Giancarlo Lotti


Ed eccoci arrivati a Giancarlo Lotti, personaggio centrale di tutta la vicenda del MdF a partire dal 1995, testimone chiave, reo-confesso, pentito, collaboratore di giustizia, figura cardine nel Processo ai CdM e principale artefice della condanna di Mario Vanni.
Nato nella piccola frazione de La Fornace a San Casciano il 16 settembre del 1940, quasi completamente analfabeta, emarginato socialmente, Lotti era un alcolista con problemi intellettivi. Di umile e sfortunata famiglia, lasciò la scuola all'età di 14 anni, senza aver conseguito la licenza elementare. Avvezzo all'abuso di alcool sin dalla giovane età (così come il padre Primo che era morto nel 1966), nel 1971 Giancarlo si trasferì con la mamma in Borgo Sarchiani, 25 a San Casciano. Nel 1975 la mamma, da tempo sofferente di gravi disturbi psichici, morì. In seguito, Giancarlo ruppe i rapporti con l'unica sorella, rimanendo di fatto solo. Nel 1978, conseguì la patente di guida, all'età di 38 anni. Particolare questo di non secondaria importanza nell'analisi del personaggio e dei suoi eventuali spostamenti per la provincia di Firenze.
Soprannominato in vari modi e ovviamente non tutti lusinghieri dai suoi concittadini ("Katanga", "Zampino" e "Garibaldi" i più famosi), a San Casciano il Lotti frequentava la Cantinetta con gli amici Pucci e Vanni e in misura minore con il Pacciani. Nella primavera del 1981 cominciò a lavorare presso la cava di sabbia dei signori Scherma al Ponte Rotto, mantenendo questa mansione fino alla metà degli anni novanta. Con il nuovo lavoro arrivò il trasferimento in un'abitazione messa a disposizione dagli stessi Scherma, in via Lucciano, 41.
Nell'agosto del 1981 conobbe nel "piazzone" di San Casciano (la piazza del mercato, NdA) l'allora ventinovenne Filippa Nicoletti. Fu un amico comune, tale Giovanni Vermigli, detto Alberobello, a favorire la conoscenza chiedendo al Lotti di accompagnare la Filippa a casa in via Faltignano. Approfittando del fatto che in quel periodo Salvatore Indovino, compagno della Nicoletti, era in carcere, il Lotti intraprese una relazione con la donna che si sarebbe protratta per alcuni anni. Prese anch'egli in questo modo a frequentare la casa dell'Indovino in via Faltignano. Qui - secondo alcune fonti - conobbe e divenne amico di Gabriella Ghiribelli, che tanta parte avrà nelle vicende processuali dei compagni di merende e non solo.
Fra la fine degli anni '80 e l'inizio dei '90, per un motivo o per un altro, lavoro e amicizie sfumarono.
Nel 1989 fu costretto a lasciare la casa in via Lucciano e, non avendo altre possibilità, andò a vivere con estremo disappunto presso la comunità di don Fabrizio Poli, in via Faltignano, 27.
In quanto conoscente del Pacciani, Lotti fu ascoltato dagli inquirenti durante le indagini sul contadino di Mercatale il 19 luglio 1990. In quell'occasione, confermò la sua saltuaria frequentazione col Pacciani senza fornire ulteriori spunti di indagine e non venne neanche inserito fra i testimoni da ascoltare al dibattimento.
Venne nuovamente ascoltato dalla SAM il 21 luglio 1994 mentre era in pieno svolgimento il processo Pacciani, ma anche in questo caso ne uscì in maniera pulita.
Esattamente un anno dopo, nel luglio del 1995, Giancarlo conobbe la giovane nipote di Mario Vanni, Alessandra Bartalesi, una ragazza che dieci anni prima era stata colpita da aneurisma cerebrale, rimanendo svariati giorni in coma e uscendone profondamente provata nel fisico.
La frequentazione fra Lotti e la Bartalesi durò quasi l'intera estate. In agosto, i due pranzarono insieme in un ristorante in località Scopeti e nel primo pomeriggio si appartarono nella piazzola dove dieci anni prima era avvenuto l'ultimo duplice omicidio del Mostro di Firenze. In quell'occasione Alessandra si accorse che il Lotti aveva problemi di erezione. A detta della stessa ragazza, Giancarlo addusse come giustificazione il cibo appena consumato e il vino bevuto.
In seguito il Lotti propose alla Bartalesi di fidanzarsi, ma lei rifiutò sia perché in realtà aveva già una relazione con un ragazzo che in quel periodo era a Potenza, sia perché la sua famiglia non gradiva che frequentasse gente tanto più grande come suo zio Mario o come il Lotti stesso, sia forse anche per via dell'impotenza del Lotti. La relazione, o pseudo tale, fra i due terminò con la fine dell'estate e il ritorno a San Casciano del ragazzo di Alessandra.
Da sottolineare come elemento altamente suggestivo in questa vicenda ciò che Alessandra dichiarò al Pubblico Ministero, Paolo Canessa, durante un interrogatorio, e che successivamente ribadì nella sua deposizione al Processo ai CdM: "Un giorno passammo da Baccaiano, dove era stata uccisa la coppia, e io ricordando quell'episodio dissi a Giancarlo di passare velocemente senza fermarsi. Giancarlo mi rispose: Non aver paura, quando sei con me, il mostro non c'è!"
Molto si è discusso in ambito mostrologico sull'importanza di questa frase, da alcuni interpretata come la vanteria di uno spaccone che voleva far colpo sulla ragazza di turno, da altri ovviamente come un chiaro riferimento al fatto che lui stesso fosse stato il mostro o uno dei mostri.
Indipendentemente da come la si pensi, è bene precisare che questa frase non fu pronunciata di notte in un isolato spiazzo della campagna fiorentina nel pieno dell'epopea delittuosa del MdF, ma su un'automobile che correva lungo una strada a scorrimento veloce esattamente dieci anni dopo l'ultimo delitto, quando ormai nessuno pensava più che il serial killer potesse tornare a colpire. Anche il meno coraggioso degli uomini sarebbe stato capace di mostrarsi spavaldo in una situazione del genere.
Un altro particolare interessante che emerse durante la deposizione della Bartalesi fu che nell'agosto del 1995 il Lotti, ritrovatosi improvvisamente in ristrettezze economiche causa perdita del lavoro (il mese prima aveva pure acquistato una "nuova" automobile), aveva chiesto un prestito all'amico Vanni. Sempre stando al racconto della ragazza, il Vanni non aveva voluto o potuto concedergli il prestito e il Lotti non aveva preso affatto bene il rifiuto, sostenendo che avrebbe ben saputo come fargliela pagare. Sempre secondo la testimonianza della ragazza, quella era stata l'ultima volta in cui aveva visto il Lotti.
A parere della difesa del Vanni (all'epoca ancora in mano all'avvocato Pepi), il rifiuto del postino di concedere un prestito all'amico, era stata la molla che aveva fatto scattare nel Lotti la volontà di inguaiare il Vanni, coinvolgendolo immotivatamente nell'inchiesta sui delitti del Mostro.


I primi guai giudiziari
Pochi mesi dopo quegli eventi la situazione giudiziaria del Lotti cominciò decisamente a complicarsi. Come da indicazioni della sentenza Ognibene, alla ricerca di eventuali complici del Pacciani, il 15 dicembre 1995 Lotti fu convocato presso la Questura di Firenze e interrogato dall'allora capo della Squadra Mobile, dottor Michele Giuttari. Dapprima fu ascoltato di nuovo come semplice testimone, in seguito - come abbiamo visto nel dettaglio nel capitolo I compagni di Merende - venne pesantemente coinvolto nell'inchiesta dalle dichiarazioni di Gabriella Ghiribelli e soprattutto dell'ex amico Fernando Pucci.
La Ghiribelli dichiarò di aver visto un'automobile simile a quella del Lotti la sera dell'8 settembre 1985, presunta data dell'omicidio dei francesi, nella piazzola degli Scopeti. Pucci affermò di essere stato a Firenze con il Lotti quel pomeriggio, di essere tornato a San Casciano a tarda sera e, proprio durante il viaggio di rientro, di essere stato condotto dal Lotti nella piazzola, ove avere assistito al duplice omicidio dei ragazzi francesi.
Di fronte a queste dichiarazioni, il Lotti inizialmente ammise di essere stato semplice spettatore del duplice omicidio, sostenendo che lui e Pucci si erano fermati all'imbocco della piazzola per "per fare un po' d'acqua" (il famoso "bisogno fisiologico" dichiarato dal Pucci). In seguito, dopo che era emerso che aveva frequentato anche la piazzola di Vicchio dove era avvenuto l'omicidio del 1984, cominciò a fare le prime importanti ammissioni sul suo coinvolgimento nei delitti.
Ammise infine di essere stato presente:
▪ a Baccaiano in occasione del delitto del 1982, dove avrebbe dovuto svolgere il ruolo di palo;
▪ a Giogoli nel delitto del 1983, dove addirittura confessò di essere stato il primo a fare fuoco contro la coppia di tedeschi su volontà di Pacciani;
▪ appunto a Vicchio nel delitto del 1984, dove con la sua vettura aveva seguito quella del Pacciani (punto questo poco chiaro che verrà descritto meglio in seguito);
▪ e infine agli Scopeti in occasione del delitto del 1985, dove arrivò alla piazzola insieme all'amico Pucci verso le 11 della domenica sera, come da accordi intercorsi in precedenza (ma non si sa bene quando) con Pacciani per commettere il duplice omicidio.

È bene comunque precisare subito che le ammissioni e le confessioni del Lotti (o pseudo tali), sia in fase di indagini che processuale, non sono mai state veramente chiare. Innanzitutto, non coinvolgevano solo se stesso, il Pacciani e il Vanni, ma avevano trascinato nella gogna mediatica e processuale anche il calenzanese Giovanni Faggi, l'avvocato Alberto Corsi e un misterioso dottore che - a suo dire - pagava i cosiddetti "feticci" al Pacciani. Inoltre le sue sono state dichiarazioni, soprattutto quelle rese pubblicamente nelle udienze processuali, farcite di "non ricordo", di omissioni, di errori e successive correzioni (secondo alcuni miratamente imbeccate), tanto da spingere larga parte dell'odierna mostrologia a ritenerle in realtà in parte o completamente fasulle.
Il lavoro degli avvocati difensori del Vanni, avvocato Nino Filastò e avvocato Antonio Mazzeo, misero in evidenza già dal processo di primo grado ai CdM, le numerose incongruenze delle sue dichiarazioni.
Pur tuttavia, nei tre gradi di giudizio alla fine ha sempre prevalso la tesi accusatoria e Lotti è sempre stato considerato in buona parte credibile.
Ancora oggi, coloro che credono alla sua attendibilità, dunque alla colpevolezza dei CdM, sostengono che il Lotti abbia sempre cercato, nelle sue dichiarazioni dapprima come testimone in seguito come imputato, di sminuire il suo ruolo negli omicidi. Di conseguenza le omissioni o gli errori eran frutto di un tentativo maldestro di scaricare tutta la colpa su Pacciani e Vanni e far figurare se stesso come semplice palo o aiutante.
Nella sentenza di primo grado che condannava Vanni e Lotti rispettivamente all'ergastolo e a 30 anni di reclusione, il giudice Lombardi scriveva infatti: "...lo stesso Lotti, di fronte a certi risultati delle indagini che lo inchiodavano alle sue responsabilità, ha cercato soltanto di uscirne col minor danno possibile, ammettendo i fatti e dando indubbiamente un contributo in ordine alla condotta dei suoi complici, però soltanto nell'ambito del chiarimento dei singoli episodi di duplice omicidio, per i quali è stato raggiunto da elementi probatori. Inoltre, si è ben guardato dal fare i nomi di altri personaggi, che pur esistono nella presente vicenda..."
Da notare che nella suddetta sentenza di primo grado, il Lotti non fu ritenuto credibile sia nelle accuse al Corsi e al Faggi (entrambi furono assolti, il primo perché il fatto non sussiste, il secondo per non aver commesso il fatto), sia nella descrizione della dinamica del delitto di Giogoli: infatti la Corte non ritenne possibile che fosse stato lui a sparare i primi colpi durante l'assalto al furgone dei giovani tedeschi.
Fu invece ritenuto credibile sulla possibile esistenza di un dottore che aveva commissionato i delitti e pagato i feticci al Pacciani. Infatti, così come la sentenza di primo grado del Processo Pacciani aveva invitato gli organi inquirenti a proseguire le indagini per appurare l'esistenza di eventuali complici del Pacciani, la sentenza di primo grado del Processo ai CdM invitava gli inquirenti a cercare eventuali mandanti dei delitti.

Tuttavia, le cose sembrarono poter cambiare in vista del Processo d'Appello. Il lavoro della Difesa del Vanni fu encomiabile nel cercare e trovare i documenti relativi alle automobili possedute dal Lotti nell'estate del 1985, che smentivano quanto sostenuto dallo stesso imputato durante il processo di primo grado (vedasi il capitolo Il Processo ai CdM).
Di fronte alle nuove carte, persino la Pubblica Accusa, rappresentata nell'occasione dal Procuratore Generale Daniele Propato, chiese l'assoluzione del Vanni e la condanna per calunnia del Lotti, mandando nel panico la Procura di Firenze e le Parti Civili. Sembrava un déjà vu di quanto accaduto in occasione del processo d'appello a Pietro Pacciani.
Eppure, come abbiamo già avuto modo di vedere, stavolta le cose andarono diversamente. Il 31 maggio 1999, infatti, la sentenza di secondo grado, estesa dal giudice Arturo Cindolo e dal consigliere relatore Bruno Loche, ribadì le condanne (ergastolo al Vanni e riduzione della pena a 26 anni per il Lotti) e precisò nelle motivazioni:
"...vale la pena allora subito ricordare che il detto individuo (il Lotti Giancarlo appunto) sottoposto a perizia da consulenti del Pubblico Ministero... è stato dichiarato soggetto lucido, vigile cosciente, perfettamente orientato nel tempo, nello spazio, nei confronti della propria persona e della situazione in esame. Si legge nel medesimo elaborato che il patrimonio intellettivo non appare certo brillante, specie a livello di intelligenza teorico-astratta, ma è caratterizzato da buona abilità di comprensione e di gestione dei problemi pratici e concreti... non si rilevano segni di deterioramento mentale, come, attestato dalla vivacità e non esauribilità della attenzione, dalla modulazione dei pensiero, dalla prontezza e pertinenza delle risposte, dalla capacità di analisi e di critica e dalla stessa reticenza opposta a taluni argomenti..."
Oltre ad assolvere Vanni per il delitto di Calenzano e a ridurre la pena per il Lotti, la sentenza d'Appello smentiva quella di primo grado sulla ricerca di eventuali mandanti dei delitti: definiva, infatti, illazioni senza fondamento le dichiarazioni del Lotti su un dottore che pagava i feticci. Di questa parte di sentenza, tuttavia, la Procura di Firenze non avrebbe tenuto minimamente conto, continuando le proprie indagini su eventuali mandanti e ponendo di fatto le basi per quello che una decina di anni dopo sarà il terzo grande processo sulla vicenda del Mostro.
Il 26 settembre 2000 arrivò il sigillo della Cassazione. La condanna definitiva per il Lotti fu dunque di 26 anni.
Venne, però, scarcerato il 15 marzo 2002 per gravi motivi di salute e il 30 marzo successivo, all'ospedale San Paolo di Milano, morì a 62 anni per via di un tumore al fegato, da cui era afflitto da molto tempo, a causa del suo alcolismo decennale.
Fu sepolto in completa solitudine nel cimitero di San Casciano in Val di Pesa.


Le automobili del Lotti
Se in un certo senso la condanna in primo grado del Vanni e del Lotti poteva essere messa in conto, la conferma delle condanne in appello fu decisamente meno prevedibile, sia perché persino la Pubblica Accusa, nella persona del Procuratore Generale Daniele Propato si schierò apertamente per l'inattendibilità del Lotti, chiedendone la condanna per calunnia, sia perchè in secondo grado di giudizio, gli avvocati difensori del Vanni erano stati in grado di fornire alla Corte tutti gli incartamenti riguardanti la delicata questione delle automobili del Lotti, che ora proviamo ad analizzare nel dettaglio.
Sappiamo che la Ghiribelli affermò di aver visto all'imbocco della piazzola degli Scopeti, la presunta sera del duplice omicidio, un'automobile rossa con la portiera di colore più chiaro.
Sappiamo che la Ghiribelli associò questa vettura a quella posseduta dal Lotti circa 10 anni dopo il delitto (vedasi capitolo I compagni di merende).
Sappiamo, però, che gli inquirenti ritennero che l'automobile vista dalla Ghiribelli fosse invece quella che il Lotti possedeva proprio nel periodo in cui si consumò il delitto, vale a dire un Fiat 128 coupé rossa.
Sappiamo che lo stesso Lotti, messo alla strette, prese a sostenere di essere andato agli Scopeti la sera dell'8 settembre 1985 proprio con la sua Fiat 128 rossa, avvallando così definitivamente le parole della Ghiribelli e le intuizioni degli inquirenti.
Sappiamo, infine, che gli avvocati del Vanni, Filastò e Mazzeo, cercarono di dimostrare in sede processuale (sia in primo grado ma soprattutto in appello) che all'epoca del delitto il Lotti non guidava più la 128 rossa, ma una Fiat 124 blu comprata da poco, tant'è vero che aveva trasferito l'assicurazione dall'una all'altra automobile e con la 124 aveva avuto già due incidenti.
Non solo, i due avvocati tentarono anche di dimostrare che la 128 rossa, all'epoca dell'omicidio di Scopeti, sostava senza gomme presso la cava di sabbia di Luigi e Roberto Scherma, dove il Lotti lavorava. Tuttavia quest'ultimo tentativo non andò in porto a causa di mancanza di testimonianze attendibili e tuttora dà adito a diverse controversie sul tema.
Soffermiamoci uulteriormente sul discorso delle automobili e relative assicurazioni, provando a fare chiarezza, perché è importante e non è così immediato come appare:
► Come si appurerà nel Processo d'Appello ai Compagni di Merende, nel maggio 1985 Lotti aveva fatto la voltura della sua assicurazione (che scadeva il 20 settembre 1985) passandola dalla Fiat 128 rossa alla Fiat 124 blu, automobile che evidentemente aveva già acquistato;
► Il contrassegno dell'assicurazione sulla 128 rossa non venne però mai consegnato all'agenzia assicurativa e venne lasciato sul parabrezza della 128 rossa;
► È ovvio che il contrassegno sulla 128 rossa non avesse alcun valore legale, però a un controllo poco attento in un qualche posto di blocco, Lotti avrebbe potuto tranquillamente sperare di farla franca;
► Il 3 luglio 1985, tramite scrittura privata, Lotti ufficializzò il passaggio di proprietà della 124 blu, acquistata dal signor Karl Schwarzenberg, intestandola a proprio nome. Si noti che la legge consentiva di fare quest'atto entro due mesi dall'acquisto, quindi quella del 3 luglio è una data pienamente compatibile con un acquisto effettuato a maggio (quando aveva effettuato la voltura dell'assicurazione);
► Possiamo dunque convenire che a partire dal maggio del 1985, il Lotti possedeva due auto, entrambe sul parabrezza avevano un tagliando che riportava una copertura assicurativa fino al 20 settembre. L'unica assicurazione valida apparteneva però alla 124 blu;
► Non è dato sapere se nell'estate del 1985 il Lotti continuasse a guidare ancora la 128 rossa non assicurata, è certo però che guidasse la 124 blu in quanto con quell'automobile in quel periodo ebbe due indicenti di poco conto (uno in giugno, uno il 31 luglio);
► Il weekend del delitto degli Scopeti, Lotti possedeva ancora due automobili, una assicurata, l'altra no. Le testimonianze indicavano sul luogo del delitto un'automobile simile a quella non assicurata.

Ora, per i difensori del Vanni era una cosa altamente improbabile che il Lotti potesse permettersi economicamente di possedere due automobili funzionanti. Secondo la loro tesi, logicamente accettabile, se una persona dalla scarsissima disponibilità economica aveva acquistato una "nuova" vettura, significava necessariamente che l'altra non funzionava più. Di conseguenza, l'automobile rossa vista a Scopeti non poteva essere la 128 del Lotti. Del resto, fu lo stesso imputato a dichiarare a dibattimento che la vecchia 128 "non andava più tanto bene".
La Difesa tentò a questo punto di dimostrare, tramite testimonianze, la completa inagibilità nell'estate del 1985 della 128 rossa, sostenendo fosse stata parcheggiata in prossimità della cava dei signori Scherma, lì dove Lotti abitava e lavorava, e che fosse completamente inutilizzabile, addirittura senza ruote.
A differenza di quanto si sente oggi dire in taluni ambienti mostrologici, tale tentativo però fallì. Nessuno dei testimoni, né in primo grado né in Appello, a distanza di quasi 15 anni dagli eventi, fu in grado di dire precisamente quando Lotti avesse cessato di usare la 128 rossa e da quale momento questa fosse rimasta ferma e inagibile davanti casa degli Scherma. Tutto ciò che si poté appurare con certezza è che tale vettura era stata demolita nell'aprile del 1986 e che negli ultimi mesi era stata effettivamente ferma e inutilizzabile. Ma quanto valessero numericamente questi "ultimi mesi" nessuno era stato in grado di dirlo né in primo, né in secondo grado.
Anche se tale incertezza lascia tuttora il dilemma delle automobili senza soluzione e consente virtualmente di collocare effettivamente la 128 rossa a Scopeti la sera dell'omicidio, è comunque possibile fare un paio di considerazioni in merito.
▪ La prima è che durante il processo di primo grado Lotti mentì in piena consapevolezza. Affermò infatti che fino al 20 settembre 1985 non aveva mai guidato la 124 blu perché non era assicurata. Il fatto che Lotti avesse avvertito l'esigenza di mentire, dimostra come fosse pienamente consapevole che la questione "automobile" poteva far crollare il castello di accuse che aveva costruito contro se stesso, Pacciani e Vanni.
Si ricordi che, all'epoca, gli avvocati difensori del Vanni - come detto - non erano ancora entrati in possesso dei documenti che attestavano sia la voltura dell'assicurazione dall'automobile vecchia a quella nuova, sia gli incidenti che Lotti aveva avuto con l'automobile nuova. Durante il Processo d'Appello, dopo che i suddetti avvocati avevano recuperato la documentazione in oggetto, il Lotti cambiò versione, dichiarando che per un certo periodo aveva guidato entrambe le automobili, la 124 assicurata e la 128 non assicurata, smentendo quanto lui stesso aveva dichiarato nel precedente dibattimento. Posto di fronte all'evidente contraddizione, il Lotti sostenne in maniera decisamente improbabile (almeno stando all'ascolto delle registrazioni delle udienze) di essere stato mal interpretato durante la testimonianza in primo grado o più probabilmente di non essersi saputo esprimere correttamente.
▪ La seconda considerazione da fare è che se il Lotti nel settembre del 1985 guidava davvero entrambe le automobili, risulta piuttosto improbabile che il presunto giorno dell'omicidio degli Scopeti avesse adoperato un'automobile vecchia, che funzionava male e non assicurata per andare a Firenze dalla Ghiribelli, ritornare a San Casciano a tarda sera e fermarsi agli Scopeti per adempiere all'appuntamento con il Pacciani, quando contemporaneamente aveva un'automobile comprata da poco, funzionante, assicurata e che usava regolarmente. E anche se quel pomeriggio il Lotti non fosse mai andato a Firenze, in linea con le testimonianze dei coniugi Chiarappa e De Faveri (vedasi capitolo Scopeti), l'utilizzo della vecchia vettura non assicurata parrebbe parimenti poco probabile.
D'altro canto, come vedremo nel prossimo paragrafo, la presenza del Lotti a Scopeti la sera di domenica 8 settembre 1985 proprio con la sua Fiat 128 coupé potrebbe non essere del tutto esclusa.


L'automobile a Scopeti
Abbiamo appena visto come nel settembre del 1985 Giancarlo Lotti possedesse ufficialmente due automobili:
▪ una Fiat 128 coupé rossa, di sua proprietà dal febbraio 1983, vecchia, mal o per nulla funzionante, non assicurata;
▪ una Fiat 124 blu acquistata nel maggio 1985 e ufficialmente di sua proprietà dal luglio 1985, più nuova, sicuramente funzionante e assicurata.
Nell'esposizione di questo paragrafo, e fino a prova contraria che non è stata ancora fornita da alcuno, non escludiamo aprioristicamente che nel settembre 1985 entrambe le automobili fossero in grado di muoversi. Tratteremo, inoltre, argomenti in parte già visti nel capitolo I compagni di merende, ma che ora proviamo ad approfondire seguendo un ordine cronologico.
► La tarda sera di domenica 8 settembre 1985, la Ghiribelli percorse in compagnia del Galli via degli Scopeti e notò all'imbocco dell'omonima piazzola un'automobile ferma. Stando alle dichiarazioni che la stessa Ghiribelli farà oltre dieci anni dopo, questa vettura aveva la coda tronca ed era di colore rosso sbiadito con la portiera lato guida di colore più chiaro.
► Il giorno successivo la Ghiribelli apprese dell'avvenuto duplice omicidio e ipotizzò che l'automobile di cui sopra potesse avere a che fare con il delitto. Ne parlò con il Galli ed entrambi convennero che sarebbe stato meglio tacere per evitare guai.
È presumibile che la Ghiribelli fosse rimasta convinta nel corso dei mesi e degli anni successivi di aver visto l'automobile del Mostro o comunque di qualcuno implicato nel delitto. È altrettanto presumibile che le fosse capitato di rimuginare o comunque di ripensare a questo episodio, specialmente se consideriamo che si era detta terrorizzata dallo stesso. Non è dato sapere se ne avesse parlato con qualcuno o se, fedele alle intimidazioni del Galli, avesse scelto il silenzio. Non è dato anche sapere se all'epoca la Ghiribelli avesse pensato che quella potesse essere la vecchia automobile del Lotti. Nel corso del tempo la donna ha comunque continuato a frequentare il Lotti e in misura minore il Pucci.
► Trascorsero circa dieci anni. Secondo quanto la Ghiribelli dirà agli inquirenti, più o meno a metà del 1995 incontrò il Lotti a Firenze, vide la sua automobile di colore rosso, notò che aveva la portiera di colore più chiara e dal nulla esclamò: vuoi vedere che sei tu il Mostro! Il Lotti giustamente chiese spiegazioni e la Ghiribelli gli raccontò dell'avvistamento di dieci anni prima. Il Lotti tagliò corto: "Cosa c'entra la mia macchina con quella che hai visto te?" E non si può certo dargli torto, considerando che in quel momento il Lotti possedeva un'automobile ben diversa da quella che aveva avuto dieci anni prima.
Difatti, attorno alla metà del 1995, a seconda di quanto fosse avvenuto l'incontro a Firenze, il Lotti poteva possedere una delle seguenti due automobili:
▪ una Fiat 131 di color rosso vivo, di sua proprietà dal 18 luglio 1995;
▪ una Fiat 131 di color rosso scuro con portiera bianca, di sua proprietà dal 23 novembre 1988 al 18 luglio 1995;
A favore della prima automobile c'era il fattore temporale. La Ghiribelli dichiarò che questo incontro era avvenuto circa tre mesi prima dell'interrogatorio del 27 dicembre 1995 e dunque a fine settembre 1995, quando appunto il Lotti possedeva la 131 color rosso vivo.
A favore della seconda automobile c'era la portiera di diverso colore e il fatto che la Ghiribelli affermò che dopo quell'incontro il Lotti avesse cambiato automobile. Possiamo quindi ragionevolmente ipotizzare che l'incontro fosse avvenuto prima del 18 luglio 1995 e che quei "circa tre mesi fa" dichiarati dalla Ghiribelli durante l'interrogatorio di dicembre fossero in realtà cinque o sei mesi.
A ogni modo, nessuna delle due automobili assomigliava alla Fiat 128 coupé del Lotti, nessuna delle due automobili aveva la coda tronca come quella che la Ghiribelli dirà di aver visto a Scopeti e nessuna delle due automobili era stata di proprietà del Lotti nel settembre del 1985.
► Passarono quei tre (o cinque o sei) mesi e si giunse a fine 1995. Erano cominciati gli interrogatori a tappeto su tutti coloro che avevano frequentato la casa di via Faltignano, alla ricerca dei complici del Pacciani. Il Lotti venne interrogato a metà dicembre e fece il nome della Ghiribelli. La Ghiribelli, a sua volta, venne convocata in questura il 21 dicembre 1995.
Già il fatto che il Lotti, ipotetico complice del Pacciani o addirittura autore unico dei delitti (secondo la cosiddetta teoria Segnini, vedasi prossimo capitolo), avesse coinvolto una persona che pochi mesi prima gli aveva detto "vuoi vedere che sei tu il Mostro" desta qualche perplessità, ma ammettiamo pure che questo coinvolgimento fosse inevitabile.
La Ghiribelli si presentò, dunque, all'interrogatorio del 21 dicembre con la discreta convinzione di aver visto l'automobile del mostro quella sera di dieci anni prima e con il sospetto, maturato a suo dire qualche mese prima, che quella potesse essere stata l'automobile del Lotti. Riveló agli inquirenti dell'avvisamento a Scopeti, ma in generale in questa occasione parve non sbilanciarsi più di tanto.
► Quella stessa sera, la Ghiribelli chiamò piuttosto risentita il Lotti. Gli chiese un incontro a Firenze. Lotti si presentò un paio di giorni dopo. La Ghiribelli attaccò: "Giancarlo, come mai hai implicato me? Non è che per caso fosse tua la macchina che ho visto quella sera allora?"
Il Lotti, quello stesso Lotti che pochi mesi prima aveva respinto qualsiasi addebito, stavolta senza neanche tentare di difendersi o provare a sostenere che in realtà la donna era incappata in un equivoco fra automobili completamente diverse, ammise implicitamente la sua presenza nella piazzola l'ipotetica notte del delitto. Infatti rispose: "Perché, non ci si può fermare nemmeno a pisciare?".
A ben pensarci, si tratta di una risposta molto strana per una persona che in quel momento era ancora piuttosto lontana dall'essere accusato di alcunché (Pucci non era ancora stato chiamato in causa e la Ghiribelli non aveva ancora fatto la sua deposizione fiume). Sarebbe ben lecito chiedersi cosa fosse cambiato in quei pochi mesi nella mente del Lotti per spingerlo questa volta ad ammettere la sua presenza nella piazzola. Torneremo su questo punto. Per ora ci limitiamo a dire che il colloquio di cui sopra era realmente avvenuto perché esiste un'intercettazione telefonica fra gli stessi Lotti e Ghiribelli che lo attesta.
► Tre giorni dopo, la Ghiribelli tornò in Procura. Stavolta, dopo l'ammissione del Lotti, si presentò con la certezza di aver visto la sua automobile la presunta sera del delitto. Non tralasciò di far mettere a verbale la sua idea (sbagliata) che l'automobile che aveva visto dieci anni prima fosse la stessa che il Lotti possedeva pochi mesi prima.
Possiamo immaginare che gli inquirenti non avessero compreso l'errore della testimone o al più che avessero deciso di far finta di nulla, perché le mostrarono le foto della vettura che il Lotti avrebbe dovuto avere nel settembre 1985, appunto la Fiat 128 coupé. La Ghiribelli si disse ragionevolmente certa che fosse lo stesso modello da lei notato a Scopeti.
► Subito dopo arrivò la deposizione del Galli. Costui parlò di un'automobile chiara, forse bianca, ferma all'imbocco della piazzola la sera di domenica 8 settembre 1985. Successivamente correggerà in automobile di colore non scuro. Ammettiamo, pur con qualche dubbio, che il Galli, alla guida della sua vettura, fosse stato meno attento della sua compagna e che dunque avesse fatto meno caso al colore. Il punto nevralgico è che Galli confermò l'avvistamento della vettura nello stesso luogo, lo stesso giorno e circa la stessa ora dichiarati dalla Ghiribelli. Per il resto, vennero prese per valide le affermazioni della donna: auto a coda tronca, di color rosso sbiadito con portiera più chiara.
Piccola e doverosa parentesi: la Fiat 128 coupé di color rosso sbiadito di Giancarlo Lotti aveva una portiera più chiara? In realtà questo è un particolare che spesso vieno dato per assodato, ma che non viene riportato in alcun documento e dunque che tenderemo a escludere. Anche perché, sappiamo con certezza che la Fiat 131 di color rosso scuro che il Lotti aveva posseduto da novembre 1988 al luglio 1995 aveva una portiera bianca. È possibile che il Lotti avesse posseduto in due momenti distinti due automobili di tonalità rosso, entrambe con la portiera lato guidatore di colore più chiaro? Teoricamente sì, ma dobbiamo riconoscere che sarebbe una ben strana coincidenza.
► Il 2 gennaio venne convocato il Pucci che ammise la presenza sua e del Lotti a Scopeti la sera di domenica 8 settembre 1985, fornendo come motivazione il già più volte citato "bisogno fisicologico". Questa motivazione era in linea con quanto il Lotti aveva dichiarato alla Ghiribelli in occasione del dialogo del 23 dicembre.
Come vedremo meglio nel prossimo capitolo, si tratta di un punto che desta più di una perplessità. Infatti, o quella del bisogno fisiologico era una motivazione reale (che contrasterebbe con l'appuntamento preso fra Lotti e Pacciani per commettere il delitto) oppure i due amici si eranno accordati in precedenza su cosa affermare per spiegare la loro presenza a Scopeti. Accordo che scemerebbe il grado di genuinità e attendibilità delle successive dichiarazioni con cui, messi a confronto, i due (ex) amici ricostuiranno il delitto.

Possiamo fermarci qui con la narrazione degli eventi e provare a fare un'analisi di quanto emerso.
Partiamo dall'automobile vista (senza dubbio alcuno) a Scopeti la sera di domenica 8 settembre 1985.
Siamo sicuri che fosse rossa, avesse la coda tronca e una portiera di colore più chiaro? In realtà non vi è alcuna certezza in merito, se non le parole della Ghiribelli. Dovremmo, in pratica, fidarci di lei e dei suoi ricordi.
Il Galli esorterà in seguito a non tenere granché in considerazione le dichiarazioni della donna a causa del suo passato da alcolista, dei continui ricoveri in ospedale, dei suoi ricordi sicuramente confusi e della sua spiccata fantasia da fervida lettrice di romanzetti d'appendice. Ma sappiamo anche che il Galli aveva motivi di risentimento verso la sua ex compagna.
Volendo partire comunque dal presupposto che i ricordi della Ghiribelli fossero genuini, la domanda da porci è: tenendo presente la ricostruzione storica degli eventi appena esposta, quante probabilità ci sono che l'automobile vista a Scopeti fosse davvero del Lotti?
Da un punto di vista statistico, la risposta è nessuna o comunque una probabilità bassissima.
Difatti, dovremmo innanzitutto ammettere che per una strana coincidenza il Lotti avesse posseduto due automobili con uno sportello più chiaro rispetto al resto del mezzo. Ma non è sicuramente questo il vero problema. Dovremmo soprattutto ammettere che l'errore della Ghiribelli, la quale aveva creduto di individuare nell'auto del Lotti del 1995 il veicolo visto nel 1985, avesse portato, per una ulteriore e decisamente spudorata coincidenza, all'individuzione proprio della persona presente a Scopeti la presunta sera del delitto.
Ora, statisticamente parlando, quante possibilità ci sono che da una ipotesi sbagliata (l'auto del Lotti del 1995 è la stessa vista a Scopeti nel 1985) si arrivi casualmente a una tesi corretta (Lotti non solo era a Scopeti quella sera, ma addirittura era il mostro o uno dei mostri di Firenze)?
Banale a dirsi, se invece il Lotti non fosse mai stato in quella piazzola, si otterrebbe un risultato statisticamente apprezzabile: da presupposti errati (l'auto del Lotti del 1995 è la stessa vista a Scopeti nel 1985) si giunge a risultati analogamente errati (Lotti era a Scopeti quella sera).
Per come ci sono stati esposti i fatti, sembrerebbe dunque altamente probabile che l'automobile vista all'imbocco della piazzola non fosse del Lotti. Ció sarebbe oltretutto compatibile, tra le altre cose, con l'ipotesi che in quel settembre 1985 il Lotti guidasse esclusivamente la sua automobile nuova (la 124 blu).
D'altra parte, si tratta di una conclusione per molti versi insoddisfacente, perché introduce nuovi interrogativi.
Come è possibile, ad esempio, che di fronte a un palese errore della Ghiribelli, gli inquirenti avessero deciso di mostrare comunque alla donna le foto di un'auto del Lotti del 1985?
E come'è possibile che il Lotti abbia posseduto due automobili entrambe con portiera di colore più chiaro, se a proposito della 128 coupé non vi è traccia da nessuna parte di questo particolare?
E come mai il Lotti, in tempi decisamente non sospetti, avesse fatto immotivato riferimento a un suo bisogno fisiologico per spiegare una presenza nella piazzola che a questo punto non c'era mai stata?
E da dove era nata l'esigenza di accordarsi con il Pucci per fornire una versione di comodo, prima che lo stesso fosse convocato per la sua testimonianza?
Per dare una risposta a queste domande dobbiamo inevitabilmente tenere in considerazione che qualcosa non torna nella ricostruzione storica degli eventi e avanzare due possibili scenari:

Scenario 1. Il Lotti non era mai stato a Scopeti la sera di domenica 8 settembre 1985 e tutto sarebbe scaturito da una buona dose di malafede sommata ai ricordi confusi di una persona instabile come la Ghiribelli, da una discreta malafede degli inquirenti e da una serie di dichiarazioni e dialoghi sfortunati da parte degli attori coinvolti nella vicenda.
Difatti, se nella seconda metà del 1995 la Ghiribelli avesse deciso, per un qualsiasi motivo, ma anche solo per proprio convincimento di essere nel giusto, di mettere nei guai l'amico (a questo punto ex amico) Lotti, tutto potrebbe essere spiegato con maggior e relativa semplicità.
La donna avrebbe colto una qualsiasi scusa (l'auto rossa del Lotti parcheggiata a Firenze) per muovere per la prima volta le proprie accuse. Avrebbe trovato come gancio la portiera più chiara della Fiat 131 simile a quella - a suo dire - della vecchia Fiat 128. Si badi bene che, a questo punto, non è assolutamente necessario che la 128 avesse realmente una portiera di diverso colore (magari è solo uno dei tanti ricordi errati della Ghiribelli), perché il collegamento fra le due auto è assolutamente artefatto. In seguito, la donna avrebbe descritto agli inquirenti un'auto nella piazzola molto simile alla 128 coupé. Che poi l'auto da lei vista avesse davvero quelle caratteristiche non ha importanza, l'unico in grado di smentirla sul punto era il Galli, il quale infatti parlò di automobile chiara o comunque non scura, ma la cui dichiarazione non venne tenuta in considerazione.
Gli inquirenti, ovviamente anche loro convinti di poter consegnare alla giustizia i veri colpevoli dei delitti, avrebbero finto di non vedere il palese collegamento errato della donna fra l'auto del 1995 e quella del 1985 e forse avrebbero anche potuto far sapere (in maniera informale) al Lotti che la sua auto era stata vista agli Scopeti la presunta sera del delitto, consigliandoli (più o meno bonariamente) di trovare una spiegazione convincente a tale avvistamento. E questa potrebbe essere la risposta alla domanda su cosa fosse cambiato in pochi mesi nel Lotti per farlo passare repentinamente da "cosa c'entra la mia auto con quella che hai visto te?" a "non ci si puó fermare nemmeno a pisciare?".
Difatti, il Lotti, maestro nel mettersi nei guai da solo, avrebbe fatto il resto. Di fronte alla nuova accusa della Ghiribelli in quel di Firenze, non avrebbe trovato di meglio di dire di essersi fermato agli Scopeti per un bisogno fisiologico. In seguito avrebbe chiamato il Pucci per suggerirgli la stessa versione. Il resto sarebbe venuto a cascata.
È questo uno scenario molto gettonato nei vari ambienti mostrologici di estrazione chiaramente non merendara.

Scenario 2. Questa ipotesi è stata avanzata, fra gli altri, dal blogger Antonio Segnini, ma è condivisa, seppur con fini diversi, anche da molti merendari. Si parte dal presupposto che il Lotti era stato a Scopeti la sera di domenica 8 settembre 1985 e che la Ghiribelli avesse sempre saputo o sospettato che la vettura da lei vista fosse stata la 128 rossa del suo amico Giancarlo.
La Ghiribelli potrebbe aver tenuto per sé questa convinzione fino a quel fatidico giorno di metà 1995, in un momento storico in cui gli inquirenti stavano allargando il ventaglio delle indagini. In quell'occasione - come nella precedente ipotesi - la donna avrebbe colto una qualsiasi scusa (l'auto del Lotti parcheggiata a Firenze) per accusare più o meno velatamente l'amico. Avrebbe ricevuto in risposta un assoluto quanto logico diniego.
Qualche mese dopo, risentita per essere stata chiamata in causa proprio da colui che giudicava essere implicato nel delitto degli Scopeti, sarebbe tornata ad accusare l'amico, questa volta con maggior veemenza.
Ora, con un Lotti intimorito dalla piega degli eventi ed effettivamente presente dieci anni prima alla piazzola, avrebbe un maggior senso sia la sua confidenziale ammissione del bisogno fisiologico, sia il contattare il Pucci per concordare una linea comune.
In questa ottica, come nell'ipotesi precedente, troverebbero anche un senso le foto della Fiat 128 coupé che gli inquirenti le avrebbero mostrato. Questi sarebbero stati, difatti, consapevoli che la Fiat 131 del 1995 non c'entrava nulla con l'avvistamento agli Scopeti ed era servita alla Ghiribelli solo come gancio per accusare il Lotti. E ancora una volta, se davvero la 131 del 1995 fosse stata una scusa, non è neanche necessario che la 128 coupé avesse davvero avuto una portiera di colore diverso.
Non bisogna, a ogni modo, dimenticare che il delitto degli Scopeti - stando ai più recenti studi entomologici - dovrebbe essere stato commesso il sabato sera, se non addirittura il venerdí sera. Dunque, sebbene l'ipotesi di Segnini veda il Lotti autore unico dei delitti, questo secondo scenario non implica necessariamente la sua colpevolezza, ma semplicemente la sua presenza a Scopeti con la vecchia automobile un giorno o due giorni dopo il duplice omicidio.

Concludiamo questa lunga disamina con la consapevolezza che entrambi gli scenari, per certi versi opposti sebbene con alcuni punti in comune, non sono completamente scevri da pecche logiche, ma riescono comunque a fornire parziali risposte ai quesiti irrisolti di cui sopra.
Al solito si lascia al lettore qualsiasi conclusione sull'argomento.


Lotti collaboratore di giustizia
Oltre la questione dell'automobile, un altro aspetto estremamente dibattuto e altrettanto controverso della vicenda giudiziaria del Lotti riguarda il suo status di collaboratore di giustizia.
Innanzitutto precisiamo che un saggio approfondito sull'argomento è stato trattato dal ricercatore Omar Quatar nel suo blog Storia del Mostro di Firenze. Chiunque fosse interessato ad avere chiarimenti anche legislativi sulla questione può fare riferimento a questa fonte.
Entrando nel merito, abbiamo visto che - stando a quanto scritto da Giuttari - lo stesso giorno delle prime ammissioni del Lotti (11 Febbraio 1996), il procuratore Pier Luigi Vigna richiese al Ministero dell'Interno l'adozione di misure di protezione urgenti per il suo testimone.
Successivamente (il 12 marzo 1996, dopo un sopralluogo a Vicchio), Vigna richiese l'ammissione del Lotti allo speciale programma di protezione testimoni. Come ci fa notare lo stesso Omar Quatar, ciò è confermato non solo dagli scritti di Giuttari, ma anche da alcuni verbali di interrogatorio nei quali, a partire dal mese di aprile 1996, il domicilio di Lotti riporta la dicitura "attualmente abitante in luogo noto al Servizio Centrale di Protezione".
Anche se non è dato saperlo con certezza, voci riportano che dall'inizio della sua collaborazione con la Procura fino alla sentenza di condanna, il Lotti alloggiasse in locali a disposizione della Questura di Arezzo, ove poteva godere di alcuni benefici (vitto, alloggio, cure mediche, un piccolo stipendio) che rappresentavano un notevole salto di qualità rispetto allo stato di abbandono in cui aveva vissuto in precedenza.
Durante il Processo ai CdM, più volte gli avvocati del Vanni, in special modo Filastò, avanzarono l'ipotesi che Lotti avesse potuto auto-accusarsi dei delitti sia per ottenere i suddetti benefici da parte dello stato, sia per sentirsi probabilmente per la prima volta nella vita "importante" o "determinante" in qualcosa, al centro dell'attenzione generale, ricercato dagli organi di informazione, coccolato dalla Procura, ma anche temuto da coloro che accusava: le sue dichiarazioni dunque dovevano essere intese come momento di riscatto sociale.
In risposta a queste rimostranze, in un emblematico punto delle motivazioni alla sentenza di secondo grado è riportato il seguente passaggio: "...il sospetto che questi abbia pensato di risolvere i problemi della sua vita scontando 30 anni di reclusione ma contento di ciò per i vantaggi che la legge riserva ai collaboratori di giustizia, ebbene tale cosa appare a questo giudice priva di senso perché del tutto indimostrata innanzitutto e contraria al buon senso comune in secondo luogo..."

A dispetto di ciò che è stato scritto nella sentenza, buona parte della mostrologia odierna crede fermamente nella possibilità che il programma di protezione testimoni e i relativi benefici avessero fortemente allettato il Lotti, il quale dalla metà degli anni '90 si era ritrovato in serie difficoltà economiche.
Dopo il periodo d'oro degli anni '80 in cui aveva avuto lavoro, macchine, amici, in cui aveva frequentato ristoranti, cinema porno, prostitute, donne con cui aveva instaurato relazioni più o meno stabili, Lotti si era ritrovato a metà anni '90 quasi completamente solo, senza lavoro, senza soldi, senza casa, in precarie condizioni di salute a causa di anni di alcolismo, costretto a condividere un posto letto in una comunità religiosa, circondato da extracomunitari con cui non riusciva neanche a comunicare e della cui presenza sarà solito lamentarsi anche in sede processuale. In questo contesto, confessare delitti mai commessi, trascinando con sé coloro che erano già nell'occhio del ciclone (Pacciani e Vanni), compiacendo la Procura, ricavandone i relativi benefici, un posto tutto suo dove dormire, pasti caldi regolari, scegliendo persino qualche buon ristorante durante le trasferte per i sopraluoghi, magari anche nella speranza di non finire in prigione o di avere un forte sconto di pena, poteva essere l'unico modo per fuggire a una realtà ormai per lui disastrosa.
Torneremo nel prossimo capitolo su questo argomento, quando parleremo del perché Lotti dovrebbe o non dovrebbe essere considerato credibile.
Per adesso ci limitiamo riportare un "fuorionda" colto dalle registrazioni, al termine dell'udienza del 18 Luglio 1997 del Processo ai CdM. Nell'occasione venne distintamente ripreso un colloquio più o meno privato fra il PM Canessa e l'avvocato Pepi, difensore del Vanni, in cui il secondo rinfacciava (bonariamente) al primo che il Lotti era tranquillamente libero e protetto dallo Stato, mentre il Vanni era in carcere. Di seguito il breve dialogo:

Avv. Pepi: E il confesso sta sotto la protezione dello stato.
PM Canessa: Il confesso spero...
Avv. Pepi: Il confesso dovrebbe stare in galera secondo me.
PM Canessa: Spero che andrà in galera il prima possibile.
Avv. Pepi: Ma lo potevi già mettere a questo punto, poteva esserci di già.
PM Canessa: Ci saranno dei motivi che tu non sai.
Avv. Pepi: Ah certo.
PM Canessa: No no, stai tranquillo che al signor Lotti un ergastolino non glielo leva nessuno.




1 commento:

  1. lotti vanni pacciani dal 68 uccidono coppiette vero?ha h ah aah ah ah h ah ah ah ah aah ah ! allucinante , oppure prima era solo pacciani e dopo ha assunto come squartatori vanni e lotti? ha ha h aha si deve essere andata cosi ma si onoscevano tutti e tre nel 68? si conoscevano nel 74? cose da pazzi !

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