Mostrologia minore


Nel presente capitolo verranno riportate e per quanto possibile descritte le teorie mostrologiche alternative a quelle cosiddette ufficiali. La maggior parte di queste hanno un numero di sostenitori piuttosto esiguo, alcune appaiano bislacche e poco credibili, ma comunque meritevoli di essere citate, altre sono del tutto inverosimili e vengono riportate esclusivamente per scrupolo professionale.

La pista Francini
Trattasi di una pista minore, a cui pochi mostrologi si sono interessati, ma che presenta diversi aspetti interessanti.
Di Giuseppe Francini abbiamo parlato a proposito del delitto di Rabatta. Il Francini fu colui che il giorno successivo al duplice omicidio si era presentato alla caserma dei carabinieri di Borgo San Lorenzo per dichiarare che dalla sua automobile FIAT 850 era sparito un cacciavite e che tale improvvisata arma poteva essere stata utilizzata per commettere il duplice omicidio. Durante la deposizione, il Francini rivelò fra le lacrime di avere sofferto in precedenza di disturbi psichici e di essere perseguitato da qualcuno, senza però fornire ulteriori dettagli in merito. I carabinieri lo giudicarono sin da subito un elemento sospetto e disposero una perquisizione da effettuarsi sull'automobile Fiat 850 del Francini e nella sua abitazione, sita proprio in prossimità della caserma.
Il giorno successivo (16 settembre) casa e vettura del Francini vennero perquisite ma non fu trovato nulla di particolarmente significativo. Da segnalare che nel lasso di tempo intercorso fra la disposizione della perquisizione e la peruqisizione stessa, un anonimo segnalatore aveva fatto ritrovare la borsa di Stefania Pettini, sottratta dal luogo del delitto.
La pista Francini non fu subito abbandonata. Qualche mese dopo, infatti, nel febbraio del 1975, su indicazioni del giudice Renato Santilli furono predisposte indagini sul fratello maggiore di Giuseppe, Mauro, residente a Scarperia nel Mugello, ma emigrato in Svizzera, a Basilea, dove gestiva un ristorante. Tali indagini erano tese ad appurare se quest'uomo fosse possessore di una Beretta calibro 22 e se nel settembre del 1974 avesse frequentato il fratello a Borgo San Lorenzo. Non è dato sapere quale piega presero queste indagini, immaginiamo però che diedero esito negativo perché dei due fratelli Francini non s'è più parlato.
A distanza di molti anni, come dicevamo, la pista che porta ai due fratelli Francini ha però destato l'interesse di una sparuta frangia di mostrologi. Da un lato vi è il sospetto più o meno labile che la segnalazione anonima che aveva permesso il ritrovamento della borsa della Pettini, potesse essere giunta proprio da casa Francini, al fine di scongiurare l'imminente perquisizione.
Dall'altro, potrebbe sembrare vagamente sospetta la loro parentela per parte di madre con i proprietari dell'armeria Raspanti, la stessa armeria da cui era scomparsa la Beretta Calibro 22 Long Rifle di cui abbiamo parlato nel capitolo La pistola del Mostro.
Fra i fue fratelli, sicuramente di maggiore interesse risulta essere Mauro Francini. Classe 1944, costui aveva trent'anni quando si verificò il duplice omicidio di Rabatta e 41 quando ebbe termine la tragica epopea del MdF. Nel 1990, all'età di 46 anni, sposò una ragazza diciottenne, Scarlett D., olandese residente a Basilea.
I due ebbero una figlia, si separarono nel 1995, dopo di che Mauro iniziò a frequentare la di lei madre. Gravemente malato per un tumore, dopo aver aperto alcuni ristoranti in Sardegna, ritornò in Mugello dove morì nell'aprile del 1998, all'ancor giovane età di 54 anni. Nota puramente cronachistica, la sua ex moglie Scarlett sarebbe nel frattempo stata sospettata di aver avvelenato, provocandone la morte, due suoi futuri compagni, entrambi coinvolti nel traffico internazionale di stupefacenti.
Infine, come ultimo episodio degno di nota della vicenda, nell'agosto del 2016 è stata rinvenuta una pistola Beretta calibro 22 serie 70 a canna corta molto usurata con all'interno tre proiettili cosiddetti serie H sul letto del torrente Ensa a Ronta, una frazione di Borgo San Lorenzo, molto prossima al casale di residenza di Mauro Francini. Tale pistola aveva il percussore abraso e dunque risultava inutilizzabile al fine di eventuali comparazioni con l'arma del Mostro. Conegnata ai ROS per le analisi del caso, ad oggi non si hanno ad oggi notizie dei relativi esiti.


Teoria De Biasi
Claudio De Biasi, detenuto per aver sparato nel 1973 a una coppia appartata in macchina in un campo alle porte di Firenze, entrò per la prima volta nella vicenda del Mostro nel dicembre del 1982 quando fu ascoltato dai carabinieri della Legione Operativa di Firenze e nell'occasione dichiarò di conoscere l'identità dell'autore dei duplici omicidi a danno delle coppiette, identificandolo in tale "Carlo" di Prato.
L'interrogatorio era nato in seguito a una lettera che il De Biasi, all'epoca detenuto alle Murate, aveva scritto alla mamma di Susanna Cambi, la ragazza uccisa dal mostro alle Bartoline nell'ottobre del 1981.
In questa lettera il De Biasi raccontava infatti: "Io conosco il mostro e mi sento un po' colpevole di questi assurdi omicidi perché io sparai a una coppietta e sembra che il mio gesto abbia dato vita a questi omicidi".
Nella lettera De Biasi ammetteva inoltre di essere stato un guardone, di avere bazzicato a lungo e nottetempo le campagne attorno a Firenze, di avere visto in faccia il mostro e addirittura di essere stato in precedenza il possessore della calibro 22 con cui venivano commessi gli omicidi; pistola che lo stesso MdF gli avrebbe rubato nel 1968. Scriveva a tal proposito il De Biasi: "Lui praticava spesso il campo delle Bartoline, poi l'ho visto dopo a Le Croci di Calenzano. Lo rividi dalle parti di Scarperia e una volta nei pressi del paese La Lisca per andare a Montelupo e l'ultima volta che lo vidi fu nel 1976 tramite una licenza che mi diede il carcere di Firenze".
Successive indagini non portarono a nulla, ma parecchi anni dopo il nome del De Biasi venne ripescato dall'ex confidente spirituale del Pacciani, la signora Anna Maria Mazzari, conosciuta all'epoca come suor Elisabetta.
In alcune interviste rilasciate nel settembre del 2018, l'ex suora ha dichiarato di avere avuto anch'ella confidenze dal De Biasi, il quale ha continuato a sostenere di conoscere l'identità del Mostro. Stando alle dichiarazioni che il De Biasi avrebbe fatto alla Mazzari, il presunto Mostro frequentava un bar in piazza Mercatale a Prato, possedeva numerosi proiettili calibro 22 e partecipava a esercitazioni di tipo militare nelle zone più impervie della Calvana (catena montuosa sopra Prato) "sotto la guida di quel signore della legione straniera che ultimamente è stato indagato e che istruiva questi ragazzi" (il Vigilanti, NdA). Durante queste esercitazioni, i partecipanti indossavano divise fasciste e sparavano con pistole Beretta calibro 22.
La stessa Mazzari si è detta tuttavia dubbiosa sulla veridicità di queste dichiarazioni. Oltretutto il De Biasi non è mai sembrato persona di assoluta attendibilità. Il suo curriculum criminale parla da solo: squilibrato di estrazione fascista e fanatico di armi, nel 1973 fu protagonista del già citato assalto a una coppia in automobile (l'uomo si giustificò dicendo di aver creduto che in quella vettura ci fosse la moglie fredifraga con l'amante); venne condannato a otto anni di reclusione; durante un permesso, nel 1978 si diede alla latitanza; nel gennaio 1979 uccise un anziano durante una rapina, venne nuovamente arrestato e condannato ad altri vent'anni. Evaso dal carcere, si rifugiò sulla Calvana, dove venne catturato il 21 novembre 2002. Ha continuato a far parlare di sé nel corso degli anni risultando uomo violento e pericoloso, fino a quando in tempi recenti il tribunale di Prato ha chiesto una perizia psichiatrica per valutarne le capacità cognitive.


Natalino Mele Serial Killer
Fra le teorie più assurde emerse nel mare magno della mostrologia minore c'è quella ciclica secondo cui il serial killer delle coppiette sarebbe stato Natalino Mele, rimasto traumatizzato dal delitto del 1968 in cui furono uccisi sua madre Barbara Locci e l'amante Antonio Lo Bianco. In quell'occasione il piccolo Natalino, sei anni d'età, avrebbe recuperato e nascosto la pistola abbandonata dal killer, per poi utilizzarla in seguito sulle stesse tipologie di vittime del primo omicidio.
Il primo delitto commesso da Natalino sarebbe stato quello del settembre del 1974, quando all'età di dodici anni e mezzo, Natalino sarebbe in qualche modo arrivato in Mugello (forse in compagnia di Francesco Vinci), avrebbe sempre in qualche modo raggiunto la località Rabatta a tarda sera, avrebbe sparato su una giovane coppia in automobile, avuto un corpo a corpo con Stefania Pettini, l'avrebbe colpita con tre coltellate così violente da intaccarle lo sterno, infine l'avrebbe ulteriormente sfregiata con una novantina di leggeri colpi di arma bianca. In seguito il bambino, divenuto nel frattempo ragazzo e quindi uomo, avrebbe ripreso a colpire con continuità a partire dal 1981.
Il personaggio forse maggiormente degno di nota ad aver proposto questa teoria fu nell'aprile del 1992 il criminologo e investigatore privato Carmelo Lavorino, il quale in pompa magna convocò una conferenza stampa per dare in pasto all'opinione pubblica quella che lui considerava la "teoria finale" sul caso. La maggior parte dei giornalisti intervenuti ad ascoltarlo reagì con un moto di ilarità e neanche prese in considerazione l'ipotesi.


La teoria del professor Bruno
Chiunque si sia mai interessato di casi di cronaca nera in Italia, è finito inevitabilmente per imbattersi nel nome del professor Francesco Bruno, celebre psichiatra e crimonologo calabrese, professore di Psicopatologia Forense alla Sapienza di Roma, nonché collaboratore presso la Presidenza del Congiglio dei Ministri e consulente del SISDE. Nel 1984, proprio dal Sisde, al cui vertice vi era Vincenzo Parisi, Bruno ricevette l'incarico di condurre uno studio sulla vicenda del Mostro di Firenze.
Come apprendiamo nell'udienza del 15 luglio 1994 del Processo Pacciani (vedasi relativa appendice), Bruno redasse tre dossier sul caso, uno nel 1984, uno nel biennio 1985-1986 e uno nel 1994, quest'ultimo reso pubblico e rintracciabile tranquillamente sul web.
In tali dossier il celebre crimonologo esplicitò la sua teoria sul caso, ribadendola nel tempo più volte in diverse interviste, molte delle quali rintracciabili su youtube.
Volendo fare una necessaria sintesi del suo pensiero, Bruno ritiene il Mostro di Firenze un serial killer solitario, estremamente organizzato e dall'elevato livello intelletivo, capace cioè di prevedere e pianificare perfettamente la sua azione criminale. Ipotizza per lui un'infanzia resa difficile da una grave malattia della mamma verso cui nutriva un profondo e morboso legame. Alla mamma, malata di cancro, sarebbero stati eportati chirurgicamente seno e ovaie, e la sua morte avrebbe causato indicibili sofferenze nel futuro serial killer.
Se tutto questo può essere in linea con l'idea, più o meno cinematografica ma comunque sensata, di assassino seriale che ciascuno di noi ha, il professor Bruno va decisamente oltre, spiazzando il lettore con alcune teorie decisamente originali.
Nel primo dossier (1984) parla esplicitamente di "delitti rituali compiuti in omaggio a un qualche rito satanico di cui l'assassino è un seguace o a qualche pratica di stregoneria o magia nera". Il professore sembra dunque sposare la strada dei cosiddetti delitti satanici. Ipotizza inoltre che l'assassino avesse come propria base una clinica, una casa di cura e di riposo per anziani non autosufficienti, con tutta probabilità nella zona sud di Firenze.
Tuttavia, nel secondo dossier (1985/1986), pur mantenendo l'idea della clinica come base del Mostro, Bruno sembra virare verso delitti di tipo religioso; vede dunque nell'assassino un fanatico religioso che uccide le coppie per punire la donna, da lui identificata come "sorgente di peccato" e "ricettacolo del demonio".
Da qui, con tutto il rispetto per gli studi condotti dall'esimio professore, si comincia a entrare decisamente nel mondo del fantastico. Secondo la teoria Bruno, dopo il delitto degli Scopeti il Mostro avrebbe deciso di farsi catturare e dunque avrebbe cominciato a inviare indizi ai vari magistrati che si erano occupati o si occupavano ancora del caso: la lettera alla Della Monica, le missive a Vigna, Fleury e Canessa, la cartuccia rinvenuta all'ospedale di Ponte a Niccheri (vedasi capitolo Accadimenti Finali) erano dunque tutti indizi disseminati dal Mostro per permettere la propria individuazione. Per esempio, l'ospedale avrebbe dovuto indirizzare gli inquirenti verso una clinica; il cognome della dottoressa Della Monica avrebbe dovuto far intendere agli inquirenti che tale clinica era intitolata a una monaca; il fatto che nell'indirizzo della lettera inviata alla stessa Della Monica mancasse una "B" avrebbe dovuto condurre gli inquirenti verso un paese il cui nome iniziasse appunto con la lettera "B" e dunque - secondo Bruno - verso Bagno a Ripoli. Comparivano inoltre ulteriori riflessioni e deduzioni persino più cervellotiche, riguardanti statue simili in paesi diversi, la cui individuazione avrebbe dovuto inevitabilmente portare gli inquirenti sulle tracce del Mostro.
In definitiva, la teoria di Bruno prevede un serial killer organizzato, di elevato livello sociale e culturale, estremamente capace e intelligente, dall'infanzia difficile in cui aveva perso in tenera età la mamma malata di cancro, cui erano stati esportati chirurgicamente seno e ovaie; tale serial killer aveva la propria base in una casa di cura di Bagno a Ripoli dal nome dedicato a una monaca; costui colpiva per via del trauma subito durante l'infanzia a causa della malattia, delle operazioni e della morte della mamma; ma colpiva anche perché dedito al satanismo e a riti esoterici (primo dossier) o più probabilmente perché fanatico religioso, ben deciso a punire le coppie che commettevano peccato e in special modo le donne, che di tal peccato erano la causa. Infine tale assassino, desideroso di farsi catturare, piuttosto che consegnarsi alle forze dell'ordine, avrebbe deciso di inviare una serie di cervellotici indizi agli inquirenti. Ovviamente senza successo, non essendo mai stato preso.


Il mostro Di Modena
Fra l'agosto del 1985 e il gennaio del 1995, otto giovani donne furono uccise a Modena e nei dintorni del capoluogo emiliano da mano ignota. Delle otto vittime, sette utilizzavano la prostituzione come mezzo per procurarsi i soldi necessari per acquistare droga. Secondo alcuni studiosi la scia di sangue perpetrata da colui che è passato alla storia come il Mostro di Modena potrebbe essere ancora più lunga e comprendere almeno altre due vittime.
Non è fine di questi scritti entrare nelle misteriose e complesse vicende di tale brutale serial killer. Abbiamo accennato brevemente a questa vicenda, perché secondo un noto ricercatore più volte citato in questi scritti, Enrico Manieri, potrebbe esserci una sorta di collegamento fra Mostro di Firenze e Mostro di Modena. Più volte, in diverse interviste reperibili su youtube e anche privatamente al sottoscritto, il Manieri ha ventilato la possibilità che dopo aver deciso di metter la parola fine ai delitti delle coppiette nella provincia di Firenze, il Mostro possa aver cambiato raggio d'azione ed essersi spostato nel capoluogo emiliano, modificando oltretutto anche la tipologia delle vittime e puntando le prostitute di zona. Sempre secondo il Manieri, la scelta sarebbe caduta su Modena in quanto questa era la città del criminologo Francesco De Fazio, l'uomo incaricato dalla Procura di redigere un profilo psciologico del Mostro e indicato dalla stampa dell'epoca come colui che ne avrebbe consentito la cattura. Dunque il MdF potrebbe avere visto nel De Fazio il suo nemico numero uno e aver deciso di spostare il suo raggio d'azione proprio nella città del criminologo.
Risulta questa un'idea decisamente affascinante che però - per stessa ammissione del Manieri - non ha nessun tipo di indizio a sostegno e va presa esclusivamente come mera congettura.
Il sottoscritto ha comunque inteso dedicare qualche giorno di studio alla vicenda del Mostro di Modena e rivolgere una serie di domande ad alcuni esperti della materia. Sono emersi diversi particolari che - ove mai ce ne fosse bisogno - decisamente contrasterebbero la teoria dello stesso serial killer a Firenze e Modena.
Innanzitutto, ipotizzare che i due serial killer fossero la stessa persona, presupporrebbe che l'assassino avesse deciso di colpire a Modena quando ancora non era terminata la sua scia di sangue a Firenze. Il primo omicidio del Mostro di Modena (21 agosto 1985) avvenne infatti un paio di settimane prima dell'ultimo omicidio del Mostro di Firenze. Questo oltre a comportare che nell'arco di un paio di settimane l'assassino avesse colpito due volte in due città distanti fra loro quasi 150 chilometri, implicherebbe almeno per il primo delitto non un trasferimento del serial killer da Firenze a Modena, ma più che altro uno spostamento temporaneo dell'omicida, il quale sarebbe partito da Firenze, arrivato a Modena, ucciso e poi verosimilmente rientrato a Firenze dove viveva.
Inoltre, è parere abbastanza diffuso fra gli studiosi del caso del Mostro di Modena, per non dire certezza acquisita, che chiunque fosse l'utore degli omicidi di Modena, era persona che conosceva benissimo la città e i suoi dintorni, i luoghi frequentati dalle prostitute, le prostitute stesse, gli anfratti più remoti della provincia e fra questi si sapesse muovere con estrema capacità. Gli studiosi ritengono che l'assassino non solo fosse un locale, ma frequentasse assiduamente la Modena notturna e - secondo un certo stereotipo molto in voga negli anni '80 - viziosa.
Sappiamo che anche il Mostro di Firenze conosceva molto bene i luoghi in cui colpiva; probabilmente li aveva frequentati con una certa assiduità in precedenza.
Risulta dunque piuttosto complicato pensare a un unico serial killer che conoscesse profondamente la geografia e la toponomastica di entrambe le città e delle loro rispettive province. Senza considerare che entrambe le tipologie di delitto presupponevano un'adeguata preparazione e ricognizione dei luoghi, dunque un assassino che almeno limitatamente al periodo precedente all'omicidio fosse stanziale.
Possiamo dunque affermare quasi senza timore di smentita che l'idea di un unico assassino prima a Firenze e poi a Modena, per quanto affascinante, appare decisamente poco credibile.


Il Forteto
Il Forteto è una cooperativa agricola attiva nel comune di Vicchio, fondata nel 1977 da Rodolfo Fiesoli e Luigi Goffredi, con l'obiettivo di creare una comunità produttiva e alternativa alla famiglia tradizionale ispirata agli insegnamenti di don Milani.
Rodolfo Fiesoli, detto il Profeta, era a capo della struttura, mentre Luigi Goffredi era il cosiddetto ideologo del progetto; entrambi millantavano una laurea in psicologia che in realtà non avevano.
Già nel 1978 i fondatori vennero indagati per atti di libidine e maltrattamenti nei confronti degli adolescenti disabili che il tribunale dei minori aveva inviato presso la comunità; i due vennero condannati nel 1985. Tuttavia il tribunale dei minori continuò ad affidare alla comunità bambini disabili o con problematiche sociali e familiari. La comunità riuscì a crearsi col tempo un'immagine di centro di eccellenza educativa ottenendo importanti finanziamenti pubblici e riuscendo a divenire una rilevante realtà economica e produttiva nel campo agricolo, grazie soprattutto al lavoro degli ospiti della comunità stessa.
A lungo, nonostante le condanne, il Tribunale dei minori e la politica locale riposero la propria fiducia in Fiesoli e nel suo operato tanto che, quando nel 2011 i due capi della comunità vennero nuovamente accusati di maltrattamenti verso i minori e lo scandalo che seguì portò alla richiesta dell'istituzione di una commissione d'inchiesta parlamentare, questa trovò la strenue opposizione del PD con il quale Fiesoli aveva instaurato una fitta rete di scambi e relazioni.
Le accuse tuttavia erano troppo gravi per poter essere taciute. Nel 2011 Fiesoli venne nuovamente arrestato per violenza sessuale su minori e maltrattamenti. Venne definitivamente condannato nel 2017 a oltre 15 anni di carcere. Nelle sentenze si parla di "un'esperienza drammatica, per molti aspetti criminale", "un martellante e sistematico lavaggio del cervello". Sempre secondo la sentenza, la comunità era divenuta "territorio di caccia di Rodolfo Fiesoli", il quale ebbe rapporti sessuali con quasi tutti gli uomini della comunità e con molti adolescenti. Inoltre i bambini accolti venivano sottoposti a lavaggio del cervello al fine di creare falsi ricordi di abusi nelle famiglia per spingerli ad accusare i genitori naturali. Nel 2018 la copperativa venne commissariata e tuttora versa in stato di commissariamento. Ad oggi Rodolfo Fiesoli è in carcere e non sono previsti sconti di pena nonostante le numerose richieste.
A questo punto, ci si potrebbe chiedere cosa c'entra tutto ciò con la storia del Mostro di Firenze. In realtà le connessioni sviluppatesi negli anni fra le due vicende sono molteplici e talvolta (non sempre) significative.
Innanzitutto due delle sedi storiche del Forteto sono estremamente vicine a due luoghi del delitto del Mostro di Firenze. Difatti, nel 1977 la prima sede del Forteto era a Calenzano, molto vicina alle Bartoline, dove quattro anni dopo, precisamente nell'ottobre del 1981, il MdF avrebbe colpito. Fra il 1977 e il 1982 il Forteto aveva avuto sede nei pressi di Barberino del Mugello. Nel 1982 vi era stato il trasferimento nella terza e definitiva sede, a Vicchio, estremamente vicina alla pizza della Boschetta, dove nel 1984 avrebbero trovato tragica morte Claudio Stefanacci e Pia Rontini. In linea d'aria parliamo di pochissime centinaia di metri di distanza.
In secondo luogo, esiste una testimonianza secondo cui Rodolfo Fiesoli sarebbe stato visto nella piazzola degli Scopeti il venerdì precedente all'omicidio dei due giovani francesi (dunque il 6 settembre 1985). La testimonianza è di tale Giovanni Biscotti, conoscente dello stesso Fiesoli, che riferì agli inquirenti di essersi trovato a passare da via degli Scopeti e di aver visto il Fiesoli fermo all'ingresso della piazzola, intento a urinare.
Tale testimonianza, unita probabilmente ai precedenti per reati sessuali, portarono a una perquisizione in casa del Fiesoli e all'inserimento del suo nome nella famosa lista della SAM di cui si è parlato a proposito delle indagini su Pacciani. Per la precisione il nome di Fiesoli figurava alla posizione numero 3 della lista.
Altri piccoli e suggestivi riscontri sono seguiti nel corso degli anni.
L'ultimo indagato, il dotto Francesco Caccamo, di cui si è parlato nel capitolo dedicato al legionario, ad esempio viveva in una casa che confinava con la proprietà del Forteto.
I carabinieri hanno ascoltato diverse persone che negli anni degli omicidi avevano vissuto o frequentato la comunità per cercare informazioni su Caccamo, cogliendo l'indiscrezione che ai bambini del Forteto veniva proibito di andare a giocare vicino alla casa del medico.
Ci sono testimonianze che sconfinano un po' nella leggenda e che parlano di un bossolo come quelli usati dal MdF conservato per anni in un barattolo nel negozio della comunità.
Infine ci sarebbe la scheda telefonica utilizzata per effettuare alcune telefonate anonime all'estetista Dora di Foligno (quelle che avevano portato a riaprire il caso Narducci, vedasi capitolo Una morte misteriosa), da cui sarebbero partite anche alcune telefonate dirette proprio al Forteto.


Il "dottor" Santangelo
Il primo a parlarci del dottor Carlo Santangelo è stato il giornalista Mario Spezi nel suo libro del 1983, l'ormai introvabile Il Mostro di Firenze (edizioni Sonzogno).
Apprendiamo dalla penna del cronista che il Santangelo era entrato nelle indagini dopo il secondo delitto del 1981 a Calenzano, a seguito di una segnalazione dei carabinieri di Prato. L'uomo, all'epoca trentaseienne fiorentino, divorziato dalla prima moglie e abbandonato da una seconda compagna a causa dei suoi inquietanti comportamenti, era un perito chimico senza fissa dimora, che vestiva sempre di nero, indossava occhiali scuri e amava visitare i cimiteri in piena notte girovagando fra le lapidi. Solitario e schivo di carattere, il Santangelo millantava di essere un medico legale che aveva partecipato agli esami sui cadaveri delle vittime del Mostro nell'ottobre del 1981. La sua mitomiania lo portava a indossare un camice bianco da medico e frequentare con una certa costanza i corridoi e le sale anatomiche dell'ospedale Careggi di Firenze.
Fuori dall'ospedale, portava con sé una valigetta da medico al cui interno, fra le altre cose, conservava dei bisturi. Risiedeva solitamente in alberghi e residence della provincia, li preferiva piccoli e periferici, magari non distanti dai cimiteri cittadini. Spesso dimenticava di pagarne il conto, in qualche occasione aveva tentato di pagare con assegni scoperti, il che gli era valsa una denuncia e l'interesse da parte delle forze dell'ordine.
Segnalato come persona fortemente sospetta a causa dei suoi inquietanti comportamenti, subito dopo il delitto di Baccaiano venne richiesto al Nucleo Operativo dei Carabinieri di Firenze di eseguire su di lui "accertamenti particolarmente approfonditi, essendoci fortissimi sospetti". Inizialmente irrintracciabile, il Santangelo si presentò spontaneamente presso i carabinieri di Firenze la sera del 22 giugno 1982 per rendere testimonianza dei suoi movimenti in occasione del delitto di tre giorni prima. La sua deposizione venne raccolta dal maresciallo Salvatore Congiu. In essa risulta che la sera del delitto il misterioso figuro si trovava in un albergo di Poggibonsi in provincia di Siena. Le testimonianze dei proprietati dell'hotel sembrarono confermare l'alibi fornito. Più in generale, pur rimanendo a lungo fra i principali sospettati per i delitti del Mostro, gli alibi del Santangelo in occasione dei duplici omicidi furono giudicati attendibili.


Nell'agosto del 2002 entrò nelle indagini sui delitti del Mostro un noto cardiologo fiorentino, 67 anni, di nome Paolo Perez. Il dottore venne arrestato nella sua villa di Fiesole per aver violentato una giovane tossicodipendente in coma e per aver documentato fotograficamente la violenza in maniera dettagliata.
Nella perquisizione della sua villa vennero rivenuti, oltre a parecchio materiale pornografico, anche una pistola Beretta calibro 22 Long Rifle e molti proiettili, marca Winchester, con impresso sul fondello il simbolo H. Pistola e proiettili, dunque, dello stesso tipo di quelli usati dal Mostro di Firenze per commettere i suoi 16 omicidi. Di qui il forse inevitabile coinvolgimento del cardiologo nell'annosa vicenda criminale.
Ad alimentare i sospetti furono non solo i precedenti penali del medico, tutti a sfondo sessuale, ma anche il suo passato tragico (suo nonno, suo padre e il suo unico figlio maschio si erano suicidati) e la depressione di cui egli stesso soffriva e che alternava a fasi maniacali di euforia, durante le quali era iperattivo e aveva un irrefrenabile appetito sessuale.
Di particolare interesse, per quanto terribile, il suicidio del figlio del dottor Perez, avvenuto in data 17 maggio 1981, dunque una ventina di giorni prima del duplice delitto di Mosciano, il primo fra quelli a cadenza annuale commessi dal MdF. Sarà però proprio questo tragico evento a scagionare il Perez. Emerse infatti che in occasione del delitto, la Beretta del medico era sotto sequestro, custodita nell'ufficio corpi di reato del tribunale, in quanto utilizzata proprio dal figlio per togliersi la vita. Tale pistola era stata restituita al dottore in data 17 agosto 1981.
Emerse altresì, particolare inquietante, che ai tempi dei delitti del Mostro, gli inquirenti avevano identificato tutti i possessori di Beretta calibro 22 residenti in Toscana e le rispettive armi erano state tutte periziate. Tuttavia quella del dottor Perez, inspiegabilmente, non risultava essere mai stata controllata. Risulta spontaneo a questo punto chiedersi quante altre Beretta calibro 22 possono essere sfuggite ai serrati e rigidi controlli portati avanti negli anni '80.
La pistola del Perez venne in seguito periziata e risultò estranea ai delitti del MdF. A proposito dello stupro, il dottore venne assolto nel gennaio 2004, perché ritenuto completamente incapace di intendere e di volere e non più pericoloso (pare che fisicamente, psicologicamente e moralmente riversasse in uno stato di assoluta prostrazione). Per mera curiosità, a processo il medico giustificò la violenza asserendo di averla compiuta per fini teraupetici, per svegliare cioè dal coma la giovane donna ospite nella sua villa.


Carlizzi & Friends
Abbiamo già avuto modo di parlare della dottoressa Gabriella Pasquali Carlizzi nel capitolo Esoterismo e dintorni e di come questa fosse entrata di propria iniziativa nei casi di cronaca più importanti d'Italia, dicendosi depositaria di improbabili quanto controverse verità. Probabilmente non c'è stato caso in Italia dalla fine degli anni '70 in poi in cui la Carlizzi non si sia detta coinvolta o non si sia ritrovata per un qualsiasi motivo a possedere informazioni fondamentali e dirimenti per le indagini. Ricordiamo i casi più celebri come il sequestro di Aldo Moro, la scomparsa di Emanuela Orlandi, il delitto di via Poma, il delitto dell'Olgiata, le stragi di mafia e ovviamente la vicenda del Mostro di Firenze.
Proprio sulla vicenda del Mostro, la Carlizzi ha tirato fuori il meglio di sé con alcune bizzarre teorie, di cui ovviamente non ha mai fornito prove e che, tra le altre cose, le son costate sia querele che condanne. Riportiamo brevemente le più clamorose:

1. Lo scrittore Alberto Bevilacqua Mostro di Firenze:
Tutto ebbe inizio nel febbraio del 1995 quando la Carlizzi presentò una denuncia in cui dichiarava di aver appreso da una ragazza di nome Anna Maria Ragni che l'autore dei delitti attribuiti al Mostro di Firenze fosse il celebre scrittore Alberto Bevilacqua.
Secondo quanto riportato dalla Carlizzi nella denuncia, la Ragni era stata per un brevissimo periodo l'amante del Bevilacqua ed era dunque venuta a conoscenza della personalità "mostruosa" dello scrittore e delle terribili gesta da lui compiute. La Carlizzi stessa aveva condotto una serie di indagini, giungendo alla conclusione che le accuse della Ragni fossero certamente fondate. Aveva dunque fornito nella sua denuncia una serie di "prove" che attestavano la colpevolezza del Bevilacqua.
Non solo, la Carlizzi aveva cominciato una campagna diffamatoria nei confronti dello scrittore dalle pagine del giornale di cui lei stessa era direttrice, "L'altra Repubblica".
Il 2 marzo 1995, sia la Carlizzi che la Ragni vennero ascoltate dal Pubblico Ministero che si occupava delle indagini sul Mostro, il magistrato Paolo Canessa. La SAM, su ordine della Procura, condusse alcune indagini per scoprire che quanto dichiarato dalla Ragni e dalla Carlizzi non aveva alcun fondamento di verità. Per fare un esempio, fra le prove a carico del Bevilacqua citate dalla Carlizzi c'era il reiterato ricovero del Bevilacqua in un ospedale psichiatrico di Colorno in provincia di Parma, cosa che poi risultò assolutamente non vera.
Finì con la Carlizzi e la Ragni iscritte nel registro degli indagati per calunnia. La Carlizzi reagì ai suoi guai giudiziari scrivendo un libro intitolato "Lettera ad Alberto Bevilacqua sul Mostro di Firenze" in cui ribadiva le sue accuse. Venne condannata per calunnia dal Tribunale di Roma a una pena di due anni di reclusione. La Ragni patteggiò la pena a 16 mesi di reclusione. In precedenza la Carlizzi era stata già condannata dal Tribunale civile di Roma a risarcire il Bevilacqua della somma di 500 milioni di lire per i danni arrecati alla sua immagine.
Nel febbraio del 1996, il Bevilacqua rilasciò una lunga intervista su "Repubblica" in cui esordiva tristemente con: "Guardi che è allucinante svegliarsi una mattina e trovarsi addosso un'accusa pazzesca come quella".

2. Il musicista Ferrara padre di Mario Spezi:
Franco Ferrara è stato un celebre direttore d'orchestra e compositore, morto a Firenze il 7 settembre 1985, lo stesso weekend in cui si era verificato il duplice delitto degli Scopeti.
Mario Spezi non ha bisogno di presentazioni: è il giornalista che più di ogni altro si è interessato al caso del Mostro di Firenze sin dal lontano 1974.
Anche su queste due figure, la Carlizzi ha avuto modo di tessere le sue contorte trame.
Tutto ebbe inizio alla fine di aprile del 2007 quando una agente di commercio di Capoterra (provincia di Cagliari), tale Simonetta Faraci, amica della Carlizzi e da costei spinta a fornire la sua testimonianza, si presentò alla Procura di Perugia e rilasciò al PM Mignini alcune sconcertanti dichiarazioni. La Faraci disse di essere la nipote di tale Maria Porcu, ex amante di Francesco e di Salvatore Vinci, e di avere appreso dalla zia alcune notizie sui delitti del Mostro. In particolare, a compiere il primo duplice omicidio nel 1968 a Signa sarebbe stato un guardone di nome Franco Ferrara, detto l'artista. Costui era cliente di Barbara Locci e il vero padre del giornalista Mario Spezi. Stando alle parole della Faraci, il Ferrara era "un pervertito e comunque alterato mentalmente. Mia zia diceva che avesse delle brutte abitudini e aveva commesso delitti su prostitute. È morto alcuni anni fa e da allora non si sono più verificati i delitti".
Ma c'è di più, infatti secondo il racconto della Faraci, lo Spezi avrebbe ereditato la pistola dal padre e proseguito gli omicidi del Mostro, godendo della protezione dell'allora questore sardo Gianfranco Corrias e dell'allora capo della polizia Antonio Manganelli.
Inoltre, sempre stando al racconto della Faraci: "Pacciani, Vanni e Lotti erano guardoni che sapevano di questi delitti... si trattava di un gruppo composto da guardoni, persone legate all'esoterismo, feticisti... ognuno copriva l'altro e tutti sapevano chi fosse il vero mostro".
Stralci di queste dichiarazioni furono lette dall'avvocato Gabriele Zanobini, difensore dell'imputato durante il processo contro il dottor Francesco Calamandrei (si veda il capitolo Il farmacista), suscitando lo sconcerto generale e in parte l'imbarazzo della Pubblica Accusa.
Inutile sottolinearlo, lo Spezi incaricò l'avvocato Alessandro Traversi di querelare la Faraci per calunnia.

3. Pier Luigi Vigna Mostro di Firenze:
Fra i deliri della Carlizzi in merito alla vicenda del Mostro non poteva ovviamente non finire il Procuratore della Repubblica di Firenze, dottor Pier Luigi Vigna, l'uomo che per anni ha combattuto in prima persona il Mostro di Firenze, colui che era stato incaricato dallo Stato di porre la parola fine ai delitti, senza per altro riuscirci.
Non spenderemo troppe parole su questa tesi ripresa e cavalcata abbondantemente anche in tempi recenti dall'erede naturale della Carlizzi, l'avvocato e blogger Paolo Franceschetti.
In estrema sintesi, abbiamo già visto come nel 1991 la signora Mariella Ciulli, ex moglie di Francesco Calamandrei e affetta da psicosi schizoaffettiva di tipo depressivo, aveva accusato il suo ex marito e il dottor Vigna di essere i mostri di Firenze. Accuse che si rivelarono ovviamente prive di fondamento, ma che solleticarono la fantasia della Carlizzi, la quale maturò l'idea che Vigna fosse uno dei mandanti degli omicidi attribuiti al Mostro di Firenze. Ma la fervida immaginazione della Carlizzi non si fermò certamente qui, perché col tempo risucì a mettere in piedi quella che potremmo definire la teoria definitiva, la madre di tutti i complottismi, che riuniva dentro di sé tutte le ipotesi avanzate da lei stessa negli anni.

4. La teoria definitiva:
Il Mostro di Firenze altri non era che un gruppo di persone, appartenenti a una setta esoterica, ciascuno con il proprio ruolo e i propri compiti. Di questo gruppo facevano parte sia eminenti personalità come il Sostituto Procuratore Pier Luigi Vigna, il giornalista Mario Spezi, il compositore Franco Ferrara (padre dello Spezi), il dottor Francesco Calamandrei, lo scrittore Alberto Bevilacqua, ovviamente il dottor Francesco Narducci, sia personaggi squallidi che costituivano la manovalanza spicciola, coloro che si sporcavano le mani, come i Comapgni di Merende, il mago Indovino, buona parte dei frequentatori di via Faltignano, il sardo Francesco Vinci.
Questa teoria viene tuttora portata avanti dal già citato Paolo Franceschetti, seguace delle idee della Carlizzi. Inoltre, come accennato nella sezione degli Aggiornamenti, buona parte di questa teoria è stata esposta in tempi recenti da Luciano Malatesta (il figlio secondogenito di Renato Malatesta e di Maria Antonietta Sperduto) in una delirante intervista andata in onda sul canale youtube "Le Notti Del Mostro". Tra le altre cose, in tale intervista, il Malatesta ha dichiarato apertamente che suo padre Renato gli aveva confidato "vogliono uccidermi" poco prima di morire nel dicembre del 1980 (vedasi capitolo Le morti collaterali). Ci sarebbe però da chiedersi perché nei due processi in cui è stato testimone (quello contro Pacciani e quello contro i Compagni di Merende) l'allora giovane Luciano non aveva mai fatto rivelazioni del genere, al contrario aveva dichiarato che in più di un'occasione aveva distolto il padre da intenti suicidi.
Nell'intervista, il Malatesta ha rivelato anche che sua sorella Milva gli aveva fatto nomi e cognomi di tutti i personaggi coinvolti nella vicenda; nomi che evidentemente lui ha taciuto per trent'anni; li ha taciuti sia dopo la terribile morte di Milva, sia nei due Processi in cui è stato testimone, salvo poi ricordarsene improvvisamente con anni e anni di ritardo durante un'intervista sul web.
Ma le dichiarazioni del Malatesta non si sono limitate a questo: in un crescendo emotivo di rara intensità ha parlato di cancro indotto da medici compiacenti ad alcuni testimoni per evitare che parlassero, di giro di pedofilia internazionale, di servizi segreti deviati, di un secondo e di un terzo livello, di massoneria, di Rosa Rossa e di tutti i più disparati complottismi di cui si può trovare traccia sul web, tutto in quel grande calderone che è stata la tragica epopea del Mostro di Firenze.
Si lascia al lettore ogni possibile valutazione.


La pista eversiva e la teoria Palego
Abbiamo parlato nel paragrafo dedicato al De Biasi delle milizie irregolari di estrazione fascista che si esercitavano sui monti della Calvana. Sappiamo inoltre che l'ex legionario Giampiero Vigilanti è stato a lungo indagato come possibile Mostro di Firenze. Partendo da questi eventi presuntuvamente connessi fra loro, nell'estate del 2017 è nata la cosiddetta pista dell'eversione nera. Una teoria riportata da diversi giornali, fra cui anche La Nazione, nata dalla convinzione che i magistrati che stavano indagando sul Vigilanti avessero in realtà esteso le loro indagini ad ambienti di estrema destra legati all'eversione nera e ai servizi segreti.
Secondo tale teoria, i delitti storicamente attribui al Mostro di Firenze sarebbero stati infatti programmati ed eseguiti in ambienti eversivi di impostazione fascista all'interno della cosiddetta strategia della tensione, un piano volto a creare una situazione di disagio e paura tra la popolazione, attuata mediante l'organizzazione e la realizzazione di atti terroristici, e che, mediante un disegno eversivo, tendeva alla destabilizzazione o al disfacimento degli equilibri precostituiti.
I sostenitori di tale teoria si erano pertanto affrettati a trovare dei collegamenti temporali fra i delitti del MdF e alcune ben note vicende della recente storia italiana. Ne accenniamo brevemente:
▪ nel tardo maggio del 1974 vi era stata la strage di piazza della Loggia a Brescia; in seguito, nell'agosto del 1974 era esplosa la bomba sull'Italicus e un mese dopo era avvenuto il delitto di Rabbata;
▪ nell'agosto del 1980 c'era stata la strage di Bologna; il 17 marzo 1981 era stata trovata la lista della loggia segreta P2 con i nomi di 962 affiliati; nel maggio del 1981 c'era stato l'attentato al Papa e in giugno c'era stato il delitto di Mosciano;
▪ il giorno dopo il delitto di Calenzano era previsto uno sciopero generale di vastissima adesione;
▪ il giorno successivo al delitto di Baccaiano era stato trovato impiccato a Londra il banchiere Roberto Calvi;
▪ nell'agosto del 1983 era evaso da un carcere svizzero Licio Gelli, nel settembre dello stesso anno era avvenuto il delitto di Giogoli.
Da questo brevissimo elenco, è immediato intuire come in un decennio così ricco di avvenimenti sociali, politici e criminali quale quello italiano a cavallo fra gli anni '70 e '80, sarebbe stato estremamente facile da trovare un qualsiasi collegamento fra tali avvenimenti e i delitti del MdF.
A ogni modo, furono gli stessi magistrati a smentire le indagini sulla cosiddetta pista eversiva, troncando sul nascere un filone mostrologico che avrebbe sicuramente alimentato svariate teorie, per lo più complottistiche.

Successivamente, lo studioso e ricercatore Carlo Palego ha ripreso, analizzato e approfondito la cosiddetta pista eversiva, arrivando a elaborare una propria complessa teoria, esposta in diversi video su Youtube dal titolo "Togliamo la maschera al mostro". Per stessa ammissione del Palego, tale teoria pone le basi su un'analisi che si chiama "Profile matching" che non porta a una prova oggettiva che incastri l'autore o gli autori degli omicidi, ma a una dettagliata e per quanto possibile accurata ricostruzione storica degli eventi, all'interno della quale è poi possibile individuare l'ipotetico colpevole.
Riassumiamo molto brevemente i punti salienti della cosiddetta "teoria Palego"; per chi fosse interessato a un approfondimento, può fare riferimento ai predetti video.
Antefatto: nel marzo del 1993 venne scoperta una sede segreta del SISMI (servizi segreti militari) in un appartamento al terzo piano di uno stabile nel centro di Firenze, in Via Sant’Agostino, numero 3.
In questo appartamento, di proprietà del marchese Lotteringhi-Della Stufa e concesso in uso al colonnello dei carabinieri Federigo Mannucci Benincasa, venne rinvenuto un gran quantotativo di armi d'assalto e di esplosivi, il tutto accuratamente incartato in pagine di quotidiani delle decadi precedenti. Fra l'arsenale ritrovato vi era anche una scatola contenente una ventina di proiettili Winchester calibro 22.
Il Mannucci Benincasa, fiorentino, classe 1934, era stato responsabile con il nome in codice di "Capitano Manfredi" del centro di controspionaggio di Firenze dal 1971 al 1991 prima nel SIFAR, poi nel SID e dopo la riforma del 1977 nel SISMI. Era stato alle dirette dipendenze del generale pugliese e "piduista" Giuseppe Santovito, che dalla fine degli anni 70 e fino alla sua morte nel 1984, risiedeva anch'egli a Firenze. Era, inoltre, diretto superiore all'interno del SISMI del tenente colonnello Olinto Dell'Amico, l'ufficiale dei carabinieri che aveva indagato sul delitto Locci/Lo Bianco del 1968 e su alcuni dei successivi delitti attribuiti al Mostro e che nel 1982, all'epoca del collegamento dei delitti con Signa, era di stanza alla caserma di Borgo Ognissanti.
Nello svolgimento delle sue funzioni di capocentro in Toscana del servizio segreto militare, il Benincasa era stato più volte indagato ed era risultato imputato in ben sette processi, dove via via risultava accusato di depistaggio, abuso d'ufficio, traffico d'armi, complotto eversivo, appropriazione indebita, illecito in atto pubblico. Ne uscí quasi sempre assolto, pur vendendosi etichettato come figura dal ruolo oscuro e fortemente radicato nell'oltranzismo filo-atlantico ed anticomunista. Suo co-imputato in diversi processi risultò l'ufficiale di artiglieria, generale Ignazio Spampinato, perito balistico ed esplosivista per le indagini sulle stragi terroristiche a cavallo fra gli anni '70 e '80 e nei delitti del Mostro di Firenze. A Spampinato si deve la perizia balistica del duplice omicidio Foggi-De Nuccio del 1981.
Ora, secondo la teoria del Palego, a far parte dell'organizzazione finalizzata a commettere i delitti storicamente attribuiti al Mostro, ci sarebbe stato un ristretto gruppo di persone appartenenti a una cellula eversiva operante nell'ambito della cosiddetta strategia della tensione. I delitti del Mostro, tuttavia, esulerebbero da tale strategia, ma sarebbero conseguenza delle patologie psichiche di colui che in questo sodalizio era l'autore materiale degli omicidi. Sarebbe possibile individuare tale individuo nella persona di Joseph Bevilacqua, direttore del cimitero militare statunitense dei Falciani a San Casciano in Val di Pesa e alto membro della cellula eversiva operante in Toscana che faceva a capo al Colonnello Benincasa.
Nei suoi delitti, il Bevilacqua si sarebbe servito di un complice, individuabile in Giampiero Vigilanti, anch'egli membro di più basso rango di tale cellula. Vigilanti sarebbe stato colui che praticava le escissioni, mentre l'italoamericano Bevilacqua avrebbe utilizzato l'arma da fuoco. Entrambi si sarebbero serviti di alcuni guardoni che avevano il compito di perlustrare il territorio e segnalare eventuali coppie. Fra questi guardoni figuravano i cosiddetti Compagni di Merende e in special modo il Lotti.
A conoscenza dei delitti sarebbero stati il colonnello Benincasa e il suo più fido collaboratore Olinto Dell'Amico, i quali, in mancanza di ordini superiori, avrebbero coperto le folli azioni omicidiarie dei loro sottoposti.
Secondo la teoria del Palego, i tre militari, Benincasa, Dell'Amico e Bevilacqua si sarebbero conosciuti attorno alla metà degli anni '60 a Camp Darby, la base militare dell'Esercito Italiano, vicino Pisa, dove sono stanziate e operano unità militari statunitensi.
Dopo alcune rivisitazioni che inizialmente avevano previsto l'attuazione di un depistaggio per il collegamento con il delitto di Signa del 1968, al momento la teoria Palego prevede che il primo delitto attribuito al Mostro fosse stato quello di Rabatta del 1974 e che il delitto di Signa sarebbe stato commesso dal Vigilanti nelle vesti di sicario assoldato internamente al clan dei sardi. L'arma da fuoco sarebbe stata la stessa dei delitti successivi, opportunamente modificata prima del settembre 1974.


Le Rivelazioni Di Angelo Izzo
Per ultimo in questo lungo capitolo, riportiamo le dichiarazioni di uno degli esecutori del cosiddetto massacro del Circeo, lo psicopatico Angelo Izzo, il quale in tempi piuttosto recenti (estate 2018) ha lasciato intendere di aver conosciuto in gioventù il dottor Francesco Narducci e di avere scottanti rivelazioni sulla sua partecipazione ai delitti del Mostro di Firenze.
Non solo, Izzo ha rivelato dettagli riguardanti la scomparsa della giovane Rossella Corazzin, la ragazza diciasettenne di cui si perse ogni traccia nell'agosto del 1975 a Tai di Cadore nel bellunese. Secondo Izzo, la giovane sarebbe stata rapita, condotta all'interno di una villa di proprietà di Francesco Narducci sulle sponde del Trasimeno, utilizzata come vittima in un rito satanico cui avrebbero partecipato una dozzina di persone, e infine uccisa lo stesso giorno del rapimento.
Inizialmente le doverose indagini condotte a seguito di tali rivelazioni non portarono a nulla: il predetto Izzo venne ritenuto del tutto inattendibile e le sue dichiarazioni giudicate alla stregua di vaneggiamenti. Non parve difatti emergere alcuna conoscenza fra Izzo e Narducci, tanto meno un coinvolgimento non solo del Narducci ma anche dello stesso Izzo alla misteriosa e ancora insoluta scomparsa della Corazzin.
Nondimeno, da consulenti della Commissione Parlamentare Antimafia, i magistrati Guido Salvini e Giuliano Mignini hanno inteso approfondire le tematiche esposte da Izzo.
Proprio partendo dagli studi dei due magistrati e sulla base della rivelazioni di Izzo, la nona sezione della Commissione Parlamentare Antimafia, presieduta dalla onorevole Stefania Ascari, si è interessata fortemente alla vicenda del Mostro di Firenze e di conseguenza alla figura del dottor Francesco Narducci e agli eventuali collegamenti con la destra eversiva di cui Izzo è stato esponente.
Come visto nel capitolo dedicato agli "Aggiornamenti", il 4 novembre 2022, la Commissione ha pubblicato la propria relazione sul caso, approvata all'unanimità.


7 commenti:

  1. Purtroppo sono tutte inutili fantasiose teorie e invenzioni di esaltati, mio modesto parere il cosiddetto mostro di firenze e' stata una sola persona arrabbiato contro il mondo intero che ha sofferto anche per amore .Oggi sicuramente morto deceduto

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  2. Poi ci ha mangiato sopra mezzo mondo con stupidi e inutili libri su libri pubblicati

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  3. Io non ho capito una cosa, di certo la Vecchione lo ha spiegato e sono io che non avendo seguito questa pista me lo sono lasciato sfuggire, come ha fatto ha identificare con certezza la rivista da cui il mdf avrebbe preso le lettere? ha avuto accesso al retro delle lettere sulla busta? MC

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    1. Ciao, si la Vecchione aveva accesso al retro dei ritagli incollati sulla busta inviata alla Della Monica.
      Inoltre, è riuscita ad individuare con esattezza la rivista poichè sulla busta composta dal mostro, tra tutte le lettere incollate (ritagliate singolarmente) vi era la parola "DELLA" che era un unico ritaglio. Quella sola parola la ha portata ad individuare la rivista

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  4. Ciao, si la Vecchione aveva accesso al retro dei ritagli incollati sulla busta inviata alla Della Monica.
    Inoltre, è riuscita ad individuare con esattezza la rivista poichè sulla busta composta dal mostro, tra tutte le lettere incollate (ritagliate singolarmente) vi era la parola "DELLA" che era un unico ritaglio. Quella sola parola la ha portata ad individuare la rivista.

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  5. Ritagliare lettere da un giornale appiccicarle con cura su di una busta e soprattutto commettere un errore di scrittura non e' frutto della mente malata di piu' persone MA DI UN UNICO SOLITARIO MAI INDAGATO SERIAL KILLER.

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  6. Unico mai indagato ne sospettato assassino, quella lettera inviata a della monica ne e' la prova indiscutibile! Provate a far funzionare il cervello! Unico serial killer che viene in possesso di quella pistola per una serie di coincidenze e che nessuno potra' mai sospettare di colui che per puro caso ha trovato quell'arma. Non ci piove!!!Mele ha detto di aver gettato l'arma nel canale ,o addetto alle ricerche o guardone o qualcuno che ha assistito all'omicidio 1968.. sempre se vero tutte le mincate che ci hanno raccontato fino adesso!

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