I soldi del Pacciani


Del patrimonio di Pacciani aveva già iniziato ad occuparsi l'allora capo della SAM, Ruggero Perugini, nelle indagini condotte a inizio anni '90, allorché durante le varie perquisizioni erano stati ritrovati buoni e libretti postali per un totale di circa 120 milioni di lire. All'epoca non venne sequestrato nulla perché Pacciani veniva visto come il serial killer unico delle coppiette e l'ipotesi dei mandanti era ancora lontana da venire.
Da maggio del 1996, il super-poliziotto Michele Giuttari ricominciò a interessarsi al patrimonio di Pacciani. Come visto nel capitolo Il contadino di Mercatale, a luglio fu perquisito il centro di accoglienza "Il Samaritano", dove Pacciani era stato ospite per un breve periodo dopo l'assoluzione in secondo grado, mentre la sua confidente spirituale, nonché custode del suo patrimonio, Suor Elisabetta, venne interrogata in questura per ben 13 ore.
A novembre dello stesso anno, dopo che il Lotti aveva cominciato a parlare esplicitamente del "dottore che pagava i feticci", le indagini si fecero capillari, ottenendo dei risultati che ancora oggi sono oggetto di contesa fra innocentisti e colpevolisti.
Che Pacciani, a metà anni '90, possedesse infatti un patrimonio piuttosto elevato per quello che era il suo stile di vita e quelle che erano state le sue mansioni, è indubbio. Che tale patrimonio fosse stato frutto della vendita dei cosiddetti "feticci" ai mandanti dei delitti del MdF è tuttavia argomento decisamente dibattuto e spesso fortemente messo in dubbio.

Entrando nel dettaglio, a pagina 240 del suo libro "Il mostro. Anatomia di un'indagine", Giuttari stima il patrimonio di Pacciani come di seguito indicato:
● Buoni Postali Fruttiferi, sia ordinari che vincolati, alcuni intestati a lui, altri a lui e alle figlie, emessi dagli Uffici postali di Montefiridolfi, di San Casciano, di Cerbaia e Mercatale. Il primo venne acquistato il 18 giugno 1981, dodici giorni dopo il primo degli omicidi del MdF a cadenza annuale; l'ultimo il 26 maggio 1987. Tra le due date, gli acquisti erano avvenuti ogni anno;
● Libretti di risparmio presso gli Uffici Postali di Mercatale e Scandicci.
Il totale fra i Buoni Postali Fruttiferi e i libretti di risparmio ammontava a circa 158 milioni di vecchie lire.
Sempre dal resoconto letterario di Giuttari, a ciò andava aggiunto:
● Una casa acquistata in data 30 settembre 1979 (pagata 26 milioni), un'altra il 30 giugno 1984 (pagata 35 milioni);
● Un'automobile Ford Fiesta acquistata nuova nel dicembre 1982 e pagata in contanti 6 milioni di lire.
Facendo le debite somme, dal 1979 al 1987 gli investimenti/risparmi di Pacciani, ammontavano a circa 225 milioni di lire.
Sempre secondo Giuttari, a fronte di questo piccolo patrimonio, c'erano state le seguenti entrate:
● Proventi del lavoro in carcere dal 1951 al 1964, equivalenti 350.000 lire;
● Pensioni sociali dei suoceri finché questi furono in vita;
● Attività di mezzadro agricolo, equivalenti a poche migliaia di lire al giorno negli anni '60 e '70.

È ovvio come i numeri che ci fornisce Giuttari inducano l'idea di qualcosa che non torna: entrate esigue a dispetto di un patrimonio relativamente alto. Viene naturale chiedersi come Pacciani fosse riuscito a mettere da parte quei famosi 157 milioni (225 compreso case e automobili). Va bene la famigerata avarizia del contadino, va bene che - come ci ricorda Vigna - non era sicuramente la persona che nel weekend andava a fare la spesa per la famiglia; va bene che razziava tutte le discariche della zona per procurarsi vestiti, mobili, sanitari e oggettistica varia; va bene che per quanto riguarda il cibo provvedeva personalmente tramite caccia, agricoltura e ricorrendo finanche alle scatolette per cani; però la differenza fra entrate e investimenti era troppo netta per poterla giustificare semplicemente con l'avarizia o con altre attività di basso conto come la caccia di frodo, che quasi sicuramente svolgeva.
Tali numeri risultano ancora più spropositati se facciamo riferimento ai calcoli eseguiti dall'avvocato Patrizio Pellegrini, difensore di Parte Civile per la famiglia Rontini, il quale nell'udienza del 24 febbraio 1998 del Processo ai CdM stimò un potere d'acquisto di quel patrimonio, maturato per lo più fra il 1979 e il 1987, di circa 900 milioni di lire nel 1998.
A scanso di equivoci, è necessario subito precisare che i calcoli dell'avvocato Pellegrini sono risultati sbagliati. La mostrologia moderna, anche grazie agli strumenti di calcolo e di rivalutazione monetaria offerti dal web, ha infatti più che dimezzato la stima prodotta in sede processuale.
Inoltre, i numeri forniti alla voce entrate da Giuttari nel suo libro (riportati ovviamente senza alcun crisma di ufficialità) non possono essere ritenuti corretti se paragonati, ad esempio, a quelli forniti dalla Squadra Mobile di Firenze in un documento ufficiale stilato il 9 gennaio 1997, in cui veniva ricostruito l'andamento delle finanze del Pacciani a partire dal 1951, anno del delitto della Tassinaia.
Proprio partendo da tale documento è possibile avere un quadro completo che non è certo risolutivo nello stabilire se il patrimonio di Pacciani fosse o meno congruo, ma almeno fornisce tutti i dati per permettere a ciascuno di farsi la propria legittima opinione.
Il rapporto della questura
Da tale documento si accerta che:
● Dall'aprile 1951 al luglio 1964, Pacciani era stato recluso per il delitto di Severino Bonini. Nel novembre 1963 un certificato del Comune di Vicchio, a firma del Sindaco, attestava il suo stato di "nullatenenza e povertà".
Al momento della scarcerazione (4 Luglio 1964), Pacciani disponeva di 350.000 lire, come riportava un estratto della pratica di "liberazione di Pacciani Pietro", redatta dalla Casa Circondariale di Padova.
Da questo primo punto possiamo dedurre che Pacciani entrato in carcere da nullatenente, ne era uscito con una somma piuttosto cospicua che equivaleva circa a quattro mesi di stipendio di un operaio.
● Dal 1965 al 1968, Pacciani aveva lavorato, in qualità di mezzadro, presso il podere "Casino Particchi", sito in località Badia a Bovino. Durante tale periodo, non aveva percepito alcuno stipendio, ma aveva diviso il raccolto e l'eventuale vendita di bestiame con il proprietario del fondo. A sentire la moglie del proprietario era a stento quanto bastava per sfamare una famiglia.
● Successivamente, aveva lavorato per tre anni in qualità di mezzadro, senza quindi ricevere una retribuzione in denaro, presso un podere in località Casini di Rufina.
● Tuttavia dall'aprile 1972 al febbraio 1973 Pacciani aveva acquistato 15 buoni fruttiferi presso l'ufficio postale di Contea, frazione di Rufina, per un importo complessivo di 5.100.000 lire.
Non è dato sapere la provenienza dei soldi che avevano permesso l'acquisto di tali buoni. Possiamo però dire con certezza che:
▪ l'importo era per i tempi piuttosto consistente, considerando che aveva un potere di acquisto paragonabile ai 40.000 euro del 2020;
▪ all'epoca c'era stato un solo delitto commesso dal MdF (1968) e non erano stati procurati feticci da vendere a eventuali mandanti. Inoltre quel delitto - secondo la sentenza del 1994 su cui si basava il lavoro di quella stessa Procura che indagava sul suo patrimonio - non era stato neanche commesso da Pacciani;
▪ Pacciani era stato evidentemente in grado, tramite attività lecite o meno, di procurarsi una sostanziosa somma di denaro che poi prontamente aveva investito, a dispetto di lavori "ufficiali" per nulla remunerativi;
▪ siccome nel 1971 era morta la mamma di Pacciani (la quale percepiva una pensione di 5000 lire mensili) e siccome risulta che la facoltà a riscuotere questi buoni era anche della sorella Rina, si potrebbe legittimamente ipotizzare che almeno parte di quei soldi fossero un lascito in contanti della madre, mai registrato ufficialmente.
● Nel gennaio 1973, la Angiolina Manni, moglie del Pacciani, aveva cominciato a beneficiare della pensione erogata dall'INPS per un importo che all'epoca era di 122.000 lire mensili (erano previste tredici mensilità) e che sarebbe stata rivalutata ogni anno fino ad arrivare all'importo di 659.000 lire nel 1997. Dello stesso trattamento pensionistico avrebbe usufruito anche Pacciani a partire dal febbraio del 1979. Per inciso, a metà anni '90 i coniugi intascavano circa 15/16 milioni annui di pensione, a fronte di spese davvero modeste.
A questo proposito, è doveroso evidenziare che anche il padre della Angiolina, il signor Pio Manni, dal novembre 1959 percepiva una pensione di categoria che si protrasse fino alla sua morte nel febbraio del 1978. Non risultano ufficialmente eredità lasciate da quest'ultimo ai coniugi Pacciani, ma non può essere escluso che un lascito non documentato sia effettivamente avvenuto.
● Ad aprile 1973 c'era stato il trasferimento a San Casciano. Qui, dal 15 Aprile 1973 al 31 Dicembre 1981 (dunque per quasi 9 anni), Pacciani aveva lavorato nell'importante azienda agricola di Giampaolo Rosselli del Turco, con le mansioni di operaio agricolo specializzato, percependo il pagamento di 40 ore settimanali e l'alloggio gratuito per la famiglia. La documentazione non riporta, in quanto probabilmente smarriti, i pagamenti ricevuti dal Pacciani fino al 1976, ma dal 1977 al 1981 si evincono introiti equivalenti a:
▪ 5.913.270 lire nel 1978 (relativi all'anno 1977);
▪ 4.293.383 lire nel 1979 (relativi all'anno 1978);
▪ 5.583.115 lire nel 1980 (relativi all'anno 1979);
▪ 5.007.741 lire nel 1981 (relativi all'anno 1980);
▪ 5.420.403 lire nel 1982 (relativi all'anno 1981).
Per un totale di 26.217.912 lire in cinque anni.
In realtà dovremmo anche considerare gli introiti dei precedenti quattro anni che ufficialmente non figurano da nessuna parte, ma è normale supporre ci siano stati. A questi vanno aggiunti i soldi della liquidazione che Pacciani aveva percepito il 31 dicembre 1981 nel momento in cui aveva interrotto il rapporto lavorativo con l'azienda, equivalenti a 9.465.000 lire.
Siamo dunque arrivati a valutare a fine 1981 entrate per almeno 35 milioni di lire, escludendo i quattro anni che non figurano, escludendo le pensioni, escludendo gli altissimi tassi di rendimento che all'epoca i buoni fruttiferi (tanto più se vincolati) generavano, escludendo un eventuale lascito del padre di Angiolina ed escludendo attività e traffici collaterali che sicuramente un personaggio come Pacciani aveva svolto. Sono ovviamente cifre ben diverse delle entrate nulle di cui parlava Giuttari.
● Tuttavia, sempre dal documento redatto dalla questura, risulta che in data 30 settembre 1979, Pacciani aveva acquistato la casa di Piazza del Popolo 7 per la somma di 26 milioni di lire (8 milioni tramite assegno e 18 milioni in contanti). Tale abitazione era stata intestata alle figlie.
Dai numeri forniti, risulta evidente che a quella data Pacciani ufficialmente non poteva essere in possesso di tale disponibilità economica. Stando agli introiti percepiti dal lavoro presso i Rosselli Del Turco, Pacciani aveva guadagnato fino a quel momento circa 10 milioni di lire. Dunque gli altri 16 milioni sono da ricercare probabilmente nel lavoro svolto nei quattro anni precedenti e di cui non vi è documentazione (una media di 4 milioni all'anno è in linea con gli introiti successivi) o nel riscatto di buoni acquistati in precedenza di cui non vi è traccia o in altre attività nascoste che Pacciani aveva svolto. Quello che appare certo è che non possono essere ricercati nella cosiddetta vendita dei feticci ai mandanti gaudenti, in quanto nel 1979 i delitti commessi dalla pistola del Mostro erano stati due, entrambi privi di escissioni, uno dei quali neanche commesso dal Pacciani secondo la sentenza Ognibene.
Possiamo comunque concludere che già nel 1979 Pacciani aveva investito/speso più di quanto ci è dato sapere fosse in suo possesso, dunque sicuramente già allora poteva attingere a fondi non documentati (leciti o meno) che sicuramente non avevano a che fare con le escissioni perpetrate dal MdF.

Si arriva dunque ad analizzare il periodo storico che maggiormente ci interessa e su cui si incentra tutto il lavoro condotto dal dottor Giuttari, braccio armato della Procura di Firenze.
● Il 6 giugno 1981 ebbe luogo il duplice omicidio in via dell'Arrigo, il primo in cui venne escisso il pube alla povera Carmela de Nuccio.
Dieci giorni dopo, esattamente fra il 16 e il 18 giugno 1981, Pacciani acquistò 7 buoni fruttiferi presso l'ufficio postale di Montefiridolfi per un importo di 2.300.000 lire.
Questo potrebbe indubbiamente essere considerato un movimento sospetto. Ma è altresì vero che in quel momento Pacciani presumibilmente era in grado di effettuare l'acquisto anche senza considerare l'eventuale vendita di un feticcio. Anche se ipotizziamo infatti che nel settembre 1979 Pacciani avesse dato fondo a tutti i suoi risparmi per l'acquisto della casa, dal 1 ottobre 1979 al 31 maggio 1981 aveva comunque avuto introiti per circa 8 milioni di lire, come risulta dal prospetto della questura.
● Nell'ottobre 1981 si verificò il duplice omicidio delle Bartoline in cui fu escisso il pube alla povera Susanna Cambi, ma a cui non seguirono (almeno nell'immediato) movimenti finanziari sospetti del Pacciani. Si è dovuto attendere cinque mesi, esattamente dal 12 marzo al 26 aprile 1982, perché Pacciani acquistasse 11 buoni fruttiferi presso l'ufficio postale di Mercatale per un importo complessivo di 4.650.000 lire.
Anche in questo caso vale lo stesso discorso di cui sopra. Potrebbe essere considerato un movimento sospetto (anche se a distanza di cinque/sei mesi dal duplice omicidio), ma stando ai numeri, in quel momento Pacciani aveva comunque la disponibilità economica per effettuare l'acquisto, indipendentemente dagli omicidi.
● Fra la fine del 1981 e gli inizi del 1982 Pacciani ebbe i 9 milioni e mezzo di liquidazione di cui sopra. Nel giugno 1982 si verificò il duplice omicidio di Baccaiano, in cui non vi furono escissioni. Un delitto per cui Pacciani non avrebbe potuto avere alcun genere di ricavo, eppure da luglio 1982 a novembre 1982 acquistò 16 buoni fruttiferi per un importo complessivo di 5.400.000 lire.
● Nel dicembre del 1982, Pacciani acquistò alla cifra di 6 milioni in contanti più la permuta della propria Fiat 600, una Ford Fiesta nuova.
Facendo due calcoli, siamo sempre nell'ambito di soldi ufficialmente in suo possesso. Abbiamo supposto infatti che con l'acquisto della casa, al 30 settembre 1979, Pacciani avesse dato fondo al suo patrimonio. Dal 1 ottobre 1979 al dicembre 1982 aveva avuto introiti ufficiali per circa 25 milioni di lire (senza considerare le pensioni) e uscite/investimenti per circa 18 milioni.
● Sempre nel dicembre 1982 Pacciani cominciò a lavorare presso la famiglia Gazziero in qualità di operaio agricolo avanzato per una retribuzione di 5000/6000 lire l'ora fino a metà del 1984.
Secondo i Gazziero, la collaborazione del Pacciani fu saltuaria. In uno dei suoi memoriali, il Pacciani invece scriveva: "Arrivavo lì alle 7 di ogni mattina e tornavo a casa alle 6 di sera. Ero l’unico operaio, lavoravo 10 ore al giorno con lo straordinario, gli lavoravo la vigna, gli facevo il vino, l’olio, l’orto, il giardino, tenendogli l’azienda in perfetto ordine. Mi volevano bene e mi facevano pure dei regali oltre la paga".
Dove risieda la verità, non è dato saperlo. Pacciani era certamente un bugiardo cronico, ma che i Gazziero avessero interesse a sminuire più possibile il rapporto di lavoro con colui che all'epoca delle indagini veniva definito il Mostro di Firenze, sembra abbastanza naturale.
● L'acquisto di buoni fruttiferi riprese nel marzo del 1983 e continuò fino al luglio dello stesso anno sempre presso l'ufficio postale di Mercatale per un importo complessivo di 5.000.000 di lire.
● Il 9 settembre 1983 furono uccisi i due ragazzi tedeschi a Giogoli e anche in questo caso non vi furono escissioni. Il giorno successivo (10 settembre) tuttavia Pacciani acquistò 4 buoni fruttiferi presso l'ufficio postale di Mercatale per un importo complessivo di 1.200.000 lire.
Il sospetto che gli investimenti in buoni fruttiferi non fossero collegati alle escissioni compiute del MdF, potrebbe a questo punto essere legittimo. Ciò ovviamente non esclude che un compenso minimo poteva essere corrisposto al Pacciani solo per gli omicidi, anche se poi sarebbe lecito chiedersi perché i mandanti avrebbero dovuto pagare per dei delitti che non prevedevano parti di pube o di seno delle vittime femminili se, come ci è stato raccontato dalla Ghiribelli, erano il motivo per cui gli stessi omicidi venivano commessi, risultando necessari per i loro riti esoterici.

A partire dal 1984 la situazione però si complica ulteriormente.
Nonostante fossero passati due anni e mezzo dall'ultima escissione del MdF, Pacciani cominciò a effettuare investimenti più importanti, da questo punto in poi superiori alle sue disponibilità finanziarie ufficiali, che comunque - è bene ribadire - non erano così irrisorie come Giuttari ha inteso sostenere nei suoi scritti.
Appurato che non sembra esserci una diretta connessione fra escissione e investimento, possiamo ipotizzare che Pacciani avesse altre fonti di guadagno, probabilmente non lecite, che potrebbero abbracciare un amplissimo spettro di possibilità: da quelle più banali come la caccia di frodo, il furto o la ricettazione, fino ad arrivare a quelle penalmente più rilevanti e connesse con la vicenda del MdF, come l'eventuale ricatto verso i veri autori degli omicidi o gli omicidi stessi da lui commessi e ricompensati indipendentemente dalle escissioni. In quest'ultimo caso - come dicevamo - risulta difficile pensare a dei mandanti in cerca delle parti femminili per i loro riti esoterici (cadrebbe dunque l'ipotesi lottiana del dottore che pagava i feticci) e si dovrebbe pensare a omicidi commissionati per altre oscure motivazioni. Ma qui si entra davvero nel campo di speculazioni puramente ipotetiche che non hanno alcuna base documentale.
Limitandoci a ciò che realmente è deducibile dai documenti e riassumendo ciò che abbiamo ricavato finora, possiamo affermare che:
1. Nel 1972 Pacciani dimostra di possedere soldi non ufficialmente documentati che investe in buoni fruttiferi, già molto prima che iniziasse la catena omicidiaria a lui addebitabile;
2. Nel 1979 Pacciani dimostra di possedere soldi non ufficialmente documentati che utilizza per comprare una casa, quando ancora non era stata eseguita alcuna escissione nei delitti addebitabili al MdF;
3. Presupponendo spese familiari minime (il che è coerente con il personaggio), dal 1979 al 1983 gli investimenti del Pacciani sono bene o male in linea con le sue entrate;
4. Non sembra esserci una diretta connessione fra investimenti ed escissioni;
5. A partire dal 1984 gli investimenti del Pacciani, fra immobili e buoni fruttiferi, superano le sue entrate, toccando un picco nel biennio 1986/1987, indice sicuramente di altre attività remunerative (associate a un'avarizia patologica) che il Pacciani conduceva e su cui ci si può limitare a fare solo vaghe ipotesi non supportate dai fatti.

Riprendendo comunque il documento redatto dalla questura, abbiamo che:
● Il 30 giugno 1984 (un mese prima del duplice delitto di Vicchio e dopo quasi tre anni che non si verificavano escissioni) Pacciani acquistò una casa in pessimo stato in via Sonnino 32 a Mercatale per la cifra di 35.000.000 di lire, su cui successivamente eseguì in prima persona con l'aiuto di un amico muratore (Giuliano Pucci, NdA) importanti lavori di ristrutturazione.
Al termine dei lavori, la casa fu divisa in due appartamenti, uno dei quali fu venduto il primo marzo 1986 per un importo sconosciuto. L'altro fu dato in affitto nel 1985 e 1986 alla signora Elena Betti per un canone mensile di 300.000 lire; da novembre 1986 a dicembre 1987 fu affittato a un gruppo di ragazzi che lo usarono come sala prove per un importo complessivo di 2.400.000 lire.
● A dispetto della ingente spesa sostenuta, sempre nel 1984 Pacciani continuò con l'aquisto di ulteriori buoni postali per un importo complessivo di 5.000.000 di lire. Nel mezzo (29 luglio 1984) c'era stato il terribile duplice omicidio di Vicchio con doppia escissione.
● Nel 1985 Pacciani acquistò buoni postali per 8.800.000 lire. A settembre ci fu il duplice omicidio degli Scopeti, anche questo con doppia escissione.
● Dal 24 ottobre 1985 al 6 aprile 1987 Pacciani lavorò in tre periodi diversi come bracciante agricolo avventizio presso la Fattoria di Luiano, a Mercatale Val di Pesa. Percepì una retribuzione complessiva 1.600.000 lire.
Contemporaneamente lavorò saltuariamente presso le tenute di F.F. a Mercatale e di D.M. a Villa Verde a San Casciano (da quest'ultima occupazione pare fu mandato via dopo un giorno di lavoro per avere avuto un atteggiamento indisponente nei confronti della moglie del proprietario).
● Nel 1986 Pacciani acquistò buoni per lire 24.000.000 di lire e nel 1987 per ben 27.050.000 lire.

Facendo qualche rapido calcolo, possiamo dire che nei quattro anni fra il 1984 e il 1987, Pacciani ebbe spese/investimenti pari a 99.850.000 lire, senza considerare le spese della ristrutturazione della casa che, seppur minime, non possono non esserci state.
Nello stesso periodo è difficile quantificare le entrate ufficiali di casa Pacciani: sicuramente c'erano le due pensioni (sua e della Angiolina), che all'epoca potremmo quantificare complessivamente in una decina scarsa di milioni all'anno, quindi 40 milioni totali. C'erano i soldi dell'affitto della Betti, che potremmo quantificare in circa 7.000.000 di lire, i soldi dell'affitto dei musicisti (2.400.000) e lo stipendio percepito per il lavoro alla fattoria di Luiano (1.600.000); per un totale di 52 milioni di lire.
A questa cifra andrebbero aggiunti i sei mesi di lavoro dai Gazziero che non sono documentati e una molto eventuale liquidazione (non parliamo sicuramente di cifre elevate), i due lavori saltuari a Mercatale e a Villa Verde (parliamo molto probabilmente di spiccioli) e la vendita della porzione di casa in via Sonnino. Quest'ultimo è un dato che sicuramente sarebbe stato interessante avere, ma che non risulta da nessun documento ufficiale e in ogni caso non potrebbe compensare il profondo gap di quasi 50 milioni fra entrate e uscite del suddetto quadriennio.
È corretto tuttavia dire che alle finanze di casa Pacciani potrebbero aver contribuito le entrate delle due figlie di Pietro. Infatti risulta che:
● Dall'ottobre 1985 al marzo 1991, Rosanna Pacciani lavorò come domestica percependo una retribuzione mensile compresa fra le 500.000 e le 750.000 lire mensili, vitto e alloggio compresi. Quindi fino al 1987 la Rosanna potrebbe aver portato a casa una dozzina di milioni, verosimilmente finiti fra le grinfie paterne.
● Nel 1987 e nel 1988, Graziella Pacciani lavorò come domestica per 800.000 lire mensili, vitto e alloggio compresi. Quindi fino al 1987 la Graziella potrebbe aver portato a casa circa 9 milioni.
Se consideriamo dunque questa ventina di milioni e l'ipotetico prezzo della vendita di porzione di casa in via Sonnino, il gap potrebbe ridursi notevolmente. A colmarlo definitivamente potrebbero averci pensato i traffici e le attività collaterali del Pacciani o i già citati notevoli tassi di rendimento che all'epoca avevano i buoni fruttiferi postali e che sicuramente in buona parte hanno contribuito a far lievitare il patrimonio del Pacciani.

Resta inteso che si tratta di deduzioni che non risolvono certamente l'atavico conflitto fra colpevolisti e innocentisti.
La sensazione, tuttavia, è che da parte di alcuni organi inquirenti e soprattutto della stampa si sia favoleggiato tanto su questo patrimonio, mentre numeri alla mano c'è un evidente divario fra entrate e uscite, ma non così esagerato da non potersi aprioristicamente spiegare. È ovvio che tale divario, inserito in un contesto quale quello dei delitti del Mostro, tanto più formatosi negli anni dei delitti, abbia comunque innescato una serie di legittimi dubbi (non ancora fugati per alcune correnti mostrologiche) e di successive indagini.

Con il 1987 finisce il periodo che maggiormente ha interessato le indagini della Procura di Firenze. Per quanto riguarda gli anni successivi, abbiamo:
● Dal luglio 1987 al dicembre 1991, Pacciani finì in carcere per le violenze alla moglie e alle figlie. Durante la detenzione percepì (oltre alla pensione) 593.000 lire nel 1988 e 386.000 lire nel 1989. Non si hanno notizie ufficiali sugli anni 1990 e 1991.
● Durante il periodo di detenzione a Sollicciano aprì un libretto di risparmio presso un ufficio postale di Scandicci, cui dal febbraio 1989 al dicembre 1991 versò 18.465.000 lire che successivamente spostò in larga parte su un altro libretto aperto a Mercatale.

A questo proposito, c'è un ultimo punto su cui rivolgiamo la nostra attenzione e riguarda gli uffici postali presso cui Pacciani avrebbe fatto le proprie operazioni.
La sentenza di condanna in primo grado del Processo ai CdM asserisce che Pacciani avrebbe disseminato i suoi buoni postali e i suoi libretti di risparmio: "tra i vari uffici del circondario (Mercatale, Montefiridolfi, San Casciano, Cerbaia e Scandicci), chiaramente per tener nascosta tanta provenienza di denaro, non sicuramente di fonte lecita".
Ora, che Pacciani avesse una fonte di denaro non lecita possiamo ritenerlo estremamente probabile. Che la fonte illecita fosse connessa ai delitti del MdF è una deduzione possibile ma che non è mai stata provata. Che avesse disseminato i buoni fra i vari uffici postali del circondario per nascondere il denaro, risulta però non troppo credibile (o almeno che li volesse nascondere agli occhi di eventuali inquirenti) per due motivi:
► Gli uffici postali in cu Pacciani ha acquistato i buoni fruttiferi seguono in maniera tutto sommato precisa l'andamento dei suoi domicili: ha infatti comprato buoni all'ufficio postale di Contea quando lavorava alla Rufina; è passato all'ufficio di Montefiridolfi quando viveva a Sant'Anna; si è rivolto all'ufficio postale di Mercatale dopo il trasferimento nella relativa frazione; quando è stato detenuto a Sollicciano ha effettuato le proprie operazioni all'ufficio postale di Scandicci. Unica eccezione le operazioni compiute nell'ottobre 1985 e nel novembre 1986 a Montefiridolfi e nel maggio del 1987 a Cerbaia: operazioni che potrebbero destare qualche dubbio, in luoghi comunque non eccessivamente lontani dalla sua residenza a Mercatale.
► Se davvero Pacciani avesse voluto nascondere le sue numerosissime operazioni in Posta, avrebbe probabilmente evitato nell'ottobre del 1987, durante la sua detenzione, di comunicare in maniera ufficiale all'amministrazione postale e a tutti gli uffici con cui aveva avuto rapporti la sua ferma volontà di impedire alle figlie qualsiasi prelevamento senza la sua autorizzazione formale. Risulterebbe un controsenso celare i suoi illeciti proventi disseminandoli per vari uffici postali per poi renderli pubblici in una lettera ufficiale, tanto più se consideriamo che in quel momento storico Pacciani aveva gli occhi della magistratura addosso, dopo il Processo e la condanna per la violenza sulle figlie.


I soldi di Vanni e Lotti
Poco possiamo dire della situazione finanziaria di Mario Vanni, mai appurata dettagliatamente dalla Squadra Mobile di Firenze, forse perché non interessante quanto quella del Pacciani.
Un quadro sommario delle sue finanze ci viene fornito dal dottor Fausto Vinci nell'udienza del 30 settembre 1997 durante il Processo ai CdM. In essa emerge il ritratto di una famiglia che alla data degli accertamenti (fine 1996) aveva messo da parte buone quantità di denaro, verosimilmente frutto dello stipendio da postino dell'imputato, delle due pensioni (quella di Mario e quella di sua moglie Luisa Landozzi), della liquidazione dello stesso Vanni e di un tenore di vita estremamente parsimonioso, non patologicamente rilevante come quello del Pacciani, ma sicuramente estremamente dedito al risparmio.
Per quanto è dato sapere, non è stato possibile appurare entrate sospette nel patrimonio del Vanni.
A metà anni '90 venne attestato da diverse fonti che l'ex postino poteva disporre di notevoli quantità di denaro in contanti. A rendere tali testimonianze furono diverse persone di San Casciano a lui vicine, in special modo sua nipote Alessandra Bartalesi, che frequentandolo con costanza nell'estate del 1995, ebbe modo di dichiarare: "Ho capito che sia mio zio che Giancarlo (Lotti, NdA) avevano disponibilità di molto denaro. Era come se per loro il denaro non finisse mai. Anche i miei familiari non capivano come mai i due avessero tanti soldi da poter spendere tutte le sere."
In quel periodo il Vanni arrivò a prestare 5 milioni di lire alla nipote Alessandra affinché potesse comprarsi un'automobile.
Anche altri parenti del Vanni, come Walter Ricci e Laura Mazzei, dichiararono che c'era stato un periodo negli anni '90 in cui l'ex postino aveva sbandierato pubblicamente una vasta disponibilità economica.
Tale disponibilità è risultata comunque coerente con i prelevamenti effettuati dal Vanni presso il suo conto e resi pubblici dalla testimonianza del dottor Vinci nell'udienza di cui sopra. Era dunque una notevole quantità di soldi che non aveva origine ignota, ma correttamente prelevata dai suoi risparmi.
Col portafogli ben imbottito (si parla di diversi milioni portati in giro), il Vanni offriva cene e bevute ogni sera, quasi volesse godersi gli ultimi inconsapevoli momenti di libertà. Nel febbraio del 1996 il Vanni sarebbe stato infatti arrestato per non tornare mai più libero, se non negli ultimi mesi di vita.

Per contro Giancarlo Lotti non ha mai dato l'idea di avere grosse disponibilità economiche. Per quanto è dato saperne, ha sempre vissuto in condizioni di estrema ristrettezza, concedendosi pochi svaghi, il cibo, il vino, le prostitute, la benzina per le sue vecchie automobili con cui poteva andare in giro.
Dalle testimonianze raccolte, solo due persone hanno parlato di una possibile (e forse sporadica) agiatezza economica del Lotti; queste sono la Ghiribelli che dichiarò di aver visto un tale di nome Parker dare molti soldi al Lotti (vedasi capitolo Il secondo livello) e la stessa Bartalesi che, facendo riferimento sempre alla famosa estate del 1995, dichiarò: "Anche Lotti mi chiedevo come faceva ad avere tutti quei soldi, ma non gli chiesi niente perché ero solo un'amica. Ho visto più volte che nel portafoglio aveva solo pezzi da cento e cinquantamila lire e una volta mi disse: Fa pari col tuo che è vuoto!".
Tuttavia, tale dichiarazione contrasta con altre affermazioni della stessa Bartalesi, secondo la quale alla fine di quella stessa estate il Lotti aveva urgentemente bisogno di un prestito, in quanto aveva perso il lavoro.
Non è da escludere che anche il Lotti, in quell'ultima e inconsapevole estate da uomo libero, avesse deciso di spassarsela dando fondo a tutti i suoi risparmi e rimanendo ben presto senza più alcuna disponibilità economica.


1 commento:

  1. Al di la del conto, delle case e dei mobili, mi sono sempre chiesto come il Pacciani abbia potuto far fronte a tutte le spese legali di quegli anni. Era già stato dentro per il primo omicidio, ed è provato che non avesse un soldo all'uscita dal carcere. Poi si dovette difendere da accuse di figlie e moglie oltre a quelle legate alla vicenda del mostro. Quando ricevette assoluzione riuscì a percepire indennità? Vendette interviste? Il famoso video hot con la pornostar che gli si concesse per aver fama?

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