Le morti collaterali


A Firenze fra il 1982 e il 1984, in piena epoca Mostro, furono uccise da mani ignote quattro prostitute senza apparente motivo (la Monciatti, la Cuscito, la Bassi e la Meoni), con modalità piuttosto simili fra loro, tanto da spingere qualcuno a ipotizzare la presenza di un secondo serial killer, dalla diversa tipologia di vittime, nel capoluogo toscano.
La scarsa probabilità di questa evenienza e il fatto che due di queste donne avevano avuto un qualche tipo di rapporto con personaggi finiti nell'inchiesta del MdF (la Cuscito con il futuro compagno di merende Mario Vanni, la Meoni con Salvatore Vinci), ha portato alcuni mostrologi a ritenere le suddette donne in realtà vittime del mostro stesso.
Alle quattro prostitute vanno aggiunte altre morti collaterali che direttamente o indirettamente potrebbero avere a che fare con la vicenda del MdF.
Si parte da Miriam Ana Escobar, uccisa nel 1972, per arrivare alle morti estremamente sospette di Milva Malatesta (forse amante di Francesco Vinci) e della Mattei (convivente della compagna del figlio di Francesco Vinci stesso) rispettivamente negli anni 1993 e 1994. Chiude la serie delle morti sospette quella di Fabio Vinci, figlio di Francesco, nel 2002.
Vediamo dunque le cosiddette morti collaterali seguendo un ordine cronologico.


1. Miriam Ana Escobar (Marzo 1972)
Il 22 marzo del 1972, in Via Bolognese a Firenze, venne rinvenuto il cadavere della salvadoregna Miriam Ana Escobar, ragazza diciannovenne, residente nel quartiere di San Jacopino, lo stesso della povera Susanna Cambi, vittima del Mostro nell'ottobre 1981, e - come vedremo - dell'altrettanto sventurata Elisabetta Ciabani.
Miriam, trovata priva di scarpe e della borsa, era stata strangolata con un foulard. Non vi erano tracce di violenza sessuale. Gli inquirenti esclusero quasi subito il movente della rapina.
Questo sarebbe rimasto un omicidio come tanti ad opera di ignoti, se non fosse che nel 1988, al giornalista Paolo Vagheggi venne recapitata una lettera anonima sulla cui busta l'indirizzo era stato scritto utilizzando ritagli di giornale, esattamente come aveva fatto il MdF appena tre anni prima nella missiva alla Della Monica.
La lettera conteneva una tabella in cui erano elencati date e simboli zodiacali come in una carta astrale. Le date erano quelle dei delitti del MdF, con in aggiunta un'ulteriore riga riportante testualmente i seguenti caratteri: "ME 72 may". Sebbene nessuno sappia con certezza il significato di questa missiva, il motivo per cui sia stata inviata e soprattutto da chi, alcuni mostrologi hanno visto in quei caratteri un riferimento al delitto di Miriam Ana Escobar, dove 1972 è l'anno del delitto, may il mese (maggio) e la sigla "ME" starebbe a indicare le iniziali della ragazza oppure un "IO" inglese, come se il mostro avesse voluto attribuirsi quel delitto.
A minare la credibilità di questa teoria c'è il particolare che il delitto della Escobar sia stato commesso in marzo e non in maggio, dunque o la parola "may" ha tutt'altro significato oppure chi ha spedito la lettera non sapeva o non ricordava il mese esatto.
A distanza di 48 anni dall'omicidio e di 32 anni dall'invio di quella strana missiva, nessun ulteriore passo avanti è stato fatto nelle indagini.
Tuttavia, recentemente, la già citata ricercatrice Valeria Vecchione, colei che è stata l'artefice della scoperta della rivista da cui erano state ritagliate le lettere per comporre l'indirizzo sulla busta inviata dal MdF alla dottoressa Della Monica (si veda relativo capitolo), ha dichiarato in un recente video di voler svolgere indagini sulla lettera inviata al Vagheggi. A suo parere, infatti, potrebbero esistere alcune similitudini con la missiva inviata alla Della Monica, a cominciare dalla rivista utilizzata per il ritaglio delle lettere, che anche in questo caso sembrerebbe essere il settimanale "Gente".


2. Renato Malatesta (Dicembre 1980)
Marito di Maria Antonietta Sperduto, colei che fra la fine degli anni '70 e gli inizi degli anni '80 era stata l'amante dei futuri Compagni di Merende, Pacciani e Vanni.
Il Malatesta fu trovato impiccato il 24 dicembre 1980 nella stalla della sua abitazione. Era stato in precedenza l'amante di una prostituta di nome Gabriella Ghiribelli, futura testimone al Processo ai CdM, che di lui disse: "sembrava un uomo disperato ed era sempre pieno di lividi e botte".
Pur prendendo le dichiarazioni della Ghiribelli - per questioni che saranno chiare nei prossimi capitoli - con il beneficio del dubbio, è indubbio che la morte del Malatesta sia stata archiviata forse troppo frettolosamente come suicidio.
La figlia Laura raccontò, infatti, ai carabinieri di San Casciano d'aver visto più volte Pietro Pacciani picchiare suo padre minacciandolo: "t'impiccherò, t'ammazzo, ti ritroverò da solo". La moglie e l'altro figlio, Luciano, confermarono di esser stati anche loro testimoni di violenze e minacce.
Inoltre, in occasione del processo ai Compagni di Merende, il testimone Lorenzo Nesi riportò alcune dichiarazioni dell'epoca di Vanni secondo cui il Malatesta dormiva con una falce sotto il cuscino per difendersi dalle continue angherie e percosse che subiva dal Pacciani.
Per contro, il figlio Luciano dichiaró durante lo stesso processo che più volte in precedenza suo padre aveva tentato il suicidio e in una occasione era stato proprio lui, all'epoca poco più che bambino, a impedirlo.
I dubbi sulla morte di Renato Malatesta rimasero comunque sempre molto forti, tant'è che il 19 luglio 2007 fu disposta dalla Procura della Repubblica, nelle persone dei magistrati Paolo Canessa e Alessandro Crini, la riesumazione del cadavere per ulteriori esami. Risultò che l'osso ioide, che dovrebbe rompersi durante un'impiccagione, risultò integro, mentre fu evidenziata una frattura al naso. Per la sua morte fu indagato l'ex appuntato dei carabinieri di San Casciano, Filippo Neri Toscano (vedasi capitolo Via Faltignano), amico dello stesso Pacciani e che la Maria Antonietta Sperduto aveva descritto in sede processuale come autore di continue angherie nei confronti suoi e del marito. L'indagine si chiuse comunque con un nulla di fatto.


3. Gina Manfredi (Agosto 1981)
Prostituta fiorentina che storicamente non viene fatta rientrare fra le morti collaterali che potrebbero essere legate alla vicenda del Mostro di Firenze, in quanto perse la vita con modalità diverse rispetto a quelle delle canoniche quattro prostitute su cui la mostrologia è solita soffermarsi. Tuttavia la Manfredi venne citata dal testimone Lorenzo Nesi durante un'udienza del Processo ai Compagni di Merende come una "prostituta molto signora" frequentata sia da lui che dal futuro imputato per i delitti del Mostro, Mario Vanni.
In occasione della sua deposizione il Nesi, fra le altre cose, dichiarò: "...lasciai Vanni dalla Gina e andai a sbrigare delle pratiche. Tornai a prenderlo dopo una mezz'oretta e non lo trovai in strada. Salii allora a casa della donna, non trovai nessuno in sala d'aspetto e, convinto che Vanni fosse ancora nella camera da letto con Gina, aprii la porta. Vidi che c'era una persona con un mantello nero, di quelli che indossano i magistrati, e vidi pure che c'era una lampada di forma rotondeggiante che emanava una fievole luce rossa. Questa persona mi sembrò un mago. Era solo e alla mia vista ebbe un gesto di stizza. Chiusi subito la porta e andai via. In strada adesso accanto al furgone c'era Vanni che mi stava aspettando. Gli raccontai l'accaduto dicendogli che non sarei più tornato da Gina!"
L'uomo con il mantello nero venne riconosciuto dal Nesi nel cosiddetto mago di San Casciano, Salvatore Indovino, in seguito coinvolto nelle indagini sul MdF (vedasi capitolo Via Faltignano).
La Manfredi morì il 4 agosto 1981 cadendo dalle scale del palazzo in cui viveva.
Come vedremo meglio in seguito, a quella data il suddetto Salvatore Indovino non aveva ancora scoperto le sue "capacità medianiche" e dunque non aveva ancora intrapreso l'attività di mago. È probabile, quindi, che quanto meno in questo caso le dichiarazioni del Nesi fossero fallaci.


4. Giuliana Monciatti (Febbraio 1982)
La prima delle quattro prostitute misteriosamente uccise. Il cadavere della Monciatti venne trovato nel suo appartamento la mattina dell'11 febbraio 1982 da un'amica con cui condivideva l'abitazione. La donna era stata colpita da 17 coltellate al seno, al collo e all'inguine. Era distesa sul pavimento della sua camera da letto: indossava un maglione e un paio di pantaloni abbassati e lacerati sul davanti, lasciando scoperte la regione pubica, quella ipogastrica e la radice delle cosce.
Le numerose coltellate e la disposizione del cadavere rendono questo delitto il più simile - fra quelli delle prostitute - agli omicidi commessi dal Mostro di Firenze.
Il dottor Maurri che eseguì le analisi sul cadavere, escluse tuttavia collegamenti con la vicenda del MdF.


5. Elisabetta Ciabani (Agosto 1982)
Nata nel gennaio del 1961, ex studentessa di architettura, Elisabetta risiedeva nel già citato quartiere di San Jacopino a Firenze ed era vicina di casa di Susanna Cambi, vittima del Mostro nell'ottobre del 1981. Aveva poco più di 21 anni quando, verso le nove del mattino del 22 agosto 1982 (dieci mesi dopo, dunque, l'omicidio di Susanna), venne trovata morta nella lavanderia del residence Baia Saracena, a Sampieri di Scicli in provincia di Ragusa, dove la ragazza stava trascorrendo le vacanze estive con la famiglia.
Il rinvenimento del cadavere avvenne ad opera della signora Giuseppina Corleone, la quale si era recata nel locale lavanderia per svolgere le proprie mansioni di pulizia del bucato. L'ultima persona ad aver visto viva la Ciabani era stata, invece, la portiera dello stabile, Elena Cottone, la quale aveva notato la povera ragazza dirigersi verso l'ultimo piano del residence, dove appunto era sito il locale adibito a lavanderia.
Il corpo di Elisabetta, completamente nudo, venne rinvenuto con un coltello conficcato nella regione mammellare sinistra, la cui lama aveva perforato polmone e cuore. Il cadavere presentava altre ferite poco profonde intorno all'ombelico e un taglio lungo 12 centimetri sulla parete addominale, eseguito dall'alto verso il basso, che giungeva fino al pube. Non furono trovate tracce di violenza o di colluttazione, se non una ferita superficiale da taglio al braccio sinistro e una lieve contusione all'altezza del pube.
Di particolare interesse mostrologico, per motivi che saranno più chiari in seguito, è il rinvenimento nel tardo pomeriggio del giorno successivo al delitto da parte del giornalista siciliano Giuseppe Calabrese di un foglietto appallottolato, come buttato via con noncuranza. Tale foglietto, rinvenuto davanti all'ingresso del locale lavanderia, era in realtà la pagina strappata di un'agenda, su cui erano riportati alcuni nomi collegati fra loro da frecce direzionali. I nomi appartenevano a persone congiunte con un ufficiale dei carabinieri, che in quei giorni erano in vacanza nel residence. Le indagini condotte su tale rinvenimento portarono gli inquirenti a scartare l'ipotesi che il biglietto potesse avere un minimo valor probatorio, ma fosse stato messo lì da un personaggio (perfettamente individuato, ma su cui mancavano prove), che per motivi personali aveva interesse a indirizzare le indagini verso i parenti del suddetto ufficiale.
D'altro canto, le indagini sulla misteriosa morte della Ciabani non portarono agli esiti sperati e il caso fu archiviato (forse troppo frettolosamente) come suicidio dalla procura siciliana. Un suicidio che non ha mai convinto nessuno, tant'è che qualche anno dopo, la stessa Procura di Firenze si interessò al caso, incaricando il professor Maurri di studiare carte e referti ed esprimere un proprio parere. Maurri concluse anch'egli che verosimilmente si trattava di suicidio, non mancando però di sottolineare alcune stranezze come la completa assenza di impronte digitali sul manico del coltello con cui la giovane Ciabani si sarebbe uccisa. Assenza che - a parere di chi scrive - già di per sé avrebbe dovuto escludere qualsiasi ipotesi di suicidio.
È stata comunque smentita dalla famiglia della stessa Elisabetta l'amicizia con la Cambi, di cui già all'epoca del delitto la stampa aveva iniziato a parlare per fornire un possibile movente all'omicidio della ragazza: venne ipotizzato, infatti, che la Cambi, prima di morire, potesse aver fatto qualche confidenza alla Ciabani su eventuali personaggi che l'avevano molestata. Nonostante la teoria del collegamento fra i due delitti è stata più volta riproposta negli anni, a oggi sembrerebbe esclusa una relazione fra questo omicidio e quelli del MdF, o comunque non esiste alcuna prova fattuale che attesterebbe tale collegamento. Alla fine, l'ipotesi più probabile sembrerebbe quella di un omicidio maturato in seguito al raptus di natura sessuale di uno squilibrato.
In tempi recenti due ricercatori, Dario Quaglia e Alessandro Flamini, del gruppo Facebook "I Mostri di Firenze", hanno realizzato su YouTube alcuni video interamente dedicati al caso Ciabani, riportandolo agli onori della cronaca mostrologica.
A seguito di questi video, la studiosa Valeria Vecchione ha fatto eseguire una perizia grafologica sul biglietto rinvenuto dal giornalista Calabrese, giungendo alla sorprendente conclusione che la grafia sarebbe quella dell'ispettore di polizia Luigi Napoleoni della squadra mobile di Perugia, colui che a lungo potrebbe aver indagato (il condizionale è d'obbligo) a metà degli anni '80 sul dottor Francesco Narducci e di cui avremo modo di parlare dettagliatamente nel capitolo dedicato appunto al medico di Perugia.
Ove fosse vera, sarebbe questa una scoperta di interessante portata, in quanto seguendo una serie di deduzioni logiche, ancora tutte e completamente da verificare e dunque decisamente aleatorie, si potrebbe giungere ad affermare che:
1. già nell'agosto del 1982 Napoleoni stava indagando sul Narducci;
2. già il giorno successivo al delitto si sospettava un collegamento fra omicidio Ciabani e delitti del MdF;
3. già il giorno successivo al delitto, l'ispettore Napoleoni era in Sicilia per indagare personalmente sul caso.

Risulta doveroso ribadire che si tratta di sillogismi e conclusioni al momento completamente campati in aria, in quanto si basano su fatti mai realmente appurati. Difatti, è opportuno sottolineare che:
▪ non si sa con certezza se nel 1982 Napoleoni indagasse sul Narducci (a dirla tutta, come vedremo, non si sa bene neanche se Napoleoni abbia mai indagato sul Narducci, tanto più in relazione ai delitti del Mostro);
▪ l'eventuale collegamento Ciabani/Cambi risulta improbabile fosse avvenuto già il giorno successivo al delitto;
▪ Napoleoni avrebbe potuto trovarsi in Sicilia per motivi personali o lavorativi che nulla avevano a che vedere con altre indagini da lui condotte;
▪ per finire, non abbiamo assolutamente la certezza che la grafia sul biglietto rivenuto fosse davvero dell'ispettore Napoleoni: è un'ipotesi dovuta a un'effettiva similitudine fra le due scritture, ma che potrebbe essere frutto di una mera coincidenza. La perizia fatta eseguire dalla Vecchioni non ha ovviamente alcun valore probatorio né legale.
A tal proposito, intervistati in merito dai già citati Quaglia e Flamini, i figli del Napoleoni (entrambi in polizia) avrebbero totalmente escluso che la suddetta grafia fosse del padre e con buona probabilità che il loro genitore fosse in Sicilia nell'estate del 1982.
Soffermandoci ancora un attimo sulla vicenda Narducci, ultimamente, in tempi di complottismo mostrologico e di continui richiami a sette massoniche ed esoteriche, è emersa la voce secondo cui la giovane Elisabetta avrebbe lavorato, un mese prima di morire, al Castello dell'Oscano, hotel e ristorante di notevole pregio, sito in località Cenerente, in provincia di Perugia. Luogo abituale di ritrovo, a quanto si dice, della massoneria perugina.
Tale voce - su cui è bene precisare manca qualsivoglia tipo di certezza o prova documentale e dunque andrebbe derubricata a semplice diceria mostrologica - ha scatenato le fervide menti di quanti vogliono far rientrare in una qualche maniera il medico perugino nella vicenda Ciabani (dando arbitrariamente per scontato che questa sia strettamente connessa alla vicenda del Mostro) e ritengono che all'Oscano Elisabetta potesse aver incontrato il dottor Narducci (dando anche qui arbitrariamente per scontato che Narducci frequentasse il luogo) ed esser venuta involontariamente a conoscenza di segreti inenarrabili.
Si lascia al lettore qualsiasi considerazione e l'eventuale voglia di approfondire, ove mai fosse possibile, questo aspetto della vicenda.


6. Clelia Cuscito (Dicembre 1983)
La seconda prostituta uccisa da mano ignota. La Cuscito fu trovata morta nella sua abitazione il 14 dicembre del 1983 dal fratello Bruno. Era stata torturata con un coltello e strozzata con il filo del telefono. Nella sua mano fu trovata una ciocca di capelli color castano chiaro, secondo il parere medico strappato con forza dal cuoio capelluto e dunque presumibilmente dell'assassino. La ciocca apparteneva a un uomo di gruppo sanguigno B. Vennero inoltre rinvenute l'orma di una scarpa insanguinata sul pavimento del bagno e l'impronta di una mano su un mobile della camera da letto. La casa della donna era stata messa a soqquadro, ma non era stato rubato denaro, né sembrarono mancare altri oggetti di valore.
Parecchi anni dopo, indagando sui Compagni di Merende, la Procura di Firenze scoprì, grazie alle dichiarazioni del testimone Lorenzo Nesi (rese anche al Processo contro i CdM), che il futuro indagato Mario Vanni aveva frequentato la Cuscito.
Secondo il dottor Maurri che aveva svolto le analisi medico-legali sul corpo della donna uccisa, la mano che aveva ucciso la povera Clelia era compatibile con quella del MdF.


7. Paolo Riggio e Graziella Benedetti (Gennaio 1984)
Questa giovane coppia venne uccisa il 21 gennaio 1984 a Sant'Alassio, a circa 2 km da Lucca, mentre erano appartati con la propria auto. La pistola che freddò i due amanti fu una Beretta calibro 22. La scena del crimine era identica a quella dei delitti del MdF, c'era anche un fiume nei pressi, ma non ci fu violenza sui cadaveri, né utilizzo dell'arma bianca, né escissioni. I bossoli rinvenuti erano diversi da quelli del MdF, si trattava infatti di costosi bossoli Lapua e non Winchester. Per gli inquirenti si trattava di un assassino diverso; ci fu anche chi parlò di possibile emulo del mostro.
L'avvocato Filastò ritiene invece che questo delitto sia opera del MdF che aveva voluto sfidare inquirenti e magistratura proprio nei giorni in cui stavano per formalizzare l'arresto di Giovanni Mele e di Piero Mucciarini. Anche il dottor Maurri, medico legale che ha condotto le analisi su tutte le vittime del mostro, si disse possibilista sul fatto che la mano del delitto di Lucca potesse essere la stessa dei delitti del MdF.
In ogni caso parliamo di una zona geografica diversa, una stagione diversa (era pieno inverno e oltretutto quella del 21 gennaio era una nottata fredda e piovosa); inoltre il portafogli del ragazzo venne trovato vuoto poco più in là, vicino l'argine del fiume. Alla fine l'ipotesi ufficiale rimase quella di una rapina finita nel sangue.


8. Gabriella Caltabellotta (Febbraio 1984)
A 12 anni di distanza dal delitto di Miriam Ana Escobar, un omicidio identico fu commesso il 29 febbraio del 1984. La vittima era Gabriella Caltabellotta, diciotto anni, una vita normalissima, lontana da giri strani e conoscenze potenzialmente pericolose.
La ragazza venne ritrovata il primo marzo del 1984 in via della Concezione, una traversa di via Bolognese (stessa zona in cui venne ritrovato il cadavere della Escobar). Sul suo corpo vennero riscontrati segni di strangolamento e di cinque coltellate, quattro molto profonde e una più superficiale fra le scapole. Come per la Escobar, la ricostruzione portò e ritenere che la povera Gabriella fosse stata uccisa altrove e poi portata in macchina sul luogo del ritrovamento. Serrate indagini e un processo a danno di un giovane spacciatore calabrese, Elio Campanaro, su cui gravavano diversi indizi, si son conclusi con un nulla di fatto e anche in questo caso non hanno mai portato a trovare un colpevole.
Recentemente è stato intervistato dal blog "Insufficienza di Prove" il magistrato che all'epoca si occupò del delitto, Pietro Dubolino. Emerge chiaramente in questa intervista la convinzione da parte del PM della colpevolezza dell'allora imputato, ma altresì la correttezza dell'assoluzione per la mancanza di prove schiaccianti.
D'altro canto, come vedremo più dettagliatamente nel capitolo dedicato al medico di Perugia, esiste una denuncia, presentata nell'autunno del 1985 da una ragazza ventenne di Prato di nome Cristina P., la quale ebbe modo di dichiarare che nel giugno del 1984 aveva subito violenza sessuale e minacce di morte da un tale Paolo Poli, quarantaseienne anch'egli pratese. Nell'occasione, il predetto Poli, probabilmente per rendere più credibili le proprie minacce, si era vantato di aver ucciso una studentessa, rinvenuta poi in un campo alla periferia di Firenze, vicino a una pianta di ulivo. In questa vanteria, più o meno fondata, sembrerebbe esserci proprio un riferimento all'omicidio Caltabellotta.
Tuttavia, la stessa Cristina P., alcuni anni dopo, avrebbe corretto la data dello stupro e delle minacce, facendoli risalire non più al giugno ma al gennaio del 1984. In tal caso, risulta ovvio che il riferimento fatto dal Poli non può essere quello all'omicidio della Caltabellotta che sarebbe avvenuto solo un mese dopo.


9. Giuseppina Bassi (Luglio 1984)
Terza prostituta uccisa. Avvenente cinquantacinquenne con piccoli precedenti per droga, ex indossatrice che per esigenze economiche aveva iniziato ad accogliere clienti in casa. La Bassi venne trovata morta nella sua abitazione il 27 luglio 1984, un paio di giorni prima del delitto di Vicchio, sdraiata per terra, completamente nuda, con svariate ecchimosi sul collo. Era stata strangolata da un uomo verosimilmente di forte costituzione. Non furono trovati segni di colluttazione.
Per il delitto furono attenzionati tale Salvatore F., ex protettore della Bassi, e Umberto Cirri, colui che aveva scoperto il cadavere, amico e proprietario dell'abitazione in cui la donna viveva.
Secondo la Procura fiorentina e una certa vulgata mostrologica, questo delitto non ha apparentemente alcun punto in comune con quelli delle altre prostitute fiorentine uccise negli anni '80.


10. Luisa Meoni (Ottobre 1984)
Quarta e ultima prostituta uccisa nel giro di poco più di due anni. La Meoni fu trovata morta nel suo appartamento la mattina del 13 ottobre 1984 con le braccia legate al corpo mediante una giacca di lana. Era stata soffocata con batuffoli di cotone spinti nella bocca e nel naso. Non furono rinvenute tracce di violenza sessuale, né fu evidenziato un tentativo di furto.
Il delitto venne fatto risalire alla mezzanotte della notte precedente. La vicina di casa dichiarò di aver udito un tonfo attorno alle 00.30, come di un corpo caduto dal letto. In cucina furono trovati i resti di un pasto consumato da tre persone, per questo talvolta si è ipotizzato che il delitto fosse stato compiuto da più persone.
Tra i vari oggetti rinvenuti sul luogo del delitto ci fu una fattura emessa due anni prima da una ditta idraulica che faceva capo a Salvatore Vinci. Ovviamente il Vinci finì sospettato dell'omicidio, ma anche questo delitto rientrò ben presto nella categoria degli irrisolti.
La fattura di cui sopra - come abbiamo visto nel capitolo Accadimenti finali - è balzata nel luglio del 2020 agli onori della cronaca per eventuali similitudini di calligrafia con una lettera anonima spedita al quotidiano "La Nazione" e attribuibile al Mostro di Firenze.


11. Bruno Borselli (Ottobre 1984)
Pensionato sessantanovenne che aveva l'hobby del voyeurismo, fu ucciso nell'ottobre '84 alle Cave di Maiano, in un posto abitualmente frequentato da coppie e da guardoni, con sedici coltellate. Secondo alcuni mostrologi fu ucciso dal mostro stesso, infastidito dalla sua presenza. Ovviamente non c'è alcuna prova o indizio in merito.


12. Milva Malatesta (Agosto 1993)
Classe 1962, figlia del su citato Renato Malatesta e di Maria Antonietta Sperduto, Milva era una giovane prostituta che bazzicava la medesima zona a Firenze di Gabriella Ghiribelli.
Per un breve excursus della sua vita, si veda anche per lei il capitolo Via Faltignano.
Nella vicenda giudiziaria dedicata al Mostro di Firenze, la figura di Milva Malatesta è particolarmente importante, perché è stata vista per anni dagli inquirenti (e da una fetta di odierna mostrologia) come il punto di incontro fra i sardi (eventuali autori del delitto del 1968) e i cosiddetti merendari (secondo le sentenze, gli autori dei delitti dal 1982 al 1985) e dunque colei che ha permesso il famoso passaggio della pistola.
Il primo a parlarne era stato l'ex amico di Francesco Vinci, l'imolese Giovanni Calamosca. Come abbiamo visto, costuì riferì agli investigatori che fra la fine degli anni '70 e gli inizi '80, Francesco Vinci si era innamorato perdutamente di una prostituta di San Casciano. Riconobbe la prostituta in Milva Malatesta. Ripeté queste considerazioni anche al Processo ai CdM.
Anche l'ergastolano Giuseppe Sgangarella riferì sia al capo della squadra mobile, Michele Giuttari, sia successivamente in sede processuale, che Francesco Vinci aveva stretto rapporti di amicizia con Pietro Pacciani e Mario Vanni, con cui era solito riunirsi presso una casa colonica per sedute spiritiche a cui partecipava la stessa Milva.
Abbiamo già visto nel capitolo dedicato a Francesco Vinci, come tali dichiarazioni non possano essere considerate granché attendibili, in special modo quelle dello Sgangarella.
Pur tuttavia, nella notte tra il 19 ed il 20 agosto 1993, pochi mesi prima che prendesse il via il Processo Pacciani, la Malatesta fu uccisa con il figlio Mirko di 3 anni. I loro corpi vennero trovati carbonizzati, all'interno della Fiat Panda di Milva, targata FI F08335, in una scarpata a Poneta di Barberino Val D'Elsa. Nei pressi dell'auto fu trovata una tanica di plastica sporca di sangue, sul cui manico, furono rilevate delle impronte digitali. Le indagini si orientarono sul marito, Francesco Rubino, che venne arrestato, processato e - nonostante indizi abbastanza pesanti - assolto nel 1995, per non aver commesso il fatto.
Una morte così violenta, meno di due settimane dopo quella in simili circostanze di Francesco Vinci, è stata ed è tuttora la miglior freccia nell'arco di quanti ritengono la giovane Malatesta custode di segreti inenarrabili sulla vicenda del Mostro.


13. Anna Milvia Mattei (Maggio 1994)
Vedova, prostituta e invalida civile, con un passato segnato da miseria e disperazione. La Mattei viveva in un appartamento a San Mauro di Signa, alla porte di Firenze; era coinquilina di Marinella Tudori, anch'ella prostituta e compagna di Fabio Vinci, figlio di Francesco.
L'allora quarantaseienne Milvia Mattei fu trovata morta il 29 maggio 1994, in pieno processo Pacciani, nella sua camera da letto, stesa su un materasso ormai carbonizzato a cui qualcuno aveva dato fuoco qualche ora prima. Le gambe presentavano tracce di ustioni. La donna era quasi nuda e aveva stretto intorno al collo un foulard (in alcuni articoli di giornale è riportato cappio), sotto al quale vi erano evidenti segni di strangolamento. Ai piedi del letto giaceva un gatto morto.
Il cadavere fu scoperto dalla coinquilina, Marinella Tudori. Sia lei che il compagno Fabio dichiararono agli inquirenti di aver trascorso l'intero giorno fuori casa.
Dell'omicidio fu accusato Giuseppe Shangarella, l'ergastolano compagno di cella dapprima di Francesco Vinci e in seguito di Pietro Pacciani, in quei giorni in permesso premio. Sgangarella verrà assolto dalle accuse.


14. Fabio Vinci (Maggio 1994)
Classe 1969, figlio di Francesco Vinci e di Vitalia Melis e con un passato costellato di piccoli reati e consumo di sostanze stupefacenti. Il suo cadavere venne rinvenuto dai carabinieri nella tarda serata del 7 dicembre 2002 all'interno di una Fiat 500 parcheggiata su una strada sterrata della campagna attorno a Montaione, località al confine fra la provincia di Firenze e quella di Pisa.
L'automobile Fiat 500 risultò rubata, mentre il decesso del Vinci fu attribuito - con un certo margine di dubbio - a uno sfortunato incidente. Nel rapporto redatto dal medico legale è possibile leggere quanto segue:
"...appare verosimile ritenere che il Vinci, tossicodipendente senza dimora, si sia appartato in auto nelle ore antimeridiane del 7.12 (o forse anche qualche ora prima) per riposarsi e, in considerazione del freddo clima atmosferico proprio del periodo invernale, abbia tenuto il motore acceso della sua vecchia auto per tenere in funzione il riscaldamento dell'abitacolo. Trattandosi di un vecchio modello d'auto, è possibile che i fumi dei gas di scarico dell'auto non siano stati tutti convogliati all'esterno ma che siano stati parzialmente anche filtrati nell'abitacolo, per crepe strutturali da ruggine, portando l'uomo (forse già assopito) a morte per avvelenamento acuto da CO. Che possa essersi trattato di un evento accidentale e non volontario (in senso autosoppressivo) è dato dal fatto che non vi erano tubi che convogliassero dall'esterno i gas di scarico fuoriusciti dal tubo di scappamento all'interno dell'abitacolo (finestrini regolarmente chiusi). Si ribadisce comunque trattasi solo di verosimile ipotesi che non esclude "a priori" altre possibili ricostruzioni dell'episodio".
Non mancano ovviamente spiegazioni alternative a tale morte, secondo alcuni attribuibile al fatto che Fabio Vinci stesse svolgendo indagini al fine di individuare gli assassini del padre Francesco e per questo motivo fosse stato ucciso.


4 commenti:

  1. Petri è stato ucciso in uno scontro a fuoco con esponenti delle NBR sul treno regionale Roma-Firenze. Una morte tragica, ma chiarita in ogni suo aspetto, che nulla ha a che vedere con le vicende di cui si parla in questi scritti.

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  2. In Toscana o gli inquirenti sono tutti imbecilli oppure gli assassini tutti professionisti....ne avessero beccato uno.

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  3. Oppure ci sono nomi che non vanno fatti e persone che non vanno trovate ...

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