Il contadino di Mercatale


Pietro Pacciani nacque ad Ampinana, frazione di Vicchio, il 7 gennaio 1925, da una povera famiglia di contadini.
Perse un fratello in tenera età e visse la sua infanzia con il padre Antonio, la madra Rosa e la sorella Rina.
Durante la guerra il giovanissimo Pacciani aderì al movimento Partigiano e pare si distinse per aver eroicamente salvato la vita a un suo compagno d'armi, tale Dante Ricci, colui che qualche anno dopo sarebbe divenuto uno dei più rinomati penalisti fiorentini.
Al termine del conflitto, nel 1947, con già sul groppone una denuncia per violenza domestica nei confronti del padre, il ventiduenne Pietro svolse il servizio militare dapprima al Centro Addestramento Reclute di Avellino, quindi come fuciliere a Cesano, alle porte di Roma.
Una sua dettagliata biografia è presente nel libro pubblicato nel 1995 dal giornalista e scrittore Giuseppe Alessandri, intitolato "La Leggenda del Vampa".
Il Vampa era appunto il soprannome con cui da adulto sarebbe stato conosciuto Pacciani, dovuto sia al suo carattere focoso che "avvampava" facilmente, sia perché si narra che una sera, durante una festa paesana, il nostro si sarebbe cimentato nella difficile arte del "mangiafuoco" finendo per ustionarsi il viso con una vampata.


La Tassinaia
Il giorno 11 aprile 1951, quando aveva 26 anni, Pacciani scoprì la sua ragazza, Miranda Bugli, all'epoca appena sedicenne, appartata nelle campagne di Tassinaia nel Mugello con tale Severino Bonini, venditore ambulante di 42 anni. Pacciani rimase a spiare la coppia in atteggiamenti intimi, poi quando il Bonini scoprì il seno sinistro di Miranda, saltò fuori dal suo nascondiglio per aggredire fisicamente l'uomo. Pacciani inferse al Bonini 19 coltellate, quindi infierì sul suo cadavere colpendolo ripetutamente al capo con il tacco del suo stivale o - secondo quando è riportato agli atti - con un grosso sasso, un bastone o un randello, fino a provocare "la lacerazione delle meningi, lo spappolamento della sostanza nervosa, lo scollamento parziale del bulbo oculare sinistro" e dunque la fuoriuscita di materia cerebrale. Obbligò quindi la fidanzata ad avere un rapporto sessuale con lui accanto al cadavere e le fece promettere di convolare al più presto a nozze.
Pacciani, con la più o meno consenziente collaborazione della Bugli, nascose sommariamente il cadavere derubandolo oltretutto del portafoglio, ma quella stessa notte tornò sul luogo del delitto per celare definitivamente il corpo del Bonini e renderlo introvabile. Il suo intento fallì a causa delle difficoltà che riscontrò nel trasportare il pesante fardello al buio su un terreno accidentato e con una torcia in bocca. Si dovette accontentare di nasconderlo nuovamente meglio che poteva.
Il giorno dopo però Miranda, pressata dai carabinieri che indagavano sulla scomparsa del Bonini, confessò il delitto (secondo altre fonti era stato lo stesso Pacciani, ubriacatosi, a parlare dell'omicidio) e i due fidanzati furono immediatamente arrestati.
Sul tragico episodio un cantastorie mugellano di nome Aldo Fezzi, detto Il Giubba, scrisse e musicò una ballata che dal maggio del 1951 portò per i borghi e le piazze del Mugello, rendendo famoso sia il nome del Pacciani che l'episodio stesso.
Quella che passò alla storia come La Ballata del Giubba venne poi per un assurdo scherzo del destino ripresa e pubblicata da "La Nazione" nel 1981, subito dopo il delitto di Travalle di Calenzano, commesso dal Mostro. Il giornale infatti stava ripercorrendo i crimini più efferati che erano avvenuti nella campagna fiorentina dal dopoguerra. A nessuno tuttavia, almeno all'epoca, venne in mente di associare il delitto della Tassinaia con quelli del Mostro di Firenze.
Tornando al 1951, il Pacciani e la Bugli finirono a processo per l'omicidio del Bonini. Fu avanzata dall'Accusa, nella persona del Procuratore Generale, dottor Aldo Sica, l'ipotesi che il delitto fosse stato commesso dalla coppia per rapina (ipotesi che invero sostengono tuttora sia il fratello del Bonini, sia una fetta di odierna mostrologia), ma alla fine a prevalere fu l'ipotesi del delitto passionale. La Bugli venne giudicata complice del Pacciani e condannata a 4 anni di carcere. Pietro, che per l'occasione era difeso proprio dall'avvocato Dante Ricci, cui si dice avesse salvato la vita durante la guerra, viste le attenuanti del caso, ricevette una condanna a 13 anni di reclusione.
Non venne tenuta in considerazione, durante il processo, la confidenza fatta ad alcuni conoscenti dalla signora Bruna Scarpelli, abitante nei pressi della Tassinaia, la quale aveva dichiarato di aver visto due uomini e una ragazza allontanarsi dal luogo del delitto. A processo, la signora Scarpelli smentì queste sue presunte confidenze, escludendo la presenza di un terzo uomo e a nulla valsero le esortazioni da parte dei parenti della vittima a dire la verità. Una parte di odierna mostrologia tende, tuttavia, a dar credito a questa antica testimonianza, supponendo così l'esistenza di un ulteriore complice del Pacciani, che spesso viene identificato nel futuro legionario Giampiero Vigilanti, anch'egli di Vicchio. È bene, tuttavia, precisare che non esiste, al momento, alcuna base documentale che possa dar credito a questa ipotesi.
Nota Bene: Ultimamente, una certa deriva innocentista tende a catalogare l'omicidio del Bonini quasi come un incidente o - come sosteneva il Pacciani stesso - un delitto compiuto per eccesso di difesa. Questa versione è palesemente in contrasto con i verbali dei carabinieri, gli atti processuali e le perizie medico-legali sul corpo del Bonini in cui si fa palese riferimento alla violenza e all'accanimento con cui il giovane Pacciani avrebbe infierito sul cadavere.

Scontata la propria pena, Miranda uscì dal carcere nel 1955, poco dopo si sposò con un altro uomo. Dalla sua cella Pacciani apprese dell'imminente matrimonio. Era probabilmente ancora ossessionato da quella donna. Le scrisse ripetutamente ora minacciandola, ora pregandola di non sposarsi; giunse anche a scrivere al futuro sposo di lei per avvertirlo del pericolo che correva accogliendo in casa una simile persona. Fu tutto inutile. Miranda si sposò e Pietro rimase dentro a scontare i suoi lunghi 13 anni di pena.
Uscì dal carcere il 4 luglio 1964. Aveva 39 anni. Tornò nel Mugello, nel comune di Vicchio. Nel giugno del 1965 si sposò con Angiolina Manni, donna dalle ridotte capacità mentali ma si dice di gradevole aspetto, da cui ebbe due figlie, Rossana nel 1966 e Graziella nel 1967.
Nel 1970 l'intera famiglia emigrò nel comune de La Rufina, sempre in Mugello.


Dal Mugello a San Casciano
Nell'aprile del 1973, in cerca di lavoro, la famiglia Pacciani si trasferì a San Casciano Val di Pesa, presso i poderi del marchese Pier Francesco Rosselli Del Turco. Nuovo paese, nuovo lavoro, nuova vita. A San Casciano, Pacciani conobbe il postino Mario Vanni, colui che diverrà uno dei suoi pochissimi amici, compagno di bagordi, di smodate bevute, talvolta di risse e di frequentazioni con prostitute varie, in special modo la Maria Antonietta Sperduto, abitante a Sambuca Val di Pesa (frazione di Tavernelle) e amante di entrambi.
Altro amico del Pacciani fu il maresciallo Francesco Simonetti, conosciuto a Mercatale nel 1975 e morto, già anziano, nel 1986. Del maresciallo Simonetti si hanno poche notizie, per lo più ne parlano la moglie e la figlia quando furono sentite dalla SAM; ne parla lo stesso Pacciani in alcuni dei suoi memoriali. Si sa che la famiglia Simonetti si trasferì da Firenze a Mercatale nel 1975. Negli anni '80 il maresciallo era in pensione e spesso accompagnava il Pacciani nelle sue gite fuori porta, a Firenze o nel Mugello. Si occupava inoltre di espletare pratiche giudiziarie e burocratiche dell'amico Pietro, come ad esempio la richiesta di perdono avanzata ai familiari del Bonini. La figlia raccontò anche che il padre era succube del Pacciani, probabilmente anch'egli vittima della personalità violenta del contadino. Infine, alcune fonti, che però non trovano conferme documentali, riportano che Simonetti era presente nell'ottobre del 1977 in una trattoria di Scarperia, dopo una mattinata di pesca, il giorno in cui Pacciani conobbe Giovanni Faggi, futuro indagato nel Processo ai Compagni di Merende (vedasi il capitolo Gli imputati Faggi e Corsi).

Nel 1978, all'età di 53 anni, Pietro venne colto da infarto. L'anno successivo si licenziò dal lavoro nel podere del marchese e con la liquidazione comprò casa a piazza del Popolo a Mercatale, la più grande e popolosa frazione di San Casciano.
Nel dicembre del 1980 il marito della sua amante Maria Antonietta Sperduto, il manovale Renato Malatesta, fu trovato impiccato nella cantina della sua abitazione. Il caso fu archiviato frettolosamente come suicidio. In molti tuttora pensano che Pacciani (e forse anche Vanni) abbia avuto a che fare con quella strana morte (vedasi capitolo Le Morti Collaterali).
Frattanto, già da qualche settimana prima la morte del marito, la Sperduto si era trasferita in via Faltignano a San Casciano, accanto alla casa di Salvatore Indovino, colui che in seguito sarebbe divenuto celebre come il mago di San Casciano. Pacciani e Vanni continuarono a frequentare la neo vedova Sperduto anche nella nuova casa. Durante quelle frequentazioni probabilmente conobbero i di lei vicini: il mago Indovino e la compagna Filippa Nicoletti, la quale nella tarda estate del 1981 sarebbe divenuta amante del futuro reo-confesso Giancarlo Lotti. Si venne così a costituire quella strana accolita di personaggi che ruotavano attorno alla casa del mago Indovino e che avrebbero costituito per anni il nucleo centrale delle indagini sul Mostro.
Proprio in quello stesso periodo, pochi mesi dopo la morte del Malatesta, ebbe inizio la tragica epopea del MdF con i sei delitti in rapida successione dal 1981 al 1985.


La prima segnalazione
Pacciani entrò nelle indagini subito dopo l'ultimo duplice omicidio commesso dal MdF agli Scopeti, presumibilmente a causa di una lettera anonima scritta l'11 settembre 1985 e giunta alla caserma dei carabinieri di San Casciano il 16 settembre. La missiva invitava le forze dell'ordine a indagare sul contadino di Mercatale, in quanto personaggio pericoloso ed estremamente losco (vedasi capitolo Accadimenti finali).
Piccola parentesi: undici anni dopo, nel 1996, il capo della squadra mobile, Michele Giuttari scoprirà, grazie a una perizia calligrafica, che tale lettera era stata inviata dal signor Floriano Delli, di professione impiegato di banca. Il Delli, infatti, era stato chiamato a rendere testimonianza presso gli uffici della Procura perché agli inizi degli anni '80 aveva preso in locazione insieme ad alcuni amici, una parte di una colonica ubicata di fronte all'abitazione del Pacciani. Il Delli testimoniò nell'occasione che un giorno del 1981, con la moglie ed alcuni amici, aveva notato nel giardino di casa Pacciani, accanto alla fontana, "delle cose schifose", come dei brandelli di pelle stesi ad essiccare.
Sempre stando alla testimonianza del Delli, inoltre, nello stesso periodo aveva affidato al Pacciani un cane trovatello di nome Pluto da custodire e del cibo con cui sfamare l'animale. Pietro, stando a quanto raccontato dalle figlie, aveva invece utilizzato quel cibo per sfamare i propri familiari e aveva preso a bastonare quotidianamente il cane fino a provocarne il decesso. Delli aveva dunque sicuramente motivi di astio nei confronti del Pacciani.
Come dicevamo, comunque, è proprio la sua lettera anonima nel settembre del 1985 a portare inizialmente Pacciani nel mirino degli inquirenti. Il 16 settembre la missiva giunse alla caserma dei carabinieri di San Casciano e il 19 settembre 1985, forse per una sorta di scrupolo professionale, il maresciallo Vincenzo Lodato assieme al maresciallo D'Aidone e all'appuntato Antonio Scanu si recarono presso l'abitazione di Pietro Pacciani in Piazza del Popolo a Mercatale. Eseguirono una sommaria perquisizione, pur sprovvisti di mandato, da cui non risultò alcunché, e chiesero al padrone di casa di render conto su cosa avesse fatto la sera dell'omicidio.
Come emerse al processo Pacciani, nell'udienza del 3 Maggio 1994, Pietro sosterrà che la prima perquisizione a suo carico fosse invece avvenuta il 9 settembre attorno alle 15.30, il giorno stesso del ritrovamento dei cadaveri dei due francesi, e non il 19, dando di fatto il via a un serrato confronto. In sintesi, lo scambio dialettico fra le varie parti del processo fu il seguente:
● Pacciani dichiarò che il 9 settembre verso le 15:30 era arrivato il maresciallo Lodato a perquisire la sua abitazione; il maresciallo gli aveva chiesto cosa avesse fatto il giorno prima da dopo pranzo fino a sera. Domanda cui Pacciani aveva risposto che era stato alla Festa dell'Unità di Cerbaia, ma non per il partito, quanto per "mangiare un boccone con la famiglia", i famosi "pollettini arrosto", cui avrebbe accennato durante la deposizione spontanea.
● Il giudice Ognibene intervenne affermando che probabilmente la perquisizione non era avvenuta quel giorno (9 settembre) ma il 19 settembre, perché c'era un verbale dei carabinieri che riportava l'evento e che appunto risaliva al 19.
● Pacciani ribadì che la prima perquisizione era avvenuta proprio il 9 e che il 19 era avvenuta un'altra perquisizione in seguito a una lettera anonima giunta alla caserma dei carabinieri di San Casciano.
● Intervenne Canessa che chiese dunque al maresciallo Lodato dove fosse stato il 9 settembre alle ore 14:00, al fine di dimostrare che non poteva essere andato a casa del Pacciani.
● Pacciani a quel punto si arrabbiò: "...ma chi lo ha detto alle 14?... non andiamo a cercare le frottole... che si cerca di imbrogliare le acque qui?... lo cerco pure io chi ha fatto del male...!"
Ribadì quindi che la perquisizione era avvenuta alle 15:30.
● Il maresciallo Lodato affermò che dopo la scoperta dei cadaveri, lui non si era mai mosso dagli Scopeti fino a tarda sera, quindi ritenne impossibile che fosse andato a perquisire Pacciani il pomeriggio del 9 settembre.
● Intervenne l'avvocato Bevacqua che parlò di alcune perquisizioni condotte proprio il 9 settembre alle 17:30 su alcune persone sospettate (tra cui il famoso ginecologo di Montelupo Fiorentino, meglio conosciuto come dottor B.). Il fine di Bevacqua era appunto dimostrare che le perquisizioni erano partite proprio dal pomeriggio del 9.
● Canessa ribatté che di quelle perquisizioni non si era occupato il maresciallo Lodato, ribadendo che il carabiniere quel pomeriggio era rimasto dalle parti di Scopeti fino a sera.

Sebbene per una volta le rimostranze di Pacciani fossero sembrate genuine, risulta difficile credere a una perquisizione fatta alle 15.30 del 9 immediatamente dopo la scoperta dei corpi delle vittime e con la segnalazione anonima ancora lontana dall'essere scritta. Sembra questa una questione di secondaria importanza, ma è dirimente per capire come il futuro imputato fosse rientrato nelle indagini. Infatti, nel caso in cui Pacciani fosse per una volta stato sincero e la perquisizione fosse realmente avvenuta il 9, ciò comporterebbe che il contadino di Mercatale era rientrato nelle indagini sul Mostro non in seguito alla lettera anonima, ma per un altro motivo mai approfondito, che risulta tuttora sconosciuto. Esistono, infatti, alcune teorie mostrologiche secondo le quali Pacciani sarebbe finito nel mirino degli inquirenti già prima del delitto degli Scopeti e dunque sarebbe stato il primo o fra i primi ad essere perquisito subito dopo la scoperta del delitto stesso.
La perquisizione – qualunque sia stato il giorno (9 o 19) - si chiuse comunque con un nulla di fatto e Pacciani sembrò sparire per un paio d'anni dai radar delle forze dell'ordine.


La violenza sulle figlie
Il 30 maggio del 1987, Pacciani finì in carcere per aver ripetutamente abusato delle proprie figlie. Erano state proprio le due ragazze a sporgere denuncia nei confronti del padre.
Il successivo processo parve scoperchiare un vaso di Pandora di inaudite proporzioni su ciò che avveniva fra le mura domestiche di casa Pacciani: reiterate violenze carnali, botte, maltrattamenti e vessazioni di ogni tipo, con moglie e figlie ridotte in uno stato di profonda prostrazione psicologica nei confronti di quel padre padrone, dissoluto e brutale.
Il 12 febbraio 1988 arrivò per Pietro la condanna in primo grado a 8 anni di reclusione. Condanna che verrà confermata in appello e in cassazione.
A titolo puramente cronachistico, gli estensori della sentenza di primo grado furono il presidente del processo, dottor Antonio Parigini, e i due giudici togati, dottori Enrico Ognibene e Federico Lombardi. Per una curiosa coincidenza, diversi anni dopo, sia Ognibene che Lombardi presiederanno i processi di primo grado rispettivamente contro Pacciani (imputato per i 16 omicidi del Mostro) e contro i Compagni di Merende (accusati di complicità col Pacciani negli ultimi cinque delitti).

Tornando alla condanna, anche su tale sentenza non vi è uniformità di vedute. Nel variegato universo mostrologico c'è, infatti, chi ritiene Pacciani innocente anche per gli abusi sulle figlie. Il noto psichiatra forense Francesco Bruno, ad esempio, si è detto più volte convinto che tale accusa fosse stata costruita a tavolino; altresì il celebre avvocato Nino Marazzita, all'epoca in cui era difensore di Pacciani durante il Processo di Appello per i delitti del Mostro, espresse più volte l'auspicio di poter andare maggiormente a fondo sulla questione degli abusi.
Ammettendo, dunque, ma non concedendo, l'innocenza del "Vampa" per i reati sulle figlie, ci si potrebbe chiedere perché qualcuno avrebbe dovuto incastrare Pacciani, quando ancora era un perfetto sconosciuto e le indagini sul Mostro erano di là da venire; ma soprattutto chi era questo qualcuno?
La mostrologia innocentista fornisce due possibili risposte:
▪ la prima, per così dire più ortodossa, ipotizza che le figlie, stanche di subire le angherie e le percosse di un padre comunque geloso, violento, feroce, prepotente e prevaricatore, avessero inventato la storia degli abusi per allontanarlo da loro e guadagnare così una sorta di libertà;
▪ la seconda, di stampo decisamente più complottistico, vede una macchinazione ordita dalla Procura fiorentina per incastrare, senza possibilità di scampo, Pacciani come Mostro di Firenze. Secondo tale teoria, Pacciani sarebbe finito nel mirino degli inquirenti per i delitti del Mostro prima di quanto la cronaca giudiziaria riporti; e dopo la perquisizione infruttuosa del 19 (o a questo punto anche del 9) settembre, la Procura avrebbe continuato a lavorare su di lui sotto traccia per trovare le prove per incastrarlo. In questa ottica, condannarlo per il reato di violenza sulle figlie e quindi dipingerlo davanti all'opinione pubblica come un mostro sarebbe stato un importante punto a favore dell'Accusa in vista di un futuro Processo, mediaticamente e penalmente molto più importamente quale quello per i delitti delle coppiette.

Inutile dire che la prima ipotesi, quella della menzogna delle figlie, per quanto molto poco piacevole da valutare, appare quantomeno possibile.
La seconda presupporrebbe, invece, un piano ordito con diversi anni di anticipo dagli inquirenti ai danni del Pacciani. In altre parole la condanna per gli abusi alle figlie sarebbe stata il frutto di una vera e propria cospirazione tesa a condizionare l'opinione pubblica allorché, quasi cinque anni dopo, Pietro sarebbe stato accusato di essere il Mostro e la tempesta mediatica si sarebbe abbattuta su di lui; e ancor di più quella stessa condanna sarebbe stata tesa a condizionare l'esito di un eventuale Processo sui delitti del Mostro, che si sarebbe svolto oltre sette anni dopo. E tutto questo con il fine di provare a portare in tribunale le figlie per farle dire che sì, il padre le aveva violentate.
Opinione di chi scrive è che se è vero che ogni teoria ha più o meno una propria dignità e ragione d'essere, questa francamente desta qualche perplessità.

A ogni modo, tornando alla condanna del Pacciani per la violenza sulle figlie, fu durante la detenzione nel carcere di Sollicciano che lo stesso ebbe modo di conoscere Suor Elisabetta, nata Anna Maria Mazzari, suora di origini piacentine, dell'ordine delle Figlie della Carità, divenuta col tempo amica, confidente spirituale e in seguito custode del patrimonio del Pacciani. Proprio a causa della custodia di codesti beni, nel luglio del 1996, la religiosa subirà tredici ore di interrogatorio presso la questura di Firenze da parte di Giuttari in persona e una lunga perquisizione in cui verranno sequestrati oltre 150 milioni di vecchie lire in buoni postali fruttiferi e libretti di risparmio affidatile da Pacciani (si veda a tal proposito il capitolo I soldi del Pacciani).
Spogliatasi dell'abito ecclesiastico nel 2004, la donna continuerà a professarsi negli anni fervente innocentista. Recentemente il suo nome è tornato agli onori delle cronache mostrologiche a seguito di un'intervista rilasciata al quotidiano "La Nazione", in cui ha ribadito la propria ferma convinzione sull'innocenza di Pacciani sia per i reati contro le figlie, sia per i delitti del Mostro.


Come Pacciani entrò nelle indagini
La versione ufficiale ci dice che con l'arrivo del dottor Ruggero Perugini a capo delle indagini, fu per la prima volta introdotto l'utilizzo del computer a supporto della ricerca dell'assassino.
Si tratta del famoso terminale citato dallo stesso Perugini al Processo Pacciani, su cui gli inquirenti avevano riversato informazioni e dati sui delitti del MdF e che aveva restituito una lista di 82 persone che, nel corso degli anni, erano state perquisite o fermate durante le indagini sui delitti del Mostro. Fra queste ottantadue persone c'era anche Pacciani.
Erano gli anni in cui sotto la lente degli inquirenti per i delitti del MdF era finito Salvatore Vinci, ma soprattutto erano anni di completo silenzio da parte del killer. Dopo l'escalation fra il 1981 e il 1985, le estati del 1986 e del 1987 erano passate senza delitti. Gli inquirenti formularono dunque quattro ipotesi a tal proposito:
● il MdF era morto o gravemente malato;
● il MdF si era trasferito per scelta propria o per costrizione;
● il MdF aveva deciso di porre fine o sospendere la sua attività delittuosa perché consapevole di essere finito nel mirino degli inquirenti;
● il MdF era finito in carcere per altri reati o in manicomio.
A questo punto la Procura di Firenze commissionò al Ministero di Grazia e Giustizia una ricerca sui detenuti residenti in Toscana, di età compresa fra i 30 e i 60 anni, imprigionati subito dopo il delitto degli Scopeti. Il computer del Ministero restituì 60 nominativi. La richiesta della Procura fu meglio puntualizzata: fra questi 60 nominativi quali erano quelli nella materiale possibilità di commettere tutti i duplici omicidi del MdF, prendendo come punto di riferimento una settimana prima e una settimana dopo ogni duplice omicidio.
Di quei 60 nominativi, ne rimasero 28, di cui un mutilato e una donna, quindi 26 effettivi. Fra questi 26 figurava ancora il nome di Pacciani, che anzi era l'unico a rientrare sia in questa lista che nella precedente già elaborata dalla SAM.
Inizialmente, però, alcuni fattori come l'età, il fatto che fosse sposato con figli e soprattutto le condizioni di salute del sospettato (infarto nel 1978 più una lunga serie di ricoveri per malanni vari) portarono a escluderlo come possibile MdF. Da non sottovalutare anche che la figura del Pacciani (sia da un punto di vista fisico che psicologico) stridesse abbastanza con il profilo del mostro redatto dalla perizia De Fazio.
Le indagini continuarono fitte e nel 1989 un'ulteriore meticolosa selezione operata dal computer portò a una ridottissima lista di 6 possibili nomi cui imputare i delitti commessi dal MdF. La Procura era convinta che fra questi 6 nomi ci fosse quello del Mostro. Neanche a dirlo, fra questi 6 nomi c'era ancora una volta quello di Pietro Pacciani.
Fu proprio nel 1989 che cominciarono segretamente da parte della SAM e della procura di Firenze le indagini a tappeto sul contadino di Mercatale. Indagini capillari che porteranno Ruggero Perugini il 9 luglio 1991 a consegnare alla Procura di Firenze un rapporto completo su ciò che era emerso.
Il 24 ottobre 1991, il Procuratore della Repubblica Pier Luigi Vigna emise nei confronti di Pacciani un'informazione di garanzia per gli otto duplici omicidi del Mostro di Firenze. Una settimana più tardi il nome di Pacciani divenne di dominio pubblico.
Il 6 dicembre del 1991, causa condono e buona condotta, Pietro uscì dal carcere dopo 4 anni e mezzo di detenzione e fece ritorno nella sua casa di San Casciano disseminata di cimici e microspie.
Il 25 dicembre 1991, il cappellano del carcere di Sollicciano, don Danilo Cubattoli, accompagnato da due detenuti, si recò a casa Pacciani per porgere a Pietro gli auguri di Natale.
Fu lo stesso Pacciani a raccontare, in maniera sospettosa, questa visita al Perugini: "Per Natale è venuto a farmi gli auguri don Cuba con due detenuti: ce n'era uno che doveva fare un monte d'anni e che aveva detto di sapere un sacco di cose sul mostro; poi è venuto fuori che non aveva niente da dire. Non vorrei che m'avessero messo qualche gingillo nell'orto...".
Il detenuto di cui Pacciani parla è il già citato ergastolano Giuseppe Sgangarella (vedasi capitolo dedicato a Francesco Vinci), compagno di carcere del Pacciani, che aveva promesso scottanti rivelazioni sulla vicenda del Mostro in cambio di benefeci, salvo poi scoprire che si trattava verosimilmente di un bluff.
La visita suonò strana a Pacciani, ma ancor di più suonò strano a Perugini il riferimento dell'indagato a un "gingillo nell'orto", come se Pacciani avesse voluto mettere le mani avanti su eventuali ritrovamenti durante una delle numerose perquisizioni che stava subendo.
Il 4 febbraio 1992, nella trasmissione di Rai 2, "Detto tra noi", interamente dedicata al MdF e in diretta da Vicchio, ci fu il celeberrimo appello (quello ben noto fra i mostrologi del web come "E allora ascolta"), in cui Ruggero Perugini invitò il MdF a costituirsi per cercare aiuto proprio negli inquirenti. Perugini sapeva che Pacciani era davanti alla TV e si aspettava qualche reazione da parte dell'indagato che le microspie avrebbero colto. In realtà non arrivò nessuna reazione se non la dichiarazione della moglie Angiolina allo stesso Perugini sul fatto che la trasmissione fosse garbata parecchio al marito.


La maxi perquisizione
Un paio di mesi dopo l'appello di Perugini, stando alle dichiarazioni degli stessi inquirenti, Pacciani venne visto per diversi giorni consecutivi frugare nel proprio orto, come alla ricerca di qualcosa. In precedenza c'erano state le dichiarazioni dello stesso indagato su un eventuale "gingillo" che qualcuno avrebbe potuto mettere nell'orto per incastrarlo e questo insospettì fortemente i poliziotti della SAM. Verso la fine dell'aprile del 1992 le perlustrazioni del contadino si erano fatte talmente intense e prolungate da spingere Vigna a ordinare una profondissima perquisizione in casa Pacciani.
La mattina del 27 aprile 1992 ebbe così inizio la più accurata e spettacolare perquisizione nella storia giudiziaria italiana. Al terzo di dodici giorni di perquisizione, il 29 aprile, venne ritrovata la cosiddetta "prova regina".
Erano le 17.45 quando lo stesso Perugini estrasse dal terreno fangoso dell'orto di casa Pacciani una cartuccia inesplosa della Winchester, calibro 22, a piombo nudo con la lettera H sul bossolo, lo stesso tipo di proiettili utilizzati dal MdF. Sarà questo proiettile il più grande indizio a carico del Pacciani, ma anche uno dei punti più controversi dell'intera indagine (vedasi a tal proposito il capitolo dedicato al Processo).


L'asta guidamolla
Meno di un mese dopo, il 25 maggio 1992, giunse alla stazione dei carabinieri di San Casciano, nella persona del maresciallo Arturo Minoliti, una busta bianca al cui interno, avvolta in due pezzi di stoffa, c'era l'asta guida-molla di una pistola beretta calibro 22 serie 70 (presumibilmente il modello d'arma del mostro). Ad accompagnare il reperto c'era uno biglietto anonimo piuttosto sgrammaticato in cui era scritto che si trattava di un pezzo della pistola del mostro, ritrovata in un punto della campagna attorno a San Casciano che Pacciani di solito frequentava; il misterioso mittente accludeva anche uno schizzo del luogo.
Più precisamente il biglietto riportava testualmente:
"Questo è un pezzo della pistola del Mostro di Firenze e sta' sulla Nazione: c'era la fotografia. Stava in un barattolo di vetro stiantato (qualcuno lo à trovato prima di me) sotto un albero a Crespello-Luiano – e’ si vede il tabbenacolo della vergine. Il Pacciani andava lì e lavorava alla fattoria. Anche la moglie e la figlia grande passeggiavan lì e’ sono grulle e’ fanno tutto quello e’ lui gli comanda se no ne toccano. Il Pacciani è un diavolo e incanta i bischeri alla t.v. Ma noi lo si conosce bene e lo avete conosciuto anche voi. Punitelo e Dio vi benedirà perché un è un omo è una berva. Grazie."
Il riferimento al quotidiano "La Nazione" è dovuto a un articolo uscito pochi giorni prima, il 5 maggio, nel quale venivano illustrati tramite un accurato disegno tutti i componenti smontati di una Beretta calibro 22 serie 70.
Le indagini appurarono che i pezzi di stoffa in cui era stata avvolta l'asta provenivano da casa Pacciani: infatti il 31 maggio, quasi casualmente a detta degli stessi inquirenti, durante una perquisizione a casa dell'indagato, l'ispettore Riccardo Lamperi notò uno straccio appeso a una parete con la stessa fantasia della stoffa in questione. Il 2 giugno, in seguito a una nuova perquisizione, fu rinvenuto proprio lo straccio combaciante nelle sfilacciature con quello che aveva avvolto l'asta.
Il dubbio che quella lettera l'avesse potuta inviare proprio l'indagato stesso per confondere le acque e dimostrare di essere vittima di persecuzione da parte di anonimi segnalatori, fu forte tra gli inquirenti. Le cose che insospettirono furono:
● Pacciani scriveva S. Casciano anziché San Casciano, esattamente come era riportato sulla busta arrivata;
● La lettera conteneva errori grammaticali che Pacciani era solito fare nei suoi memoriali, ad esempio l'accento sull'ausiliare "avere" anziché l'utilizzo dell'acca o i classici errori di doppia;
● L'indubbia bravura del Pacciani nel disegnare, soprattutto le mappe; e la bravura evidenziata dal mittente anonimo nel realizzare la mappa del luogo dove aveva recuperato l'asta guida-molla;
● L'utilizzo dello stampatello maiuscolo, carattere che Pacciani usava sempre nei suoi memoriali.
Sfugge tuttavia la motivazione per cui Pacciani, qualora fosse stato il MdF, avrebbe dovuto inviare un pezzo dell'arma con cui eseguiva i delitti alle forze dell'ordine, considerando che se c'era una cosa su cui poteva farsi forza era appunto che l'arma non fosse mai stata trovata.
Un'ipotesi ventilata dalla difesa dell'imputato (nello specifico dall'avvocato Bevacqua) era invece che quella lettera anonima fosse stata inviata dalle figlie del Pacciani, ormai in guerra aperta con il padre, per incastrarlo definitivamente e farlo tornare in galera.
Durante lo stesso Processo, emerse anche la possibilità, espressa dall'avvocato Luca Santoni Franchetti, che il biglietto fosse stato in realtà scritto in maniera volutamente rozza e sgrammaticata, in modo da far credere che l'autore fosse proprio Pacciani.
Qualche anno dopo il processo di primo grado, precisamente nel 1998, il comandante della stazione dei carabinieri di San Casciano, maresciallo Arturo Minoliti, si lasciò andare ad alcune "imprudenti" dichiarazioni con il giornalista Mario Spezi, sostenendo che a suo parere straccio e asta guidamolla erano stati elementi appositamente costruiti dagli inquirenti per incastrare Pacciani (per maggiori dettagli, vedasi il capitolo dedicato al Processo Pacciani).
A rendere tanto per cambiare ancor piú complicata la situazione, qualche anno dopo, verrà accusato di aver inviato la missiva anonima contenente straccio e asta, il già citato giornalista della RAI, Giovanni Spinoso, paccianista convinto, marito di Marzia Rontini (la sorellastra di Pia), e finito più volte nel mirino della Procura forse per le sue inchieste giornalistiche, forse per le sue ingerenze nelle indagini. Il giornalista verrà assolto nel febbraio 2006 per non aver commesso il fatto.
Oggi parecchi mostrologi pensano (ovviamente senza alcuna base documentale) che a prelevare subdolamente i pezzi di stoffa da casa Pacciani, avvolgervi all'interno l'asta guidamolla e inviare il tutto alla caserma dei carabinieri di San Casciano, fosse stato un non meglio identificato tutore dell'ordine il cui fine era appunto incastrare Pacciani.

Le indagini frattanto proseguivano serrate fra viaggi in Germania alla ricerca di prove presso le famiglie dei due ragazzi tedeschi uccisi a Giogoli e svariate perquisizioni, finché il 17 gennaio 1993 il contadino di Mercatale venne arrestato con l'accusa di essere il Mostro di Firenze. Gli vennero addebitati tutti gli otto duplici omicidi dal 1968 al 1985.
Ben presto avrebbe avuto inizio il grande processo a suo carico.




6 commenti:

  1. Ma il padre si chiamava Pio o Antonio?

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    1. Antonio Pacciani era il padre, Rosa Bambi la madre.
      Pio era il padre di Angiolina.

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    2. Sul sito di Flanz, insufficienza di prove, dai memoriali scritti da Pacciani, sembrerebbe il padre si chiamasse Pio

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  2. https://youtu.be/qa4F-0_uh08

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  3. Lo so, sono viedo che conosco discretamente. Ma da rapporto della questura di Firenze sulla situazione finanziaria del Pacciani, redatto il 9 gennaio 1997, i nomi dei genitori di Pacciani sono quelli che ti ho scritto nel precedente commento.
    Antonio Pacciani e Rosa Bambi per Pietro.
    Pio Manni e Giulia Gaudenzi per Angiolina.

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  4. Un ci posso credere che nella mente di un esperto investigatore vengano in mente simili teorie, mandanti? sette ? maghi indovini ? ma siamo impazziti!

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