La pista sarda


Come abbiamo accennato, subito dopo il delitto di Baccaiano gli inquirenti scoprirono che la pistola del Mostro aveva già ucciso a Signa nel 1968. Avvenne così il collegamento della serie delittuosa attribuita al MdF con il delitto in cui avevano perso la vita Antonio Lo Bianco e Barbara Locci.
A finire sotto il mirino delle nuove indagini fu in particolar modo il cosiddetto clan dei sardi che ruotava attorno alla Locci.
Gli inquirenti inizialmente dichiararono che questo nuovo filone d'inchiesta fu dovuto alla solerzia del maresciallo Francesco Fiori, il quale mostrò ai suoi superiori la pagina di un vecchio giornale che parlava del delitto Locci/Lo Bianco, convincendoli ad andare a fondo sul caso perché potevano esserci collegamenti con la serie omicidiaria attribuita al Mostro di Firenze.
Alcuni dubbi tuttavia hanno da sempre avvolto questa versione.
Come riporta il blogger Omar Quatar, già il 7 Novembre 1982 il giornalista Giorgio Sgherri ventilò la possibilità che l'input di indagare sul delitto del 1968 fosse invero arrivato da una lettera anonima, mai ritrovata. Lo Sgherri scrisse infatti sul quotidiano L'Unità:
"L'inchiesta su questo duplice omicidio è stata riaperta sulla base di alcune lettere anonime giunte agli inquirenti, le stesse lettere anonime, a quanto pare, facevano riferimento a 5 e non a 4 duplici omicidi. È così che i magistrati sono andati a rispolverare il fascicolo sulla tragica fine di Barbara Locci e Antonio Lo Bianco".
Oggi sappiamo che lo Sgherri affermava il vero, c'era stata realmente una lettera anonima che parlava di un quinto duplice omicidio commesso dal Mostro, ma sappiamo anche che tale lettera non faceva diretto riferimento a Signa.


Il cittadino amico
L'ipotesi dell'aiuto anonimo giunto dall'esterno venne in parte supportata anche dalle indagini condotte dal solito ottimo ricercatore Stefano Galastri, il ben noto De Goathia, il quale nel suo pregevole scritto "La notte del cittadino amico" riportò un trafiletto de "La Nazione" del 20 luglio 1982 (un mese dopo Baccaiano dunque) in cui i carabinieri della caserma di Borgo Ognissanti chiedevano a un anonimo "cittadino amico" di mettersi in contatto con loro.
Nel trafiletto era specificato che questo cittadino amico aveva già dato tre volte un aiuto alle indagini e adesso c'era nuovamente bisogno di un suo supporto. Poiché la data in cui venne pubblicato questo trafiletto è successiva di tre giorni a quella in cui gli inquirenti avevano iniziato a interessarsi ufficialmente al delitto di Signa, secondo De Gothia era legittimo supporre che in una delle tre lettere precedenti (probabilmente l'ultima) potesse essere stato proprio il "cittadino amico" a indirizzare i carabinieri verso il delitto del 1968.
Di diversa opinione era il giornalista Mario Spezi che tanto ha scritto sul tema dei sardi: a suo dire, l'input alla Pista Sarda era arrivato da un anonimo che aveva inviato ai carabinieri dei ritagli di giornale sul delitto di Signa e che nulla aveva a che vedere con il "cittadino amico".
Spezi sosteneva di aver ricevuto queste informazioni dal Giudice Istruttore del Tribunale di Firenze, dottor Vincenzo Tricomi in persona, colui che per primo aveva cominciato a cercare il MdF fra i sardi implicati nel delitto del 1968.
Sempre secondo Spezi, con cui il sottoscritto ha avuto modo di confrontarsi in occasione delle indagini sull'omicidio "Kercher" (il famoso delitto di Perugia del novembre 2007), il "cittadino amico" aveva invece inviato tre lettere di tutt'altro genere ai carabinieri di Borgo Ognissanti, in cui affermava di conoscere bene la psicologia del MdF. Le prime due lettere erano state prese seriamente, la terza invece venne considerata la missiva di un mitomane e andò a inficiare le due precedenti: in essa infatti il "cittadino amico" affermava che il MdF sceglieva il luogo dei delitti in modo da comporre con l'iniziale della località la parola "BABBO" (Borgo San Lorenzo, Arrigo, Bartoline). Una teoria che giustamente venne ritenuta assurda, tuttavia dopo che il quarto duplice omicidio era stato commesso a Baccaiano, gli inquirenti decisero di andare più a fondo e provarono a ricontattare il "cittadino amico" con il trafiletto riportato in foto, quasi scusandosi di non avergli dato troppo credito.
Il tutto si risolse con un nulla di fatto, anche perché il delitto successivo avvenne a via di Giogoli (Galluzzo).

In definitiva abbiamo storicamente tre versioni differenti su come gli inquirenti potessero essere giunti al collegamento con il delitto del 1968 e dunque su come potesse aver preso piede la Pista Sarda:
1. Intuizione degli inquirenti: la versione ufficiale. Come da direttive ricevute, i carabinieri stavano indagando su eventuali delitti simili avvenuti a Firenze e dintorni prima del 1974 e arrivarono così, grazie anche alla memoria del maresciallo Fiori, al delitto del 1968.
2. Aiuto esterno: arrivò ai carabinieri una segnalazione, presumibilmente anonima, contenente un riferimento diretto al delitto del 1968. Tale ipotesi è caldeggiata, seppur con fini diversi, da Mario Spezi e da Nino Filastò. Per Spezi il fine era rivendicare il delitto, per Filastò depistare le indagini.
3. Lettera anonima del "cittadino amico": ipotesi di De Gothia. La lettera anonima con l'imbeccata di Signa arrivò da parte del "cittadino amico", che già in passato aveva scritto ai carabinieri di Borgo Ognisanti e che i carabinieri stessi tentarono di ricontattare tramite un annuncio su "La Nazione" per avere ulteriori informazioni.

Al fine di poter liberamente e consapevolmente prediligere una delle tre ipotesi, è bene valutare alcuni aspetti della vicenda.
● Il maresciallo Fiori aveva realmente prestato servizio a Signa nel 1968, quindi è lecito supporre che possa essersi ricordato del duplice delitto Locci/Lo Bianco in un momento in cui gli inquirenti indagavano a tutto tondo e cercavano delitti simili a quelli del MdF.
A onor del vero c'è da dire, secondo quanto scrive l'avvocato Nino Filastò in "Storia Delle Merende Infami", che Fiori non avrebbe mai partecipato alle indagini relative al delitto del 1968, non essendo citato né nel rapporto conclusivo dei carabinieri, né nei verbali degli interrogatori a Stefano Mele, né tra i testimoni sentiti durante il processo del 1970.
E in effetti nel novembre del 1986 il maresciallo Fiori sottoscrisse una relazione di servizio alla presenza del Giudice Istruttore Mario Rotella, del Procuratore Aggiunto Pier Luigi Vigna e del Sostituto Procuratore Paolo Canessa in cui ribadì di essere stato lui a ricordarsi nel luglio 1982 del duplice delitto di Signa, ma altresì specificò di non aver a suo tempo partecipato alle indagini, perché in quei giorni era in vacanza.
● L'ipotesi ufficiale è stata avvalorata in diverse interviste dalla dottoressa Silvia Della Monica, ma anche in maniera ufficiale dal Giudice Istruttore Mario Rotella, il quale nel dicembre del 1989 assolse tutti i sardi coinvolti nella vicenda e nella sentenza di assoluzione parlò della lettera anonima come di una suggestione giornalistica.
Alle pagine 108-109 della predetta sentenza, troviamo difatti scritto: "Non ha nessun fondamento che sia pervenuto al G.I. dell'epoca (1982) un anonimo, nel quale fosse menzionato in relazione agli omicidi delle coppie, il precedente di Signa. Un anonimo che riferisce di precedente esiste, bensì, negli atti generici del fascicolo del p.m. relativo al delitto di Montespertoli, ma concerne un reato a sfondo sessuale, circa il quale aveva indagato a suo tempo, e con successo, la magistratura fiorentina".
Vedremo a breve a quale anonimo e a quale reato faceva riferimento il giudice Rotella.
D'altra parte, è doveroso sottolineare i punti che privilegerebbero l'ipotesi della segnalazione anonima.
● Come pura curiosità che non ha alcun valore storico, attorno al 2015 sul forum ormai estinto "Il Mostro Di Firenze" ci fu l'intervento di un utente dal nickname "Ricci" che, spacciandosi per carabiniere di stanza nell'estate del 1982 alla caserma di Borgo Ognissanti, avallava l'ipotesi della lettera anonima, sostenendo di ricordare perfettamente le circostanze.
● Ma se le parole di un nickname su un forum valgono davvero poco, di ben altra portata apparivano le dichiarazioni dell'avvocato di parte civile Vieri Adriani, che nel settembre del 2017 in un convegno a Pistoia aveva riferito dell'esistenza di un documento risalente al 20 Agosto 1982 (dunque circa un mese dopo l'apertura della pista sarda) con cui la dottoressa Silvia Della Monica richiedeva al Nucleo Operativo dei Carabinieri di Firenze la restituzione di una lettera anonima.
Nella richiesta della magistrata era scritto: "Il G.I. del Tribunale di Firenze dottor Vincenzo Tricomi segnalava a questo Ufficio l'importanza di una lettera anonima. Questa lettera indirizzata alla scrivente (Procura della Repubblica) e trasmessa per indagini a codesto reparto, la quale evidenziava come i duplici omicidi commessi dal Mostro fossero cinque, non quattro, richiamando l'attenzione su un episodio analogo avvenuto in passato in altra località della provincia. Questo Ufficio ritiene indispensabile al fine delle ulteriori indagini concernenti l'identificazione dell'autore dell'anonimo rientrare in possesso dello scritto potendosi ritenere plausibile che esso sia attribuibile a persone a conoscenza dell'identità del vero assassino. Facendo seguito pertanto a passate sollecitazioni verbali, si prega di voler procedere a pronta trasmissione".

Dunque, una lettera anonima che segnalava un quinto delitto commesso dal Mostro era realmente e documentatamente esistita. La dottoressa Della Monica l'aveva inoltrata al Nucleo Operativo dei Carabinieri di Firenze per le analisi del caso e verso metà agosto del 1982 - come documentato in quel di Pistoia dall'avvocato Adriani - ne aveva chiesto ufficialmente la restituzione.
Gran parte dell'universo mostrologico trovava finalmente conferma ai propri sospetti e giungeva alla logica conclusione che il quinto delitto cui faceva riferimento tale missiva fosse proprio quello di Signa. Questa nuova e granitica certezza confermava la possibilità - invero da sempre piuttosto battuta - che il fine della lettera anonima potesse essere non aiutare gli inquirenti ma allontanarli dalla verità, condurli cioè verso uno o più sospettati che non aveva nulla a che fare con i delitti del Mdf. Una sorta di depistaggio, quindi, come del resto ampiamente ipotizzato nel corso del tempo da molti studiosi, Filastò in primis.
Dilemma risolto, dunque? Non proprio. Difatti, oggi sappiamo che la lettera anonima di cui la Della Monica aveva chiesto la restituzione non faceva alcun riferimento a Signa. Cosa che, del resto, ci aveva già saggiamente anticipato il dottor Rotella nella sua sentenza-ordinanza del dicembre 1989. E che, a onor del vero, alcuni attenti studiosi del caso avevano intuito e da tempo solevano ribadire. Nei commenti in calce alla versione precedente di questo stesso capitolo, per esempio, è possibile leggere gli interventi del ricercatore Davide Incremona che, sotto l'abituale nickname Phoenix, paventava tale possibilità.


Il fattaccio del Galluzzo
In tempi piuttosto recenti è difatti emerso il contenuto della lettera anonima di cui la dottoressa Della Monica aveva richiesto la restituzione. Di tale missiva, arrivata in Procura in data 28 giugno 1982, risulta particolarmente esplicativo il seguente stralcio:
"Tante cose sono state dette sul Mostro... che sia un abile tiratore non è vero... vi basate su 4 delitti, credo invece siano 5... ricordate il fattaccio del Galluzzo, vigilia di un giorno festivo, stessa ore fra le 22 e le 23, stesso intento di colpire una donna e fare scempio della sua natura con ferri e bastoni... credeva morta la donna così per non sbagliare ancora si procurò una pistola... Dal Galluzzo iniziò la triste carriera del mostro... fermatelo."
Cosa sia il fattaccio del Galluzzo, è presto detto. Verso le ore 23.25 del 22 maggio 1968 in un appartamento di via Piero Gianfigliazzi 41 a Firenze, appunto zona Galluzzo, si verificò un'aggressione a danno della signora Lorina Rulli. Costei aveva 61 anni, si trovava in casa e stava mettendosi a letto quando venne assalita da qualcuno che si era introdotto nella sua abitazione. L'aggressore l'aveva percossa con estrema violenza, colpendola ferocemente e ripetutamente con uno o più corpi contundenti. La donna aveva riportato un trauma cranico con voluminoso ematoma, diverse ferite lacero-contuse con asportazione parziale dell'orecchio, abrasioni ecchimotiche ai capezzoli e ai seni, emorragia dei genitali esterni con lacerazioni vaginali. Dopo l'aggressione, la Rulli aveva comunque avuto modo di chiedere aiuto ai vicini prima di perdere conoscenza.
Le indagini ipotizzarono un'aggressione a scopo di rapina, in quanto la Rulli aveva riscosso 200.000 lire (300.000 secondo altre fonti) pochi giorni prima come rimborso per i danni subiti durante l'alluvione del 1966, somma di cui non fu rinvenuta traccia nell'appartamento della signora. Sul caso indagò il dottor Pier Luigi Vigna, all'epoca giovane Sostituto Procuratore trentacinquenne. Il 4 giugno 1968 venne arrestato un pensionato di sessantotto anni dai precedenti non proprio limpidi, tale Luigi Fares Bizzi. Stando ai documenti dell'epoca, indizi e prove a suo carico sembravano non lasciare spazio a dubbi.
Difatti, chi ha approfondito al meglio questa vicenda considera praticamente certa la colpevolezza del Bizzi, a dispetto dell'innocenza da lui sbandierata. Non è però noto (o almeno il sottoscritto non ne è a conoscenza) l'esito del processo a suo carico. Per certo si sa che il Bizzi morì nel 1978, dieci anni dopo i fatti del Galluzzo.
Torniamo al 1982: abbiamo, quindi, un anonimo che, qualche giorno dopo il duplice delitto di Baccaiano, inviò una lettera alla dottoressa Silvia Della Monica presso la Procura della Repubblica di Firenze, informando gli inquirenti dell'esistenza di un precedente delitto commesso dal Mostro e che questo fosse appunto quello del maggio 1968.
Le indagini portarono però gli inquirenti non solo a concludere che l'aggressione del Galluzzo era stata davvero commessa dal Bizzi, il quale, essendo morto nel 1978, non poteva avere nulla a che fare con i delitti del MdF, ma anche a individuare l'autore della missiva. Gli esami calligrafici stabilirono che si trattava con buona probabilità di un soggetto che già in precedenza aveva millantato di conoscere l'identità del MdF. Il suo nome era Claudio Marucelli De Biasi, uno squlibrato che nel 1973 aveva sparato a una coppia appartata in auto in un campo alle porte di Firenze, poiché aveva creduto che in quella vettura ci fosse la propria moglie con l'amante. Condannato e recluso nel carcere delle Murate, il De Biasi aveva scritto anche alla mamma di Susanna Cambi, la ragazza uccisa alle Bartoline nell'ottobre del 1981, sostenendo di conoscenere l'identità del Mostro. In seguito, in più di un'occasione, l'uomo avrebbe dato prova di scarsissima attendibilità e di evidenti turbe psichiche. Per maggiori dettagli si veda il capitolo "Mostrologia minore".

Ora, si può tranquillamente convenire sui seguenti punti:
▪ la lettera scritta dal De Biasi era assolutamente priva di ogni valore per le indagini;
▪ tale lettera non faceva alcun riferimento a Signa, dunque non poteva aver spinto - quanto meno direttamente - i carabinieri verso la Pista Sarda;
▪ era la lettera cui faceva riferimento lo Sgherri nel suo articolo; a toglierci ogni dubbio è il fatto che il De Biasi scriveva "..vi basate su 4 delitti, credo invece siano 5.." e lo Sgherri riportava "..le stesse lettere anonime, a quanto pare, facevano riferimento a 5 e non a 4 duplici omicidi.."
Si noti, però, che lo Sgherri riteneva che da questa lettera gli inquirenti fossero pervenuti a Signa. Chiariremo a breve il perché;
▪ era sicuramente la lettera cui faceva riferimento il dottor Rotella nell'omonima sentenza del 1989 ("...un anonimo che riferisce di precedente esiste... ma concerne un reato a sfondo sessuale, circa il quale aveva indagato a suo tempo, e con successo, la magistratura fiorentina");
▪ era altrettanto sicuramente quella richiesta dalla Della Monica alla caserma dei carabinieri di Borgo Ognisanti.

Questi punti ci portano in primo luogo a chiederci come poi le forze dell'ordine sarebbero arrivate a Signa, in secondo luogo ci portano ad avere qualche dubbio sul fatto che la genesi della Pista Sarda possa davvero risalire a una segnalazione anonima, come invece era stato dato praticamente per certo fino a qualche tempo fa. O almeno, sicuramente non era stata la segnalazione anonima del De Biasi a farla nascere, quantomeno direttamente.
Certo, nulla toglie che fosse stato un altro aiuto esterno a spostare le indagini verso Signa, ma al momento di questa eventualità non esiste alcun tipo di riscontro né investigativo (Della Monica, Rotella), né giornalistico (Sgherri). Forse solo lo Spezi, secondo cui un anonimo avrebbe inviato ai carabinieri dei ritagli di giornale, faceva riferimento a una lettera che nulla aveva a che fare con quella del fattaccio al Galluzzo. Ma a parte le dichiarazioni del ben noto, ma spesso fantasioso, giornalista non esiste null'altro che avvalori questa idea.
A ulteriore conferma ci sarebbe anche la rogatoria che il dottor Tricomi in data 29 ottobre 1982 presentò all'Ufficio Istruzione di Palermo nella persona del giudice Rocco Chinnici (lo stesso che solo pochi mesi dopo verrà ucciso dalla mafia) per avere informazioni sul siciliano Giuseppe Barranca. Barranca era il cognato del Lo Bianco (la vittima maschile nell'omicidio del 1968) ed era stato uno dei soggetti indicati da Stefano Mele fra i possibili autori del delitto. Come sovente ribadito dal già citato ricercatore Davide Incremona, in tale atto Tricomi non parlò dell'esistenza di una lettera anonima che faceva diretto riferimento al delitto di Signa, ma scrisse "..a seguito di una segnalazione anonima riguardante un quinto duplice omicidio commesso dal Mostro, gli inquirenti riuscivano a risalire all'omicidio Locci-Lo Bianco".
Ed ecco il probabile equivoco in cui erano caduti in molti, forse anche lo Sgherri: non vi era stato un collegamento diretto "lettera anonima-Signa", ma con buona ragionevolezza la lettera del De Biasi aveva dato vita a una serie di indagini da cui, in seguito, anche solo per contiguità temporale, si sarebbe arrivato a Signa.
Se pertanto, almeno in linea teorica, rimangono valide le risposte date in precedenza su come possa essere nata la Pista Sarda (intuzione degli inquirenti, segnalazione anonima diversa da quella del De Biasi, "cittadino amico"), in pratica, basandoci sui dati che oggi abbiamo, sembrerebbe poter essere privilegiata l'ipotesi dell'intuizione degli inquirenti (maresciallo Fiori o chi per lui).
Vedremo, inoltre, a breve come anche l'ipotesi del "cittadino amico" potrebbe essere ragionevolmente scartata.


La genesi della Pista Sarda
Sembra utile a questo punto ripercorrere in maniera schematicamente cronologica gli avvenimenti di quella densa e complessa estate del 1982 per fare maggiore chiarezza e sbilanciarsi in qualche ipotesi di tipo probabilistico, com'è nostro costume in queste pagine.
► 19/6/1982 - Si compie il Delitto di Baccaiano.
► 28/6/1982 - Arriva in Procura la lettera anonima sul fattaccio del Galluzzo.
► 3/7/1982 - I magistrati Della Monica e Vigna impartiscono l'ordine di indagare su eventuali altri delitti commessi nei dintorni di Firenze a partire dal 1970 che ricalcassero le modalità degli omicidi commessi dal Mostro.
► 17/7/1982 - Il Giudice Istruttore di Firenze, dottor Vincenzo Tricomi, su richiesta del Tenente Colonello Olindo dell'Amico, fa richiesta alla cancelleria della Corte d'Appello di Perugia, ove si era svolto il processo d'Appello a Stefano Mele, di ricevere il fascicolo di tale processo, completo dei corpi di reato per una eventuale comparazione. La cancelleria di Perugia risponde che tale fascicolo era già stato restituito a Firenze in data 1 aprile 1974.
► 20/7/1982 - Il dottor Tricomi fa dunque richiesta del suddetto fascicolo processuale e relativi reperti alla cancelleria della Corte di Assise di Firenze.
► 20/7/1982 - Compare su "La Nazione" il trafiletto dedicato al "cittadino amico", con cui i carabinieri di Borgo Ognisanti cercano di contattare l'anonimo che in precedenza aveva fornito alcune informazioni sui delitti del Mostro.
Nota Bene: lo stesso giorno in cui Tricomi fa richiesta alla cancellaria di Firenze del materiale inerente il delitto di Signa (e dunque a comparazioni dei bossoli non ancora avvenuta), i carabinieri di Borgo Ognisanti fanno pubblicare su "La Nazione" il celebre trafiletto il cui fine è mettersi in contatto con il cittadino amico. Risulta abbastanza logico pensare che se fosse stato il cittadino amico a indirizzare le indagini verso Signa, i carabinieri avrebbero atteso l'esito della comparazione prima di tentare di contattarlo, perché se tale esito fosse stato negativo, non avrebbero avuto alcun motivo di farlo. Sembrerebbe cadere, almeno da questa prima analisi, la possibilità che le tre lettere spedite dal "cittadino amico" potessero dunque avere avuto un ruolo su Signa.
► 22/7/1982 - Questa data è stata fornita per primo dallo studioso Gian Paolo Zanetti in una trasmissione dell'emittente radiofonica Florence International Radio e in seguito è stata confermata dalla relazione della Commissione Antimafia: è la data in cui il fascicolo relativo al Processo a Stefano Mele viene consegnato negli Uffici del Giudice Istruttore. Sono rinvenuti spillati al faldone, fra altri reperti, i bossoli presumibilmente espulsi dalla pistola dell'assassino nel delitto di Signa.
Tramite comparazione dei bossoli, viene appurata, inizialmente in maniera informale, l'identità dell'arma che aveva sparato a Signa con quella che aveva colpito nei delitti attribuiti al MdF. Viene quindi richiesta una perizia balistica al maresciallo Antonio Arcese e al dottor Giovanni Iadevito.
Nasce ufficialmente la Pista Sarda.
Le successive analisi confermarono che la pistola che aveva ucciso Locci e Lo Bianco nel 1968 era la stessa con cui erano stati commessi i delitti del Mostro di Firenze dal 1974 al 1982. Inoltre - come più volte ripetuto nel corso di queste pagine - si appurò anche che i proiettili utilizzati nel 1968 provenivano dal medesimo lotto di produzione (denominato VK51) dei proiettili utilizzati dal Mdf a partire dal 1974 (su questo punto torneremo nel dettaglio nel capitolo denominato "La pistola del Mostro").
Partirono immediatamente le indagini su coloro che furono sospettati di essere stati complici di Stefano Mele nel delitto di Signa. In particolare, in una direttiva d'indagine del Giudice Istruttore Tricomi al Nucleo Operativo dei Carabinieri del 26 luglio 1982 si evidenziava maggiore interesse nei confronti del manovale sardo Francesco Vinci, sul quale si andavano addensando una serie di indizi e presunte coincidenze che lo porteranno a essere a lungo il principale sospettato per i delitti del Mostro.
Ora, dalla sequenza cronologica, possiamo notare come ci sia stato un lasso di tempo di 14 giorni fra il 3 luglio (direttiva di Vigna e Della Monica) e il 17 luglio (richiesta di Tricomi del fascicolo Mele a Perugia) in cui deve essere necessariamente avvenuto qualcosa che ha portato gli inquirenti sulle tracce al delitto di Signa.
Questo qualcosa può essere stato:

Prima ipotesi: La lettera del De Biasi su un precedente quinto delitto del Mostro e la direttiva Vigna-Della Monica del 3 luglio avrebbero solleticato la memoria degli inquirenti, i quali hanno cominciato a spulciare vecchi giornali, ripescare vecchi fascicoli e confrontarsi fra loro fino ad arrivare al ricordo genuino di Signa.
A conferma di questa ipotesi, come abbiamo già accennato, il 28 novembre 1986 venne chiamato a sottoscrivere una relazione di servizio il maresciallo Francesco Fiori. Alla presenza del Giudice Istruttore Rotella e dei magistrati Vigna e Canessa, Fiori dichiarò:
"Dal 1960 al 1969 prestavo servizio a Signa, presso la tenenza dei CC, nel settembre/ottobre del 69 sono passato alla compagnia di Firenze fino al 1974, successivamente tornai a Signa fino al 1979 e poi di nuovo a Firenze sino al congedo avvenuto il 27.5.1986. Avevo seguito il caso sul delitto di Signa, accompagnando il Maresciallo Ferrero all'Istituto dove era ospitato il bambino Natalino Mele. Nei giorni dell'omicidio non ero presente a Signa perché in ferie. Dopo il delitto del 1982, parlando con l'appuntato Piattelli Ugo, che era in servizio a Signa nel 1968, venne fuori il ricordo del duplice delitto del 1968. Più precisamente, ricordammo che in quella località fu compiuto un duplice omicidio ai danni di un uomo e una donna insieme a colpi di arma da fuoco. Ricordo anzi che tra me e il Piattelli nacque una discussione intorno all'anno in cui si era consumato il delitto di Signa. Io sostenevo che si trattasse del 1964 mentre l'appuntato lo attribuiva al 1968. Certo è che poi io mi recai dal Colonnello Dell'Amico".
Il noto documentarista ed esperto del caso, Paolo Cochi, ha avuto modo di intervistare l'ex Appuntato dei Carabinieri citato dal Fiori, il suddetto Ugo Piattelli, il quale a sua volta dichiarò: "Confermo l'episodio descritto dal Maresciallo Fiori e ricordo che avemmo una discussione circa l'anno dell'omicidio, lui ricordava il 1964, mentre io sostenevo che si trattava del 1968. Assieme ci recammo dal Colonnello Dell'Amico che seguiva le indagini, il quale rinvenne un fascicolo personale, non so a quale persona implicata nella vicenda appartenesse. Dell'Amico informò subito il G.I. Dr. Tricomi, che dapprima contattò il perito balistico dell’epoca e poi fece richiesta alla Cancelleria della Corte d'Appello di Perugia e successivamente a quella di Firenze per l'acquisizione degli atti processuali".
Sembrerebbe tutto tornare, insomma.

Seconda ipotesi: A indirizzare gli inquirenti verso i sardi sarebbe stato il rinvenimento in data 21 giugno 1982 (due giorni dopo il delitto di Baccaiano) dell'automobile di Francesco Vinci, una Renault 4 di colore bianco, nascosta in una zona boschiva nei pressi di Civitella Marittima, in provincia di Grosseto.
Francesco Vinci era stato uno dei protagonisti delle indagini sull'episodio delittuoso di Signa; era uscito indenne dal processo, ma da molti veniva giudicato il vero artefice del delitto. Indagando sul rinvenimento dell'automobile, gli inquirenti sarebbero risaliti al proprietario dell'automobile, si sarebbero ricordati del duplice omicidio di Sogna, avrebbero scoperto che il Vinci nei giorni del duplice omicidio di Baccaiano aveva frequentato per questioni lavorative Montespertoli e di conseguenza lo avrebbero collegato all'evento delittuoso. Secondo una certa corrente mostrologica, la pista sarda avrebbe avuto origine proprio da qui. Vera o falsa che sia questa ipotesi può comunque essere tranquillamente ricondotta a quella precedente e rientrare sotto la voce "intuizione degli inquirenti".

Terza ipotesi: A far nascere la Pista Sarda sarebbe stata una soffiata esterna o un'altra lettera anonima giunta in Procura o nella caserma di Borgo Ognisanti, di cui non si ha però alcun riferimento diretto o indiretto. Ci sentiremmo invece di escludere, per il problema di date su esposto, che la Pista Sarda possa essere stata generata dalle lettere del "cittadino amico". E altresì ci sentiremmo di escludere che il "cittadino amico" possa essere collegato alla figura del De Biasi, perché in quel caso anche la lettera sul fattaccio del Galluzzo avrebbe dovuto portare la ben nota firma "cittadino amico".

Quarta ipotesi: Infine, ci sarebbe il cosiddetto "rapporto Paretti" da cui potrebbe essere scaturita la Pista Sarda. Su tale argomento intendiamo soffermarci con più attenzione.


Il fascicolo Parretti
A oggi non si hanno molte informazioni certe sul rapporto steso nel luglio del 1982 dall'allora brigadiere Vincenzo Parretti del Nucleo Operativo della compagnia dei carabinieri di Prato e che tanto sembra interessare l'odierna mostrologia e la Commissione Antimafia. Chi ha letto l'intero e voluminoso fascicolo (circa 80/90 pagine) ne parla come di un documento di rilevante importanza.
In questo paragrafo ci limitiamo a ciò che sappiamo con certezza: il Parretti aveva condotto le prime indagini sul delitto di Calenzano (ottobre 1981) in cui avevano perso la vita Stefano Baldi e Susanna Cambi. Non è ben chiaro in quale momento, fatto sta che durante queste indagini il brigadiere si era avvalso di un proprio informatore, del quale non vorrà mai rivelare le generalità, in quanto - a suo dire - con lo stesso aveva stretto un non meglio specificato patto di sangue. Tale informatore lo aveva messo in contatto con una persona di origini sarde da cui, per vie traverse, aveva saputo che i veri colpevoli del delitto avvenuto a Signa erano i due fratelli Salvatore e Francesco Vinci. Salvatore, proprietario della pistola mai ritrovata, era stato l'autore materiale del duplice omicidio, mentre Francesco gli aveva dato supporto, accompagnandolo sul luogo del delitto con la sua Lambretta.
Il Parretti aveva riversato queste informazioni nell'omonimo e ormai celebre rapporto compilato a partire dal 3 luglio 1982 e trasmesso (non si sa bene a chi, ma è lecito supporre ai suoi superiori o ad altro reparto dell'Arma) il 7 luglio 1982. Quest'ultima è una data significativa perché cade proprio nel lasso di tempo che precede la richiesta di Tricomi alla Cancelleria del tribunale di Perugia. Ecco che, una volta trasmesso a chi di dovere, il rapporto Parretti potrebbe dunque essere logicamente diventato l'evento dal quale sarebbe scaturita la Pista Sarda.
Dilemma risolto, si dirà. In realtà non è (ovviamente) così semplice. Alcuni dubbi alimentano - almeno a parere di chi scrive - questa lettura dei fatti.
Innanzitutto la faccenda del patto di sangue che Parretti, sottufficiale dei carabinieri, avrebbe stretto con un proprio informatore lascia quanto meno perplessi. A tal proposito, quando Paretti venne convocato in data 3 aprile 1989 a rendere testimonianza alla presenza del G.I. Rotella e dei magistrati Vigna e Canessa, affermerà:
"La Signoria Vostra mi chiede quali motivi abbia per non riferire il nome del confidente e mostra perplessità con riferimento all'appunto. Le ribadisco che non posso fare alcun riferimento alla confidenza per l'impegno preso e aggiungo che ho fatto un giuramento di sangue.. a riprova di quanto ho detto circa il giuramento di sangue, Le mostro sul polso sinistro i segni di una piccola cicatrice che mi fece il Sardo con il suo coltello, operando un taglio anche sul suo polso sinistro e congiungendo poi, per qualche istante, i nostri due polsi. Quel che posso dire è che quel confidente era delle zone di Barberino del Mugello".
La decisione del Parretti di tacere sulle sue fonti e non dare il supporto richiesto agli inquirenti procurò diversi problemi al sottoufficiale dell'Arma, il quale - già sfiorato dai sospetti di aver più volte a partire dal 1968 avvisato Salvatore Vinci di alcune perquisizioni predisposte nei suoi confronti - fu in seguito allontanato dalle indagini. Nella relazione della Commissione Parlamentare Antimafia del 2022 si parlerà difatti di "...drammatico passaggio del'esame testimoniale del brigadiere Parretti...".
Ma a parte questo, sappiamo con certezza sin dai tempi di Signa, che i rapporti fra i due fratelli Vinci non erano propriamente amichevoli e già durante il processo a Stefano Mele, Salvatore aveva tentato più o meno indirettamente di far ricadere le colpe del duplice omicidio su Francesco, sostenendo che lo stesso fosse possessore di una pistola che soleva nascondere nel vano portaoggetti della sua Lambretta. Ora appare quanto meno strano che i due fratelli avessero stretto in quel lontano agosto 1968 un'alleanza per commettere il delitto, ma soprattutto appare altamente improbabile che Salvatore si fosse permesso di fare simili affermazioni in dibattimento nei confronti del proprio complice.
Infine un punto che appare dirimente è il seguente: se il rapporto Parretti indica in Salvatore Vinci l'autore del delitto e possessore della pistola e in Francesco Vinci un semplice fiancheggiatore e se il rapporto Parretti è stata la molla che ha spinto gli inquirenti verso la Pista Sarda, perché gli inquirenti si sono buttati su Francesco Vinci come autore dei delitti del MdF e non su Salvatore o quanto meno su entrambi? Perché Salvatore è stato invece completamente trascurato almeno fino al delitto di Vicchio nel luglio del 1984, circa due anni dopo questi fatti?
Queste osservazioni ci spingono, almeno fino a prova contraria, a tralasciare con una certa tranquillità il rapporto Parretti nell'analisi dei fattori che avrebbero portato gli inquirenti verso il clan dei sardi.
Pur tuttavia, non si puó negare la curiosa (e forse eccessiva) coincidenza che vedrebbe negli stessi giorni dell'estate del 1982 da un lato alcuni carabinieri della caserma di Borgo Ognisanti giungere spontaneamente al collegamento con il delitto di Signa, dall'altro un carabiniere di Prato stilare un rapporto su quello stesso delitto di quattordici anni prima. Il dubbio che il rapporto Parretti possa aver innescato le indagini dei carabinieri fiorentini potrebbe esser lecito. Così come potrebbe esser lecito ipotizzare che su ambo i fronti (Prato e Borgo Ognisanti) possa essere giunta una duplice imbeccata esterna per facilitare il collegamento.


La teoria del depistaggio
Confermiamo, comunque, con discreta tranquillità che tale collegamento ha avuto fondamentalmente due origini: una che a oggi sembrerebbe leggermente più probabile, vale a dire l'intuizione degli inquirenti, e una che apparirebbe meno probabile, ma per nulla escludibile, dell'aiuto anonimo esterno. Non è una differenza da poco perché da questa contrapposizione prendono vita due universi mostrologici nettamente distinti e inconciliabili fra loro: coloro che credono artefatto il collegamento con Signa e dunque credono che il collegamento dei delitti del MdF con quello del 1968 sia stato frutto di un'abile e clamorosa manomissione dei reperti (genericamente e senza intento offensivo nel nostro universo mostrologico li abbiamo chiamati complottisti) e coloro che invece ritengono tale collegamento reale (costoro non sono inquadrabili aprioristicamente in un unico gruppo, ma sicuramente i sardisti sono i più interessati esponenti di questa corrente).
Ora, se noi prendiamo per buona l'ipotesi dell'intuizione degli inquirenti, è difficile si possa parlare di depistaggio, a meno di non pensare che lo stesso provenga da ambienti interni alle forze dell'ordine. In altre parole, se sono stati gli inquirenti ad arrivare a ipotizzare che il delitto di Signa fosse connesso alla serie del MdF, o sono stati loro stessi a creare questo collegamento fittizio oppure tale collegamento è genuino.
Se invece si è pervenuti a Signa grazie a un aiuto esterno e verosimilmente anonimo, l'ipotesi del depistaggio andrebbe quanto meno presa in considerazione, anche perché in alternativa avremmo da valutare la possibilità (piuttosto remota) di un "aiuto genuino" offerto alle forze dell'ordine. Possibilità che, col senno di oggi, risulta difficilmente credibile, visto il vicolo cieco in cui le indagini si sono successivamente indirizzate e lì per anni si sono arenate, senza che poi, anche in epoche successive al 1982, l'anonimo suggeritore abbia fatto nulla per riportarle sulla retta via.
Assodato dunque che potrebbe non esserci stata alcuna segnalazione anonima, ma nel caso ci fosse stata è ragionevole pensare a una sorta di depistaggio, iniziamo con il distinguere due tipologie differenti, che in questa sede chiamiamo per semplicità "piccolo" e "grande depistaggio".

► Piccolo depistaggio: con questo termine intendiamo la possibilità che la pistola che aveva ucciso a Signa fosse effettivamente la stessa dei delitti del Mostro, ma i sardi non c'entrassero nulla con i delitti del MdF o addirittura anche con il delitto del 1968. In tal caso, l'anonimo depistatore (o gli anonimi depistatori) avrebbe inteso indirizzare le indagini sui sardi, allontanandole così dal reale colpevole.
È questa banalmente l'ipotesi, invero piuttosto in voga nella prima metà degli anni '80, del cosiddetto "guardone" che aveva assistito al delitto del 1968, aveva visto dove gli autori del duplice omicidio (il Mele, i Vinci o chi per loro) avevano nascosto (o gettato) la pistola, se n'era impossessato e molti anni dopo era diventato l'MdF. Quando nel 1982, per un qualsiasi motivo, si era visto in pericolo, costui aveva deciso di inviare la segnalazione anonima.
È anche l'ipotesi del poliziotto di stanza a Signa che, durante le indagini sulla scena del crimine, era venuto segretamente in possesso dell'arma ed in seguito era divenuto il Mostro. Anche in questo caso, in quell'estate del 1982 il mostro-poliziotto aveva deciso di spostare le indagini altrove.
Ma è anche l'ipotesi del serial killer unico che ha colpito in tutti gli otto duplici omicidi e sapendo che per il suo primo delitto era stato condannato un innocente, aveva voluto o rivendicare il delitto del 1968 o comunque ancora una volta portare le indagini lontano da sé (ipotesi Filastò).
È ovvio che in tutti questi casi contempliamo banalmente l'ipotesi che il depistatore sia stato il Mostro stesso. Più difficilmente prenderemmo in considerazione la possibilità di un segnalatore anonimo che, non implicato nei delitti del MdF, avesse voluto incastrare i sardi per vendetta, rancori personali, mitomania o anche semplice ostilità verso le forze dell'ordine.

► Grande depistaggio: con questo termine intendiamo la possibilità che la pistola usata dal MdF non fosse la stessa utilizzata nel delitto del 1968. In tal caso, l'anonimo depistatore (o gli anonimi depistatori) avrebbe avuto la possibilità di manomettere il fascicolo del processo a Stefano Mele, allegando bossoli "falsi". Questi erano stati sparati dalla pistola del MdF ma non erano quelli che erano stati rinvenuti sul luogo del delitto del 1968. In pratica sarebbe stato inventato di sana pianta un collegamento inesistente fra il delitto di Signa e i seguenti per depistare completamente le indagini e indirizzarle verso quel gran calderone che è stata la Pista Sarda.
Questa ipotesi è molto seguita da chi vede nel dottor Francesco Narducci il Mostro o uno dei Mostri e più in generale da chi crede che i delitti possano essere imputabili a un personaggio potente, magari inserito nei palazzi di giustizia. Al clamoroso depistaggio credono due inquirenti che hanno condotto indagini su un eventuale secondo (o terzo livello), come il magistrato perugino, dottor Giuliano Mignini e il superpoliziotto, attualmente scrittore di successo, dottor Michele Giuttari. A questa ipotesi hanno creduto e credono da tempi non sospetti alcuni insigni esponenti della mostrologia, come i già citati De Gothia ed Etrusco Viola.
In quest'ultimo periodo all'ipotesi del grande depistaggio sembra si siano avvicinate anche altre correnti mostrologiche, quale quella dei cosiddetti Zodiachisti, coloro che credono che uno dei testimoni al Processo Pacciani, l'italo americano Joe Bevilacqua, fosse contemporaneamente sia il Mostro di Firenze, sia il serial killer americano denominato Zodiac (per maggiori dettagli vedasi capitolo "Mostrologia minore").

Premesso che - come vedremo - l'ipotesi del "grande depistaggio" sembrerebbe essere molto poco probabile, è comunque legittimo andare a fondo alla questione e porsi due domande:
1. Perché il Mostro avrebbe dovuto improvvisamente sentire l'esigenza di depistare le indagini e lanciare gli inquirenti sul delitto del 1968?
2. Cosa spinge una discreta fetta di mostrologia odierna ad abbracciare non tanto l'ipotesi del "piccolo depistaggio" che è sempre stata piuttosto battuta e non si porta dietro grandi problematiche di contorno, quanto l'ipotesi del "grande depistaggio" e dunque la manomissione dei reperti?

Proviamo a rispondere esaustivamente a queste domande.
Per quanto riguarda la prima, è opinione diffusa fra chi crede al depistaggio che nei giorni immediatamente successivi a Baccaiano, il MdF abbia per la prima volta temuto seriamente di essere catturato. Da qui l'esigenza di allontanare le indagini da sé.
Nell'ipotesi che questa teoria possa avere fondamento, vediamo dunque quali furono i passi compiuti dagli inquirenti dopo Baccaiano che potrebbero aver fatto sentire il MdF in serio pericolo:
▪ Il bluff della dottoressa Della Monica: per quanto strano possa sembrare, il killer potrebbe essersi sentito minacciato dalla possibilità che il Mainardi fosse riuscito a dire qualcosa prima di morire.
▪ La divulgazione dell'identikit di Calenzano in data 30 giugno 1982: qualora avesse rappresentato davvero e in maniera somigliante il killer, tale pubblicazione potrebbe aver fatto nascere nel MdF la necessità di fuorviare le indagini.
▪ La direttiva del 3 luglio 1982 a firma Vigna/Della Monica di indagare su eventuali altri omicidi commessi nella provincia di Firenze a danni di coppie.
▪ Altre tre direttive a firma Della Monica/Izzo diramate in data 24 giugno in cui venne chiesto: l'identificazione di tutti i soggetti in Toscana aventi precedenti per reati sessuali dal 1960 in poi; l'identificazione presso la sede del Banco Nazionale di Prova delle armi da fuoco di Gardone Val Tronca dei modelli di Beretta Serie 70 venduti alle armerie toscane fino al 1974 e dei rispettivi possessori; il controllo di tutti i poligoni di tiro in Toscana, al fine di identificarne i più avvezzi frequentatori.
▪ Le indagini intraprese proprio nei giorni successivi a Baccaiano su una Beretta calibro 22 scomparsa da un'armeria di Borgo San Lorenzo.
Su questa punto ci soffermeremo nel dettaglio nel capitolo "La pistola del Mostro", adesso ci limitiamo a una breve sintesi.
Attorno alla metà di luglio del 1982 la Procura di Firenze aveva scoperto che una pistola compatibile con quella usata dal Mostro, costruita nel 1967 ma messa in commercio a partire dal febbraio del 1969, era scomparsa da un'armeria del comune mugellese. Pare che Pier Luigi Vigna in persona si fosse mosso per recarsi a Borgo (il luogo in cui era nato, ad colorandum) e svolgere indagini in tal senso.
Ecco che, qualora le indagini su tale arma avessero rappresentato un serio pericolo per il killer, diventava per lui di vitale importanza tentare di sviarle.
Infatti, risulta facile intuire che, quando pochissimi giorni dopo arrivò il collegamento con il delitto di Signa, la pista della Beretta calibro 22 di Borgo fu abbandonata, poiché tale arma era stata messa in commercio successivamente al duplice omicidio.

Per quanto riguarda la seconda domanda (cosa spinge una fetta di mostrologia odierna ad abbracciare l'ipotesi del "grande depistaggio"), la risposta risulta essere ancora più articolata.
● Innanzitutto, il fatto che ci credano due insigni inquirenti che hanno avuto parte attiva nelle indagini, sicuramente crea consensi in una larga fetta di mostrologi, soprattutto dell'ultima generazione. Il magistrato o l'inquirente viene spesso aprioristicamente ritenuto degno di credibilità, proprio perché ha investigato, ha toccato con mano, sa cose che gli altri non sanno. Una sorta di "Ipse dixit" aristotelico dei giorni nostri.
Su questo c'è poco da ribattere, se non che per due inquirenti che credono al depistaggio ve ne son stati e ve ne sono decine di silenti che son convinti del contrario. Difatti, si può credere o meno alle tesi sostenute dal dottor Mignini e dal dottor Giuttari e gran parte della mostrologia di vecchia generazione è piuttosto scettica, però è indubbio che la loro massiccia, seppur diversa, presenza mediatica generi consensi.
● In secondo luogo, il fatto che il delitto del 1968 crei più di un problema a diversi correnti mostrologiche facilita il tentativo di trovare un modo per escluderlo. Il delitto del 1968 crea problemi ai narducciani che difficilmente potrebbero collocare un giovanissimo studente perugino a Signa la sera del delitto; crea problemi a chi crede in un secondo o terzo livello, a delitti su commissione e a una setta esoterica, non tanto per la matrice sarda di quel delitto, quanto per la distanza temporale che renderebbe poco credibile la formazione di una setta e perché risulta difficile - se non impossibile - collocare il delitto di Signa in un contesto esoterico. Si tratta insomma di un delitto che reca problemi a chiunque non riesca a collocare il proprio personalissimo mostro a Signa nel 1968. Non è un caso se ultimamente, dopo che si è scoperto che Joe Bevilacqua non poteva essere all'epoca in Italia in quanto impegnato in Vietnam, anche gli zodiachisti si sono apertamente schierati a favore del "grande depistaggio".
La sensazione, dunque, è che l'adesione a questa teoria talvolta nasca più dalla necessità di non rinunciare al proprio mostro che non dallo studio obiettivo delle carte e dei documenti, invertendo quello che dovrebbe essere la normale evoluzione logica di una teoria.
● Il fatto che siano stati trovati i bossoli spillati al fascicolo del Processo a Stefano Mele, è un argomento da sempre molto dibattuto e che viene spesso visto come una prova del depistaggio.
Difatti, è opinione abbastanza diffusa che i reperti del delitto di Signa dovessero essere distrutti in quanto c'era stata una sentenza passata in giudicato e un colpevole dopo tre gradi di giudizio. Dunque, come affermò lo stesso giudice Rotella nella sua più volte citata sentenza, quel rinvenimento era stato un puro e fortunoso caso.
Ovviamente per coloro che credono al "grande depistaggio" non si è trattata di semplice "fortuna", ma di una vera e propria trama così ordita: i bossoli erano stati sì espulsi dalla pistola del Mostro, ma aggiunti fraudolentemente al fascicolo del Processo Mele proprio per creare il famoso collegamento con Signa.
Questo punto gioca molto sulle normative giuridiche che in realtà non sono di univoca interpretazione e soprattutto sulle abitudini delle varie cancellerie delle Corti d'Assise. In molti, ad esempio, ribattono che, non essendo mai stata ritrovata la pistola del delitto di Signa, fosse giusto custodire eventuali reperti nel fascicolo del processo e che il colonnello Zuntini (autore della perizia sul delitto di Signa) avesse comunque l'acclarata abitudine di conservarli e spillarli. E del resto, il fatto che il dottor Tricomi avesse fatto ufficiale richiesta del fascicolo e dei relativi reperti dimostrerebbe come non si aspettava certo che questi fossero andati distrutti.
Chi vi scrive non ritiene questo punto assolutamente dirimente né in un senso né nell'altro. Difatti, non appare per nulla strano, come non dovrebbe apparire a chiunque abbia frequentato anche fugacemente aule di tribunale e relativi uffici, che i reperti non fossero stati distrutti anche se dovevano; analogalmente non sarebbe dovuto apparire affatto strano se i reperti fossero stati smarriti o distrutti anche se non dovevano. Lo stesso GUP di Perugia Paolo Micheli, parecchi anni dopo, scriverà in una celebre sentenza (vedasi capitolo Una morte misteriosa) come fosse consuetudine nelle cancellerie dei tribunali di imbattersi in locali in cui i corpi di reato rimanevano giacenti e dimenticati per anni. A dimostrazione di ciò, nel fascicolo incriminato non vennero rinvenuti solo i bossoli, ma anche altri oggetti appartenenti alle vittime (il borsello della Locci, i documenti del Lo Bianco), che avrebbero dovuto essere restituiti ai familiari delle vittime e che invece erano rimasti lì, dimenticati.
Di conseguenza, non solo basare la teoria di un depistaggio sui bossoli spillati a un fascicolo che forse non dovevano essere trovati appare una forzatura, ma anzi il contesto induce maggiormente a pensare che la "normalità" sia stata proprio trovarli.
● Infine, il punto più importante: la perizia redatta dal colonnello Innocenzo Zuntini sul delitto del 1968 sembra - a parere di chi crede nel "grande depistaggio" - parlare di una pistola diversa rispetto a quella descritta nelle perizie sui successivi delitti del Mostro.
In particolar modo, nel 1968 i segni sui bossoli lasciati dall'estrattore e dall'espulsore vennero definiti da Zuntini "quasi irrilevabili", mentre gli stessi segni sui bossoli esplosi nei delitti commessi dal Mostro vengono descritti (nel caso del 1974 dallo stesso Zuntini) come marcati e ben visibili. Ad accrescere i sospetti, il fatto che nella perizia del 1968 sia completamente assente una documentazione fotografica a supporto del testo (fotografie che sarebbero appunto state fatte sparire per evitare confronti con i bossoli spillati nel fascicolo) e infine il fatto che già nel 1968 Zuntini parlava di una pistola piuttosto vecchia, usurata e mal tenuta a causa di un rigonfiamento sui bossoli, quando invece sappiamo che quella pistola avrebbe funzionato egregiamente per almeno altri 17 anni.
Anche su questi punti, però, molti appassionati del caso, addetti ai lavori ed esperti balistici non sembrano affatto concordare. E analizzando con obiettività tutte le carte, l'ipotesi del "grande depistaggio" sembrerebbe piuttosto improbabile.
Innanzitutto, apprendiamo dalla perizia Arcese/Iadevito del 1983 che il rigonfiamento sui bossoli era presente anche a Rabatta nel 1974 e Zuntini aveva anche in questo caso dato la stessa motivazione (vedasi capitolo La pistola del mostro). Ora, indipendentemente dalla correttezza delle deduzioni dello Zuntini, il fatto che una particolare caratteristica sui bossoli riscontrata e descritta nel delitto del 1968 fosse presente anche nel 1974, dovrebbe indurre a pensare che probabilmente il colonnello avesse analizzato i bossoli espulsi dalla stessa arma.
Ma ovviamente non è tutto qui: la già citata perizia Arcese/Iadevito del 1983 parla non solo di identità dei bossoli ma anche di identità dei proiettili, essendo state confrontate le microstriature presenti su uno dei proiettili rivenuto a Signa con quelle rinvenute sui proiettili dei delitti successivi (fino al 1982) commessi dal Mostro. Ne consegue che l'ipotetica sostituzione dei bossoli non sarebbe stata sufficiente per il "grande depistaggio", ma sarebbe occorsa anche la sostituzione dei proiettili e qui il discorso si fa decisamente più complicato. Infatti, Arcese e Iadevito parlano esplicitamente nella loro perizia di proiettili del 1968 che presentavano "superficie interessata da residui di materiale organico", dunque l'eventuale ulteriore sostituzione dei proiettili sarebbe dovuta avvenire utilizzando proiettili "non puliti" e cioè sparati dalla pistola del MdF contro bersagli contenenti materiale organico o al più successivamente sporcati da materiale organico. Si capisce bene come la faccenda della sostituzione diventi decisamente più complicata del previsto.
In tempi più recenti, il noto esperto balistico, blogger e studioso del caso Enrico Manieri, meglio noto negli ambienti mostrologici come Henry62, sta conducendo alcuni studi sulle due perizie (del 1968 e del 1974) redatte dal colonnello Zuntini a distanza di sei anni l'una dall'altra, dunque con strumentazione diversa e anche con conoscenze personali diverse del perito stesso. Le prime indiscrezioni pubblicate sui social sembrano non lasciare spazio a dubbi: anche per il Manieri, così come per tutti i consulenti ed esperti che si sono susseguiti nelle varie analisi, la perizia del 1968, pur con tutti i suoi limiti e i suoi errori, sembrerebbe fare riferimento proprio ai bossoli che molti anni dopo sarebbero stati rinvenuti nel faldone e non sarebbe discrepante dalle perizie successive.
Ci permettiamo di aggiungere altre considerazioni che tenderebbero a rendere improbabile l'ipotesi del "grande depistaggio". In primo luogo bisognerebbe valutare la particolare fortuna del cosiddetto depistatore nel trovare un altro duplice omicidio commesso nella provincia di Firenze a danno di una coppia appartata in auto, utilizzando una Beretta calibro 22 e la cui perizia potesse entro certi limiti adattarsi allo scopo di una manomissione dei bossoli. In secondo luogo, sempre a proposito di fortuna, sarebbe stato estremamente difficile per l'anonimo depistatore prevedere a priori che le indagini sarebbero entrate in quel ginepraio che è stata la Pista Sarda. Che Stefano Mele avrebbe continuato a cambiare versione ogni volta in cui veniva interrogato, che Natalino avrebbe cominciato a negare di ricordare alcunché e che i principali sospettati avrebbero assunto atteggiamenti e comportamenti che li avrebbero resi colpevoli agli occhi del mondo. Insomma, se si è trattato di depistaggio, è stato ben fortunato il MdF (o chi per lui) a trovare quell'humus nel clan dei sardi, un misto fra cialtroneria, falsità cronica e oligofrenia, che favorisse così tanto l'impossibilità di giungere a una verità.

Siamo adesso arrivati alla fine di questo lunghissimo capitolo e possiamo provare a tirare le somme.
In mancanza di nuovi elementi sembrerebbe possibile che a Signa si sia arrivati tramite un'intuizione degli inquirenti.
In tal caso, a meno di non pensare che la manomissione del fascicolo sia avvenuto all'interno dell'ambiente investigativo (un mostro poliziotto di stanza alla caserma Ognisanti o negli uffici del Giudice Istruttore), il legame con Signa apparirebbe genuino e quindi la pistola del Mostro dovrebbe essere ragionevolmente stata sempre la stessa sin dal 1968. Sulla mano, invece, non possiamo dire nulla, magari è cambiata, magari no. Magari è stato uno dei sardi in tutti gli otto duplici omicidi, magari non sono stati i sardi neanche nel primo.
Se, invece, a Signa si è arrivati tramite segnalazione anonima (di cui al momento non vi è traccia e qualsivoglia documentazione analizzata non sembra offrire spunti), andrebbe presa in considerazione l'ipotesi o di un piccolo depistaggio (stessa pistola ma diversa mano nel 1968) o di un grande depistaggio (diversa pistola e ovviamente diversa mano nel 1968).
Il piccolo depistaggio è sempre stato contemplato dalla Mostrologia passata e presente. Il grande depistaggio sembra invece riscontrare un discreto successo in questi ultimi tempi. Abbiamo espresso quali sono gli argomenti a favore del "grande depistaggio" e quali quelli - decisamente più consistenti - contro. Al solito, si lascia al lettore libera scelta su quale teoria abbracciare.

Chiudiamo il capitolo con gli ultimi cenni storici sull'evolversi della Pista Sarda.
Stabilito che la pistola con cui erano stati commessi i delitti del Mostro era la stessa usata a Signa e convinti che quel delitto fosse maturato in ambiente sardo, gli inquirenti arrivarono alla facile conclusione che Stefano Mele aveva avuto un complice, il quale rimasto libero, era diventato il Mostro di Firenze.
Tale complice fu facilmente individuato in Francesco Vinci e proprio dal manovale sardo le indagini ripartirono. Una serie di indizi e presunte coincidenze sembravano incastrarlo inesorabilmente.
Il 6 Agosto venne spiccato un mandato di arresto nei confronti dell'uomo, ufficialmente per maltrattamenti in famiglia.
La sera del 15 Agosto 1982, Francesco Vinci venne arrestato mentre era in procinto di fuggire in Francia e si nascondeva in casa di un amico che gli stava procurando un passaporto falso.
In quel momento in molti, fra inquirenti e addetti ai lavori, erano convinti di aver trovato il cosiddetto Mostro di Firenze.


10 commenti:

  1. Ciao. Ho da poco scoperto questo blog  interessante.  In merito all'apertura della Pista Sarda: siete sicuri sicuri che la lettera anonima che riferiva di 'cinque e non quattro delitti del mostro' sia da considerare come direttamente puntante al delitto di Signa? Perche' ne la Della Monica nella sua richiesta del 20-8-82 ne il Tricomi nella sua rogatoria a Chinnici del 29-10-82 lo specificano. Parlano di un anonimo che riferiva, appunto  di 'Quinto duplice omicidio' e non 'Locci - Lo Bianco come omicidio della serie'. Di conseguenza, stando anche alle parole di Tricomi, che nella sua rogatoria afferma che da quel biglietto si 'risali' a Locci Lo Bianco, se ne deve dedurre che tale lettera, forse, ispiro' le indagini volte alla ricerca di Precedenti e non alla diretta scoperta di Signa, che, a questo punto, rimane ancora, saldamente, ancorabile al ricordo di Fiori e, percio' alla versione ufficiale. A conferma di cio' ricordo che nella sua richiesta la SDM, preciso' che la lettera, una volta ricevuta in procura, fu inviata ai CC per 'atti di indagine'. Che senso ha inviarla ai CC, se gia' tale lettera aveva indicazioni precise su Signa? Non bastava gia' richiedere il fascicolo a Perugia?
    Tengo a ricordare, tra l'altro, che il Giudice Mario Rotella, nella sua sentenza ordinanza, cito' un anonimo che riferiva di PRECEDENTE (  che quindi collegava i delitti del mdf ad un caso analogo avvenuto prima) ma che riguardava un 'reato a sfondo sessuale sul quale la magistratura fiorentina aveva gia' indagato e con successo'.
    Per completezza: nrl convegno di Vieri Adriani (citato in questo articolo), l'avvocato  stesso, affermo':"In realtà passeranno diversi mesi a quanto ho potuto verificare io, prima che questo pezzo di carta rientri nella disponibilità della Procura della Repubblica e per esso  del G.I.”(cit.) Quindi l'anonimo non si e' affatto perduto, ma e' tornato in disponibilita' della Procura. Dove l'avranno messo? Magari... nel fascicolo degli a.g. del pm relativo al delitto di Montespertoli (4316/82)? [vedi Rotella, pag. 61]

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    1. Ciao. Non esiste certezza che la lettera anonima facesse esplicito riferimento a Castelletti di Signa piuttosto che a un generico delitto a sfondo sessuale brillantemente risolto dalla magistratura. Oltretutto, per quello che può valere, la prima volta che si parla di lettera anonima (nell'articolo di Sgherri), Signa non è citata. Il problema è che quei pochi che hanno visto la lettera, o sono morti o negano di averla ricevuta.

      Tuttavia, il primo a fare della lettera anonima una propria battaglia, è stato lo Spezi, il quale millantava informazioni di prima mano ricevute da Tricomi. E secondo queste informazioni la lettera parlava esplicitamente di Signa, c'era un articolo di giornale allegato, addirittura si faceva riferimento al processo di Perugia. Lo stesso Spezi si era fatto firmare un documento dal Tricomi che attestava la veridicità di quanto sosteneva.
      Potrebbe aver mentito il Tricomi allo Spezi? Risulta molto difficile da credere in questo contesto. Potrebbe aver mentito lo Spezi sull'argomento e il documento essere persino falso? Tutto è possibile, ma diventa piuttosto complicato credere nella sua completa malafede. Oltretutto all'epoca lo Spezi seguiva e credeva fermamente nella pista del ginecologo, quindi non aveva neanche alcun interesse di parte a sostenere l'ipotesi "Signa segnalata da un anonimo".

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  2. Ciao. Grazie per la risposta. E anche per la tua cordiale presa d'atto. Volevo fare delle precisazioni utili per chi legge.
    Di per se una persona (nella fattispecie lo Spezi) non e' credibile o incredibile a prescindere: lo e' semplicememte fino a prova contraria. In questo caso la prova contraria e' proprio quel Tricomi che lo Spezi vanta come fonte dello 'scoop' sull'anonimo. Ne nelle interviste (in cui afferma 'non mi pare che la notizia [di Signa] venisse dall'esterno), ne nella sua autobiografia e nemmeno nella sua dichiarazione firmata al giornalista, ebbe a parlare di anonimo, ma semplicemente di ritaglio di giornale del quale 'ignorava di come Fiori ne fosse venuto in possesso'. Il fatto che non si sappia da dove Fiori abbia reperito quel foglio di giornale non ci autorizza ad ulteriori illazioni o speculazioni. E se questo ritaglio fosse veramente venuto dall'esterno e fosse veramente la causa della 'reminiscenza' del Fiori, non avrebbe avuto senso una querelle col Piattelli circa l'anno del duplice omicidio (Fiori sosteneva 1964, Piattelli 1968) , a meno che il Piattelli non fosse un 'complice' del Fiori. Tra l'altro in questa dichiarazione, il Tricomi dimostra di avere scarsa memoria (vedi quando fa risalire il collegamento nell'inverno del 1982) dopo aver giustamente premesso il notevole 'lasso di tempo' e 'sbiadito ogni ricordo'. Afferma di un ritaglio che 'riferiva' (sofisma) della avvenuta condanna di Mele a Perugia, benche' nella sua autobiografia parli di un articolo relativo alla sua scarcerazione (Aprile 1981). Nulla osta pensare che l'avvenuta condanna a Perugia fosse il contenuto dell'articolo relativo alla scarcerazione del Mele piuttosto che qualcosa scritto in stampatello. E ricordiamoci che il Tricomi, nella sua richiesta alla Corte d'Appello di Perugia del 17-7-82, sapeva benissimo quando la Cassazione aveva respinto l'appello del Mele (prima decade del febbraio 1972) ma non quella precisa dell'Appello a Perugia. E' ben difficile che un ritaglio di giornale, spedito dall'esterno, relativo alla scarcerazione del Mele riferisca dell'avvenuta condanna in Appello del Mele a Perugia senza sapere di preciso la data, pur specificando quella precedente della Cassazione. E' piu' verosimile (IMHO) che queste info e il 'ritaglio' siano stati ottenuti dopo 'aver fatto opportuni riscontri in cui si accertava che...'(cit. Rotella, pag.60) a seguito dell'affioramento del ricordo di Fiori.
    Per quanto concerne lo Spezi, non sono in grado di formulare ipotesi circa la sua, chiamiamola 'scarsa cautela' nel riferire le notizie: potrei ipotizzare che la sua passione per il caso e quella per la sua professione gli abbiano giocato un brutto scherzo (in buona fede, si capisce) ma rimane solo una mia illazione. In linea di principio puo' anche starci che il Tricomi gli abbia riferito qualcosa a voce che lo stesso Giudice non si e' mai sentito di confermare (nemmeno, ripeto, nella sua dichiarazione firmata del 2002). Ma... scripta manen e tutto cio' che dice lo Spezi non trova conferma in nessuna delle sue dichiarazioni.
    In tutto questo non trova spazio la lettera anonima del 'quinto duplice omicidio' (che non ha a che vedere ne col.ricordo di Fiori, ne col foglio di giornale): sono contento che finalmente qualcuno ha capito che quella lettera era antecedente e non concomitante alla scoperta di Signa e che su Signa non faceva alcun esplicito riferimento ( per quanto, giustamente, in quel momento dell'indagine, ne era necessario il recupero per appurare se fosse afferente al delitto Locci-Lo Bianco).
    Complimenti ancora per il blog, serio e pieno di spunti interessanti. Lo sto leggendo avidamente.

    P.S. chiedo venia per la mia logorroicita' ma mi sento molto molto solo (in tema di anonimi, si capisce)

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    1. Questo tuo carattere doveva essere tipico del mostro di firenze, ho sempre pensato di una sola persona triste e sofferente, anonima, senza un lavoro gratificante e brutto di sicuro.

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  3. Aggiungo: E' anche ben difficile che il Tricomi allerti la Silvia Della Monica di una lettera anonima che riferiva di un 'Quinto duplice omicidio commesso dal mostro in altra localita della provincia' (cit.) e non anche di 'un foglio di giornale con su scritto a stampatello 'Andate a rivedere ecc.. ec..'.

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  4. I sardi mangiano u porceddu e u casumarcizu non vanno ad ammazzare coppiette .. a hh aha h a quanti completi deficenti hanno scritto e indagato su questo caso solo per fare soldi.

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  5. Il vero assassino non e' mai nemmeno lontanamente stato sfiorato dalle indagini e credo che si sia fatto un sacco di risate alla faccia di tutti questi grandi investigatori.

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  6. h ah ah a haah hah ah ah a a pista sarda ah ha ridicoli!! i sardi mangiano u porceddu non vanno ad ammazzare coppiette cosi'

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  7. Salve
    Volevo sottolineare due episodi spesso sottovalutati e secondo me collegati:
    1 Filastò dichiara che Zuntini, da lui conosciuto di persona, gli aveva confermato la sua abitudine di lasciare spillati bossoli e proiettili alle perizie da lui effettuate
    2 Questo elemento potrebbe essere stato confermato dallo Zuntini stesso anche quando fu contattato da Tricomi

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  8. il primo omicidio non c'entra niente coi successivi, il vero mostro inizia a colpire nel 74 pistola trovata per caso assieme ai proiettili .

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