso delle indagini ha fatto ammissioni pesanti, pesantissime, in punto di sue responsabilità, soprattutto per quanto riguarda il punto: 'sì, ho parlato col Lotti proprio della Panda celeste a Vicchio', e qui il migliore riscontro a ciò che dice Lotti lo dà lo stesso Vanni..."
● Testimonianza di Renzo Rontini, il quale - come visto - dichiarò con certezza di aver visto Vanni aggirarsi dalle parti del bar di Vicchio dove lavorava Pia nei giorni precedenti all'omicidio. Anche la mamma di Pia dichiarò nella stessa udienza del Processo ai CdM di aver visto più di una volta Vanni a Vicchio, senza però saper identificare con precisione in quali occasioni, limitandosi a dire che tali incontri avvennero sicuramente quando Pia era ancora viva. I genitori di Pia dichiararono che si resero conto di aver già visto il Vanni quando questi apparve per la prima volta in pubblico, in occasione della testimonianza durante il Processo Pacciani.
● Somme di denaro rivenute nei conti di Mario Vanni, a dire dell'accusa troppo elevate per un uomo che aveva svolto la professione di postino e che lasciavano intendere la possibilità di delitti su commissione.
● Un arresto rimediato diversi anni prima per percosse nei confronti della moglie, all'epoca incinta di una figlia, in seguito nata disabile e morta prematuramente.
● Testimonianza di Maria Antonietta Sperduto, secondo cui Pacciani e Vanni più volte avevano abusato di lei e in un'occasione l'avevano portata nella piazzola di Scopeti (luogo dell'ultimo delitto) per violentarla all'interno della Fiat 500 del Pacciani.
● Testimonianze del Nesi, amico intimo del Vanni, che dipinse un quadro dell'imputato come di una persona che abitualmente frequentava prostitute, dedita a diverse perversioni sessuali, aduso all'utilizzo di materiale pornografico e di vibratori. A questo proposito, risulta storico l'aneddoto, raccontato da diversi testimoni, secondo cui un giorno sul pullman della SITA che portava da San Casciano a Firenze, al Vanni cadde un vibratore dalla tasca, azionandosi e cominciando a muoversi lungo il corridoio del mezzo fra l'ilarità degli astanti.
● Sempre il Nesi parlò del Vanni come di un uomo completamente privo di empatia nei confronti delle vittime del mostro e dei loro familiari.
● Infine ci fu una lettera che il Pacciani certamente inviò dal carcere a Mario Vanni quando stava scontando la pena per i reati di violenza alle proprie figlie. Di questa lettera non si è mai saputo granché con certezza. Non si sa bene il periodo in cui fu inviata dal Pacciani (sicuramente inizi anni '90, quando cioè la Procura già indagava su di lui per i delitti del MdF), né se ne conosce assolutamente il contenuto. Gli unici che potevano rivelarlo erano Pacciani (il mittente), Vanni (il destinatario) e Angiolina Manni (moglie del Pacciani da cui lo stesso Vanni si precipitò per farla leggere). Inutile dire che i tre attori della vicenda non hanno saputo o voluto dire alcunché sul contenuto di quella lettera.
Mario Vanni si è limitato grottescamente a dire che nella missiva Pacciani gli rimembrava le merende che avevano fatto assieme. Sul perché l'avesse portata all'Angiolina, non è mai stato in grado di fornire motivazioni convincenti.
In realtà appare certo che questa lettera avesse altri contenuti, in quanto svariati testimoni (Nesi su tutti, ma anche l'avvocato Corsi e diversi sancascianesi del giro di piazza dell'Orologio) ne avevano sentito parlare dallo stesso Vanni che appariva fortemente spaventato da quanto vi era scritto.
Lorenzo Nesi che accompagnò Vanni dall'Angiolina affinché il postino le mostrasse la lettera, dichiarò di non conoscerne il contenuto e all'epoca – ancora ignaro del possibile coinvolgimento del Vanni nei delitto del MdF - di non aver tenuto in gran conto la vicenda.
L'avvocato Corsi fu colui cui il Vanni si rivolse dopo aver ricevuto la "preoccupante" corrispondenza. Fu proprio per via di questa missiva che il Corsi si ritrovò coinvolto nella vicenda come imputato. Secondo l'accusa, infatti, il Corsi lesse la lettera e consigliò a Vanni di farla sparire perché molto compromettente. Inutile dire che l'avvocato Corsi ha sempre respinto queste accuse, affermando di non aver mai avuto modo di leggere la lettera, ma di aver semplicemente consigliato al Vanni di rivolgersi alle forze dell'ordine.

La lettera è stata a lungo un punto cruciale durante il Processo ai CdM. È certo che sia esistita (ne parlano diversi testimoni), è certo che Vanni ne rimase molto spaventato, tuttavia non si sa bene da cosa.
Anche se l'Accusa non formulò mai apertamente alcuna ipotesi, ciò che evidentemente paventava era che la lettera contenesse una o più delle seguenti possibilità:
▪ riferimenti agli omicidi commessi da Pacciani e Vanni (dunque la prova scritta della colpevolezza dei due);
▪ indicazioni su come e dove far sparire alcune prove (per esempio la pistola) e di qui l'esigenza del Vanni di recarsi in fretta e furia dall'Angiolina a casa del Pacciani;
▪ un invito del Pacciani al Vanni di uccidere una qualsiasi coppia in modo che lui sarebbe stato scagionato.

Ovviamente per coloro che credono nell'innocenza del Pacciani, la lettera non poteva contenere nessuno dei suddetti punti, perché era da considerarsi impossibile che Pacciani si fosse azzardato a scrivere qualcosa di così compromettente su una corrispondenza spedita dal carcere nel momento in cui era indagato per i delitti del mostro, con la possibilità che venisse controllata o letta da qualche agente.
È vero che la lettera potrebbe anche aver abbandonato il carcere per vie non ufficiali, magari consegnata "brevi manu" a un prete o a un inserviente, quindi con minori o nulle possibilità che venisse letta dalle forze dell'ordine; ma questo ovviamente non scongiurava l'ipotesi che venisse letta da un intermediario troppo curioso, esponendo comunque il Pacciani a un forte rischio.
Da più parti, soprattutto fra gli innocentisti, è stata ventilata la possibilità che la lettera contenesse semplicemente minacce dello stesso Pacciani al Vanni dovute al fatto che il Postino avesse parlato troppo con gli inquirenti o non avesse fatto nulla per aiutarlo; e questo sarebbe congruente con lo stato di agitazione e di paura dimostrate dal Vanni. Ci sarebbe però da chiedersi - ove fosse vera questa ipotesi - perché Vanni aveva sentito l'esigenza di correre dall'Angiolina per mostrarle la famigerata lettera.

Ricapitolando, risulta a ogni modo evidente come gli unici punti decisivi per la condanna del Vanni siano stati la confessione del Lotti e la testimonianza del Pucci, le quali come vedremo nei prossimi capitoli non erano scevre da errori, omissioni, contraddizioni, inverosimiglianze. Gli altri punti non hanno il minimo valore probatorio, anche se alcuni di essi possono risultare interessanti o vagamente suggestivi.
La presunta ammissione del Vanni, ad esempio, sul fatto che il Lotti gli avrebbe parlato della Panda dello Stefanacci alla Boschetta è indubbiamente una freccia nell'arco dei colpevolisti, ma vanno precisati alcuni aspetti: dai verbali risulta che il Vanni non dichiarò mai quanto appena riportato, anzi pressato dalle ripetute domande del GIP negò sempre che il Lotti gli avesse parlato della Panda, sostenendo ripetutamente che l'ex amico fosse un bugiardo. Quando il giudice gli chiese più genericamente della "piazzola di Vicchio" e non della "Panda", Vanni rispose: "E me ne ha parlato, ma io non ci sono mai stato".
Il giudice provò a insistere: "Cioè, le disse che c'erano due che facevano l'amore, lì, in una Panda celestina? Le disse questo?"
La risposta del Vanni: "No"
Giudice: "E che le disse?"
Vanni: "Non me lo ricordo preciso, ma a me non mi pare che mi dicesse tutte queste cose."
Questo dialogo - che beninteso può essere sempre ritenuto altamente indicativo dai colpevolisti - sembra comunque ridimensionare la presunta ammissione del Vanni.
Per quanto riguarda gli altri punti: la testimonianza della mamma di Pia, sebbene senza dubbio genuina, non è sicuramente dirimente. Anche quella di Renzo Rontini può essere figlia di suggestioni o di auto-convincimento. Di certo entrambe le testimonianze, sebbene il papà di Pia si mostri sicurissimo, non costituiscono una prova.
Men che meno son dirimenti le somme di denaro attribuite al Vanni, decisamente dibattute e non così certe; l'arresto per percosse nei confronti della moglie di per sé non ha alcun valore probatorio, se non di tipo suggestivo; idem la violenza nei confronti della Sperduto o l'eventuale frequentazione della piazzola degli Scopeti. Anche dalle corpose dichiarazioni del Nesi non è possibile ricavare alcun reale indizio riguardo la colpevolezza dell'imputato Vanni. La lettera fa nascere qualche sincero dubbio, ma non essendo mai stata trovata, non può essere ritenuta una prova o un indizio importante.

Per contro, a favore del Vanni sorsero numerose testimonianze di persone (fra familiari, amici e semplici conoscenti sancascianesi) che lo ritenevano totalmente incapace, sia per carattere che per limitate facoltà mentali, di compiere o partecipare a quei delitti.
Per quanto riguarda il delitto di Vicchio, ad esempio, come vedremo in un capitolo successivo, il Lotti aveva dichiarato che la causa scatenante era stato il rifiuto della giovane Rontini ad accogliere le "proposte sessuali" che aveva avanzato nei suoi confronti il Vanni. Il Lotti collocava queste "avances" nel maggio del 1984 al bar in cui lavorava Pia. Tralasciando il fatto che Pia aveva vissuto in Danimarca dai primi di gennaio fino al 18 maggio 1984 e che aveva iniziato a lavorare al bar "La Nuova Spiaggia" solo dal 1 luglio dello stesso anno (rendendo quindi fallaci le dichiarazioni del Lotti), durante il Processo ai CdM vari testimoni chiamati dalla difesa dichiararono che mai il Vanni era stato solito importunare ragazze o donne.
Inoltre la sua tendenza a esagerare con l'alcol, a parere degli avvocati e dei più intimi conoscenti, escludeva qualsiasi coinvolgimento dell'imputato nei delitti, anche e forse soprattutto come esecutore materiale.
D'altra parte, come sostengono e fanno notare merendari e giuttariani, molto spesso si tende a pensare al Vanni come al vecchietto curvo e arteriosclerotico che a fine anni '90 presenziava alle udienze processuali, mentre fra la metà degli anni '70 e gli inizi degli anni '80 si sarebbe trattato di un uomo con quindici o venti anni in meno, fisicamente ancora prestante, in condizioni psichiche sicuramente migliori. Anche l'abuso di alcol, emerso come un vero e proprio problema per il Vanni negli anni '90 (ne parlano in special modo il Nesi e la Bartalesi, secondo cui il postino avrebbe attraversato un periodo di cupa depressione), negli anni '80 avrebbe potuto non essere un problema, non perché il Vanni non bevesse anche smodatamente, ma perché sicuramente il suo fisico era in grado di reggere meglio la quantità di vino che ingurgitava. Secondo la Procura, infatti, i veri problemi di alcolismo nel Vanni sarebbero subentrati proprio negli anni '90, quando il terribile ricordo delle sue gesta delittuose lo avrebbe condotto verso la depressione e un conseguente irrefrenabile bisogno di affogare tutto nell'alcol.


La videocassetta dello Spezi
Un punto decisamente a favore del Vanni verrebbe dalla famosa videocassetta proditoriamente registrata dal giornalista Mario Spezi durante un colloquio privato con il maresciallo Arturo Minoliti.
Abbiamo già avuto modo di parlare di tale spinosa questione (vedasi paragrafo dedicato alla cartuccia nell'orto del Pacciani), nata da una sorta di trappola che il giornalista aveva teso al sottoufficiale. Brevemente, non sapendo di essere videoregistrato e forse credendo di stare parlando con un amico più che con un giornalista d'assalto, il graduato dell'Arma aveva fatto incaute dichiarazioni allo Spezi, sostenendo che - secondo lui - alcune prove a carico del Pacciani erano state "costruite" ad arte per incastrarlo.
Nell'udienza del 18 maggio 1999 del processo d'Appello contro i Compagni di Merende, il difensore di Mario Vanni, avvocato Nino Filastò, parlò del contenuto della videocassetta dello Spezi e dichiarò quanto segue:
"Nel corso di questa cassetta, che dura circa 60 minuti... a un certo punto il maresciallo Minoliti che allora era comandante della stazione dei carabinieri di San Casciano viene intervistato da Mario Spezi nel suo ufficio e... al minuto 44.12 fa alcune considerazioni circa le indagini fino a quel momento svolte, affermando che lo straccio è inquinato e lo straccio è quello che avvolgeva l'asta guidamolla rappresentante un elemento indiziario a carico di Pacciani; l'asta guidamolla è inquinata e che il proiettile nell'orto di Pacciani, il Minoliti, nega che sia stato reperito, trovato nelle circostanze raccontate dal dottor Perugini e dice che, essendo lui presente, questo proiettile venne trovato in circostanze diverse e dice quali erano e non dal dottor Perugini ma addirittura da un'altra persona che si chiamava Schicchi. Ma quello che rileva di più ai fini di questo processo e della posizione di Mario Vanni è quello che dice proprio alla fine il maresciallo Minoliti, il quale è stato trasferito di recente, se non sbaglio, a Carrara. Leggo la frase testuale: «quando cominciò l'indagine su Pacciani un magistrato – io dico un magistrato, ma lui dice anche il nome del magistrato – mi delegò per offrire a Vanni la famosa taglia di 400.000.000... mi sono incontrato diverse volte, Vanni mi rispose, "dei soldi non me ne importa un ca..."» e questa è la parolaccia che mi evito di dire. È un documento che a me sembra interessante da diversi punti di vista perché indica e fa toccare con mano quella che altrove abbiamo definito "frenesia indagatoria" da un certo momento in poi su Pacciani; come se si fosse alla ricerca spasmodica di prove che riguardavano Pacciani, come fosse entrato Mario Vanni dentro a questa ricerca e come lui si fosse rifiutato da quell'onesto uomo che è, e come quindi quello che poi la difesa o chiunque altro potrà dire, in punto di intervento, di Lotti che in questo processo, nel modo che sappiamo, senza fare un giorno di carcere, protetto, stipendiato e con casa, bhe, direi che questo documento, da questo punto di vista, offre un precedente attendibile".
Riassumendo, nella famosa e inconsapevole intervista rilasciata dal Minoliti allo Spezi, il graduato dell'Arma rivelava che un magistrato (di cui Filastò omette il nome, ma che è facilmente intuibile) aveva contattato lo stesso Minoliti per offrire 400 milioni di lire al Vanni affinché fornisse dichiarazioni che incastrassero Pacciani. Come si legge, il Vanni si era rifiutato; successivamente - secondo il filo logico seguito dal Filastò, che invero non sembra troppo distante dalla realtà - la Procura aveva egualmente trovato nel Lotti qualcuno che comunque incastrasse Pacciani, risparmiando i soldi della taglia e coinvolgendo nell'inchiesta anche il Vanni.


La testimonianza della Carmignani
Concludiamo questa lunga disamina sui punti che testimonierebbero un'eventuale innocenza o colpevolezza del Vanni con un interessante articolo del blog "Quattro Cose Sul Mostro" di Antonio Segnini, ove viene riportato uno stralcio della testimonianza resa a processo da Sabrina Carmignani. Tale deposizione non solo lascia piuttosto perplessi, ma fa sorgere qualche sincero dubbio sulla genuinità delle indagini condotte dalla SAM e mostra per la prima volta il Publico Ministero Canessa piuttosto in imbarazzo.
Per un maggiore approfondimento dell'episodio, si rimanda al succitato articolo del blog di Segnini. Qui verranno esposti i fatti molto in breve.
Come visto nel capitolo dedicato all'omicidio di Scopeti, la Carmignani era la ragazza che arrivò nella piazzola degli Scopeti la domenica dell'8 settembre 1985 e andò via a causa della mosche e del cattivo odore. Dopo la scoperta del duplice omicidio, la ragazza si presentò alla caserma dei carabinieri di San Casciano per rendere la propria testimonianza, che ovviamente sul momento non diede alcun esito per le indagini.
Tuttavia, una decina di anni dopo e dunque nel periodo in cui la Procura indagava sui Compagni di Merende, la Carmignani fu ricontattata dalla SAM per essere nuovamente interrogata alla luce delle nuove evidenze indagatorie. Pare che in quell'occasione le vennero fatte diverse e poco tollerabili pressioni perché dichiarasse che quella domenica nella piazzola avesse visto il Vanni. A queste richieste la Carmignani oppose un netto rifiuto. Dopo diverse ore, esausta, firmò frettolosamente un lungo verbale e venne lasciata andare, salvo poi apprendere dai giornali che una super-testimone (nella quale ovviamente si riconobbe) aveva fatto il nome di Vanni. Indispettita, si ripresentò in Questura per chiedere spiegazioni, ricevendo rassicurazioni in merito e firmando un nuovo striminzito verbale nel quale il nome di Vanni non compariva e un ulteriore foglio nel quale si impegnava a non parlare della vicenda con la stampa.
Ora probabilmente la vicenda sarebbe finita qui se non fosse che quando la Carmignani rese deposizione al Processo ai CdM, l'avvocato di parte civile Aldo Colao, il quale evidentemente aveva contezza solo del primo verbale e non conosceva gli sviluppi della vicenda, chiese conto alla Carmignani dell'incontro con Vanni nella piazzola degli Scopeti, ricevendo in risposta un netto diniego.
Stupito, Colao chiese spiegazioni al PM Canessa il quale, visibilmente imbarazzato, tagliò corto dando piena ragione alla Carmignani e ribadendo che questo incontro non c'era mai stato.
Di seguito il breve stralcio preso dal Processo:
Avv. Colao: Signorina scusi, lei ha visto anche altre persone, fisicamente, che giravano nei paraggi quand'era sul posto?
Carmignani: No.
Avv. Colao: E, un certo... una persona che aveva un nome curioso in paese. Un nome strano. L'ha visto? Che è qui presente in aula?
Carmignani: No, non mi ricordo.
Avv. Colao: Ma, è contestabile perché nel verbale che la signorina rese, parla d'aver visto un certo "Torsolo".
Carmignani: No. Io non ho mai detto di avere visto "Torsolo" il giorno... Io... Il signor Vanni è di San Casciano, l'ho visto più volte in paese, ma io quel giorno non l'ho mai visto.
Avv. Colao: In quel posto lì, nella piazzola... in fondo alla piazzola.
Carmignani: No.
Avv. Colao: Ma, il PM dovrebbe contestarlo questo, perché nel verbale che lei rese...
Carmignani: Ma, quale verbale?
Avv. Colao: Nel verbale che rese, diciamo, alla Polizia Giudiziaria.
PM: Volevo sollecitare, invece di fare contestazioni, eventuali ricordi suoi di aver visto persone, fra le quali Vanni, in zona, in epoche precedenti.
Carmignani: Sì, ho visto persone, ma non potrei dire che ho visto Mario Vanni.
PM: Benissimo.
Carmignani: Poteva essere chiunque, anche lei.
PM: Benissimo. Perfetto. Era questo che volevo sapere. Io la ringrazio.
Presidente: Avvocato Colao può continuare, grazie.
Avv. Colao: Ho finito, se il PM non contesta quanto già a verbale, io non ho il verbale.
Presidente: Io non lo so, io non ho il verbale.
Avv. Colao: Ma me ne ricordo bene dell'interrogatorio.
Carmignani: Scusate, quale verbale dice che io ho visto Mario Vanni sul luogo del delitto?
PM: No, no, non è...
Carmignani: Io non lo conosco, non so quale verbale sia.
PM: Siamo pienamente d'accordo, signora.

Alla luce di quanto appena esposto, risulta evidente come gli organi inquirenti, probabilmente profondamente convinti della colpevolezza del Vanni, cercassero un modo (anche non ortodosso) per incastrarlo in maniera definitiva con una testimonianza oculare che esulasse da quelle di Lotti e Pucci, evidentemente giudicate persino da loro estremamente dubbie o comunque non sufficienti per una condanna.
Ci provarono (in maniera finanche sgradevole, almeno a leggere taluni resoconti) con la Carmignani, ma andò male a causa della meritevole fermezza della ragazza.
Alla fine una testimonianza di questo tipo venne a mancare, ma la sentenza di condanna nei confronti del Vanni arrivò ugualmente, basandosi esclusivamente sulle parole di Lotti e Pucci, che più di un sincero dubbio lo destano.

Nota a margine: L'episodio in cui restò involontariamente coinvolta la Carmignani emerse perché la ragazza ne aveva parlato in via confidenziale con un celebre giornalista RAI, il quale ne parlò sempre in via confidenziale col giornalista Mario Spezi, il quale a sua volta - a torto o a ragione, non è nostro fine sindacarne l'operato - non si fece scrupolo di renderlo pubblico.


3 commenti:

  1. una cosa e' certa.... il vero mostro sara' crepato dalle risate!vanni mostro di firenze haha h aah h aha ah

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  2. Non essendo titolare di idoneo “account google”, ai fini dell’identificazione, risultando “Anonimo” mi posso presento con il nickname: “Illuminista”.
    Prima di tutto, ritengo doveroso complimentarmi per il blog, che presenta contenuti dettagliati, esposti in maniera equilibrata e, soprattutto, razionale. Tuttavia, ritengo di dover formulare una correzione, rispetto ad una specifica informazione presente in questo articolo. In base a tutto ciò che ho letto e sentito sull’argomento, infatti, non mi risulta affatto che Mario Robert Parker, in vita, fosse da alcuno soprannominato “Ulisse”: risulta che tutti i parenti ed amici abbiano negato ciò. Tale ipotesi esce esclusivamente, DOPO le dichiarazioni del Vanni in carcere, dalla voce, sicuramente ammaestrata, di Gabriella Ghiribelli, che gli inquirenti sembravano aver innalzato a “verbo divino”, ma che, forse, sarebbe più esatto definire “verbo di…vino”. Per valutare quanto siano credibili, in merito, le affermazioni di costei, evidenzio due date (che ho rilevato su specifici libri o articoli): il 30 giugno 2003 il vaneggiante Mario Vanni riferisce a Lorenzo Nesi, per la prima ed unica volta, di questo personaggio di fantasia. Pochi giorni dopo, con tempistica più straordinaria di un orologio svizzero, in un verbale del 11 luglio 2003, la Ghiribelli, che, in tanti anni di piena collaborazione con l’Autorità Inquirente, non aveva mai individuato e nominato tale personaggio, improvvisamente “ricorda (?!)”, per la prima volta, questo “Ulisse” di colore. Credo basti un livello intellettivo appena sufficiente per capire che la “testimone gamma”, nel “ricordare” questa persona, era stata imbeccata da qualche “spiritello suggeritore”, con probabile divisa addosso, che voleva ad ogni costo trarre dalle farneticazioni del “Torsolo” qualche elemento utile per l’indagine-romanzo che si andava costruendo. Tra l’altro, risulta l’assoluta incompatibilità dei tempi di permanenza dei due personaggi nella zona di San Casciano, dove la Ghiribelli sarebbe arrivata per la prima volta molto tempo dopo che il Parker aveva definitivamente abbandonato quell’area. Ai fini della credibilità sull’argomento, sottolineo, tra l’altro, che la “testimone” raccontava di aver visto il “nero” in questione versare al Lotti fior di milioni, in contanti, sulla piazza di San Casciano: chi può razionalmente immaginare che un ipotetico mandante criminale paghi al proprio “killer” il, cospicuo, corrispettivo dei delitti, sulla pubblica piazza al centro di un paese, di fronte ad una sconosciuta che assiste al tutto (e, potenzialmente, di fronte a tanti altri sconosciuti)? Quindi, sono convinto che l’identificazione con il Parker di quell’”Ulisse” generato dalla demenza senile del Vanni non sia supportata da alcun minimo elemento oggettivo, e sia stata una forzatura costruita “a tavolino” da chi indagava, attraverso l’ausilio della pseudo-testimone. Peraltro, la sentenza di assoluzione del farmacista Calamandrei, emessa dal Giudice Silvio De Luca (molto razionale ed interessante, ma trascurata da gran parte della “mostrologia”), nel “demolire” letteralmente la maggior parte delle tesi dell’Accusa, definisce specificamente “farneticanti” ed “inattendibili” tutte le affermazioni “carpite” al demente Vanni in questa fase dell’inchiesta. Sottolineo che, su questa sentenza, i PIEMME non hanno neppure formulato ricorso in appello: elemento che, a mio parere, la dice molto lunga …

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    1. Buongiorno “Illuminista”,
      la ringrazio per il commento. La sua correzione va bene ma anticipa cose che troverà nel prosieguo della lettura. Tutto quanto ha scritto lei, infatti, lo può trovare nel dettaglio in parte nel capitolo dedicato alla Ghiribelli ma soprattutto nel capitolo dedicato al secondo livello e nello specifico nella parte dedicata a Mario Robert Parker. La invito a proseguire la lettura.
      Saluti e grazie ancora per il commento.
      LS

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