Ipotesti Sardiste


In questo capitolo sono esposte le principali teorie di quanti fra le varie correnti mostrologiche vedono nella pista sarda l'unica soluzione al grande enigma del Mostro di Firenze.
Prima, tuttavia, è opportuno fare una breve e schematica sintesi dell'argomento.
● Dal 1974 al 1982 si consumano quattro duplici omicidi ai danni di coppie appartate in automobile nella campagna fiorentina. Comune denominatore degli omicidi, oltre la tipologia delle vittime e l'ambientazione geografica, sono l'arma del delitto (una probabile Beretta calibro 22 LR serie 70) e il munizionamento usato. Il misterioso autore degli omicidi viene soprannominato da stampa e opinione pubblica Mostro di Firenze.
● Circa un mese dopo il quarto delitto, gli inquirenti scoprono che nel 1968 c'era stato un duplice omicidio molto simile, sempre a danno di una coppia appartata in auto nella campagna fiorentina, commesso dalla stessa pistola e con lo stesso munizionamento. Per quel delitto era stato condannato in via definitiva il manovale sardo Stefano Mele, marito della vittima femminile.
● Un semplice sillogismo porta le forze dell'ordine a buttarsi sulla cosiddetta Pista Sarda: il delitto del 1968 è sicuramente maturato nell'ambiente dei sardi; l'arma del delitto non può aver cambiato mano per elementari regole di malavita; il MdF è sardo.
● Gli inquirenti cominciano dunque a cercare il MdF fra i sardi coinvolti nel duplice omicidio di Signa. Nel 1982 arrestano Francesco Vinci, ma un anno dopo il MdF colpisce a Giogoli. Tengono in carcere il Vinci e arrestano Piero Mucciarini e Giovanni Mele, ma nel 1984 il MdF colpisce a Vicchio. Scarcerano i tre di sopra e si concentrano sull'ultimo rimasto, Salvatore Vinci; lo mettono sotto stretta osservazione, lo pedinano, lo intercettano. Ma nel 1985 il MdF colpisce a Scopeti. Nell'estate 1986 arrestano Salvatore Vinci. Da quel momento il MdF non colpirà più, almeno ufficialmente.
● Sembra tutto facile, tutto risolto, il MdF è sicuramente Salvatore Vinci. E invece, no. Dopo anni di indagini, nel dicembre del 1989, il Giudice Istruttore Mario Rotella assolve tutti i sardi coinvolti nell'indagine del Mostro. La Procura di Firenze frattanto aveva già da tempo intrapreso altre strade alla ricerca del famoso serial killer.

Sebbene la giustizia abbia dunque seguito piste diverse arrivando a una propria verità, escludendo almeno in questo capitolo la possibilità di una qualsiasi forma di depistaggio e dunque assumendo che la pistola del 1968 fosse la stessa dei delitti successivi, l'amletico e tuttora irrisolto dubbio che attanaglia da sempre i mostrologi è capire se il delitto del 1968 porti o meno la firma dei sardi e in caso affermativo, capire se la pistola sia poi rimasta in quello stesso ambiente o abbia in un qualche modo cambiato mano.
Soffermiamoci dunque un attimo sulle probabilità che il delitto del 1968 sia stato realmente commesso dai sardi.

Il delitto del 1968 è stato commesso dai sardi perché:
▪ ha tutti gli elementi di un delitto maturato in un ambito familiare: la donna fedifraga, il marito tradito, l'amante geloso, i soldi scomparsi;
▪ la Locci sembra essere stata ricomposta nell'abbigliamento dopo l'omicidio, come a volerne coprire le nudità, il che farebbe pensare appunto al marito come autore di questo gesto pudico;
▪ appare probabile che Stefano Mele sia stato sul luogo del delitto perché riporta particolari che possono essere conosciuti solo da qualcuno che ha assistito all'omicidio o è arrivato subito dopo. E se Stefano Mele è stato sul luogo del delitto è più probabile che il delitto sia stato compiuto dai sardi che non il contrario;
▪ per quel poco che possono valere, le varie confessioni di Stefano Mele sono un elemento che possono indurre a pensare che difficilmente si possa uscire dal clan dei sardi per scoprire l'autore del duplice delitto;

D'altro canto, il delitto del 1968 NON è stato commesso dai sardi perché:
▪ Stefano Mele non è mai stato sul luogo del delitto: nessuno l'ha visto uscire da casa, andare in piazza, incontrare i suoi complici, aspettare la Locci e il Lo Bianco all'esterno del cinema Michelacci, cose che lui invece dichiara di aver fatto; inoltre le sue confessioni sono inattendibili, dimostra di non conoscere luoghi e dinamica;
▪ i sardi non avrebbero sicuramente scelto di uccidere la Locci e il Lo Bianco proprio la sera in cui i due amanti si portarono dietro Natalino con il rischio di complicare terribilmente il delitto;
▪ la famiglia Mele non aveva probabilmente lo spessore criminale per premeditare un delitto di questo tipo, uccidere la moglie di un proprio congiunto di fronte al figlio di sei anni. Forse i due Vinci avevano tale spessore, ma è una pura congettura perché non è mai stato dimostrato che Francesco o Salvatore si siano nella loro pur turbolenta vita macchiati del reato di omicidio.

Anche da questa breve schematizzazione, si può vedere come i punti a favore del delitto del 1968 non commesso dai sardi, pur essendo numericamente inferiori, hanno una valenza superiore. Il punto centrale, comunque, non può prescindere dalla figura di Stefano Mele. Bisogna cioè capire quante probabilità ci sono che l'uomo fosse sul luogo del delitto del 1968.
Se riteniamo che le probabilità fossero alte, di conseguenza sono alte le probabilità che il delitto Locci/Lo Bianco porti la firma di qualcuno del clan dei sardi: di conseguenza o dobbiamo spiegare un passaggio di mano di pistola e munizioni o dobbiamo ammettere che il MdF fosse uno dei sardi.

La probabilità che Stefano Mele fosse sul luogo del delitto sembra mediamente alta, assolutamente non certa, ma alcuni particolari farebbero propendere per questa ipotesi. Del resto, come disse il colonello Olinto Dell'Amico al processo Pacciani: "...la sensazione che avemmo all'epoca è che lui sul luogo del delitto ci fosse stato."
Non è un caso se durante il Processo di primo grado a Pietro Pacciani, la Procura di Firenze per bocca del PM Paolo Canessa, prese a sostenere che il delitto del 1968 fosse sì stato commesso dal contadino di Mercatale, ma Stefano Mele era arrivato successivamente sul luogo del delitto. Ipotesi questa, poi "sbeffeggiata" dal giudice del Processo d'Appello, Francesco Ferri, il quale da sardista convinto, nel suo libro "Il Caso Pacciani", riportava testualmente: "...sostiene l'Accusa che il Mele... sarebbe arrivato a cose fatte ed in realtà l'omicidio sarebbe stato commesso immediatamente prima dal Pacciani. È questa l'unica maniera che si è riusciti a escogitare per superare lo scoglio rappresentato dalla matrice sarda del primo delitto."
Dunque, secondo il giudice Ferri, era così evidente la presenza del Mele sul luogo del delitto che la Procura era stata costretta a ricorrere a un ragionamento del tutto improbabile per dimostrare come quel delitto fosse stato compiuto dal Pacciani.

Schematizzando, di seguito riportiamo nel dettaglio i fattori che potrebbero indicare la presenza di Stefano Mele sul luogo del delitto (per approfondimenti si può fare riferimento al capitolo dedicato al delitto di Signa):
1. il particolare della freccia direzionale lasciata accesa sull'automobile del Lo Bianco, correttamente riportato dal Mele;
2. il particolare della scarpa del Lo Bianco poggiata allo sportello anteriore sinistro, correttamente riportato dal Mele;
3. il particolare del numero di colpi sparati durante l'azione delittuosa, correttamente riportato dal Mele;
4. è difficile che Natalino sia arrivato a casa del De Felice da solo; e se è stato accompagnato è più probabile sia stato il padre o qualcuno dei sardi ad accompagnarlo. Collegato a questo punto, c'è la profonda esitazione che un ormai adulto Natalino ebbe durante la sua testimonianza al processo Pacciani, prima di rispondere "NO" alla domanda dell'avvocato Santoni-Franchetti: "Lei vide suo padre quella notte?". A sentirlo sembra davvero un momento di grande indecisione del teste su quale risposta dare;
5. la sensazione che il Natalino adulto menta. È impensabile che – come sostiene lui – non abbia sentito gli spari che sono detonati a pochi centimetri dalle sue orecchie in un ambiente chiuso come l'automobile dentro la quale dormiva, nel silenzio della campagna toscana, in piena notte. È improbabile si sia svegliato solo all'ultimo sparo e non abbia visto nulla se non madre e amante della madre morti;
6. la prova del guanto di paraffina leggermente positiva su Stefano Mele, pur con tutti i dubbi del caso;
7. la frase detta dal Natalino al De Felice ("mio padre è a letto malato"), che fa pensare che il bambino fosse stato appunto indottrinato su quanto doveva dire; le stesse identiche parole pronunciate anche da Stefano Mele ("ero a letto malato") fanno pensare a un accordo fra i due;
8. il fatto che Mele alle sette della mattina successiva al delitto fosse già vestito di tutto punto come in attesa di qualcosa e con le mani sporche di grasso;
9. la sensazione riportata dal brigadiere Matassino che in quell'occasione Stefano Mele sapesse già della sorte toccata a moglie e figlio;
10. come già riportato in precedenza, il presunto ricomponimento degli abiti della Locci dopo l'omicidio che fa pensare a un intervento del marito che, per pudicizia, ha inteso coprire la donna.

Certo, nessuno di questi punti è particolarmente decisivo per propendere univocamente verso la presenza di Stefano Mele sul luogo del delitto e quindi verso un delitto compiuto sicuramente dal clan dei sardi.
I punti 1 (freccia), 2 (scarpa) e 3 (colpi sparati), Stefano Mele potrebbe averli appresi dal figlio o dagli inquirenti stessi durante gli interrogatori e averli ripetuti meccanicamente.
In particolare, soffermiamoci sul punto 1, quello della freccia direzionale accesa. Come ci ha fatto notare salacemente l'avvocato Nino Filastò, quella notte Stefano Mele può essersi accorto di avere azionato involontariamente la freccia dell'automobile mentre sistemava il corpo della moglie, oppure può non essersene accorto; qualora se ne fosse accorto, dovremmo chiederci perché non l'abbia spenta, considerando che rappresentava una luce intermittente nella notte e quindi un richiamo per curiosi in un momento in cui invece aveva assoluto bisogno che nessuno accorresse sul luogo del delitto; se invece non si era accorto di aver azionato per sbaglio la freccia, come faceva poi a ricordarsene e a parlarne in sede di interrogatorio? Ecco che, secondo l'arguto avvocato, il particolare della freccia riportato dal Mele diventa per nulla genuino.
Per quanto, invece, riguarda il punto 3, pare che Stefano Mele non abbia detto il numero preciso dei colpi sparati, ma abbia dichiarato di aver vuotato l'intero caricatore. Il caricatore è composto da 8 proiettili e tanti sono stati i colpi esplosi.
Il punto 4 (l'arrivo di Natalino a casa De Felice) è stato a lungo dibattuto, così come a lungo si è disquisito sulla condizione dei calzini del bambino. L'avvocato Bevacqua e il colonnello Dell'Amico affermarono al Processo Pacciani che tutto sommato erano puliti, anche se poi sono stati smentiti dai verbali dell'epoca che parlavano di calzini sporchi, laceri, strappati. Eppure, a dispetto dei calzini documentatamente sporchi e sdruciti, le condizioni dei piedi di Natalino erano buone o comunque il bimbo non ebbe bisogno di cure. Particolare, questo, in contrasto col fatto che avrebbe percorso oltre due km di strada estremamente accidentata al buio, a piedi e scalzo.
C'è da sottolineare, inoltre, che la signora Rosina Massa dichiarò al processo Pacciani che secondo suo marito, Salvatore Vinci, il bambino era stato accompagnato, anche se sicuramente lo stesso Salvatore aveva tutto l'interesse a sostenere il contrario per allontanare i sospetti dal gruppo dei sardi.
Infine, anche la conformazione dei luoghi, la distanza, l'oscurità, molte cose lasciano pensare che il bimbo possa essere stato accompagnato. Rimane tuttavia qualcosa di probabile, ma assolutamente non certo.
Il punto 5 (le bugie di Natalino) sembra un dato di fatto: Natalino mente su molte cose, probabilmente mente anche quando tuttora dice di non ricordare nulla, tuttavia il fatto che menta non ci dà ulteriori indizi su dove andare a parare. Certo si potrebbe ipotizzare che menta per proteggere il padre, comunque morto da tantissimi anni, di più però non possiamo affermare.
I punti 6 , 7, 8, 9 e 10 potrebbero essere mere coincidenze, così come il silenzio di Natalino quando è stato interrogato al Processo Pacciani. Quest'ultimo punto rientra più nel campo delle sensazioni personali che lasciano il tempo che trovano. Anche quella di Matassino è la semplice sensazione di un inquirente.
Ricapitolando, anche da questi punti non emerge una certezza univoca. Potremmo però dire che appare un po' più probabile che Stefano Mele sia stato sul luogo del delitto del 1968 e se c'è stato è parecchio probabile (non certo, volendo dare un minimo di credito all'arzigogolata ipotesi della Procura di Firenze durante il Processo Pacciani) che fosse coinvolto nel delitto. Di conseguenza appare leggermente più probabile che il delitto del 1968 porti la firma sarda.

Ora, partendo in questo capitolo dal presupposto (forse fallace, forse no) che il 1968 abbia effettivamente avuto matrice sarda (cosa ovviamente non universalmente contemplata in mostrologia), lo step successivo è chiedersi se la mano nei delitti successivi è la stessa oppure no, il che equivale a chiedersi che fine abbia fatto la pistola, se è rimasta nelle mani dei sardi oppure ha cambiato proprietario.

Per rispondere a questa domanda cominciamo col chiederci quali sono gli aspetti che questo delitto ha in comune con i successivi del MdF:
▪ stessa tipologia di vittime, una coppia appartata in auto;
▪ stessa ambientazione geografica, la campagna fiorentina e come in altre occasioni un fiume nelle vicinanze;
▪ stessa arma del delitto, una Beretta calibro 22;
▪ stesso munizionamento proveniente dalla stessa partita, risalente all'incirca al 1966;
▪ stessa tipologia di agguato, il killer comincia a sparare, cogliendo di sorpresa la coppia mentre amoreggia;
▪ manomissione dei cadaveri: il cadavere della Locci è stato sicuramente spostato dal killer, così come avverrà nei delitti successivi;
▪ presunta manomissione della borsa della vittima femminile: il killer fruga fra gli effetti personali della Locci, così come avverrà in altri delitti commessi dal MdF;
▪ come in altre tre occasioni, la vittima femminile aveva dichiarato di essere stata importunata da qualcuno nei giorni precedenti all'omicidio;

Vediamo ora quali sono gli aspetti che questo delitto NON ha in comune con i successivi del MdF:
▪ il delitto non avviene nel weekend (l'unico a parte quello di ottobre 1981);
▪ c'è una forte discrepanza temporale: 6 anni dal delitto successivo, ben 13 dall'inizio degli omicidi a cadenza annuale (più o meno lunghi periodi cosiddetti di cooling off possono però non essere un'anomalia nella letteratura degli omicidi seriali);
▪ non c'è utilizzo di arma bianca (la presenza di Natalino però potrebbe aver impedito l'overkilling);
▪ mentre negli altri delitti, il MdF non ha alcun riguardo verso la vittima femminile, anzi spesso tende a lasciare il suo corpo ben visibile a occhi esterni, se non addirittura in posizione sguaiata, nel delitto del 1968 il killer copre le nudità della Locci, forse alzandole le mutandine. Questa oltre ad essere un'importante differenza, fa inevitabilmente pensare al marito o una persona a lei vicina;
▪ le vittime non sono una coppia di fidanzati, ma di amanti; almeno inizialmente appare un delitto maturato in ambito familiare, per vendetta, onore o gelosia e in questo senso si orientano anche le indagini;
▪ c'è un colpevole: Stefano Mele, marito della vittima, che dopo aver accusato diversi amanti della moglie, confessa l'omicidio e viene condannato a 13 anni di carcere;
▪ il legame fra questo delitto e quelli attribuiti al mostro non è avvenuto in maniera genuina per logica deduzione degli inquirenti, ma è stato indotto nel 1982 da mano esterna. Come abbiamo visto nel capitolo dedicato alla pista sarda, la lettera anonima che informava gli inquirenti del collegamento difficilmente aveva il fine di aiutare realmente le indagini; questo porterebbe a pensare che, anche se i sardi sono stati gli autori del delitto del 1968, potrebbero non avere nulla a che fare con i successivi.

Si lascia libera scelta al lettore su quali siano i fattori giudicati preponderanti nella suddetta breve lista.
A questo punto, sempre nell'ipotesi che il delitto del 1968 porti firma sarda, le possibilità che si possono avanzare circa il destino dell'arma sono:

1. Dopo il delitto di Signa, la pistola è rimasta all'interno del clan. Uno o più persone del clan, 6 anni dopo, ha/hanno cominciato a commettere i delitti attribuiti al MdF. Prendendo per buona questa ipotesi, Stefano Mele è stato sicuramente presente al delitto e Natalino è stato accompagnato a casa del De Felice. Inoltre, Stefano Mele, Giovanni Mele, Pietro Mucciarini e Francesco Vinci, almeno individualmente, non possono essere il MdF. Rimangono come soluzioni:
1a. delitti di clan;
1b. Salvatore Vinci;
1c. qualcuno dei sardi mai rientrato nelle indagini o solo sfiorato dalle stesse.

2. Dopo il delitto di Signa, la pistola non è rimasta all'interno del clan, ma è finita nelle mani di colui che 6 anni dopo sarebbe diventato il MdF, dunque la pistola può essere stata:
2a. donata al MdF;
2b. rubata dal MdF;
2c. recuperata dal MdF che ha assistito al delitto o è capitato sul luogo subito dopo, venendo in possesso dell'arma di cui i sardi si erano disfatti;
L'ipotesi 2c, molto in voga all'inizio degli anni '80, risulta valida se si pensa sia al Pacciani che da guardone potrebbe aver assistito al delitto, sia al Lotti che anch'egli da guardone e pedinando la Locci può aver assistito al delitto.
Da notare che anche la signora Mariella Ciulli, moglie del dottor Francesco Calamandrei, futuro imputato (poi assolto) come mandante dei delitti del mostro, aveva fatto propria questa ipotesi per spiegare come il marito fosse venuto in possesso dell'arma (vedasi capitolo Il farmacista).

3. Il delitto del 1968 porta firma sarda, ma è stato commesso da un sicario su commissione. Tale sicario, proprietario della pistola, sei anni dopo è diventato il MdF. Questa ipotesi potrebbe spiegare alcune allusioni fatte dagli stessi sardi che hanno sempre fatto pensare a una loro conoscenza del MdF. Un esempio è la frase detta da Salvatore Vinci quando era in carcere: "Il mostro è grande, non lo prenderanno mai!"

Ora, come già più volte ribadito, tutti coloro che fra i mostrologi credono più o meno fermamente nella Ipotesi 1 e su questa basano le loro certezze e le loro elucubrazioni, sono i cosiddetti Sardisti.
Di seguito riportiamo tutte le teorie di estrazione sardista.


Ipotesi Salvatore Vinci
Si tratta in assoluto dell'ipotesi più gettonata. Ad oggi le teorie che trovano maggior credito fra gli addetti ai lavori sono infatti quella di Salvatore Vinci e quella del serial killer unico di tipologia "lust murder" mai rientrato nelle indagini o forse solo sfiorato.

A sostegno dell'ipotesi Salvatore Vinci c'è l'intero rapporto Torrisi e nello specifico:
▪ non c'è alcun bisogno di spiegare il passaggio di mano della pistola dai sardi al MdF, in quanto il MdF è proprio uno del clan dei sardi;
▪ la forte componente di perversione nella psicologia di Salvatore, il fatto che fosse sessualmente iperattivo, perverso e violento;
▪ era un guardone e da guardone sapeva muoversi molto bene di notte nelle campagne, sapeva come muoversi senza far rumore, sapeva avvicinarsi alle macchine senza essere visto;
▪ è stato sempre libero durante tutti gli omicidi del MdF;
▪ in occasione dei delitti del 1982 e 1983, due testimoni distinti riportano la presenza di un uomo (per i carabinieri somigliante nell'aspetto e nell'abbigliamento a Salvatore Vinci) in prossimità dei luoghi dei delitti in orari compatibili con gli stessi;
▪ subito dopo il suo arresto non si sono verificati più omicidi;
▪ ha fornito alibi piuttosto labili per le notti di tre omicidi;
▪ alcuni omicidi del MdF sono coincisi con date significative della sua vita;
▪ alcune cosiddette morti collaterali potrebbero portare proprio a Salvatore Vinci (si veda relativo capitolo, in particolare l'omicidio della Meoni).

Contro l'ipotesi Salvatore Vinci ci sono alcuni dettagli e nello specifico:
▪ durante l'ultimo omicidio del MdF (Scopeti, 1985), Salvatore era rigidamente attenzionato dalle forze dell'ordine e nonostante ciò avrebbe colpito egualmente;
▪ pur a lungo indagato, controllato, seguito, non è mai emersa alcuna prova contro di lui;
▪ pur a lungo intercettato non si è mai tradito neanche telefonicamente;
▪ a volte la mostrologia sardista ha calcato la mano su alcuni indizi che non erano tali, tipo quello riguardante la Meoni, visto nel capitolo precedente;
▪ erano talmente labili le prove a suo carico che dopo anni di indagini il Giudice Istruttore Mario Rotella (fervente sardista) non ha richiesto il rinvio a giudizio dell'indagato, ma ha prosciolto tutti i sardi coinvolti nell'indagine in una celebre sentenza-ordinanza;
▪ se la sua perversione sessuale da un lato può essere un indizio a carico, dall'altro la sua iperattività sessuale può essere vista come un fattore discolpante, in quanto in quasi tutti i profili psicologici redatti sul MdF (compreso quello De Fazio, vedasi capitolo Accadimenti finali) si parla di soggetto "iposessuato", probabilmente fortemente menomato nel rapporto con l'altro sesso. Se infatti esiste personaggio più lontano dal profilo psicologico di De Fazio, questi è proprio il Vinci Salvatore;
▪ ci si potrebbe chiedere perché, ammettendo che Salvatore Vinci sia stato l'autore o fra gli autori del delitto del 1968, sei anni dopo avrebbe dovuto commettere un delitto simile al precedente utilizzando la stessa pistola e gli stessi proiettili. Ammettendo che avesse avuto questo irrefrenabile impulso di iniziare una carriera da assassino seriale, sarebbe stato logico utilizzare una diversa arma, allontanando da sé qualsiasi connessione con il delitto precedente. Infatti, se nel 1974 a qualcuno fra gli inquirenti fosse venuto in mente sin da subito di fare una comparazione fra i due delitti, i sardi sarebbero finiti immediatamente sul banco deli imputati. Cosa, tra l'altro, avvenuta nel 1982, quando però forse era ormai troppo tardi per tentare di fare chiarezza.
▪ infine, ritenere che Salvatore Vinci sia il MdF implica accettare che la stessa persona abbia commesso un primo omicidio nel 1968 mosso da una motivazione maturata in un contesto familiare, di tipo passionale e/o economico, mentre in seguito abbia commesso i successivi omicidi mosso da una motivazione di tipo maniacale; risulta statisticamente un po' improbabile pensare che la persona che ha commesso il delitto del 1968 per vendetta, soldi o amore, sei anni dopo si trasformi in un feroce serial killer, evidentemente affetto da qualche grave patologia psichica che lo spinge però a colpire la stessa tipologia di vittime, nello stesso identico contesto, con quasi la stessa identica metodologia del primo delitto.

Sostenitori dell'ipotesi Salvatore Vinci sono:
▪ il giudice Francesco Ferri;
▪ buona parte dell'arma dei carabinieri che si è interessata al caso e su tutti il colonnello Nunziato Torrisi;
▪ il giornalista Alessandro Cecioni;
▪ una buona fetta di mostrologia passata e presente.



Ipotesi "Carlo"
Si tratta del cavallo di battaglia di Mario Spezi.
Secondo questa teoria, nel giugno del 1974 un personaggio soprannominato "Carlo", al secolo Antonio Vinci, figlio di Salvatore, avrebbe rubato dalla casa del padre la pistola con cui fu commesso il delitto del 1968.
Spezi sosteneva (tra l'altro correttamente) che esiste una denuncia di effrazione contro ignoti, firmata da Salvatore Vinci nella primavera del 1974, in seguito a un furto subito in casa.
Secondo l'ipotesi "Carlo", una volta venuto in possesso della pistola del padre, Antonio Vinci avrebbe cominciato la serie dei delitti nel settembre del 1974 quando aveva 15 anni e mezzo, uccidendo i poco più che maggiorenni Pasquale Gentilcore e Stefania Pettini, per poi fuggire subito dopo in Sardegna, tornare in Toscana all'inizio degli anni '80 e proseguire nel suo tragico percorso di sangue fino al 1985.

A sostegno dell'ipotesi "Carlo" c'è:
▪ la piena spiegazione dell'insolubile passaggio di mano della pistola e dei proiettili dai sardi al MdF;
▪ la piena spiegazione della diversa motivazione dei delitti: quello del '68 di natura passionale/economica commesso da Salvatore Vinci e da Stefano Mele; i successivi di natura maniacale, commessi da un ragazzo/uomo malato psichicamente, cresciuto in un ambiente perverso, che aveva avuto un padre violento e una madre morta quando lui aveva appena un anno, uccisa (almeno secondo questa teoria) proprio da quello stesso padre che lui odiava visceralmente. A questo proposito troverebbe pieno riscontro la frase di Francesco Vinci, secondo cui: "...il MdF è sicuramente una persona che da bambino ha sofferto molto".
Spezi inoltre faceva notare come il MdF separasse in ogni singolo duplice omicidio l'uomo dalla donna, quasi a voler rompere quel legame che univa le vittime; ricordava quindi come ad Antonio fosse stata strappata con violenza la donna più cara, la mamma, quando lui aveva solo un anno;
▪ nel 1974 dopo la denuncia da parte del padre, Antonio Vinci lasciò la Toscana e trascorse diversi anni in Sardegna. Non è dato sapere la data precisa del suo trasferimento, ma se fosse andato via (fuggito?) dopo il 14 settembre la cosa potrebbe risultare sospetta. Ritornò inoltre in Toscana proprio nei primissimi anni '80, in tempo per la ripresa degli omicidi;
▪ l'età di Antonio, quindici anni, in occasione del primo omicidio: molti criminologi ritengono infatti che i serial killer comincino a manifestare la propria violenza o addirittura a uccidere proprio durante l'adolescenza; inoltre questo spiegherebbe l'imperizia e l'impaccio con le armi da fuoco dimostrata dal MdF in occasione del delitto del 1974;
▪ sempre a proposito della giovane età di Antonio Vinci nel 1974, troverebbe conferma l'ipotesi avanzata dal criminologo Enea Oltremari, secondo cui l'autore del duplice omicidio del 1968 era una persona esperta che si mosse con perizia e decisione, mentre l'autore del duplice omicidio del 1974 era un killer alle prime armi, oltretutto piuttosto impacciato nell'uso della pistola.
A questo proposito si noti che anche De Fazio parlò a proposito del 1974 di un assassino che non aveva piena consapevolezza del potere d'arresto della propria arma;
▪ infine il particolare della borsetta della Pettini (Rabatta 1974), forse scagliata da un mezzo in movimento verso destra oltre il ciglio della strada: tale operazione si prestava male a essere eseguita da un'auto in movimento (il finestrino destro è quello opposto al lato di guida), ma tornerebbe comoda se a scagliare la borsa fosse stato un uomo in fuga su un ciclomotore. Avendo 15 anni nel 1974, Antonio Vinci aveva l'età per guidare un motorino, ma non un'automobile.

Contro l'ipotesi "Carlo" c'è:
▪ l'età di Antonio Vinci in occasione del delitto del 1974; forse un po' troppo giovane, nonostante quanto detto prima, per affrontare un ipotetico corpo a corpo contro due ragazzi di 18 anni; inoltre l'utilizzo piuttosto esperto dell'arma bianca potrebbe far propendere per un assassino più adulto in occasione del primo duplice omicidio;
▪ il fatto che nel 1985 abbia improvvisamente smesso di uccidere, seppur ancora molto giovane, è un importante fattore contrario. All'epoca Antonio aveva infatti 26 anni, un'età in cui i serial killer solitamente sono ben lontani dallo smettere di uccidere. Forse ha smesso di uccidere perché, come ritengono alcuni mostrologi, aveva finito i proiettili? Ma nel caso parliamo allora di un assassino perfettamente in grado di controllare i suoi istinti e le sue parafilie, dunque in contrasto con quanto detto finora sulle motivazioni e le pulsioni che, traendo spunto da un tragico passato, avevano spinto Antonio Vinci a commettere quegli atroci delitti.

Sostenitori della pista "Carlo" sono:
▪ Mario Spezi;
▪ lo scrittore James Douglas Preston;
▪ In parte il detective privato Davide Cannella.


Ipotesi autori multipli
Questa teoria è stata proposta - fra gli altri - dall'investigatore privato Davide Cannella, fondatore dell'agenzia investigativa Falco.
Cannella, che ha conosciuto a fondo l'intera famiglia Vinci, ritiene che tutti i delitti a partire dal 1968 siano stati opera dei 3 Vinci (Salvatore, Francesco e il giovane Antonio) che di volta in volta si sono passati di mano la pistola, uccidendo e assolvendosi a vicenda.
Secondo tale teoria (che lo stesso Cannella nell'ultimo suo libro ha messo da parte per abbracciare quella di un duo formato da Francesco e Antonio Vinci), il proprietario della pistola era Francesco che nel 1968 convinse il Mele a uccidere la Locci e il Lo Bianco (ricordiamo che su Francesco Vinci la prova del guanto di paraffina aveva dato esito negativo).
Dal 1974 in poi fu la coppia formata da Francesco e Salvatore a colpire. Nel 1982 Antonio Vinci avrebbe provveduto a nascondere l'automobile di Francesco nella campagna grossetana. Nel 1983 e nel 1984 avrebbe colpito lo stesso Antonio Vinci per far uscire di galera Francesco Vinci. Nel 1985 Francesco era in Francia, Salvatore era tenuto sotto controllo dai carabinieri, quindi probabilmente avrebbe ancora una volta colpito Antonio Vinci (anche se lo stesso Cannella ha dichiarato più volte di star cercando le prove per dimostrare che Francesco proprio in occasione del delitto degli Scopeti era tornato a Firenze).
Recentemente, nel suo libro "Winchester calibro 22, serie H", lo stesso Cannella ha modificato in parte la sua teoria, escludendo Salvatore Vinci dal lotto degli assassini. Il suo elaborato prevede ora una complicità fra zio e nipote, Francesco e Antonio, con il primo che ha colpito dal 1968 al 1982, il secondo ha colpito nel 1983 e nel 1984, infine in coppia (con Francesco rientrato in fretta e furia dalla Francia) avrebbero ucciso i francesi nel 1985.
Non ci sono specifici "pro" su cui discutere per quanto riguarda questa ipotesi, se non che sembra un'idea nata e sviluppata appositamente ad arte per far quadrare tutto. Oltretutto la prima ipotesi di Cannella, quella che vedeva un sodalizio omicida fra Salvatore e Francesco, era obbiettivamente difficilmente digeribile, considerando il ben noto astio fra i due fratelli Vinci.
Appunto per questo, per quanto riguarda i "contro", c'è da dire che i rapporti che intercorrevano fra i 3 elementi della famiglia Vinci non erano affatto buoni. Antonio odiava il padre Salvatore, mentre aveva ottimi rapporti con Francesco. Analogamente pessimi erano i rapporti fra Francesco e Salvatore. Immaginarli coalizzati a compiere i delitti del MdF risulta quanto meno difficile.

Non ci sono altre teorie all'interno della Pista Sarda, considerando che l'ipotesi più gettonata ad inizio anni '80, cioè quella che voleva Francesco Vinci serial killer solitario, è da escludere per ovvi motivi.
Dunque, se si pensa che il MdF sia uno di sardi non si fugge da una di queste tre ipotesi:
▪ Salvatore Vinci
▪ Antonio Vinci
▪ Salvatore e/o Antonio e/o Francesco in combutta, alternadosi sulla scena del crimine.


Conclusioni
Come elucubrazioni finali, sempre volendo rimanere fedeli a un ipotetico delitto del 1968 commesso dai sardi, c'è da ribadire che questo non implica necessariamente che il MdF fosse uno dei sardi. In tal caso però va previsto e spiegato il passaggio di mano della pistola.

Facendo uno schema finale, abbiamo questa situazione:

► Se 1968 = Sardi e 1974-1985 = Sardi → l'autore di tutti questi delitti è necessariamente Salvatore Vinci o Antonio Vinci o una banda che comprende due o tre fra Salvatore, Antonio e Francesco.

► Se 1968 = Sardi e 1974-1985 = "Altro Autore" → va spiegato il passaggio di mano della pistola.

► Se 1968 = "Altro Autore" e 1974-1985 = "Altro Autore" → i sardi non c'entrano nulla col 1968. Trattasi in questo caso di serial killer unico dal 1968 al 1985 per tutti gli 8 duplici omicidi. Dunque Stefano Mele non è mai stato sul luogo del delitto, Natalino è presumibilmente andato solo e a piedi a casa dei De Felice, a meno di non considerare che sia stato proprio il MdF ad accompagnarlo (cosa abbastanza improbabile) oppure che il Mele sia capitato sul luogo del delitto successivamente, pur senza c'entrare con l'omicidio.




21 commenti:

  1. Complimenti davvero: non ho mai finora letto sull' argomento nessun articolo o blog al contempo piu' chiaro, sintetico, lucido, essenziale e completo. In qualità di neofita vorrei proporre all'attenzione di chi interessato una ipotesi: uno dei personaggi "istituzionali" che per primi si sono recati sulla scena del crimine del 1968 raccoglie la pistola diventando in futuro il MdF. Questa ipotesi spiegherebbe meglio molti elementi critici e scarsamente probabili con cui devono fare i conti le altre teorie. Quindi non un "mostro in divisa qualsiasi ma un mostro in divisa all'interno di una cerchia molto ristretta di personaggi. Qualcuno sa se é stata fatta qualche indagine in questa direzione (valutazione per ogni personaggio della possibilità o impossibilità assoluta dell'ipotesi e partendo da qui raccogliere elementi "suggestivi" relativi al comportamento o alla storia del personaggio per poi eventualmente procedere alla ricerca di prove specifiche). Capisco le difficoltà oggettive e la delicatezza di una ricerca di questo tipo. Qualcuno e' a conoscenza se é stata fatta un'indagine giudiziaria o anche una ricerca storica in questo ambito molto preciso di personaggi non ipotetici ma reali ed identificabili in modo certo? Ringrazio per l'attenzione e mi scuso se per la conoscenza limitata dell' argomento ho scritto qualche sciocchezza.
    Alan Shekkaldor



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    1. Ti ringrazio davvero per i complimenti. Il mio fine è solo quello di far maggiore chiarezza possibile nel mare magno della Mostrologia. La maggior parte del merito va però ai veri studiosi del caso, ai vari Flanz Vinci, Omar Quatar, Segnini e compagnia bella.

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  2. Trovo che il dubbio qui sopra riportato da Anonimo (il 27 agosto 2021 16:36) è esattamente un'idea che avevo avuto anche io per trovare il bandolo di questa intricatissima matassa dopo avere letto di tutto e di più sull'argomento (sia in rete che sui libri e, quindi, dopo avere sentito tutte le campane). Vi segnalo che su You Tube ci sono quattro parti chiamate Mostro di Firenze - Cambio di Prospettiva che sposano proprio questa tesi (del MdF "istituzionale") e, a parer mio, devo ammettere che può andata essere esattamente cosi. Andate a vedere e, magari, ditemi cosa ne pensate. Ecco uno dei quattro (il terzo) link https://www.youtube.com/watch?v=d42v0isVaEg e soprattutto il quarto qui: https://www.youtube.com/watch?v=AHO-jeRn1Vs

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    1. Ciao, ben noti a chi scrive queste pagine le interviste di "Giovanni" sul canale di Flanz. Lo stesso "Giovanni" ebbe poi modo di intervenire in una puntata de "Le notti del mistero" su "Florence International Radio" in cui si parlava di Salvatore Vinci.

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  3. In effetti, quanto affermato da "Giovanni" circa uno dei personaggi "istituzionali" che per primi si sono recati sulla scena del crimine del 1968 raccoglie la pistola diventando in futuro il MdF è sicuramente un'ipotesi suggestiva e per certi versi anche azzardata (figlia, però, anche del fatto che in tutti questi anni ogni strada alternativa percorsa si è rivelata poi essere un vicolo cieco), ma, andando quindi per esclusione, paradossalmente questa ipotesi si incastonerebbe perfettamente con tutto. Secondo me c'è da pensarci forte che sia andata effettivamente come afferma "Giovanni".

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  4. in questo video, qui il link
    https://www.youtube.com/watch?v=Ql_yJM0_AOQ
    al primo commento di tale Sally LittleWilloW scrive:
    "Complimenti, un compendio e un'analisi chiari, precisi, puliti, inappuntabili. Sono assolutamente d'accordo, anch'io ho sempre pensato che i delitti del '68 non fossero compiuti dal mostro e che la lettera in cui provvidamente veniva richiamato quel caso, fosse un depistaggio ad opera del mostro stesso. Proprio in virtù di quella "vicinanza" di costui agli ambienti giudiziari, con cui dimostra di avere familiarità (tanto che indirizza gli inquirenti a Perugia) mi sono anche sempre chiesta se i bossoli così opportunamente "ritrovati" all'interno del fascicolo fossero veramente quelli originali (e che avrebbero dovuto andare distrutti a sentenza passata in giudicato, per la loro natura probatoria) o se fossero stati opportunamente sostituiti per creare un collegamento tra il duplice delitto del '68 e quelli successivi, del "vero" mostro. Comunque, di nuovo complimenti, un video lungo, ma talmente ben narrato da ascoltare in un soffio."
    Mi domando, avete mai pensato che fosse stato un arguto depistaggio ad opera del vero MdF in modo che, da allora, si battè la cosiddetta pista sarda, distogliendo quindi forze ed attenzioni, senza arrivare ad una soluzione e, soprattutto, lasciando cosi al vero MdF campo libero di agire, cosa poi, ai fatti, avvenuta?

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    1. Ciao, se leggi il capitolo "La Pista Sarda", fra le avrie possibilità è contemplata anche quella che stai sostenendo. ;-)

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  5. La pista sarda fu arata in lungo e in largg

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  6. Forse chi "avvisò" gli inquirenti che anche il delitto '68 era opera della stessa arma era il mostro stesso e voleva solo appropriarsi di un delitto che era stato erroneamente attribuito ad altri (Stefano mele). Unica arma, unico serial killer per tutti gli 8 duplici omicidi. Questa per me è lo scenario più realistico perché è anche il più semplice. Trovo il passaggio di mano della pistola una forzatura enorme che non sta in piedi mai. E diffidare dai testimoni che ricordano a decenni di distanza.

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  7. "Giovanni" non è chi lascia intendere di essere, non fatevi ingannare dalle vostre stesse impressioni.

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  8. Chi è Giovanni dunque?

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  9. Ciao Luigi, rinnovo come già fatto da altri i complimenti per il lavoro fatto in questo blog. E' veramente eccezionale.

    Devo ancora finire di leggere il resto del materiale, ma analizzando tutti i dati e i riscontri che riporti finora, mi verrebbe da dire che il delitto del '68 ha con buona probabilità matrice sarda, con anche una certa probabilità di presenza di Stefano Mele sulla scena del crimine.

    La sua non conoscenza dei luoghi, il fatto che non possedesse un'auto e la sua incompetenza sull'uso della pistola fa pensare che lui abbia solo accompagnato qualcun altro, che ha poi sparato e commesso l'omicidio. A questo punto, lo stesso avrebbe poi accompagnato Stefano Mele verso casa e Natalino dal de Felice.

    Non è però necessario ipotizzare che questo accompagnatore/killer facesse parte direttamente del clan dei sardi; potrebbe essere una persona terza, conosciuta dai Mele/dai Vinci ma non strettamente imparentata con loro. Come dici tu stesso nell'ipotesi 3, potrebbe benissimo essere un sicario assoldato.

    Ai miei occhi questa è l'ipotesi che richiede meno complicazioni, spiega bene il delitto del '68 (che pare di mandanti sardi), e spiega anche i successivi omicidi senza richiedere un passaggio di pistola e munizioni (perché già in mano al sicario, che poi diventerebbe il mostro).

    Le teorie che riguardano la pistola trovata sul posto del primo omicidio del '68 da qualcuno di "istituzionale" che poi è diventato il mostro non spiegano come siano passati anche i proiettili, che ricordiamo sono tutti della stessa partita. A me pare inverosimile che siano stati lasciati sul posto sia pistola che scatola di munizioni.

    Che ne pensi?

    Francesco S.

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    1. Buongiorno Francesco, perdonami il ritardo con cui ti rispondo ma solo ora sto riprendendo le fila di questi scritti.
      La tua è un'ipotesi valida e sicura ben degna di essere contemplata. Come ben sai, non è l'unica però.

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  10. Ciao complimenti per il sito che riassume così bene questa intricata vicenda. Volevo chiederti una cosa, se il delitto del '68 è stato fatto dai sardi, e poi un guardone ha raccolto la pistola e ha cominciato a uccidere nel '74, come viene spiegato il fatto che le munizioni fossero le stesse?

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    1. Buongiorno, perdonami il ritardo con cui ti rispondo ma - come ho già scritto - solo ora sto riprendendo le fila di questi scritti.
      Per quanto riguarda la tua domanda, non è di facile spiegazione quello che chiedi.
      L'ottimo Segnini, fautore della teoria che vede Lotti guardone nel '68 che recupera l'arma e poi diventa il MdF, la spiega (almeno la spiegava, non so se al momento è ancora fedele a questa idea) in una maniera un po' tirata per i capelli a mio modo di vedere. Te la riporto in maniera davvero sintetica:
      1. i sardi comprano le munioni per la pistola in vista del delitto imminente;
      2. compiono il delitto e gettano via la pistola mentre Lotti li spia;
      3. Lotti recupera l'arma priva di munizioni;
      4. il giorno dopo va in armeria, per coincidenza la stessa dove erano stati i sardi, compra a sua volta le munizioni e fatalmente sono della stessa partita delle precedenti.

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  11. Ottimo sito, complimenti sinceri. Personalmente sono per la tesi SV (semplice e lineare) perché spiega sia le ragioni del delitto del ‘68 che la fine della serie (nell’estate ‘86 era in carcere). Tuttavia mi sono sembre chiesto se abbiano indagato a fondo su altre figure contermini al giro delle famiglie Mele e Vinci: tipo CC o altri (metto apposta le mere iniziali). Nè va escluso un sicario che, dal ‘74, ha voluto rivivere in proprio l’esperienza: figura che si attaglia all’ultimo dei sospettati

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    1. Grazie per i complimenti, si fa il possibile perché venga fuori qualcosa di leggibile e che aiuti a chiarire le idee.

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  12. Buongiorno Luigi. Tu scrivi che l'assassino di Signa frugo' nella borsa della vittima femminile. Se cosi' fosse, si tratterebbe, a mio modesto avviso, di un forte elemento a favore dell'ipotesi continuista. Ma, leggendo il recente libro di Zanetti, mi accorgo che questo dato non e' riportato in nessun verbale. Potresti specificare quali fonti vengono generalmente seguite quando si fa riferimento alla borsetta rovistata, e quanto affidali siano quiestye fonti?

    Non c'e' nessun intento polemico nella mia domanda. Io sono di quelli che crede che il delitto del 1968 sia stato commesso dalla stessa persona che ha commesso tutti i seguenti, per cui una conferma che la borsetta venne realmente rovistata dall'assassino rafforzerebbe le mie convinzioni.

    Grazie!

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    1. Ciao e grazie per il commento. Per rispondere alla tua domanda ti rimando al capitolo “Castelletti di Signa” in cui scrivo testualmente:
      “Fra il sedile e il montante dello sportello lato passeggero venne rinvenuto un borsello da donna aperto con all'interno circa 25.000 lire; il borsello sembrava essere stato trafugato ma non risultò mancare nulla. Anche in questo caso si è scelto di sottolineare il predicato verbale perché evidenze documentali sulla circostanza che la borsa sia stata effettivamente trafugata non ve ne sono, tuttavia il fatto che sia stata trovata aperta potrebbe lasciarlo intendere.”
      Quindi no, nessuna fonte più o meno attendibile, una semplice presunzione analoga alla Locci “verosimilmente ricomposta”.
      Ne approfitto per ribadirlo anche qui.
      Ciao e grazie.

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    2. Grazie mille per il chiarimento. E scusami per aver dimenticato quello che gia' avevi scritto nel capitolo "Castelletti di Signa". Avevo in realta' letto quel capitolo, ma alcuni mesi fa, e purtroppo non ho una buona memoria.

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  13. Ciao complimenti per il blog e per il lavoro svolto e messoci a disposizione
    Se consideriamo Salvatore Vinci un ottimo manipolatore e stratega allora non può essere lui l'eventuale mandante perché si sarebbe costruito un alibi mooolto più solido. Invece credo che alla notizia della scoperta dei cadaveri se lo sia creato su due piedi perché per quella sera non ha alibi e sa che lo sospetteranno. La cosa più logica è coinvolgere antenucci e vargiu con cui esce spesso facendo sempre le medesime cose.
    Io credo che Il mele abbia seguito la locci perché aveva paura che la sentenza di morte emessa dai sardi avrebbe coinvolto anche il figlio presente quella sera. Il mostro, uno fuori dai sardi ma che conosce le dinamiche interne al gruppo, uccide e se ne va. Il mele esce dal suo nascondiglio e porta via il bambino dimenticandosi le scarpine per la fretta e la paura. Accuserà gli altri perché non sa chi sia l omicida e presuppone che accusandoli tutti qualcuno cederà e confesserà o gli inquirenti lo troveranno. Il mostro dietroe quinte se la ride. Non deve essere per forza uno dello stato, gli bastava conoscere la locci ed i sardi anche so marginalmente
    Secondo me li si doveva indagare
    Grazie a chi avrà vpglia di leggere

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