La Boschetta


Data: Domenica, 29 Luglio 1984;
Luogo: Vicchio, località La Boschetta;
Orario: Fra le 21.40 e le 21.45, almeno secondo due testimonianze giudicate piuttosto attendibili;
Vittime: Claudio Stefanacci, 21 anni; Pia Rontini, 18 anni;
Automobile: Fiat Panda 30 color celestino, targata FI D35067;
Fase Lunare: Giorno dopo il Novilunio (età lunare -28gg). Illuminazione al 1%. Il 29 luglio a Firenze la luna è tramontata alle ore 21:52 per poi sorgere il giorno successivo (30 luglio) alle ore 08:03.


Prima del Delitto
La giovane diciottenne Pia Gilda Rontini era nata a Copenaghen da mamma danese e da papà italiano. Viveva a Vicchio e dal 1 luglio 1984 lavorava nel bar "La nuova spiaggia" nei pressi della stazione ferroviaria del comune mugellese. La sera del delitto staccò alle 20:00 e tornò a casa. Dopo cena era stanca, ma la mamma Winnie Kristensen la convinse a uscire e svagarsi un po'.
Poco dopo le 21:00, Pia raggiunse la casa del fidanzato Claudio Stefanacci, ventun'anni, studente di giurisprudenza a Firenze. Anche sulla base del fatto che Pia aveva detto alla mamma che sarebbe rientrata a casa per le 22:00, si può ragionevolmente ipotizzare che la coppia si diresse subito verso il luogo dove solitamente si appartava, denominato La Boschetta e distante circa 4.5 chilometri da casa Stefanacci. Calcolando dunque una partenza dalla casa di Claudio attorno alle 21:15/21:20 i due giovani dovettero giungere in loco poco prima delle 21:30.
Dopo aver imboccato dalla Sagginalese la strada sterrata che conduceva alla Boschetta, la Panda 30 di Caludio fece manovra nello spazio antistante e percorse una trentina di metri a retromarcia, sino a fermarsi a ridosso della vegetazione, dove la stradina terminava e tuttora termina. A quell'ora, nonostante il mese di luglio, la zona era immersa nell'oscurità più totale. La luna era nuova in cielo e l'auto risultava completamente invisibile sia a chi proveniva da Dicomano, sia a chi giungeva da Vicchio.
I due ragazzi si sistemarono sul sedile posteriore della Panda, in breve tempo trasformato, grazie alle opportunità che offriva quella vettura, in una specie di comodo divanetto. Fu verosimilmente mentre cominciavano a spogliarsi, un quarto d'ora scarso dopo il loro arrivo, che cominciò l'azione omicidiaria.
Difatti, fra le 21:40 e le 21:45 un paio di testimoni in zona udirono cinque colpi di arma da fuoco. La prima testimonianza è quella che risulta nel rapporto dei Carabinieri di Vicchio e di cui parla il maresciallo Polito nell'udienza del 28 ottobre 1997 al Processo contro i CdM, secondo cui tale Piero Cantini, trovandosi dalle parti del quagliodromo di Ampinana sopra la piazzola del delitto, udì tre colpi d'arma da fuoco in rapida successione, seguiti a breve distanza da altri due colpi. Questa testimonianza fu avvalorata da tale Alberto Canovelli che percorreva in auto la Sagginalese e udì cinque colpi di arma da fuoco, riconoscendoli come tali in quanto cacciatore. Inoltre, secondo il blog "Insufficienza Di Prove", anche un contadino che stava lavorando su un trattore sul lato opposto del fiume Sieve confermò di aver udito gli spari approssimativamente alla stessa ora. Di questa testimonianza, tuttavia, non sembra esserci alcun riscontro documentale.
Quello fra le 21:30 e le 21:45 è orientativamente l'orario cui, anche secondo le perizie mediche, si fa ufficialmente risalire il delitto.


Scena del Crimine
Verso mezzanotte partirono le ricerche dei due giovani; ricerche che coinvolsero quasi l'intera comunità di Vicchio allertata dalla mamma di Pia (la già citata signora Winnie) e da quella di Claudio (la signora Bruna Romana Fusaroli), le quali non vedendo rientrare i propri figli avevano sin da subito cominciato a temere che potesse essere successo qualcosa di grave.
Verso le due del mattino, la mamma di Claudio cominció a sentirsi male, venne cosí allertato il medico di famiglia, dottor Giovanni Dreoni, il quale saputo del mancato rientro di Claudio e Pia, decise egli stesso di partecipare alle ricerche. Poco dopo, il dottore, in compagnia del signor Giuliano Parigi, imboccó la stradina che conduceva alla Boschetta in quanto sapeva che quel luogo era frequentato da Claudio e Pia. Giunti nello spiazzo, i due uomini videro a una distanza di circa quindici metri la Panda celestina di Claudio, ma a causa del buio fitto e di una prospettiva ingannevole, la scambiarono per un camper bianco spettralmente illuminato dai fari della loro automobile. Convinti, dunque, che in quella vettura ci fosse una coppia appartata che nulla aveva a che vedere con Pia e Claudio e che per giunta loro stavano importunando, i due andarono via, continuando altrove le loro ricerche.
Poco dopo, verso le 3:00 del mattino, tale Lorenzo Becherini, amico di Claudio, imboccò a sua volta la stradina che conduceva alla Boschetta. Il Becherini riconobbe l'automobile di Claudio immersa nell'oscurità, ma come dichiarò egli stesso al Processo ai CdM, non ebbe il coraggio di avvicinarsi. Provò a chiamare i ragazzi da una certa distanza e, non ottenendo risposta, preferì andare ad avvertire le forze dell'ordine dell'avvenuto ritrovamento. In breve tempo la notizia cominciò a spargersi velocemente per l'intero paese.
Attorno alle 4:00 del mattino giunsero sul luogo del delitto i carabinieri della caserma di Vicchio, comandata dal maresciallo Michele Polito. Una ventina di minuti dopo arrivò il Comandante della Compagnia di Pontassieve, colonnello Emanuele Sticchi. Infine il Magistrato Paolo Canessa arrivò verso le 5:00, ordinando subito di delimitare la zona del delitto. Quasi alla stessa ora il predetto dottor Dreoni, dopo aver lui stesso coperto con un telo il cadavere straziato di Pia, saliva le scale di casa Stefanacci, si sedeva stancamente fra la povera signora Winnie e la povera signora Bruna, entrambe già duramente provate dalla spasmodica attesa, e si assumeva l'ingrato compito di riferir loro la ferale notizia. "Fatevi forti", disse semplicemente.

Sulla scena del crimine, lo Stefanacci era dentro l'automobile sul sedile posteriore, lato destro. Indossava una maglietta intrisa di sangue, slip e scarpe da tennis. Era stato raggiunto da tre colpi di arma da fuoco e ben dieci coltellate inflitte con grande forza, alcune molto profonde e quattro di queste nella zona pubica. Presentava vistosi segni di materiale organico riconducibile a contenuto gastrico: in pratica aveva vomitato durante l'assalto del killer.
La Rontini era all'esterno dell'automobile, in posizione supina a circa sette metri dalla macchina in un campo di erba medica. Era completamente nuda, esattamente come la Pettini 10 anni prima. Attorcigliati attorno alla mano destra della ragazza c'erano reggiseno e maglietta intrisa di sangue. Era stata raggiunta da due colpi di arma da fuoco, era stata estratta viva ma verosimilmente agonizzante dalla macchina, quindi le erano stati inferti 9 colpi di arma da taglio, di cui due molto profondi in limine vitae e 7 piuttosto superficiali. Infine, le erano stati asportati il pube e per la prima volta nella tragica epopea del MdF anche la mammella sinistra. Il suo cadavere era stato (per questo delitto sembra certo) trascinato per le caviglie dalla macchina fino al luogo dell'escissione. Le mutilazioni, come in tutti gli altri casi, erano state inflitte post-mortem.


Dopo il Delitto
Il giorno dopo l'omicidio fu eseguita una perquisizione a casa di Salvatore Vinci, l'ultimo del clan dei sardi rimasto a piede libero. In un armadio della camera da letto fu trovata una borsa di paglia al cui interno erano conservati tre stracci di cotone ben ripiegati, uno dei quali macchiato di sangue e recante tre strisce grigiastre, dovute a polvere da sparo. Le analisi su questi stracci non portarono mai a nulla di certo (vedasi capitolo successivo), ma da questo momento in poi e fino al 1989, Salvatore Vinci divenne l'indiziato numero uno per gli omicidi attribuiti al MdF.
L'efferatezza del delitto di Vicchio e la tragica eco che questo ha avuto sull'opinione pubblica portarono a due effetti immediati: da un lato una certa perdita di credibilità da parte del Giudice Istruttore Mario Rotella e di quanti stavano seguendo la Pista Sarda; dall'altro la nascita il 4 Agosto 1984 per ordine delle Procura di Firenze della SAM, la celebre Squadra Anti Mostro, con a capo il poliziotto della Mobile Sandro Federico, il quale seguiva le indagini sul Mostro sin dal delitto di Mosciano nel giugno del 1981.
In seguito, il 3 settembre e il 13 ottobre 1984, la Procura della Repubblica di Firenze, nei magistrati Pier Luigi Vigna, Francesco Fleury e il neo-entrato Paolo Canessa, chiese al dottor Francesco De Fazio, direttore dell'Istituto di medicina legale e della scuola di specializzazione in criminologia clinica di Modena, una "Indagine peritale criminalistica e criminologica in tema di ricostruzione della dinamica materiale e psicologica di delitti ad opera di ignoti verificatisi in Firenze nel periodo dal 21 agosto 1968 al 29 luglio 1984".
Il professore De Fazio, a capo di una equipe di tecnici composta dai professori Salvatore Luberto e Ivan Galliani, cui si aggiunsero successivamente i professori Giovanni Pierini e Giovanni Beduschi, esaminò tutti i delitti per poi redigere e consegnare una prima perizia alla fine del 1984. Nel maggio del 1986, dopo il duplice delitto successivo compiuto dal MdF, l'equipe criminologica dell'Università di Modena presentò una nuova relazione aggiornata (per maggiori dettagli, vedasi capitolo Accadimenti finali).
Sempre nel 1984, anche se non è nota la data precisa, l'allora capo del SISDE, Vincenzo Parisi, commissionò al professor Francesco Bruno una relazione sul profilo psicologico del cosiddetto Mostro. Tale relazione che non è mai stata resa pubblica (almeno non nella versione del 1984) aveva come titolo "Profilo comportamentale e psicologico del Mostro di Firenze" ed evidenziava come l'autore dei delitti fosse un perfetto conoscitore dei luoghi e probabilmente svolgesse una professione che lo aiutasse nella sua attività criminale.
Dieci anni dopo, nel 1994, lo stesso professor Bruno si occupò di riprendere e ampliare la sua relazione, nonché di renderla pubblica. Il 15 luglio 1994, il celebre psichiatra fu testimone della difesa (avvocati Bevacqua e Fioravanti) nel Processo Pacciani. Il 12 gennaio 1998 fu testimone della difesa (avvocato Filastò) nel Processo ai Compagni di Merende.
Tornando agli accadimenti immediatamente successivi all'eccidio di Vicchio, nell'ottobre del 1984 – come riportato in precedenza – vennero infine scarcerati dapprima Giovanni Mele e Pietro Mucciarini, in seguito Francesco Vinci.


L'assassino del bisturi
Alle 4.28 del mattino del 31 luglio 1984, dunque circa sette ore dopo il duplice omicidio e circa un'ora dopo la scoperta dei cadaveri, giunse una telefonata alla stazione dei carabinieri di Borgo San Lorenzo per denunciare un incidente stradale avvenuto in frazione Sagginale, località prossima a quella del delitto, che vedeva coinvolto un furgone e un autotreno. La telefonata fu presa dall'agente Francesco Messina. Fu inviata sul luogo una pattuglia con a bordo i carabinieri Pietro Mageri e Giovanni Ricci, i quali accertarono che nessun incidente aveva avuto luogo quella notte nella zona.
L'autore della telefonata, che secondo il verbale dei carabinieri aveva uno spiccato accento toscano e una voce non più giovane, si era qualificato come il signor Farini, titolare del panificio Sagginale.
Successivi accertamenti appurarono che non esisteva alcun fornaio di nome Farini in tutto il Mugello. In compenso in quel momento era in carcere con l'accusa di essere uno degli autori dei delitti attribuiti al Mostro, Piero Mucciarini che di professione faceva proprio il fornaio.
Inoltre, nel gennaio 1982, all'interno della collana a fumetti porno-erotica "Attualità Gialla", pubblicata dalla Edifumetto, era uscito un episodio dal titolo "L'assassino del bisturi", la cui trama era chiaramente ispirata alle vicende del MdF.
In tale episodio, il protagonista era un certo signor Farini, il quale mentre svolgeva la propria attività di guardone, aveva avuto la sfortuna di assistere involontariamente a uno dei delitti del serial killer e per tale motivo era stato attenzionato dalle forze dell'ordine (un po' quello che era successo allo Spalletti in occasione del delitto di Mosciano).
Esiste dunque la non troppo remota possibilità che l'anonimo interlocutore telefonico si fosse effettivamente ispirato al protagonista del fumetto nel fornire le proprie generalità e avesse dichiarato di essere un fornaio perché in carcere in quel momento c'era il Mucciarini. Abbiamo inoltre la certezza che il suddetto anonimo aveva denunciato un incidente, in zona non lontana dal luogo del delitto, che non era mai avvenuto. Per questi motivi, buona parte della mostrologia passata e presente ritiene che la suddetta telefonata – nel caso sicuramente beffarda – possa essere stata fatta proprio dal MdF, probabilmente per deridere, sfidare o più in generale avere una qualsiasi interazione con le forze dell'ordine.
Potrebbe dunque essersi verificato un crescendo comunicativo da parte del killer: l'anno precedente a Giogoli potrebbe aver posto la rivista Golden Gay vicino al furgone dei ragazzi tedeschi; nel 1984 potrebbe aver avuto un contatto telefonico con i carabinieri di Borgo San Lorenzo; l'anno successivo avrebbe abbandonato ogni remora e inviato la lettera alla dottoressa Della Monica, contenente un lembo di seno della vittima francese.
Non mancano ipotesi alternative sulle motivazioni della suddetta telefonata. Le vedremo nel paragrafo dedicato alla mostrologia di questo delitto.
Nota a margine puramente cronachistica: rimasti per molto tempo ignoti, grazie al sapiente lavoro condotto in tempi recenti dal noto fumettista Giuseppe Di Bernardo, è stato possibile risalire agli autori del fumetto "L'assassino del bisturi", identificati in Luciano Bernasconi per i disegni e Paolo Ghelardini per il soggetto e la sceneggiatura.

Come ultimo aspetto da valutare sulla telefonata anonima, è opportuno ricordare che nel Mugello esiste l'Antico Mulino Faini, acquistato nel 1780 appunto dalla famiglia Faini, che tuttora ne è proprietaria e ne gestisce il museo. È stata talvolta avanzata l'ipotesi che la suddetta telefonata fosse stata fatta dal "fornaio Faini" e si fosse verificato un semplice errore di trascrizione da parte del ricevente. Si tratta tuttavia di un'ipotesi decisamente remota per i seguenti motivi:
▪ il chiamante si era qualificato come fornaio, titolare di un panificio. È molto poco probabile che il signor Faini, proprietario del celebre mulino omonimo, potesse qualificarsi in questo modo;
▪ il mulino Faini si trova in località Luco di Mugello, frazione di Borgo San Lorenzo, piuttosto lontano dalla Boschetta e dal luogo segnalato dell'incidente;
▪ non si era comunque verificato alcun incidente, quindi anche ammesso non si fosse trattato di un macabro scherzo, si trattava comunque di una falsa informazione;
▪ è molto probabile che all'epoca dei fatti furono svolte tutte le indagini in merito e sia stata vagliata anche questa eventualità;
▪ qualora il fine della telefonata non fosse stato un pessimo scherzo e il nome riportato fosse stato un semplice errore di trascrizione, l'autore stesso (il Faini o chi per lui) avrebbe sentito il bisogno - anche a distanza di tempo - di chiarire l'equivoco che stava nascendo e le relative congetture. Cosa ovviamente mai avvenuta.


Avvistamenti e segnalazioni
► A questo delitto risalgono due segnalazioni che - almeno secondo l'Accusa del Processo ai CdM - incastrerebbero i futuri imputati, Pacciani, Vanni e lo stesso Lotti. Ne parleremo più dettagliatamente nei capitoli legati ai Processi, per adesso ci limitiamo a riportarle brevemente:
1. Testimonianza Caini-Martelli: i coniugi Andrea Caini e Tiziana Martelli dichiararono che fra le 23.30 e la mezzanotte di domenica 29 luglio 1984, mentre erano fermi con la loro automobile nei pressi di una fonte lungo la strada sterrata che dalla provinciale Sagginalese conduce a San Martino a Scopeto, dunque in un punto non distante dal luogo dell'omicidio, videro sopraggiungere a grande velocità due automobili praticamente incollate l'una all'altra che sollevavano un gran polverone. La coppia, che stava facendo rifornimento d'acqua, rimase piuttosto colpita da questo incontro, tanto da associare le suddette autovetture al delitto che - come avrebbero saputo il giorno successivo - era stato da poco compiuto.
È doveroso far notare che all'epoca tale testimonianza non venne mai verbalizzata. Infatti, il giorno successivo, i due coniugi si erano recati alla Polizia e avevano reso una semplice dichiarazione orale. Dieci anni dopo, il 21 luglio 1994, in pieno Processo Pacciani, il Caini ritenne opportuno recarsi nuovamente in questura ove fece mettere per iscritto le seguenti dichiarazioni: "Le due auto che marciavano a una velocità approssimativa di 60 km l'ora dimostravano due cose: la prima, che non doveva trattarsi di persone residenti in quei posti perché una macchina levava un polverone rispetto a quella seguente e, la seconda, che in ogni caso davano l'impressione di essere insieme e di conoscere bene la strada. La prima auto aveva i fari anteriori rettangolari, poteva essere una due volumi, oppure anche una tre volumi, comunque con il cofano della bauliera corto. La seconda auto poteva essere rossa, era attaccata alla prima e procedeva con le sole luci di posizione accese. Entrambe erano vetture di media cilindrata. Ambedue i conducenti avevano una sagoma robusta e non erano giovani... Costoro andavano in direzione opposta alla nostra; quindi da San Martino a Scopeto verso Dicomano".
All’epoca della verbalizzazione, però, Pacciani veniva visto come il serial killer unico delle coppiette, perciò tale testimonianza venne messa da parte e non tenuta in debita considerazione.
Tornó buona nel momento in cui si inizió a parlare di autori multipli dei delitti e di compagni di merende. Caini e Martelli furono chiamati a deporre durante il processo ai CdM, dove la coppia nell’udienza del 4 luglio 1997 ribadì le proprie dichiarazioni. Per la Pubblica Accusa, il modello di automobili descritte e le età e l'aspetto degli occupanti non potevano non richiamare alla memoria le vetture e le fisionomie del Pacciani e del Lotti.
2. Testimonianza Frigo: Il 7 luglio 1997, in occasione della successiva udienza del Processo contro i CdM, la signora Maria Grazia Frigo dichiarò di essere stata ospite, la sera del delitto, in una casa in linea d'aria molto vicina alla piazzola della Boschetta. Ivi, verso le 22.30, aveva sentito una specie di boato che in seguito avrebbe ricollegato a uno o più colpi d'arma da fuoco. Attorno a mezzanotte, al rientro verso la propria abitazione a bordo di una Citroen guidata dal marito, mentre percorrevano una stradina stretta e tortuosa, la Frigo aveva notato un'automobile bianca che procedeva in salita a forte velocità verso di loro e che solo all'ultimo istante aveva sterzato, evitando l'impatto. Circa 200 o 300 metri dopo, aveva incrociato una seconda automobile, stavolta di color rosso sbiadito, che procedeva tranquillamente e che si dirigeva verso l'abitazione di un contadino della zona. La donna aveva avuto modo di vedere bene in viso l'uomo che guidava l'automobile bianca, ma non era stata in grado di osservare colui che guidava l'automobile rossa. Tuttavia, circa una settimana dopo, aveva rivisto la stessa automobile rossa e questa volta ne aveva notato il conducente.
La Frigo dichiarò che sul momento non aveva dato molto peso a quel duplice icontro, ma alcuni anni dopo ebbe modo di riconoscere dapprima nell'uomo che guidava l'automobile bianca il volto, divenuto frattanto famoso, di Pietro Pacciani e in seguito nell'uomo che presumibilmente guidava l'automobile rossa quello di Giancarlo Lotti. Furono questi riconoscimenti a spingerla a insistere per poter fornire la propria testimonianza.
Difatti, come la precedente, anche questa non venne rilasciata all'epoca del delitto, ma solamente otto anni più tardi, nel 1992, per poi venire via via ritoccata e arricchita nel corso del tempo. Tuttavia, come vedremo nel capitolo dedicato alla credibilità di Giancarlo Lotti, tale testimonianza fece storcere il naso a molti e prestò il fianco a diversi attacchi, tanto da essere giudicata del tutto inattendibile dalla Corte.
Da segnalare che i proprietari della casa in cui era stata ospite la Frigo (i signori Edmondo Bianchi e Lydia Falchetti), ascoltati nell'immediato dalla SAM, dichiararono di non ricordare se la sera del delitto di Vicchio la signora Frigo e suo marito erano stati loro ospiti. Analogamente, il marito della Frigo, il signor Giampaolo Bertaccini, dichiarò di non ricordare nulla dell'episodio narrato dalla moglie.
Il Bertaccini e il Bianchi furono chiamati a deporre durante il processo ai CdM (vedasi Appendice B) ed entrambi si mantennero molto generici, non confermando né smentendo aprioristicamente il racconto. In generale si dissero possibilisti sull'episodio narrato.

► Oltre alle appena citate testimonianze, accenniamo sommariamente ad altre segnalazioni, indipendenti fra loro, che indicano una o piú automobili di marca Renault e di color rosso-bordeaux aggirarsi o sostare nei pressi della Boschetta nei giorni e nelle ore immediatamente precedenti al delitto e in prossimità dello stesso. Tali segnalazioni, invero, non indicano in maniera univoca un determinato modello di automobile (in un caso viene segnalata una Renault 18, in un altro una Renault 14, infine una Renault 5), ma - come detto - ne individuano in maniera concorde marca e colore.
A differenze delle testimonianze Caini-Martelli e Frigo, queste furono rilasciate nei giorni immediatamente successivi al delitto.

► Potrebbe lasciare il tempo che trova, ma a proposito di automobili Renault, riportiamo un'intervista rilasciata al giornalista Francesco Pini dell'emittente radiofonica "Lady Radio" nel febbraio del 2015. Un tale, di cui non sono stati resi noti gli estremi anagrafici e con voce contraffatta, ha raccontato di aver visto, viaggiando in auto con sua moglie, verso le ore 21:20 della sera dell'omicidio di Pia e Claudio, una vettura Renault 4 rossa ferma in uno spiazzo nei pressi dell'incrocio fra la statale denominata "Traversa del Mugello" e il bivio Riconi, un luogo distante in linea d'aria poche decine di metri dalla piazzola del delitto. La vettura aveva il cofano aperto, come se l'auto fosse stata in panne, e davanti vi era un uomo che guardava in direzione della Boschetta. Secondo il racconto dell'intervistato, quest'uomo, di corporatura molto robusta, avrebbe nascosto il viso nel momento in cui si sarebbe sentito osservato.
Il giorno successivo, appreso dell'omicidio, l'intervistato avrebbe raccontato ad alcuni amici quello strano avvistamento; tale notizia doveva successivamente essere arrivata in qualche modo alla Procura di Firenze, poiché lo stesso Pier Luigi Vigna in persona lo avrebbe contattato telefonicamente per avere maggiori dettagli. La faccenda si sarebbe conclusa in tal modo, senza che gli venisse richiesto di andare in Procura a firmare un verbale e senza che nessun altro fra le Forze dell'Ordine lo cercasse mai più per ulteriori ragguagli.
Non volendo dubitare della genuinità di tale strana testimonianza (nei modi e nei termini), dobbiamo far notare alcuni aspetti peculiari:
1. L'orario del presunto avvistamento (21:20) è estremamente compatibile con l'omicidio di Pia e Claudio, che ricordiamo potrebbe essere avvenuto fra le 21:30 e le 21:40. Tuttavia, è bene precisare che dal luogo segnalato, seppur vicinissimo alla Boschetta, non è possibile vedere né la piazzola, né se un'automobile che sta percorrendo la Sagginalese vi si rechi.
2. Francesco Vinci possedeva una Renault 4, la stessa automobile che era stata nascosta dal nipote Antonio nella campagna grossetana nei pressi di Civitella Marittima nell'estate del 1982. Tuttavia in occasione del delitto di Vicchio, Francesco Vinci era in carcere, inoltre l'intervistato parla di un'automobile nuova, color rosso vivo, mentre quella del Vinci dubitiamo potesse essere considerata tale.
3. Come visto in precedenza, altre automobili di marca Renault e di colore rosso-bordeaux erano state segnalate sia nei giorni precedenti al delitto, sia il giorno stesso del delitto, in prossimità del luogo dove lo stesso avvenne.
4. L'anno successivo, in occasione del delitto degli Scopeti, vedremo che altri due testimoni segnaleranno la presenza nei dintorni della piazzola dell'omicidio di una Renault 4, questa volta però di colore biege/nocciola, che nulla dovrebbe avere a che fare con quella rossa testé citata.

► Rimanendo in tema di automobili, come vedremo nel capitolo a lui dedicato, è piuttosto diffusa la voce secondo cui a questo delitto potrebbe risalire l'individuazione della Citroen Pallas del dottor Francesco Narducci in luogo e orario compatibile con l'omicidio. In realtà non risulta esistere alcuna testimonianza documentale che attesterebbe questo avvistamento.
Esiste, altresí, la testimonianza di tale Giorgio Pesci, il quale dichiarò di aver incrociato la sera del delitto a circa 300/400 metri dalla stradina che conduceva alla piazzola della Boschetta una Citroen Pallas con le luci abbaglianti accese e i fari alti, che procedeva a forte velocità. Il Pesci dichiaró che tale vettura aveva dei caratteristici fari ellittici, il che porterebbe a escludere a priori potesse trattarsi dell'automobile del Narducci, in quanto il medico perugino possedeva sì una Pallas, ma di modello CX, dunque con normali fari rettangolari.
Per amor di cronaca, i caratteristici fari ellittici della Pallas appartengono al modello DS.

► Un'altra testimonianza molto importante riguardo il duplice omicidio di Vicchio è quella di Bardo Bardazzi, proprietario di un bar a Borgo San Lorenzo, chiamato La Torre. Il Bardazzi riferì che il giorno dell'omicidio, attorno alle 16:45, due ragazzi che lui successivamente riconobbe come Pia e Claudio, erano stati nel suo locale a mangiare qualcosa. Subito dopo il loro ingresso, nel locale era entrato anche un uomo distinto, elegante, leggermente stempiato e con capelli sul rossiccio, di età sui 50 anni, alto almeno 175 cm, che sembrava mostrare un certo livore verso la giovane coppia.
Secondo la testimonianza del Bardazzi, quest'uomo aveva infatti ordinato una birra e si era seduto sui tavolini all'esterno del locale; da lì pareva guardare i due ragazzi in modo torvo e cattivo, inoltre cercava di nascondere con una mano la propria bocca per non farsi scorgere mentre mormorava frasi (presumibilmente offensive) nei confronti della coppia. Quando i due giovani, terminata la consumazione, lasciarono il locale, quest'uomo si affrettò a scolare in un unico sorso metà della birra rimasta nel suo bicchiere e a seguirli.
Il giorno successivo, Bardazzi vide le foto delle vittime sui giornali e riconobbe la coppia uccisa come quella che era stata al suo locale. Si presentò quindi ai carabinieri per la sua testimonianza. Inizialmente la sua deposizione fu presa piuttosto seriamente dagli inquirenti, tanto che fu tracciato un identikit del misterioso personaggio entrato nel suo locale; inoltre Bardazzi fu invitato a seguire dall'alto il funerale dei ragazzi e segnalare l'eventuale presenza dell'uomo.
Col tempo, complice anche la strada intrapresa dalla Procura di Firenze, si è data sempre meno importanza a questa segnalazione.
Durante il Processo ai CdM, il PM Paolo Canessa tentò di smontare la testimonianza del Bardazzi, provando a dimostrare che la coppia vista non poteva essere quella uccisa alla Boschetta. Il PM mise infatti in risalto alcune presunte contraddizioni nella testimonianza del Bardazzi. Infatti, l'uomo nel verbale redatto subito dopo il delitto dai carabinieri, forní come orario in cui vide la coppia nel proprio locale le 16:45 circa. In dibattimento il Bardazzi sostenne invece che l'orario era attorno alle 15:30. Secondo l'accusa questo cambio di versione era dovuto al fatto che alle ore 16:45, Pia era molto probabilmente già al lavoro o in procinto di arrivarci, come da testimonianza dei suoi genitori e della sua collega Marisa Franconi. Messo di fronte alla contraddizione, Bardazzi affermò che probabilmente l'orario corretto era quello fornito nell'immediatezza dell'omicidio e non quello reso in aula, in quanto all'epoca il ricordo era decisamente più fresco.
L'avvocato Nino Filastò ribatté che gli orari forniti dai genitori di Pia non fossero inconciliabili con quelli forniti dal Bardazzi, potendoci essere benissimo una discrepanza di un quarto d'ora in una o nell'altra dichiarazione.
È opportuno precisare che secondo la testimonianza di Renzo Rontini e di sua moglie Winnie, quel pomeriggio Pia rientrò a casa verso le 16:50, comprò una birra al padre al bar Stellini, quindi subito dopo uscì nuovamente da casa in quanto alle 17:00 doveva attaccare al bar per il suo turno di lavoro. Il che appunto renderebbe impossibile la presenza di Pia e Claudio alle 16:45 al bar di Borgo San Lorenzo. Tuttavia, la distanza fra il bar del Bardazzi e casa di Pia è quantificabile in 10/15 minuti di automobile, quindi se i due giovanni fossero usciti dalla tavolta calda attorno alle 16:35/16:40 potevano in linea teorica essere in casa Rontini alle 16:50.
C'è anche da dire che durante la sua testimonianza Renzo Rontini dimostrò di non ricordare bene gli eventi di quel pomeriggio o di confonderli, in quanto dichiarò che stava guardando il Gran Premio di Formula 1 in TV, ma quel pomeriggio non era prevista alcuna gara di Formula 1.
L'avvocato Nino Filastò, d'altro canto, ha sempre creduto nella testimonianza del Bardazzi e più volte ha affermato che costui è stato uno dei pochi a vedere in faccia il MdF.
Recentemente anche il documentarista Paolo Cochi ha svolto indagini in tal senso, esprimendo l'idea che l'uomo visto da Bardazzi fosse proprio il MdF, in quanto molto somigliante ad altre segnalazioni fornite in quel di Vicchio nei giorni immediatamente precedenti e immediatamente successivi all'omicidio (vedasi paragrafo dedicato al "Rosso del Mugello").


Particolarità alla Boschetta
● I proiettili usati per questo delitto furono Winchester a piombo nudo così come Mosciano, Calenzano, Baccaiano e in parte Giogoli, ma diversi da Lastra a Signa, Rabatta e in parte Giogoli. Anche questi proiettili avevano la lettera H impressa sul fondello del bossolo ed erano indubbiamente sparati dalla pistola del MdF.
● Come ben sappiamo, nel momento in cui venne commesso questo omicidio, Giovanni Mele, Pietro Mucciarini e Francesco Vinci erano in carcere; Stefano Mele era invece in una struttura riabilitativa vicino Verona. Nessuno di loro può quindi essere ritenuto colpevole.
● Dalla interessante raccolta di articoli sul delitto di Vicchio riportata dal forumista noto come Rover sul blog "Insufficienza di prove, emerge quanto segue: "A circa 200 metri dal luogo del delitto, senza ostacoli visivi, è presente un'abitazione posta lungo la S.P. Sagginalese, nella quale al momento del duplice omicidio sembra vivesse un'anziana signora che era andata a letto verso le 21:00 senza sentire più nulla."
Nulla personalmente mi è dato sapere riguardo le dichiarazioni di questa presunta anziana signora e nello stesso scritto se ne parla in maniera fortemente ipetica.
In realtà più che una singola abitazione dovrebbe trattarsi di un piccolo nucleo abitativo comprendente più case. Una di questa era abitata dal dottor Francesco Caccamo, il medico che molti anni dopo sarebbe stato indagato per i delitti del Mostro assieme al legionario Giampiero Vigilanti (la posizione di entrambi verrà archiviata nel novembre del 2020).
Non sembra trovare riscontri la voce secondo cui l'anziana signora di cui sopra sarebbe stata proprio la madre del Caccamo, apparendo questo un sillogismo di estrazione prettamente mostrologica.
Maggiormente degne di nota appaiono invece le dichiarazioni del dottor Emanuele Santandrea in una recente trasmissione della nota emittente radiofonica "Florence International Radio". Attingendo ai verbali dell'epoca, Santandrea ha affermato che da tali abitazioni fosse perfettamente visibile la piazzola della Boschetta e che quella stessa sera i cani di uno degli abitanti di tale nucleo avessero abbaiato a lungo, tanto da far pensare con il senno del poi che avessero potuto udire i colpi di pistola.
● Per la prima volta venne escisso il seno sinistro alla vittima femminile oltre che il pube, quasi in un crescendo di delirio assassino (teoria De Fazio e Maurri). La mutilazione pubica risultò essere molto più vicina a quella di Calenzano che non a quella di Scandicci, almeno stando alle fonti processuali. Più in generale, questo omicidio viene storicamente ricordato per l'efferatezza dell'assassino, sia ai danni del ragazzo ma anche e soprattutto ai danni della povera e giovanissima Pia (la vittima più giovane fra quelle del MdF). Risulta inoltre un delitto quasi "perfetto", specie se paragonato ai fallimenti o presunti tali rimediati dal MdF nelle ultime due occasioni (Baccaiano e Giogoli).
● Come detto, lo Stefanacci venne ritrovato senza pantaloni. Questi erano di tipo verde militare e vennero rinvenuti sotto il divanetto della Panda. È possibile (ribadiamo possibile ma per nulla certo) che al momento dell'aggressione il ragazzo, tuttavia, li indossasse in quanto fu rinvenuto un foro di proiettile all'altezza della tasca posteriore destra dell'indumento compatibile con un ematoma sul gluteo. Il proiettile aveva oltrepassato il portafogli posto all'interno della tasca, finendo per essere trattenuto dalla fodera della tasca stessa, dove infatti venne rinvenuto. Entrambi i reperti, pantaloni e portafogli risultavano privi di sangue.
Potrebbe certamente essere che l'ematoma sul gluteo fosse indipendente dai colpi d'arma da fuoco e che pantaloni e portafogli, già sfilati, fossero stati attinti da un proiettile vagante, per poi finire nella confusione del momento sotto il divanetto della Panda. Ma potrebbe anche essere che al momento dell'attacco il ragazzo indossasse ancora i pantaloni e l'ematoma sul gluteo fosse stato causato dall'impatto del proiettile con il portafogli. In seguito sarebbe stato dunque il killer a spogliare lo Stefanacci. Dando per buona questa possibilità, resterebbe da chiedersi perché il MdF avrebbe dovuto perdere tempo a togliere i pantaloni a Claudio, un'azione che non aveva mai compiuto prima. Ancora una volta si procede per ipotesi: forse per infierire sulla zona pubica scoperta del ragazzo con il coltello?
Difatti, appare certo che lo Stefanacci sia stato la vittima maschile su cui il MdF ha infierito con più ferocia; dieci pugnalate in limine mortis, vibrate con violenza, quasi con rabbia. Appare altrettanto certo che il suo cadavere sia stato manipolato o comunque spostato dall'assassino. Di qui un'eventuale conferma ad alcune teorie che vedono un MdF mugellano, probabilmente di Vicchio, che dunque conosceva bene le vittime mugellane e verso cui per un motivo o per un altro poteva nutrire qualche rancore, tanto da arrivare a infierire maggiormente sui loro cadaveri (si ricordino, ad esempio, le 96 coltellate alla Pettini).
Piccola nota a margine: sull'argomento portafogli ha contribuito, suo malgrado, a creare una certa confusione e ad alimentare alcune leggende l'avvocato Nino Filastó, il quale al fine di corroborare la sua idea di "mostro poliziotto" aveva riportato nel suo romanzo "Storia delle merende infami" informazioni non corrette:
"Il portafogli di Claudio Stefanacci, il compagno di Pia Rontini, è stato forato da parte a parte da un proiettile. Il portafogli avrebbe dovuto trovarsi nella tasca posteriore dei pantaloni, dove invece non era. I pantaloni di Stefanacci stavano sotto il sedile. Il ragazzo ha dovuto prelevarlo da là sotto. A che scopo se non per mostrare i documenti, contenuti al suo interno, a qualcuno autorizzato a richiederne l'esibizione? Con tutta probabilità, quando l'uomo ha cominciato a sparare, il ragazzo, col portafogli in mano, ha tentato invano di farsi schermo con esso, per questo il foro. Non c'è una lesione da sparo nel gluteo in corrispondenza della tasca dei pantaloni, quell'oggetto era nella mano della vittima al momento del colpo di arma da fuoco. L'ipotesi alternativa potrebbe essere la rapina, ma nel portafogli i soldi c'erano tutti. Non resta quindi che l'esibizione dei documenti".
Si possono facilmente rilevare, sulla base di quanto sopra riportato, di quanto si può leggere sui verbali e si puó ascoltare nella deposizione resa al processo Pacciani dal poliziotto della scientifica Giovanni Libertino (udienza del 2 maggio 1994), le informazioni non corrette e la conseguente ricostruzione errata del pur valente avvocato.
IMPORTANTE: sull'automobile dello Stefanacci vennero rilevate alcune impronte che potrebbero essere ricondotte all'autore del duplice omicidio. Nello specifico, la fascia paracolpi impolverata dello sportello destro mostrava due aloni semicircolari, riconosciuti verosimilmente come impronte di ginocchia, alte da terra 60 centimetri. Sulla cornice dello sportello destro vennero inoltre evidenziate due impronte digitali parziali. Molto si è elucubrato soprattutto sulle impronte di ginocchia che permisero di stabilire un'altezza di almeno 180 centimetri di colui che le aveva lasciate. Si noti a questo proposito che l'anno prima a Giogoli, l'equipe De Fazio (forse sbagliando i calcoli, forse no) aveva calcolato sulla base delle misurazioni eseguite sul camper dei ragazzi tedeschi che il MdF doveva essere alto almeno 180 centimetri. Anche a Calenzano, tre anni prima, era stata rilevata un'impronta sul terreno di uno stivale numero 44. Tre casi, forse indipendenti l'uno dall'altro, che comunque proponevano un assassino di altezza considerevole. Tuttavia, anche per il duplice omicidio di Vicchio non è stato possibile appurare con certezza se i segni sull'automobile di Claudio fossero stati lasciati dal killer durante l'azione omicidiaria o meno.
Dalle carte risulta che le impronte digitali rinvenute sulla cornice dello sportello furono confrontate con quelle di alcuni fra i principali personaggi coinvolti nella vicenda e nello specifico: Pietro Pacciani, Mario Vanni, Francesco Vinci (che comunque era in carcere in occasione del presente delitto), Salvatore Vinci, Rodolfo Fiesoli (vedasi il paragrafo dedicato al "Forteto" nel capitolo "Mostrologia minore") e Giampiero Vigilanti. Il confronto diede esito negativo, da cui si può dedurre che o quelle impronte non erano del killer oppure il killer non era uno dei soggetti su citati.
Non risulta essere stato possibile effettuare il confronto con le impronte digitali di Giancarlo Lotti, perché - a quanto pare e stranamente - non sarebbero a disposizione dell'autorità competente.
● Secondo una non meglio comprovata tesi, con il delitto di Vicchio il MdF avrebbe voluto quasi "celebrare" il decennale del delitto di Rabatta, di settembre 1974. Stessa zona, stessa età delle ragazze, quasi stessa posizione del cadavere della vittima femminile. Tuttavia, null'altro comprova tale idea.
● Questo delitto non deve essere stato premeditato, almeno non quella sera. Questo perché la povera Pia lasciò il lavoro prima del previsto per via di un cambio turno concordato verosimilmente la sera precedente con la collega Manuela Bazzi (anche se non è emerso chiaramente neanche in dibattimento chi avrebbe chiesto il cambio a chi).
Pia tornò a casa e dichiarò esplicitamente di non avere intenzione di uscire in quanto troppo stanca. Fu la povera madre, Winnie, a convincerla a fare una passeggiata. Dunque, quella sera Pia e Claudio si trovarono quasi per caso alla Boschetta. Anche questo aspetto verrà analizzato meglio nel paragrafo dedicato alle Teorie.
● D'altro canto, pare che la povera Pia avesse riferito a un'amica danese nei giorni precedenti all'omicidio di aver ricevuto apprezzamenti poco simpatici da parte di non meglio specificati avventori del bar in cui lavorava. Tale amica, la signora Ingrid Von Pflugk Harttung, riferì questo particolare durante la sua deposizione al Processo ai CdM (18 Luglio 1997). Dichiarò che la Pia all'epoca le era apparsa molto spaventata e che aveva fatto vaghi riferimenti a persone non più giovani che frequentavano il bar e che la stavano - testuali parole - "perseguitando".
In realtà nell'ascoltare tale deposizione sorge qualche dubbio sulla sua genuinità, considerando che la Ingrid all'epoca non ritenne opportuno informare nessuno di quanto aveva appreso, neanche dopo l'omicidio. Sembra molto strano che una donna riceva tali confidenze da una ragazza di 18 anni, la quale pochi giorni dopo viene barbaramente trucidata, e non si senta in dovere di farle presenti neanche ai genitori di Pia.
In dibattimento Ingrid si giustificò dicendo che sul momento non diede particolare peso alle rivelazioni di Pia (pur avendo dichiarato in quella stessa sede che la ragazza le era apparsa molto spaventata). Solo a distanza di molti anni, quando la Procura aveva cominciato a indagare sui compagni di merende e sulla loro eventuale presenza a Vicchio nei giorni precedenti al delitto, Ingrid riferì ai genitori di Pia quanto aveva appreso pochi giorni prima dell'omicidio. Una tempistica che lascia un pochino perplessi.
Dando comunque per buona la genuinità di tali dichiarazioni, la giovane Rontini divenne la terza vittima del MdF (quarta se consideriamo anche la Locci), di cui si abbia certezza, a essersi lamentata nei giorni immediatamente antecedenti al delitto di essere stata importunata da qualcuno.
Sempre durante il Processo ai CdM vi fu la testimonianza di Mauro Poggiali, amico di Pia, che una sera accompagnò a casa la ragazza dopo il turno di lavoro al bar. Nel tragitto il Poggiali ebbe la sensazione di essere seguito da un'automobile di media cilindrata di colore amaranto o rosso sbiadito. Alla visione al processo della macchina di Giancarlo Lotti, il Poggiali non si disse sicurissimo fosse proprio quella, ma riferì che le due vetture potevano avere qualcosa in comune.
● In località Badia a Bovino, a circa 3 Km di distanza dal luogo del delitto, dove negli anni '70 Pietro Pacciani aveva in affitto una casa colonica, fu rinvenuto nel 1997 dal signor Flavio Graziano un tubicino di metallo che conteneva un foglietto con la scritta "Coppia Vic. FI D35067" (NdA: FI D35067 è la targa della Panda di Claudio). La calligrafia con cui erano state vergate quelle parole risultava simile a quella di Pietro Pacciani. La circostanza di tale rinvenimento è tuttavia avvolta da un alone di incertezza e scetticismo. Non per nulla, nel 2003 lo stesso PM Paolo Canessa (il grande accusatore di Pacciani) chiese il rinvio a giudizio per frode processuale e favoreggiamento per Giovanni Spinoso, giornalista RAI e cognato di Pia Rontini (marito della sorellastra Marzia) e dello stesso Flavio Graziano. Il processo si concluse con l'assoluzione di entrambi, ma i dubbi che quel foglietto non fosse originale ma scritto successivamente per incastrare Pacciani rimangono piuttosto netti.
● Il giorno successivo al delitto, mentre lavava la propria automobile, un tale di nome Pietro Pasquini notò presunte macchie ematiche su alcune pietre prossime al greto del fiume Sieve, non lontano dal luogo del duplice omicidio. Prestando maggiormente attenzione ai dintorni, l'uomo vide le stesse macchie disegnare una specie di percorso lungo lo stradello che dal fiume risaliva sino alla piazzola del delitto. Decise dunque di informare della scoperta un intimo amico dei genitori di Pia, tale Luciano Bartolini. Stando a quanto lo stesso Bartolini riferirà diversi anni dopo al capo delle Squadra Mobile di Firenze Michele Giuttari, egli si trovava proprio a casa dei coniugi Rontini nel momento in cui Pasquini lo informò della sua scoperta. Il Bartolini decise pertanto di avvertire le forze dell'ordine, le quali si recarono immediatamente sul posto per scoprire che erano già presenti alcuni esperti della scientifica intenti a studiare le stesse macchie. Successivamente il professor Giovanni Pierini eseguì una perizia ematologica su alcune pietre rotondeggianti che recavano tali tracce per scoprire che non erano di tipo ematico. Durante il dibattimento processuale non è emerso tuttavia in maniera chiara se le pietre analizzate fossero le stesse che erano state segnalate dal Pasquini.
● Durante il Processo ai CdM, il reo-confesso Giancarlo Lotti che, a suo dire, aveva assistito al duplice omicidio, disse esplicitamente che mentre Pia veniva tirata fuori dalla macchina dal Vanni, strillava. Secondo la difesa che si avvalse delle perizie medico-legali, era pressoché impossibile che la povera ragazza potesse emettere strilli, visto che al termine dell'azione di sparo, era già in uno stato profondo di coma. La Pubblica Accusa puntò sul fatto che Lotti avesse usato un termine improprio e lo stesso dottor Maurri dichiarò nell'occasione che effettivamente la vittima avrebbe potuto emettere dei suoni involontari mentre veniva estratta dall'automobile e trascinata sul terreno. Questa versione fu presa per buona dalla corte che nella sentenza scrisse: "tale verbo (strillare, NdA) è stato chiaramente usato in modo improprio dal Lotti, trattandosi di un soggetto che è senza cultura minima, che si esprime quasi totalmente in dialetto toscano e che, quindi, non ha avvertito né poteva avvertire l'esatto significato del verbo usato".
Indipendentemente da accusa, difesa e parere della corte, era consumata abitudine del Lotti durante tutto il processo ai CdM, fare dichiarazioni, spesso improbabili, che poi correggeva strada facendo, nascondendosi spesso dietro il suo non sapersi esprimere correttamente. Oggi, quasi tutti i mostrologi, di qualsiasi corrente (merendari compresi), ritengono che almeno una parte delle dichiarazioni del Lotti fosse mendace.
● Qualche giorno prima dell'inizio del Processo a Pietro Pacciani, mano ignota ruppe la croce dedicata a Pia Rontini, posta dal padre Renzo nel luogo in cui la povera ragazza era stata uccisa. La croce dedicata allo Stefanacci fu invece lasciata intatta. Secondo molti, a compiere tale profanazione era stato proprio il MdF che rivendicava la sua esistenza in un momento storico particolare e soprattutto una volta di più rimarcava il suo odio per le vittime femminili. Da notare come questo evento sia in accordo con la teoria che vuole un serial killer tornare anche a distanza di anni sul luogo dei delitti o sulle tombe delle proprie vittime, ma anche con la teoria (da sempre piuttosto diffusa) che vede il serial killer originario e/o residente proprio nel Mugello.
● A proposito di Renzo Rontini, padre di Pia, è doveroso dire che è stato per anni un simbolo per quanti non si sono mai rassegnati all'idea che l'autore di questi barbari massacri potesse restare impunito. Renzo ha lottato con le unghie e con i denti per ottenere giustizia per la povera Pia, ha lottato contro qualcosa che probabilmente era più grande di lui.
Subito dopo il delitto lasciò il suo remunerativo lavoro per seguire da vicino le indagini. Il suo desiderio di giustizia lo rese vittima di lestofanti di ogni specie (investigatori improvvisati, medium, finanche avvocati), che non esitarono a dilapidare il suo cospicuo patrimonio promettendogli in cambio giustizia. Renzo finì per impoverirsi, ma non smise mai di seguire le indagini, di essere una presenza costante e affettuosa negli uffici della SAM, di presenziare negli anni '90 a tutte le udienze del Processo Pacciani e ai Compagni di Merende, nel momento in cui finalmente credeva di aver trovato risposte alle sue inespresse domande.
È doverosa a questo punto una menzione d'onore per i poliziotti della SAM che - nel momento di maggiore difficoltà economica del signor Rontini - decisero di autotassarsi per fornirgli ogni mese un aiuto economico.
Renzo Rontini morì d'infarto alle 12.15 del 9 Dicembre 1998 in via San Gallo, proprio nei pressi degli uffici della Questura di Firenze.


Mostrologia alla Boschetta
Sono tre i punti cruciali di questo delitto su cui sono state elaborate svariate ipotesi e teorie:
1. La misteriosa telefonata del tale fornaio Farini;
2. L'avvistamento del presunto mostro da parte di Bardazzi e altri avvistamenti di quella che potrebbe essere la stessa persona in giorni prossimi al delitto: la teoria del cosiddetto "Rosso del Mugello";
3. L'eventuale premeditazione del delitto.


1. La telefonata del fornaio Farini:
Come visto, attorno alle 4:20 del mattino, oltre un'ora dopo il rinvenimento dei cadaveri, arrivò una telefonata alla stazione dei carabinieri di Borgo San Lorenzo per denunciare un incidente (mai avvenuto) in località Sagginale. Il telefonante, con chiaro accento toscano e voce non più giovanile, si spacciò per un tale Farini, di professione fornaio. Nome e professione erano possibili riferimenti a situazioni legate alla vicenda del MdF. Questo ha portato molti mostrologi a ipotizzare che dietro quella telefonata ci fosse proprio il Mostro. Il fine, però, non appare così chiaro.
Una spiegazione è data dal criminologo Valerio Scrivo.
Come abbiamo avuto modo di accennare in occasione del delitto di Rabatta, secondo Scrivo il MdF era della zona di Vicchio. Per distogliere ogni sospetto, aveva però bisogno di far credere alle forze dell'ordine di provenire da fuori. Avrebbe dunque aspettato che fossero ritrovati i cadaveri (probabilmente, sempre secondo Scrivo, partecipando lui stesso alle ricerche) e successivamente avrebbe effettuato la misteriosa telefonata. Da questa, le forze dell'ordine, o chi per loro, avrebbero dovuto concludere che il chiamante fosse proprio il MdF, il quale voleva che il duplice omicidio fosse scoperto, ma non essendo della zona, non poteva ovviamente sapere del già avvenuto ritrovamento dei cadaveri.
Insomma, un po' cervellotica come spiegazione, come del resto era cervellotica la spiegazione del furto e del successivo abbandono della borsetta della Pettini nel delitto del 1974, ma soprattutto non scevra anche questa da alcune pecche logiche: ad esempio, perché il mostro avrebbe dovuto avere improvvisamente l'esigenza che il suo nuovo duplice omicidio fosse scoperto proprio durante la notte tanto da dover fare una telefonata? E perché se per i suoi fini era necessario far capire ai carabinieri di essere proprio il MdF e di non sapere che i cadaveri fossero stati già scoperti, non ha detto chiaramente chi fosse e dove potessero essere rinvenute le vittime, ma ha sentito l'esigenza di spacciarsi per un tale Farini (andando a prendere il nome da un fumetto quasi sconosciuto e correndo il rischio che nessuno si accorgesse del gioco di nomi) e di raccontare di un fantomatico incidente?
Dunque, se si esclude l'ipotesi di Scrivo e ammettendo (cosa probabile) che quella telefonata l'abbia fatta proprio il MdF, l'unifo senso che si puó dare alla stessa è il desiderio del killer di farsi beffe delle forze dell'ordine, di comunicare, di lanciare una sfida, di sbeffeggiare gli inquirenti in una specie di preludio alla lettera dell'anno successivo alla dottoressa Silvia Della Monica.

In definitiva ci troviamo complessivamente davanti a quattro possibilità:

► La telefonata l'ha fatta un qualsiasi personaggio (presumibilmente di Vicchio, in quanto sapeva che i cadaveri erano a la Boschetta) che voleva macabramente divertirsi, segnalando un incidente proprio nei pressi del luogo dove era stato compiuto l'omicidio.

► La telefonata l'ha fatta il MdF per puro divertimento, dunque senza un secondo fine specifico. Indipendentemente dal fatto che lui fosse stato di Vicchio o meno, indipendentemente dal fatto che sapesse che i cadaveri erano stati ritrovati o meno, quella telefonata aveva come unico scopo prendere in giro e/o sfidare le forze dell'ordine.

► La telefonata l'ha fatta il MdF con il fine un po' contorto descritto da Valerio Scrivo. Un modo per depistare le indagini e portare gli inquirenti a credere che il killer fosse venuto da lontano e lontano fosse tornato subito dopo il delitto.

► La telefonata l'ha fatta il MdF con qualsiasi altro fine, che al momento non è dato conoscere. Ad esempio, come a volte è stato detto in alcuni ambienti mostrologici, liberare una strada eventualmente occupata da un posto di blocco.


2. Il cosiddetto "Rosso del Mugello":
La segnalazione di Baldo Bardazzi, unita ad atre segnalazioni che si sono avute a Vicchio in giorni prossimi al delitto e verosimilmente tutte indicanti una stessa persona (uomo distinto, elegante, leggermente stempiato, viso rotondo e roseo, capelli fra il biondo e il rossiccio, ben piazzato, alto circa 175/180 cm, fra i 45 e i 50 anni) ha fatto nascere in alcuni mostrologi la convinzione di avere individuato il MdF proprio in tale soggetto, denominato da alcuni Rossano, da altri il Rosso del Mugello o l'uomo di Vicchio.
Di seguito sono esposte nel dettaglio tali segnalazioni, che si badi bene sono state tutte rilasciate nei giorni immediatamente successivi al delitto e non a distanza di anni, dunque da ritenersi senza dubbio alcuno genuine:

► Secondo una testimonianza resa ai carabinieri di Vicchio da una ragazza di nome Tiziana il 5 Agosto 1984, un uomo corrispondente alla descrizione di cui sopra venne notato sabato 14 luglio 1984 intento a spiare alcune ragazze che prendevano il sole sulle rive del fiume Sieve, in un punto non lontano dal luogo del delitto;
► Secondo la testimonianza resa ai carabinieri di Vicchio il 2 Agosto 1984 dalla collega di Pia, Manuela Bazzi, un personaggio molto simile a quello già descritto si presentò verso le 18 di sabato 21 luglio 1984 al bar "La Spiaggia" dove lavorava Pia. Importunò una ragazza chiedendole se era ancora accampata in tenda e alla risposta affermativa di questa, le disse che sarebbe andato a trovarla. Tale ragazza lasciò il bar piuttosto intimidita dall'atteggiamento dell'uomo.
► Secondo la testimonianza resa ai carabinieri sempre il 2 Agosto 1984 da un'altra collega di Pia, Luciana Limmi, lo stesso personaggio si presentò nuovamente al bar il giorno successivo, domenica 22 luglio, chiedendo alla Limmi quante ragazze lavorassero in quel bar.
► Una settimana dopo, dunque sabato 28 luglio 1984 verso le 18.30, lo stesso personaggio tornò al bar e incontrò nuovamente la Bazzi. La chiamò per nome (nonostante la donna affermi che non si erano mai rivolti la parola prima) e le chiese se la sera andasse a ballare. In quell'occasione la Bazzi rimase così turbata che chiese ad altri avventori se conoscessero questa persona. Le fu risposto che probabilmente era di Scarperia.
Sebbene non esistano dubbi sulla genuinità di tali dichiarazioni, rilasciate nell'immediatezza del delitto, è onesto, oltre che doveroso, chiedersi tuttavia perché la Bazzi non fece menzione di questi episodi durante il Processo ai CdM. Quando infatti in aula fu interrogata dal PM (udienza dell'8 luglio 1997) e le fu chiesto esplicitamente se la Rontini fosse stata mai importunata da qualcuno o se nel bar si fossero verificate situazioni spiacevoli, la Bazzi dichiarò di non avere ricordi del genere e sminuì fortemente eventuali episodi, classificandoli come normali e innocui rapporti fra clienti e bariste. Salvo poi in tempi molto recenti ribadire in alcune interviste la presenza inquietante e disturbante di questo misterioso individuo.
► Il pomeriggio successivo, domenica 29 luglio 1984, come già visto, ci fu l'avvistamento di quest'uomo nel bar del Bardazzi mentre seguiva una coppia che lo stesso Bardazzi riconobbe come le future vittime.
► Secondo la testimonianza resa da tale Franco L. ai carabinieri di Vicchio, la sera del 29 luglio, attorno alle ore 20:00, quindi circa un'ora e mezza prima che si consumasse il delitto, tale personaggio venne visto sempre al bar "La Spiaggia".
► Martedì 1 Agosto 1984, tre giorni dopo il delitto, venne infine visto per l'ultima volta nei dintorni di Vicchio, ancora una volta al bar dove lavorava Pia. In questa occasione si limitò a prendere un caffè senza scambiare parola con nessuno. A servirlo fu Luciana Limmi.

Il primo a interessarsi alla pista cosiddetta mugellana fu l'avvocato difensore di Pietro Pacciani, Rosario Bevacqua, il quale, pur senza calcare troppo la mano durante il Processo di primo grado nei confronti del contadino di Mercatale, fece notare alla Corte la sinistra coincidenza di queste segnalazioni che convergevano verso un unico sospettato dalle chiare connotazioni fisiche.
Come vedremo, la pista sembrò morire con la condanna in primo grado di Pacciani e la successiva condanna dopo tre gradi di giudizio dei Compagni di Merende.
In tempi piuttosto recenti, tuttavia, il documentarista Paolo Cochi ha ridestato l'interesse dell'opinione pubblica sul cosiddetto "Rosso del Mugello".
Nel documentario "La Zona Oscura", Cochi ha intervistato Bardazzi e le due colleghe di Pia che avevano reso testimonianza ai carabinieri: le parole dei tre intervistati sono state piuttosto concordi nell'indicare lo stesso uomo, rossiccio di capelli e dal modo di fare sospetto.
Secondo Cochi, quest'uomo potrebbe essere il vero MdF, tanto più che esistono altre segnalazioni simili, come quella della guardia giurata riportata nel capitolo dedicato al delitto di Calenzano o quella che vedremo a proposito del delitto degli Scopeti.
Valutando nel complesso tutte le segnalazioni e tralasciando la dibattuta questione sull'orario in cui la presunta coppia Stefanacci/Rontini venne vista alla tavola calda del Bardazzi, sorge indubbiamente spontaneo chiedersi chi fosse quest'uomo che con così tanta costanza ha frequentato nei giorni immediatamente precedenti al delitto il bar dove lavorava Pia e le sponde del fiume Sieve nei pressi della piazzola del delitto. Sorge spontaneo chiedersi anche perché subito dopo questi eventi, quest'uomo non si fosse fatto più vedere nei pressi del bar di Vicchio, né in quello del Bardazzi. Trattasi indubbiamente di circostanze fortemente sospette.
D'altro canto, risulta comunque un po' complesso pensare a un MdF che non solo ha seguito la coppia Stefanacci-Rontini in pieno giorno fin dentro il bar di Bardazzi, osservandola con astio sotto gli occhi di tutti, ma si è fatto persino vedere nel bar dove lavorava Pia e senza alcuna remora si è messo a importunare un paio di ragazze. Nello stesso bar vi sarebbe finanche tornato per un'ultima volta a delitto compiuto. Insomma, tutto ciò va un po' contro l'idea di personaggio estremamente cauto e calcolatore che il MdF ha dato durante tutti gli anni della sua tragica attività delittuosa.
Inoltre, ci si potrebbe chiedere perché lo stesso personaggio in un'occasione avrebbe assunto un atteggiamento assolutamente ostile e quasi da psicopatico nei confronti della coppia, tanto da doversi coprire la bocca con la mano per non far trapelare le parole che mormorava fra sé, mentre in altre occasioni si sarebbe comportato quasi normalmente, non importunando mai la Rontini, ma rivolgendo le sue forse spregiudicate attenzioni verso altre ragazze, senza tuttavia trascendere nell'ostilità né tanto meno in atteggiamenti malsani.
Infine, ribadiamo, sarebbe interessante sapere perché in sede di Processo, la Bazzi non abbia fatto alcun riferimento a quest'uomo, nonostante fosse stata esplicitamente sollecitata a raccontare episodi sospetti avvenuti nel bar da parte di avventori.
Per ulteriori dettagli sulla teoria che porterebbe a individuare il MdF nel cosiddetto "Uomo del Mugello", si rimanda al capitolo La pistola del Mostro.


3. La premeditazione del delitto:
Un'altra questione estremamente dibattuta riguarda la premeditazione di questo delitto. Non è un aspetto secondario per via di alcuni particolari di seguito elencati e che potrebbero aiutare a inquadrare la situazione:

► La Rontini aveva vissuto i primi mesi del 1984 a Copenaghen per seguire un corso di cucina. Per la precisione, era partita per la Danimarca ai primi di gennaio ed era rientrata a Vicchio il 18 maggio 1984, proprio pochi giorni prima del suo diciottesimo compleanno. Aveva iniziato a lavorare al bar "La nuova spiaggia" il 1 luglio. Quindi al momento dell'omicidio, la povera Pia era rientrata in Italia da un paio di mesi e lavorava al bar da meno di un mese.
► La Rontini aveva accennato di non sentirsi sicura nei giorni immediatamente precedenti al delitto. C'è la testimonianza della succitata amica Ingrid in merito che, sebbene per quanto detto in precedenza faccia un po' storcere il naso, non può essere considerata completamente priva di fondamento.
Inoltre, anche l'amico Poggiali ha affermato di avere avuto l'impressione, in un paio di occasioni, che la sua macchina con a bordo la povera Pia fosse stata seguita da qualcuno.
Le colleghe di Pia hanno parlato di un individuo sospetto che nei giorni precedenti all'omicidio frequentava il bar.
Non è dato sapere se queste tre testimonianze siano realmente connesse all'omicidio oppure riguardino tutt'altre situazioni, fatto sta che Pia, come in precedenza altre vittime del serial killer (Locci, Pettini, Cambi) sembrava essere infastidita da qualcuno. Ammettendo e non concedendo che questo qualcuno fosse il MdF, si potrebbe pensare a un delitto premeditato, anche se non da molto tempo. Il MdF aveva, cioè, puntato quella coppia (per quanto detto al punto precedente sicuramente da meno di due mesi) e attendeva il momento adatto per ucciderla.
► Pia e Claudio erano soliti frequentare la Boschetta come luogo in cui appartarsi. Lo dimostrano alcune testimonianze fra cui quella del Becherini, colui che aveva trovato la Panda durante le spasmodiche ricerche la notte del delitto.
Tuttavia bisogna sottolineare come non fosse (ovviamente) l'unica coppia che frequentasse quel luogo. Abbiamo, a questo proposito, la testimonianza del signor Dario Pampaloni, di professione pastore, che portava a pascolare il proprio gregge alla Boschetta e che nell'udienza dell'8 Luglio 1997 del Processo ai CdM dichiarò di aver avuto modo di notare svariate coppie appartarsi nella piazzola.
► La Rontini era solita lavorare fino a tardi al bar. Per uno scambio turno quella sera aveva lasciato il lavoro relativamente presto. Era tornata a casa, non voleva uscire. La mamma l'aveva convinta a svagarsi un po'. Quella sera la povera Pia uscì con lo Stefanacci per un puro caso.
► Pia uscì da casa attorno alle 21.10, dirigendosi verso l'abitazione della Stefanacci, distante circa cinque minuti a piedi. Durante il tragitto incontrò il fratello dello Stefanacci, Sauro (probabilmente l'ultima persona a vederla viva, a parte il fidanzato e il mostro). Raggiunta la casa di Claudio, i due ragazzi salirono in macchina e si diressero verso La Boschetta, distante circa 10 minuti. Si può ipotizzare che arrivarono lì attorno alle 21.30 o poco prima. Gli spari furono uditi fra le 21.40 e le 21.45, circa dieci minuti dopo l'arrivo dell'automobile. Appare più che lecito chiedersi se il MdF fosse già appostato alla Boschetta aspettando una (o la) coppia o avesse seguito la panda di Claudio e Pia.

Le ipotesi che a questo punto possono essere avanzate sono le seguenti:
1. Il MdF era già appostato alla Boschetta attendendo una qualsiasi coppia per compiere il suo mortale assalto (aveva dunque scelto il luogo ma non la coppia).
2. Il MdF era già appostato alla Boschetta attendendo proprio quella coppia, nella speranza che arrivasse. Ovviamente sapeva che Pia e Claudio frequentavano quel luogo, non poteva sapere se quella sera si sarebbero appartati, ma nel dubbio si era messo in attesa. Magari erano diversi giorni che si nascondeva fra le fronde e i cespugli della Boschetta attendendo la Panda celestina di Claudio.
3. Il MdF era in giro in perlustrazione lungo la Sagginalese e i numerosi anfratti che essa offriva e tuttora offre. Aveva intercettato la (forse nota) Panda di Claudio, l'aveva seguita o ne aveva intuito le intenzioni sapendo dove i ragazzi si appartavano di solito. Aveva deciso in quel momento di colpire proprio loro. Dopo aver nascosto rapidamente la propria automobile, si era diretto alla Boschetta quasi a colpo sicuro, giungendovi proprio dieci minuti dopo la coppia.
4. Il MdF aveva da tempo deciso di colpire proprio quella coppia. Teneva dunque sotto stretto controllo la Rontini (più probabile lei che non lo Stefanacci), magari la pedinava con una certa regolarità nei dintorni di casa o molto più probabilmente al bar, fino alla sera del delitto quando i due ragazzi si erano diretti verso la Boschetta. A quel punto il MdF non aveva dovuto fare altro che seguirli senza farsi vedere.

Non è semplice capire quale sia l'ipotesi corretta. La sensazione che il MdF avesse scelto di colpire quella specifica coppia esiste, quindi tendenzialmente l'ipotesi 1 (il killer che si apposta alla Boschetta aspettando una qualsiasi coppia) potrebbe essere scartata.
L'ipotesi 2 (il killer che si apposta alla Boschetta aspettando proprio quella coppia) lascia pure piuttosto perplessi e non è di semplice attuazione. Presupporebbe, cioè, un killer che si nasconde per diversi giorni sempre nello stesso posto, aspettando che finalmente arrivi la coppia scelta. Sembra un'eventualità poco plausibile, specie se si considera che il killer colpiva prevalentemente di weekend. Quindi c'era una discreta possibilità che gli appostamenti si fossero protratti per parecchio tempo prima di trovare il momento favorevole.
L'ipotesi 3 (il killer in prelustrazione sulla Sagginalese che intercetta casualmente un'automobile diretta alla Boschetta) ha un suo perché ed è caldeggiata da diversi mostrologi. Nel caso, il MdF avrebbe indifferentemente potuto intercettare un'automobile sconosciuta così come l'automobile di una coppia a lui nota, perché - per esempio - pedinata nei giorni precedenti.
L'ipotesi numero 4 (il killer che da giorni segue proprio quella coppia aspettando il momento giusto per colpire) non può certo essere scartata a priori, ma anche per quanto detto prima a proposito della vicenda Bardazzi, risulta difficile credere a un MdF che, in un paesino piccolo come Vicchio, è così incauto da seguire per giorni, passo dopo passo, la Rontini. In particolare, la sera dell'omicidio, l'avrebbe spiata mentre lavorava al bar, l'avrebbe pedinata fino a casa e poi l'avrebbe seguita da Claudio, infine avrebbe seguito l'automobile dei due ragazzi fino alla Boschetta.
Al più, combinando le ipotesi 2 e 4, si potrebbe pensare a un killer che la sera del delitto dapprima ha stazionato nei dintorni del bar della stazione mimetizzandosi con altri avventori, quindi dopo aver visto Pia che staccava da lavoro, si è diretto discretamente e per conto proprio verso la piazza centrale del paese, vicino a casa di Claudio, attendendo un eventuale sviluppo della serata. Quando ha visto arrivare Pia, ha intuito (o sperato) che i ragazzi potessero andare ad appartarsi e a quel punto si è precipitato senza indugio verso la Boschetta, anticipandoli.


15 commenti:

  1. Ci si aspetterebbe di leggere qualcosa su circostanze dirimenti. Winnie ci dice che la figlia era stata in Danimarca per quasi tutti i primi cinque mesi del 1984; torna per giugno, ma quasi subito inizia a lavorare in turno serale: o chi avrebbe avuto tanta pazienza da attenderne il ritorno a Vichio e tallonarla pure quando veniva riaccompagnata, ovvero sempre, a quanto di raccontano? Doveva trattarsi di un temerario assoluto, con una fortuna degna di Gastone. Quella sera, sempre in base ai resoconti mai messi in dubbio, ben poche persone sapevano che Pia era uscita

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  2. Salve, concordo con quanto lei sta sottintendendo. Come avrà visto il fine di questo blog è però presentare tutte le ipotesi possibili e poi ragionare su base probabilistica.

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  3. A mio modesto parere, questo delitto è oggettivamente premeditato : l'accanimento (anche post mortem) dell assassino sui due poveri ragazzi, oltretutto sulle parti genitali, fa supporre una regressa forma d'odio nei loro confronti, evidentemente li aveva già precedentemente pedinati e aveva covato un forte odio per il loro rapporto così puro e pieno di amore.
    In passato lessi, senza però avere ovviamente nessun riscontro, un ipotesi che il mostro conoscesse in qualche modo lo Stefanacci, e sapesse quali fossero le sue abitudini e i suoi spostamenti

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    1. il mostro sicuramente e' uno che ha sofferto moltissimo per amore.

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    2. Puo' essere in pochissimi casi che il mostro conoscesse le vittime ,ma il piu' delle volte ha trovato coppette per caso girando e conoscendo sicuramente i luoghi piu' frequentati dalle coppiette ,per esempio l'omicidio di mainardi avvenuto sulla strada a meno che non li abbia seguiti li ha trovati per puro caso.

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  4. Quello che penso riguardo al delitto di Vicchio, che il mostro aveva sicuramente un appoggio nel Mugello. Una considerazione da fare sulla pistola. Andare in giro in macchina o moto con una Beretta 22 era altamente rischioso. Più probabile che poteva reperirla in zona presso una abitazione da lui frequentata durante i fine setttimana. Per gli altri delitti idem x la zona sud ovest di Firenze. Penso anche che abbia ricavato un nascondiglio perfetto invisibile alle forze dell’ordine. La cosa che mi stupisce di questa vicenda che seguo dal 1983 tramite i giornali e successivamente tramite internet ( sono del 68’) , sono le vie di fuga che solo un esperto conoscitore della zona può percorrere in sicurezza! Mi sono recato sui vari luoghi dei delitti, ultimamente circa 3/4 anni fa in occasione del libro di Cochi presso una libreria di Borgo! Ripeto non si va in giro. In una pistola addosso!
    Per me resta la convinzione dell’appartenenza del soggetto al Mugello! Rimane sempre il mistero del 68’! Non escluderei la pista sarda!



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    1. se non ricordo male, Filastò diceva che il foro al portafoglio si potrebbe spiegare ipotizzando che il mostro fosse un poliziotto (vero o finto) che aveva chiesto i documenti allo Stefanacci per poi sparargli

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    2. Il mostro e' una sola persona che uccide e fugge come un coniglio,un bastardo che nessuno e' mai riuscito a catturare , anche perche allora telecamere zero

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    3. Invece un grosso enigma e' come mai nessuno ha mai sentito i colpi ,la 22 anche se piccolo calibro fa un bel rumore soprattutto di notte

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  5. La Bazzi non ha sminuito proprio nulla ed è stata molto ferma nel ricordare, in aula, che il cambio turno era programmato almeno dalla mattina se non dal giorno prima; e aveva parlato dell'uomo molesto già a SIT. Non si capisce perché citare sedicenti esperti che tali non sono e insistere con Bardazzi

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    1. Buongiorno. La ringrazio per il commento, anche se un minimo di cordialità in più sarebbe gradito in un luogo che vuole essere ben distante dal frastuono e talvolta dal becerume che solitamente alberga lì dove si tratta questa vicenda.
      Le rispondo nel merito:
      Che la Bazzi avesse probabilmente concordato il cambio turno con Pia dalla sera precedente, è riportato chiaramente. Che già all'epoca avesse reso testimonianza ai carabinieri (data 2 agosto 1984) su un personaggio equivoco che in due occasioni si era presentato al bar e in una di queste aveva importunato una ragazza, è altresì riportato chiaramente. Che le dichiarazioni della Bazzi siano genuine non è in discussione e anche questo è scritto chiaramente. Che in sede di Processo ai Compagni di Merende (data 8 luglio 1997) abbia dichiarato di non essere a conoscenza del fatto che Pia fosse stata importunata da qualcuno all'interno del bar e inoltre abbia dichiarato di non avere ricordi di situazioni poco piacevoli verificatesi nel bar con qualcuno degli avventori, è un dato di fatto. Parla sommariamente di solite situazioni che si creano fra clienti e bariste, ma testuali parole "Nulla di particolare".
      Nessun accenno al personaggio equivoco di cui aveva parlato all'epoca del delitto e di cui parlerà successivamente.

      Per quanto riguarda Bardazzi, in questo blog si riporta - senza omissione alcuna - tutto ciò che concerne la vicenda del Mostro di Firenze. E Bardazzi, volente o nolente, con le sue dichiarazioni nell'immediato del delitto e la deposizione a Processo, anche con le sue contraddizioni, è entrato a far parte della vicenda. Si può scegliere di credere o meno a quanto dice, di nutrire dubbi sulla sua testimonianza (per lui come per molti altri testimoni della vicenda), ma è un dovere per chi si occupa della vicenda riportare tutti i fatti. Poi ognuno è libero di farsi le proprie idee e eventualmente i propri collegamenti.
      Grazie e saluti.
      L.

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  6. Assassino vero mai entrato nelle indagini e morto e sepolto, persona sola viveva da solo o con genitori anziani non del posto ma che conosceva benissimo i luoghi pistola trovata per puro caso .

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  7. Errore dei periti non ci hanno capito na mazza , superficiali . sulla pistola e sui proiettili.

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  8. Pur esercitando un sano scetticismo, credo sia difficile non attribuire la telefonata al MdF. Ci sono due principali dati da considerare. Primo, la telefonata arrivo' alle 4.28, dunque circa 1 ora dopo il ritrovamento dei corpi dei poveri ragazzi. Secondo, il riferimento al fumetto e' sin troppo evidente. Non solo chi chiama si attribuisce il nome del protagonista del fumetto, Farini, ma annuncia un incidente che coinvolge un autotreno, come nella scena finale del fumetto. A questo punto, occorre domandarsi quante fossero le probabilita' che, nel mezzo della notte in un piccolo paese come Vicchio, poco dopo la scoperta del delitto, vi fosse gia' qualcuno - che non fosse l'assassino - pronto a fare del sarcasmo sul delitto usando una storia a fumetti ispirata al MdF. Secondo me, molto poche.

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    1. Ciao, pensiero condivisibile il tuo. Grazie per il commento.
      L.

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