I compagni di merende


Abbiamo visto come, durante il processo d'appello a Pietro Pacciani, nel momento in cui si profilava all'orizzonte una clamorosa assoluzione, le indagini del nuovo capo della Squadra Mobile fiorentina, Michele Giuttari, portarono la Procura di Firenze a chiedere l'ammissione di quattro super testimoni presentati con gli identificativi di alfa, beta, gamma e delta. Costoro avrebbero dovuto inchiodare irrimediabilmente Pacciani alle proprie responsabilità. Il giudice di secondo grado, Francesco Ferri, respinse sdegnato questa richiesta perché evidentemente aveva trovato estremamente sospetta la tempistica e Pacciani venne assolto (assoluzione che sarebbe stata poi annullata dalla Cassazione).
Per ironia della sorte, mentre il contadino di Mercatale usciva dal carcere, sulla base delle dichiarazioni dei suddetti testimoni, la Procura di Firenze procedeva all'arresto di Mario Vanni, metteva sotto protezione il reo-confesso Giancarlo Lotti e avanzava la richiesta di un Processo nei confronti dei cosiddetti Compagni di Merende, nome con cui era ormai conosciuta quella sghemba accolita di miseri personaggi che ruotavano a San Casciano attorno alla figura di Pietro Pacciani.
"Una tempistica illuminante" avrà modo di definirla ironicamente l'avvocato Nino Filastò, futuro difensore proprio del Vanni.
L'intero Processo ai CdM si basò sulle testimonianze - secondo la Procura concordanti - dei quattro super testimoni: Fernando Pucci (teste alfa), Giancarlo Lotti (beta), Gabriella Ghiribelli (gamma) e Norberto Galli (delta).
Ma come si era giunti all'individuzione di questi quattro teste? Probabilmente tutto aveva avuto inizio con le dichiarazioni del già più volte citato Lorenzo Nesi, ormai fedele confidente della Procura. Nesi aveva fatto i nomi di alcune persone che avrebbero potuto prestare l'automobile al Pacciani la presunta sera del delitto degli Scopeti. Difatti, durante il processo di primo grado, il testimone Ivo Longo aveva dichiarato di aver visto il Pacciani, su una vettura che non era la sua, imboccare verso mezzanotte la superstrada che da San Casciano porta a Firenze. Anche sulla base di questa testimonianza, la Sentenza Ognibene aveva invitato la Procura a proseguire le indagini per accertare la presenza di eventuali complici del Pacciani.
Fra i nomi fatti dal Nesi vi era stato appunto quello di Giancarlo Lotti. Non solo, il Nesi aveva anche parlato delle frequentazioni del Lotti, in particolare di una casa in via Faltignano dove abitavano un sedicente mago di nome Salvatore Indovino e la sua compagna Filippa Nicoletti.
La Nicoletti fu ascoltata in questura in data 27 novembre 1995 e riferì un particolare che - per stessa ammissione di Giuttari - stuzzicò il suo istinto di poliziotto:
"Quando, nel luglio dell'anno scorso, fui sentita dalla SAM, telefonai a uno dei bar di San Casciano dove so che va sempre il Lotti, gli parlai e gli dissi che ero stata sentita dalla polizia e lui volle sapere cosa gli avevo detto e quali domande mi erano state fatte. Anche ieri e ieri l'altro ho informato il Lotti che ero stata convocata oggi e lui mi ha pregato di telefonargli l'esito dell'interrogatorio".
Da un lato, dunque, vi erano le dichiarazioni del Nesi che attestavano l'amicizia fra Pacciani e Lotti; dall'altro vi era questa curiosità dello stesso Lotti che venne giudicata sospetta; infine c'era l'amicizia piuttosto stretta con il Vanni, a sua volta finito nel mirino degli inquirenti in quanto amico intimo del Pacciani. Ce n'era abbastanza per convocare il Lotti e dare così inizio al fitto giro di interrogatori che avrebbe condotto nel giro di qualche mese al famoso processo contro i Comapgni di Merende.
Di seguito è esposta in breve (ma non troppo) l'evoluzione delle dichiarazioni dei suddetti teste e di conseguenza l'evoluzione delle indagini.

1. Il 15 dicembre 1995, Giancarlo Lotti fu sentito presso la questura di Firenze. Davanti a Giuttari, Lotti fece i nomi di diversi conoscenti che, come lui, avevano frequentato negli anni '80 la casa di Salvatore Indovino in via Faltignano, un'abitazione su cui si stavano concentrando gli interessi della Procura. Qui, infatti, sembrava vi ruotassero personaggi molto interessanti per l'inchiesta sul Mostro. Fra i nomi che il Lotti fece ci furono quelli già noti alle indagini della Nicoletti, compagna di Salvatore e amante del Lotti stesso, e di Gabriella Ghribelli, prostituta e amica dell'Indovino.

2. Chiamata in causa dal Lotti, il 21 dicembre 1995, Gabriella Ghiribelli fu convocata in questura per rendere la propria testimonianza davanti ai poliziotti della SAM. In questo interrogatorio la donna parlò della casa di Salvatore Indovino e dei suoi frequentatori abituali. Riferì per la prima volta di essere passata da via degli Scopeti la presunta sera del delitto (domenica 8 settembre 1985) e di aver visto nei pressi della piazzola un'automobile rossa o arancione. Le vennero dunque chieste informazioni su eventuali automobili possedute dal Lotti.

3. Come si avrà modo di appurare in seguito, quella stessa sera (21 dicembre 1995) la Ghiribelli (seccata perché il Lotti aveva fatto il suo nome e dunque l'aveva coinvolta nelle indagini) telefonò all'amico e lo invitò da lei a Firenze per un chiarimento. Il Lotti si presentò all'incontro circa un paio di giorni dopo. Dalla testimonianza che rese la stessa Ghiribelli nell'udienza del processo ai CdM del 3 luglio 1997, riportiamo questo stralcio di dialogo che avvenne nell'occasione fra i due:
"Giancarlo, come mai hai implicato me? Non è che per caso fosse tua la macchina che ho visto quella sera allora? E lui mi risponde: Perché, non ci si può fermare nemmeno a pisciare?"
La Ghiribelli valutò la risposta del Lotti come un'ammissione, giungendo alla conclusione che l'automobile vista a Scopeti la presunta sera del delitto fosse realmente la sua. Difatti, sempre durante la testimonianza a processo, la Ghiribelli commentò: "Con questo s'è dato la zappa sui piedi da sé".
Che il dialogo fiorentino fosse avvenuto realmente e non fosse stata un'invenzione della Ghiribelli lo prova un'intercettazione telefonica del 25 gennaio 1996, quando la donna, al telefono con il Lotti, disse: "...non ci si può neanche fermare a pisciare, lo hai detto tu". E il Lotti rispose: "Che c'entra...", ratificando così l'avvenuto dialogo.
Torneremo, però, su questo episodio sia in questo stesso capitolo, sia in quello dedicato a "La credibilità del Lotti", perché la suddetta risposta tante discussioni ha innescato a livello mostrologico.

4. Messe frattanto sotto sorveglianza le utenze della Nicoletti e della Ghiribelli, vennero intercettate diverse telefonate fra le due, nessuna dirimente in un senso o nell'altro, ma da cui si evinceva che entrambe temevano di essere coinvolte nell'inchiesta. Durante la telefonata del 23 dicembre emerse inoltre il nome di un certo Fernando (che in seguito si scoprirà essere l'intimo amico del Lotti, Fernando Pucci), su cui gli inquirenti cominciarono a indagare.

5. Ufficialmente, la prima grande rivelazione arrivò nella testimonianza resa in Procura da Gabriella Ghiribelli, il 27 Dicembre 1995. La donna dopo aver parlato di sedute spiritiche e orge che si sarebbero tenute a casa di Salvatore Indovino e dopo aver riferito della sua conoscenza con il grande sospettato Mario Vanni e della sua amicizia con Giancarlo Lotti e Fernando Pucci, entrambi guardoni e frequentatori di prostitute, ebbe modo di fare (spontaneamente) le seguenti dichiarazioni (si riportano integralmente perché sicuramente importanti):
"Ritornando da Firenze, la sera prima del giorno in cui fu diffusa la notizia del duplice omicidio degli Scopeti, intorno alle 23.30, insieme al mio protettore dell'epoca, Norberto Galli, proprio in corrispondenza della tenda - da me notata anche nei giorni precedenti - ebbi modo di constatare la presenza di un'auto in sosta di colore rosso o arancione con la portiera, lato guida, di altro colore sempre sul rossiccio, ma più chiaro dell'intero colore del mezzo. Devo precisare che il colore dell'auto mi sembrò un po' alterato in quanto su di essa si rifletteva la luce dei fari dell'auto su cui stavo viaggiando. Quando seppi la notizia in San Casciano del duplice omicidio, Norberto mi disse di tacere per non trovarci entrambi nei guai e fu per questo che non dissi nulla, anche perché ero terrorizzata e nessuno mi aveva fatto domande...
Non m'intendo molto di macchine, però posso dire che l'auto da me vista, ripeto, ferma in prospettiva proprio in corrispondenza della tenda, tanto da coprirla per circa tre quarti, era del tipo sportivo e presentava la coda tronca. Aveva le luci spente e si trovava a cavallo tra una banchina erbosa e l'asfalto con il muso diretto verso San Casciano."
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Secondo la vulgata mostrologica più comune, la macchina che la Ghiribelli vide a Scopeti la presunta sera del delitto era la Fiat Coupé 128 rosso sbiadita che Giancarlo Lotti possedeva in quella lontana estate del 1985. In realtà - come vedremo meglio in seguito - non è detto che nel settembre del 1985 il Lotti possedesse ancora tale automobile. Tuttavia, la vera incongruenza in queste dichiarazioni è riscontrabile in ciò che la Ghiribelli disse nel prosieguo dell'interrogatorio:
"Circa tre mesi fa, ho avuto modo di notare la macchina del Lotti, che aveva parcheggiato alla biblioteca nazionale, e vedendo che essa aveva la portiera di colore rosa, mi venne spontaneo dire al Lotti, in tono scherzoso: vuoi vedere che sei tu il Mostro? Alla domanda del Lotti del perchè, risposi che la notte del delitto degli Scopeti, avevo visto una macchina uguale a quella nel colore e con la portiera sbiadita di altro colore, per l'appunto come quella sua. Il Lotti rimase male per questa mia affermazione e mi disse: cosa c'entra la mia macchina con quella che hai visto te? Io risposi che quella macchina mì sembrava uguale alla sua soprattutto perchè presentava lo sportello del guidatore di altro colore, ma sempre in tinta. In seguito il Lotti è venuto a trovarmi con altra macchina e mi spiegò che l'aveva cambiata perchè l'altra non funzionava più."
Dunque, la Ghiribelli aveva associato la vettura vista a Scopeti con quella che il Lotti possedeva circa tre mesi prima dell'interrogatorio che stava sostenendo (dicembre 1995), vale a dire dieci anni dopo il delitto.
Tre mesi prima, il Lotti disponeva di una Fiat 131 di color rosso vivo, di sua proprietà dal 18 luglio 1995 e ancora in suo possesso. Ma anche nel caso in cui la Ghiribelli avesse detto genericamente "tre mesi fa" e il tempo trascorso fosse stato leggermente maggiore, in precedenza il Lotti aveva posseduto una Fiat 131 di color rosso scuro con portiera bianca (colori coerenti con quanto sostenuto dalla Ghiribelli) e tale vettura era stata di sua proprietà dal 23 novembre 1988 al 18 luglio 1995 (coerente anche il fatto che poco dopo l'incontro con la Ghiribelli, il Lotti l'avesse cambiata).
In ogni caso, sia che la Ghiribelli avesse associato l'automobile vista a Scopeti con la 131 color rosso vivo, sia che l'avesse associata con la 131 rosso scuro con la portiera bianca, nessuna delle due vetture era stata di proprietà del Lotti nell'estate del 1985.
Nonostante questa palese incongruenza, dopo le suddette dichiarazioni, gli interroganti mostrarono alla Ghiribelli due fotocopie riproducenti la parte laterale anteriore e posteriore del modello Fiat 128 Coupè (appunto la vettura che Lotti possedeva nell'estate del 1985). Lei rispose: "Sì, il modello della macchina da me vista quella sera mi sembra proprio uguale a quello riprodotto nelle fotocopie esibitemi, specie nella linea sportiva e nella parte posteriore, segnatamente nella coda tronca".
Il verbale si chiuse con le seguenti dichiarazioni: "Quando vidi la macchina di cui vi ho parlato ferma agli Scopeti, non ebbi modo di notare, nel transitare, se a bordo di essa vi fossero persone; posso comunque affermare che per strada nei pressi non vidi nessuno...
Il Galli mi disse di non parlare con nessuno della macchina vista, in quanto anche lui aveva collegato la presenza di quell'auto con il delitto e non intendeva avere problemi con la legge"
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6. Il protettore, Norberto Galli, fu convocato in Procura quella stesso giorno senza che (si dice) avesse avuto il tempo di comunicare in alcun modo con la Ghiribelli. Dopo aver parlato di alcuni suoi trascorsi, Galli confermò di essere passato in auto da Scopeti la presunta sera del delitto, fornendo però dichiarazioni in parte diverse da quelle della Ghiribelli. Questo quanto messo da lui a verbale:
"Posso affermare di ricordare bene che la notte precedente al giorno in cui si seppe di tale delitto mi trovai a passare, intorno alle ore 24, da quel posto con la mia auto Polo di colore bianco, in compagnia di Indovino Salvatore e forse – ma non ne sono di questo sicuro – anche di Gabriella. Ricordo bene che, passando da quel posto, con senso di marcia da Firenze verso San Casciano, notammo ferma a bordo della strada proprio in corrispondenza della stradina che conduce allo spiazzo degli Scopeti ove, poi, ho appreso vennero uccisi due turisti, un'autovettura di media cilindrata della quale non ricordo il tipo e che credo fosse di colore chiaro, forse bianca. Vidi questa macchina nella sua parte posteriore e mi ricordo che, a questa vista, il Salvatore o forse la Gabriella, nel caso in cui questa fosse stata anche presente, esclamò: beati loro che almeno scopano ritenendo che, data l'ora ed i posti, nell'auto da noi notata ci fosse una coppia. Devo però precisare che, nel transitare da quel posto, io non ebbi modo di notare se all'interno dell'auto ci fossero o meno persone...
Posso dire che le cose di cui sono certo sono: l'orario: era circa mezzanotte, cinque minuti prima o dopo; mi trovavo alla guida della mia autovettura Polo di colore bianco; con me c'era sicuramente Indovino Salvatore, che non so se l'avevo incontrato per strada a Piazza Stazione ovvero l'avevo preso a casa per fare una passeggiata e lo stavo riportando nella sua abitazione; l'autovettura da me notata agli Scopeti ferma era di media cilindrata, a forma un po’ squadrata, di colore chiaro, almeno credo, e fu da me vista nella sua parte posteriore; era in sosta con il muso verso la piazzuola degli Scopeti. Non sono invece sicuro se con me vi era anche la Gabriella...
Non ho riferito a nessuno nè nell'immediatezza né successivamente il particolare da me notato la notte precedente alla scoperta del delitto, in quanto, pur capendo che poteva essere un elemento importante per gli investigatori, avevo paura di avere noie con la giustizia a causa della vita che all'epoca conducevo con la Gabriella.
Può darsi che abbia riferito detto particolare solamente alla Gabriella, in quanto all'epoca di lei mi fidavo"
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Esiste dunque una discrepanza sul colore dell'automobile vista all'imbocco della piazzola degli Scopeti la presunta sera del delitto da due testimoni chiave: rosso sbiadita per la Ghiribelli, chiara e forse bianca per il Galli. Inoltre la Ghiribelli dichiarò di essere stata in auto con il Galli, mentre il Galli di essere stato in auto con l'Indovino e di non ricordarsi della Ghiribelli.
Successivamente, durante l'interrogatorio del 29 febbraio 1996, il Galli avrebbe corretto il tiro, uniformandosi maggiormente alle dichiarazioni della sua ex compagna: il colore dell'automobile sarebbe divenuto più genericamente "sicuramente non scuro" e per quanto riguarda le persone con cui era in auto quella sera, avrebbe detto: "...devo dire, dopo averci a lungo riflettutto, che in effetti la Gabriella era in macchina con me quella sera...".

7. Frattanto le intercettazioni telefoniche fra Ghiribelli e Nicoletti confermarono che un'automobile era stata effettivamente vista la sera della domenica 8 settembre 1985 dalla Ghiribelli stessa. Altre intercettazioni della Ghiribelli con suoi conoscenti non lasciavano dubbi sulla reale presenza di un'automobile all'imbocco della piazzola degli Scopeti la domenica sera.

8. Esattamente cinque giorni dopo le prime rivelazioni, precisamente il 2 gennaio 1996, gli inquirenti convocarono per la prima volta in Procura Fernando Pucci, il quale confermò di conoscere bene il Lotti, con cui era stato solito frequentate prostitute e cinema a luci rosse, e di essere stato con lui alla piazzola degli Scopeti, ove si erano fermati per un bisogno fisiologico, la presunta sera del delitto di ritorno da Firenze. Disse altresì di non saper nulla dell'omicidio perché entrambi erano stati cacciati via da due personaggi vestiti rozzamente e che, con forte accento toscano, avevano minacciato di ucciderli.

9. Il 23 gennaio 1996 Pucci venne riascoltato e ampliò le sue accuse, parlando per la prima volta di una pistola nella mano di uno dei due uomini che li avevano cacciati dalla piazzola e di un coltello nella mano dell'altro. Affermò che il giorno successivo lui e il Lotti avevano appreso del duplice omicidio e avevano capito che quegli uomini erano coinvolti, ma avevano deciso di non parlare con nessuno per paura delle conseguenze. Il Pucci iniziò in quell'occasione a fare anche i primi nomi: Mario Vanni era l'uomo con il coltello, mentre quello con la pistola non l'aveva riconosciuto ma il Lotti gli aveva detto che si sarebbe trattato di Pietro Pacciani.
Parlando, il Pucci allargò sempre più il ventaglio delle sue rivelazioni: dichiarò di essere andato spesso nei boschi con Lotti a spiare le coppiette e anche che Lotti andava spesso in giro con Pacciani e Vanni.
Quello stesso giorno vennero perquisite le abitazioni di Vanni, Lotti, Pucci, del Galli e della Nicoletti. Quella sera Mario Vanni ricevette un avviso di garanzia.

10. Il 25 gennaio 1996 avvenne la famosa intercettazione fra il Lotti e la Ghiribelli, cui abbiamo già accennato in precedenza, nella quale fu registrato il seguente dialogo:
GG: "Non ci si può fermare neanche a pisciare... lo hai detto tu!"
GL: "Che c'entra!... e guardano dove ci si ferma! Me l'hanno detto loro... io non ho mica fatto nulla!... a me non me ne frega nulla! Non ritornino a fare quel lavoro perché non mi sta bene!"
Abbiamo già visto che la prima parte della risposta del Lotti ("Che c'entra") pare confermare l'esistenza del dialogo fiorentino in cui Lotti avrebbe implicitamente ammesso che l'automobile rossa a Scopeti fosse la sua.
Tuttavia, il Lotti aggiunse un paio di frasi che destano non poche perplessità e che tante diatribe hanno innescato nei vari salotti mostrologici di ieri e di oggi: "Me l'hanno detto loro" e "Non ritornino a fare quel lavoro perché non mi sta bene".
Vedremo nel capitolo denominato "La credibilità del Lotti" le interpretazioni che vanno per la maggiore di queste due frasi.

11. Quattro giorni dopo, il 29 gennaio 1996 ebbe inizio il processo d'appello a Pietro Pacciani.

12. Durante l'udienza del 6 febbraio, il procuratore Tony chiese l'assoluzione di Pietro Pacciani, innescando una polemica a distanza con Vigna, alimentata dalla stampa.

13. Il 9 febbraio 1996 ci fu un nuovo interrogatorio in Procura, cui seguirono nuove e differenti rivelazioni. Pucci dichiarò che quando furono minacciati da Pacciani e Vanni la notte dell'omicidio agli Scopeti, lui voleva andar via, ma Lotti lo convinse a spiare di nascosto cosa stesse succedendo. Finsero, dunque, semplicemente di allontanarsi, ma tornarono silenziosamente indietro e assistettero al duplice omicidio, con Pacciani che sparava e inseguiva la vittima maschile e il Vanni che si introduceva nella tenda per fare scempio del corpo della vittima femminile.
Durante questo interrogatorio fiume, il Pucci dichiarò di essere stato anche a Vicchio, nel luogo dell'omicidio del 1984, qualche giorno prima che il delitto venisse commesso. Aggiunse che era sempre il Lotti a scegliere i posti dove andavano a esercitare la loro attività di guardoni e che sempre il Lotti, in qualche occasione, era andato alla piazzola di Vicchio per appartarsi con Filippa Nicoletti.
Queste le testuali parole: "Loro mi chiedono se sono stato con il Lotti nella zona di Vicchio a vedere coppiette. Io ci sono stato una volta. Me ne ricordo perché pochi giorni dopo ammazzarono una coppietta in macchina e il Lotti mi disse: Guarda, hanno ammazzato quelli che si è visto noi... Era sempre il Lotti che sapeva i posti e che mi diceva di andare con lui in un determinato posto perchè li c'era una coppia da spiare. Questo è avvenuto anche quando siamo andati quella volta che ho detto io, a Vicchio... Lo so per avermelo detto il Lotti che sia alla piazzola di Vicchio che a quella degli Scopeti il Lotti andava a fare all'amore con la Filippa".

14. Il giorno successivo, 10 febbraio, la Nicoletti confermò di essere stata alla Boschetta di Vicchio con Lotti. Fu durante questo interrogatorio che la donna, a proposito della capacità amatorie del Lotti, esclamò: "È un pezzo di carne con gli occhi".

15. Ancora un giorno e l'11 febbraio 1996 toccò a Giancarlo Lotti. L'uomo venne convocato in Procura, ma stavolta sotto una nuova veste, non più quella di semplice testimone. Alla presenza di quattro magistrati (Vigna, Fleury, Canessa e Crini) e dei poliziotti Giuttari, Lamperi e Venturini, dopo varie tribolazioni e dopo aver dichiarato di essersi fermato a Scopeti la presunta sera del delitto solo "per fare un po' d'acqua", Lotti confermò quanto dichiarato dal Pucci ma non volle fare i nomi dei due uomini visti, armi in pugno, nella piazzola. Per quel pomeriggio fu organizzato un confronto fra Pucci e Lotti e dal confronto vennero nuovamente fuori i nomi di Pacciani e Vanni: in maniera concorde venivano indicati come coloro che impugnavano le armi la notte dell'omicidio a Scopeti.
Secondo quanto riporta Michele Giuttari nel suo libro "Compagni Di Sangue", quella dell'11 febbraio 1996 fu una data storica per le indagini, perché per la prima volta si ebbero due testimoni oculari dell'ultimo duplice omicidio attribuito al MdF, concordanti sull'identità degli assassini. Sempre secondo Giuttari, in virtù di quella testimonianza, il Lotti "diventava formalmente collaboratore di giustizia, gestito dall'apposito Servizio Centrale di Protezione, istituito presso la Direzione Centrale della Polizia Criminale."

16. Il giorno successivo, 12 febbraio 1996, Mario Vanni venne arrestato. In quel momento Pucci divenne il testimone alfa e Lotti il testimone beta. La Ghiribelli che aveva dato il via a tutto divenne il testimone gamma. Il suo protettore, Norberto Galli, divenne il testimone delta.

17. Meno di ventiquattr'ore dopo, il 13 febbraio 1996, ultimo giorno di udienza, il Procuratore Piero Tony chiese l'ammissione in aula dove si stavva svolgendo il processo d'appello nei confronti di Pacciani dei quattro nuovi testimoni, denominati alfa, beta, gamma e delta.
La richiesta venne respinta dal giudice Ferri e, quello stesso giorno, Pacciani venne assolto in secondo grado di giudizio e scarcerato.

18. Il 17 febbraio 1996, la Nicoletti venne condotta in ricognizione alla Boschetta di Vicchio. La donna riconobbe il posto dove si era appartata "due o tre volte" con il Lotti, l'ultima delle quali attorno al 1983, fornendo anche alcune indicazioni che sembravano attestare la veridicità delle sue dichiarazioni. Disse infatti, fra le altre cose, "di ricordare all'epoca, diversamente da oggi, che il campo a sinistra della piazzola guardando con le spalle alla strada asfaltata aveva l'erba alta forse di scope o simili e che il luogo non era all'epoca cosparso di ghiaia come ora, ma era in terra battuta con i segni delle ruote delle macchine".

19. Il 24 marzo 1996 alle ore 11 circa, venne intercettata una telefonata fra Giancarlo Lotti e Filippa Nicoletti.
Di seguito un breve stralcio:
FN: "Ma è vero quello che hai detto?"
GL: "Di che?"
FN: "Che l'hai visto ammazzare"
GL: "Mah, oh... ormai l'ho detto. 'un posso mica torna' indietro"
FN: "Ma è vero?"
GL: "È vero. Ormai l'ho detto. E... m'hanno imbrogliato loro. Sennò... io li ho visti..."
FN: "Ma tu devi dire se è vero, oppure no"
GL: "Si. E ormai l'ho bell'e detto. I' che gli vo' a dire?"
FN: "Ma tu a me mi devi dire se è vero, oppure no"
GL: "Ehh, ormai gl’è vero. C'è poco da..."
FN: "È vero?"
GL: "Ehh..."
Questa intercettazione è importante per due motivi:
1. Alla domanda della Ghiribelli se fosse vero che aveva assistito al delitto degli Scopeti, il Lotti non rispose chiaramente, ma affermó più volte "ormai l'ho detto", come se una volta dichiarato di avervi assistito non potesse più tornare indietro, indipendentemente dalla veridicità o meno.
2. Per diverse volte durante questa telefonata il Lotti dichiaró di essere stato imbrogliato durante gli interrogatori. Questa la sequenza:
▪ 2a. "Sì, ma fanno... fanno certi... fanno certi colloqui che alla fine io non ce la faccio più. E t'imbrogliano, eh!".
▪ 2b. "È vero. Ormai l'ho detto. E... m'hanno imbrogliato loro".
▪ 2c. "No, m'hanno imbrogliato su questo fatto qui. Sennò io... sapevo su uno solo, solo e basta".
▪ 2d. "Per me ho detto più di che un n'è. E son stato imbrogliato, guarda".
▪ 2e. "Ma poi c’è stato... il peggio c'è stato il delitto dell'84, gl'è quello che m'ha imbrogliato a me".
▪ 2f. "No, l'imbroglio me l'hanno fatto sull'84. Perché l'84 sapevano come facevano nell'85. E allora... ehh, io sono stato imbrogliato su questo fatto qui. M'hanno fatto parlare e ho parlato più che un n'è... eh".
Non è tuttavia ben chiaro con quale significato il Lotti utilizzi il termine "imbrogliato". A seconda del contesto ma anche della propria chiave di lettura, a volte sembra voler dire di essere stato ingannato dagli inquirenti e spinto a confessare cose non vere, altre volte sembrerebbe voler intendere di essere stato semplicemente inguaiato dalle sue stesse dichiarazioni (2e), in almeno un caso potrebbe voler dire di aver avuto a che fare con gente particolarmente abile nell'interrogarlo che l'avrebbe dunque portato, senza che lui lo avesse voluto, ad ammettere le proprie responsabilità (2a).
Per maggiori dettagli, si rimanda nuovamente al capitolo "La credibilità del Lotti".

Nei numerosi interrogatori che seguirono, Lotti cominciò a fare le prime graduali ammissioni di colpevolezza. Non solo un semplice spettatore dunque, ma parte attiva nei delitti di Baccaiano (1982), Giogoli (1983, dove era stato colui che per primo aveva sparato ai ragazzi tedeschi), Vicchio (1984), Scopeti (1985).
Ci furono numerosi sopralluoghi sulle scene del crimine, alcuni debitamente registrati e visionati anche in sede processuale. Inoltre, Lotti cominciò a coinvolgere anche altri personaggi: su tutti un tale di Calenzano amico del Pacciani, di nome Giovanni Faggi, già ascoltato al processo contro Pacciani in veste di conoscente dell'imputato, oltretutto abitante a poche centinaia di metri dalle Bartoline. Secondo il Lotti, il Faggi aveva dato supporto logistico a Pacciani e Vanni durante l'omicidio di Travalle dell'ottobre 1981.
Lotti coinvolse anche un noto avvocato di San Casciano di nome Alberto Corsi, colpevole - secondo la Procura - di aver accolto alcune "confessioni" del Vanni e di averlo invitato a tacere per non avere problemi.


La lettera del Lotti
Successivamente, il 7 novembre 1996, Lotti consegnò al dottor Fausto Vinci, funzionario della Questura di Firenze, una lettera a suo dire spontanea, da lui scritta a mano. Tale lettera fu consegnata dalla questura alla Procura di Firenze nella persona del PM Paolo Canessa, titolare delle indagini, in data 15 novembre 1996. In essa il Lotti aveva scritto, testuali parole:
"Sono venuti a casa via Lucciano, ano pichito a la porta. Chi e. Siamo noi. Chi. Mario. Pietro Pacciani. Che volete da me. Devi venire con noi. Perché devo venire. Se no si parla. Che vacevi in quella piazzetta che la strada. verso il bardella. Ti inculavi Fabrizio. Sono andato con loro. La strada che va a Giogoli. Siamo arivati vicino ale piazetta dove avenuto omicidio. Io sono ceso da la machina. Mario e Pacciani erano gia cesi e andavano il fulgone. Poi mi a chiamato. Vieni qui. Perche. Viene devi sparare tu. Io. Allora mi a dato la pistola in mano. Spara e o sparato diverse colpi. Se lio presi bene. Poi mia presa la pistola di mano. Andate verso la parte sinistra. Altri spari. Poi aperto lo sportelo. A visto che erano due omini. Allora sie incazzato come una bestia. Allora io mi sono alotanato verso la machina. Pietro mi a detto va via. Si vado via. Perche vai via. Poi sono salito in machina. Sono andato a casa. Andato a letto. Ma no mi riuciva dormire.
Dove li date queste cose della donna. Il seno vagina o fica Mario volio sapere chi le date dottore che si serviva Pietro Pacciani. Vi pagava in soldi. Ma quello no mi voleva dire per che ne faceva di vagina e se pérche fate cose mostrose. Ma io no. Le altri fatte. Non avete rimorsi. A me mi fato schifo e co bestie come voi Mario e Pacciani per me vi farrei sparire per sempre dalla circlazino."


Emerge in questa lettera per la prima volta la figura di un "dottore" che pagava il Pacciani in cambio dei feticci. L'idea dei delitti su commissione cominciò dunque a farsi strada fra gli organi inquirenti. Non fu possibile però andare più a fondo perché il Lotti dichiarò subito di non sapere nulla di tal fantomatico dottore e che solo una volta gli era capitato di vederlo, nella piazza di San Casciano. A dire del Lotti, una sera si era fermata una vettura il cui autista aveva fatto un cenno con la mano al Vanni di avvicinarsi. Prontamente il postino aveva raggiunto l'automobile, mentre il Lotti era rimasto distante a osservare. Dopo qualche minuto, il Vanni era tornato indietro e gli aveva spiegato che si trattava del dottore a cui Pietro consegnava i feticci, non volendo però aggiungere più nulla sull'argomento.
Per la Procura ce n'era comunque abbastanza per trascinare sul banco degli imputati, il Vanni, lo stesso Lotti e le due figure minori (Faggi e Corsi) per quella che iniziava a prendere forma e contorni di una vera e propria associazione a delinquere con finalità delittuose.


Il mostro o i mostri di Firenze
Ancora oggi, da più parti, si sente spesso dire che la teoria degli assassini multipli (per ovvietà di cose molto caldeggiata mostrologicamente da Merendari e Giuttariani, ma talvolta non disdegnata anche da taluni Sardisti) ha preso corpo solo dopo la sentenza Ognibene, le testimonianze del Nesi e quelle dei famosi super testimoni alfa, beta, gamma e delta. È doveroso sottolineare come in realtà questo sia un falso storico!
Come visto nel capitolo dedicato al dottor B., nel pieno della fase delittuosa nella prima metà degli anni '80 era stata, infatti, già ventilata la possibilità di più autori o comunque di più persone presenti sui luoghi dei delitti. L'eccidio dei francesi nella piazzola degli Scopeti, in particolar modo, ha portato già all'epoca stessa del delitto esperti e inquirenti a chiedersi se si potesse ancora parlare di un unico autore o di più autori, a valutare persino - sebbene non dandole troppo peso - la teoria della setta esoterica. Anche l'ipotesi dei mandanti non è maturata solo negli anni '90 in seguito alle rivelazioni del Lotti, ma era già stata presa in considerazione negli anni '80, addirittura quando si dava ancora la caccia ai sardi.
Di seguito è riportato un articolo risalente al marzo del 1983 di Mario Spezi in cui nel titolo si fa palese riferimento a un eventuale mandante, appunto il dottor B., e nel corpo dell'articolo si fa esplicito riferimento alla possibilità di più autori sui luoghi dei delitti. L'articolo si colloca temporalmente fra il delitto di Baccaiano e quello di Giogoli, in un momento storico in cui era stato fatto da poco il collegamento con il delitto del 1968 e Francesco Vinci era in carcere perché sospettato di essere l'autore dei delitti. Nello specifico è scritto:
"Sembra quindi riprendere vita la teoria secondo la quale il mostro, indipendentemente dalle responsabilità di Francesco Vinci, possa essere non una sola persona. Si ricorda che nel novembre dell'anno passato, quando fu resa pubblica la notizia dell'arresto di Vinci, il giudice istruttore Vincenzo Tricomi dichiarò, tra l'altro, di non poter escludere che al momento in cui i delitti furono commessi, erano presenti più persone. La teoria sarebbe confortata inoltre dalle perizie svolte da alcuni esperti di anatomia patologica che hanno sostenuto l'impossibilità di una sola persona di compiere, nelle modalità in cui si svolsero, alcuni di quegli omicidi."
Indipendentemente dalla correttezza di certe valutazioni, che siano addebitabili ai medici, al giudice istruttore o al giornalista, quello che in questo paragrafo risulta doveroso sottolineare è l'errata interpretazione storica degli eventi da parte di chi afferma che prima della sentenza Ognibene non si era mai parlato di più autori dei delitti e prima di Lotti non si era mai parlato di mandanti.
A questo proposito, in realtà, si potrebbe andare ancora più indietro nel tempo e trovare nel 1974 articoli di giornale relativi al delitto Gentilcore-Pettini in cui veniva avanzata l'ipotesi di una setta, dunque più persone sul luogo dell'omicidio, e un fine esoterico-religioso per spiegare il terribile eccidio di Rabatta.
Resta inteso, come già ampiamente visto nei capitoli dedicati alla vicenda delittuosa, che non c'è alcuna evidenza scientifica che possa far pensare a più persone sui luoghi degli otto delitti attribuibili al Mostro di Firenze. Come ripetuto più volte dai vari medici legali che si sono occupati dei rilevamenti (De Fazio in primis) sono tutti delitti che una singola persona avrebbe fisicamente potuto commettere, compreso Scopeti; anzi quella dell'autore unico è statisticamente l'ipotesi più realistica, considerando:
1. la difficoltà di un gruppo di condividere una medesima psicopatia;
2. l'improbabilità di mantenere un segreto così a lungo (17 anni dal primo all'ultimo delitto) da parte di più persone;

Questo non toglie che l'eventualità di più autori, così come quella dei mandanti e, in misura minore, quella di una setta, sebbene meno proabile, non può essere aprioristicamente esclusa (non ci sono altresì palesi evidenze scientifiche che escludano la presenza di più autori sui luoghi dei delitti) ed è stata talvolta avanzata nel corso degli anni, indipendentemente dai Compagni di Merende.


2 commenti:

  1. Buongiorno sig. Sorrenti; complimenti per l'enorme, minuzioso lavoro compiuto, e grazie. Volevo chiedere: è emerso dalle testimonianze di Lotti e Pucci se quella sera a Scopeti, oltre a loro e Pacciani e Vanni, fossero transitate altre persone?

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    1. Buongiorno Giuseppe, grazie per il commento e mi scusi se le rispondo con mesi di ritardo, ma il suo intervento mi era completamente sfuggito.
      Cerco di rimediare: Lotti e Pucci sostengono che c'era anche il Faggi a Scopeti, un po' più defilato, in automobile, ad assistere all'omicidio.

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