Rabatta


Data: Sabato, 14 Settembre 1974;
Orario: Circa le 23.45, secondo la testimonianza di una coppia che, transitando su via Ponte d'Annibale, ha udito alcuni colpi di pistola;
Luogo: Borgo San Lorenzo, località Fontanine di Rabatta;
Vittime: Pasquale Gentilcore, 19 anni; Stefania Pettini, 18 anni;
Automobile: Fiat 127 blu targata FI 598299;
Fase Lunare: Due giorni prima del Novilunio (età lunare -2gg). Illuminazione al 5%. Il 14 settembre a Firenze la luna è tramontata alle ore 18:12 per poi sorgere il giorno successivo (15 settembre) alle ore 6:00.


Prima del delitto
La sera del 14 settembre 1974, verso le 21.15, il giovane Pasquale Gentilcore lasciò sua sorella Maria Cristina davanti all'ingresso della discoteca Teen Club di Borgo San Lorenzo. Le disse che sarebbe passato a riprenderla verso mezzanotte. Quindi raggiunse la fidanzata, Stefania Pettini, presso la di lei abitazione sita in Pesciola di Vicchio.
Erano all'incirca le 21.30 quando Stefania salì sull'automobile di Pasquale. I due percorsero un breve tratto di strada per andare ad appartarsi nei pressi del fiume Sieve in località Rabatta, frazione a metà strada fra Borgo San Lorenzo e Vicchio.
Durante questo tragitto i ragazzi non furono sicuramente seguiti: una giovane testimone dichiarò infatti di averli visti attraversare il passaggio a livello di Pesciola e che questo si era chiuso alle loro spalle senza che nessun'altra vettura fosse sopraggiunta dopo di loro.


Scena del crimine
La coppia fu aggredita verosimilmente in maniera proditoria mentre amoreggiava in macchina. L'orario cui si fa risalire il delitto è fra le 23.30 e la mezzanotte, allorché una coppia che transitava in automobile nelle vicinanze udì alcuni colpi di arma da fuoco. L'assassino esplose complessivamente otto colpi di pistola sui due giovani, quindi impugnò il coltello.
Il ragazzo venne raggiunto da 5 colpi di arma da fuoco e da 5 colpi d'arma bianca inferti post-mortem. Fu ritrovato in auto con solo gli slip addosso.
La ragazza venne raggiunta da 3 colpi d'arma da fuoco non mortali che attinsero alle gambe e all'addome, venne estratta ancora viva e presumibilmente cosciente dalla macchina, quindi colpita con 96 coltellate, di cui le prime tre mortali, talmente violente da intaccare lo sterno; le altre furono abbastanza superficiali, alcune definite nulla più che semplici punture. La maggior parte di queste andavano a circoscrivere in maniera leggera la zona pubica e la zona mammaria. Atto finale dell'omicida fu infilare un tralcio di vite nella vagina della ragazza; tale tralcio venne semplicemente appoggiato, senza esercitare pressione o violenza, non avendo provocato alcuna lesione sulle pareti vaginali di Stefania. La povera ragazza venne ritrovata completamente nuda, sdraiata per terra, con la testa all'altezza del tubo di scappamento della macchina, le braccia e le gambe divaricate, in una posizione quasi sguaiata.
L'automobile venne rinvenuta con la portiera destra aperta; la portiera sinistra era invece chiusa con il finestrino completamente infranto.

Dopo il delitto
I cadaveri furono scoperti la mattina dopo, domenica 15 settembre, da un contadino del luogo, tale Pietro Landi, il quale sconvolto dallo scempio sul corpo di Stefania, trovò rifugio e assistenza presso l'abitazione nelle immediate vicinanze di Aldo Fusi, anch'egli contadino.
Informato del brutale duplice omicidio, il figlio di Aldo, Francesco Fusi si precipitò presso la caserma dei carabinieri di Borgo San Lorenzo, comandata all'epoca dal maresciallo Michele Falcone.
Le prime indagini si concentrarono principalmente su tre personaggi sospetti della zona.
Nello specifico:

1. Un "sedicente mago" di nome Bruno Mocali, all'epoca cinquantatreenne di Scarperia, che il giorno precedente al delitto (13 settembre) aveva ricevuto una visita da Pasquale Gentilcore. Il giovane infatti soffriva da circa tre anni di problemi epatici e proprio al Mocali si rivolgeva spesso, confidando evidentemente nelle sue doti di guaritore. I due avevano così stretto una sorta di amicizia.
Il Mocali, coniugato con figli e claudicante per un problema alla gamba sinistra a seguito di un incidente stradale, rientrò fra i sospettati in quanto, oltre ad essere stato amico della vittima maschile, era un sospetto guardone, conosceva bene il luogo del delitto e aveva discreta familiarità con le armi (sia da fuoco che bianche). L'uomo subì nell'immediatezza dei fatti una perquisizione che non diede tuttavia alcun esito.

2. Un ventottenne di Borgo San Lorenzo, tale Giuseppe Francini che, secondo la vulgata mostrologica, si era auto-accusato del duplice omicidio, salvo poi rivelarsi un mitomane.
Volendo però fare chiarezza su quest'ultimo punto, è bene precisare che in realtà il suddetto Francini non si era auto-accusato del delitto, ma il giorno successivo si era presentato dai Carabinieri di Borgo San Lorenzo per dichiarare che dalla sua automobile FIAT 850 era sparito un cacciavite e temeva che tale improvvisata arma fosse stata utilizzata per commettere il duplice omicidio (inizialmente infatti gli inquirenti pensavano che la coppia fosse stata uccisa a colpi di cacciavite o di punteruolo). Durante la tribolata deposizione, il Francini rivelò fra le lacrime di avere sofferto in precedenza di disturbi psichici e di essere perseguitato da qualcuno, senza però fornire ulteriori dettagli in merito. Il giorno successivo (16 settembre) la casa del Francini venne perquisita ma non venne trovato nulla di particolarmente significativo.
In seguito, nel febbraio dell'anno successivo, furono condotte ulteriori indagini sia sul Francini, sia sulla sua famiglia. Tale indagini tuttavia non portarono a nulla di particolarmente rilevante (per maggiore dettagli vedasi il capitolo Mostrologia minore).

3. Infine, sulla base di alcune segnalazioni, venne dapprima attenzionato, in seguito arrestato un quarantenne calabrese, Guido Giovannini, personaggio estremamente sospetto per via dei suoi violenti trascorsi da guardone ed esibizionista nella zona del delitto.
Classe 1934, Giovannini era un operaio specializzato dipendente della ditta Lisi di Borgo San Lorenzo. A far convergere i sospetti su di lui furono:
▪ la testimonianza di due sorelle, Marisa e Maria Villani, che dichiararono ai carabinieri di aver notato in alcune occasioni un giovane nella zona del delitto in atteggiamenti osceni. Non è tuttavia ben chiaro se il soggetto da loro indicato fosse davvero il Giovannini;
▪ alle ore 00:30 del 17 settembre arrivò una telefonata al 113, smistata alla caserma dei carabinieri di Borgo San Lorenzo, di un uomo che, inizialmente in forma anonima, intese denunciare gli atteggiamenti estremamente intimidatori e molesti di un guardone nei confronti delle coppie che si appartavano nelle campagne attorno a Borgo San Lorenzo. Il chiamante si qualificò con estrema titubanza nel corso della stessa telefonata come tal Gino Clusini di Scandicci. Grazie alle indicazioni da lui fornite, il suddetto guardone venne appunto identificato nel Giovannini.
Il Clusini venne poi convocato a Firenze presso la sede del Nucleo Ivestigativo per chiarire la sua posizione. Ivi dichiarò di avere una fidanzata mugellana e di essersi talvolta appartato nelle campagne di Borgo; ribadì le sue accuse, fornendo i nominativi di altre persone (tali Giampiero Giannini e Giuseppe Barbugli) che avevano avuto sfortunati incontri con il Giovannini e dunque avrebbero potuto corroborare la sua testimonianza. Ascoltati in merito, il Giannini e il Barbugli confermarono le dichiarazioni del Clusini;
▪ una lettera anonima, imbucata a Firenze il 16 settembre e arrivata alla caserma dei carabinieri di Borgo San Lorenzo la mattina del 17 (alle ore 9.45), denunciava infine comportamenti osceni, molesti o addirittura violenti da parte di un guardone nei confronti di coppie appartate nelle campagne di Rabatta. In questa missiva, scritta a macchina su un foglio di carta di riso e firmata "B.B. Firenze", veniva segnalata l'automobile del responsabile di questi atteggiamenti intimidatori, una 127 bianca con targa corrispondente a quella dello stesso Giovannini.
Chi si fosse celato dietro la sigla "B.B. Firenze" non è dato sapersi. In alcuni ambienti mostrologici è stata ventilata l'ipotesi che potesse essere lo stesso Clusini, il quale avrebbe quasi contemporaneamente spedito la lettera e chiamato il 113, per poi presentarsi personalmente a rendere testimonianza. Ci sarebbe da chiedersi, in questo caso, perché il Clusini avrebbe dovuto firmarsi B.B. Firenze.
Più credibilmente, in una recente puntata della trasmissione La Notte del Mistero dell'emittente Florence International Radio, la dottoressa Lisa Sequi ha fatto notare come questa lettera presentasse uno stile poliziottesco e un particolare errore di spaziatura nell'uso delle virgole. Tale errore è presente in maniera ricorrente anche in due verbali redatti nella caserma dei carabinieri di Borgo San Lorenzo, uno di questi relativo alla perquisizione del Giuseppe Francini. Inutile precisare che l'idea sottesa è che a vergare la lettera anonima e i suddetti verbali fosse stata la stessa mano. Se a questo aggiungiamo la celerità con cui tale missiva era giunta a destinazione (imbucata il 16/9, consegnata alle 9.45 del 17/9), il sospetto che l'anonima segnalazione fosse nata proprio nella caserma di Borgo come gancio per fare partire le indagini sul Giovannini potrebbe esser lecito.
A complicare la situazione e alimentare sospetti è una particolare coincidenza: il vice-brigadiere Mario Sciarra, comandante della squadra di Polizia Giudiziaria nella caserma di Borgo, e il signor Gino Clusini erano nati a pochi giorni di distanza l'uno dall'altro (anno 1944) nello stesso luogo, Caprese Michelangelo, un paesino di un migliaio di abitanti della provincia di Arezzo, celebre più che altro per aver dato i natali al Buonarroti. Anche se non vi è alcuna certezza in merito è lecito supporre che i due potessero conoscersi ancor prima che il Clusini decidesse di far partire la denuncia.

A ogni modo, dietrologie a parte, ce n'era probabilmente abbastanza per far scattare, quello stesso 17 settembre, un'immediata perquisizione a casa del Giovannini, il quale nel frattempo aveva lasciato Borgo San Lorenzo per questione lavorative. La perquisizione venne effettuata alla presenza di sua moglie, la signora Anna Bani. Nell'occasione vennero sequestrati, fra le altre cose, una roncola macchiata presumibilmente di sangue e alcune carabine non dichiarate. Il giorno successivo, il Giovannini venne fermato in Abruzzo e tradotto in arresto a Firenze. In seguito gli esami accertarono che le macchie ematiche sulla roncola erano di tipo animale, inoltre un paio di testimonianze scagionarono del tutto il pur molesto guardone, ben presto giudicato estraneo ai fatti e prosciolto da ogni accusa.


Avvistamenti e segnalazioni
Oltre a quelle appena riportate sul Giovannini, si ha riscontro anche delle seguenti segnalazioni:
► Secondo la testimonianza di tale Walter Calzolai, che si trovava a transitare in automobile con alcuni amici sulla Sagginalese verso mezzanotte e mezza del 15 settembre (quindi a delitto appena commesso), c'era un'automobile ferma, a fari spenti, con la luce interna accesa e la parte anteriore rivolta verso l'imbocco di una strada campestre distante circa 50 metri dal tratturo che conduceva al luogo del delitto. Tale vettura venne identificata come una Simca, una BMW o una Giulia di colore grigio. Nessuno dei presenti notò se ci fossero persone all'interno.
Considerando che l'azione omicidiaria era iniziata all'incirca tre quarti d'ora prima e che sicuramente (causa 96 coltellate inferte alla Pettini) si era protratta per un discreto lasso di tempo, non è improbabile pensare che l'assassino fosse non lontano dal luogo del delitto quando transitò l'automobile del Calzolai e che forse la vettura color grigio potesse effettivamente avere una relazione con il delitto.
► Un'altra testimonianza che potrebbe essere interessante è quella di una coppia di amici, Paolo Darici e Francesco Lippi, che mentre transitavano sulla Sagginalese la mattina successiva verso le ore 7.15 per andare a funghi, notarono ferme in località Fontanine di Rabatta dapprima un'automobile scura con una persona a bordo (verosimilmente l'automobile del Gentilcore) e successivamente una Giulia color "verdolino", targata Napoli, con tre persone all'interno e una all'esterno, la quale alla vista del motocarro (comunemente detto treruote) del Darici, si affrettò a voltare la testa, come per non essere visto. La persona all'esterno venne descritta come un giovane dai capelli ricci e biondi. Secondo la testimonianza del Darici e del Lippi, la distanza fra le due automobili in linea d'area era di circa 60 metri.
Da notare che all'ora in cui avvenne questo avvistamento, il signor Landi era già arrivato o forse era in procinto di arrivare sulla scena del delitto e scoprire i cadaveri.


Particolarità a Rabatta
● Inizialmente gli inquirenti pensarono a un delitto commesso esclusivamente con arma bianca. Solo in seguito, nei laboratori di medicina legale, sui cadaveri dei ragazzi furono scoperte le ferite prodotte dai colpi d'arma da fuoco. Allertati dai medici legali, gli inquirenti tornarono sul luogo del delitto (dove la macchina era stata nel frattempo rimossa) alla ricerca dei bossoli, trovandone in un numero minore rispetto agli otto colpi esplosi.
Risultò che a sparare era stata una Beretta Calibro 22 Long Rifle (LR) Serie 70. Nessuno all'epoca sapeva ancora che la stessa arma aveva già sparato sei anni prima a Signa per uccidere un'altra coppia.
● I proiettili usati per questo delitto furono Winchester a palla ramata con impresso sul fondello la lettera H, esattamente lo stesso tipo di proiettili con le stesse imperfezioni e provenienti dalla stessa partita del duplice omicidio di sei anni prima.
● La perizia balistica per il delitto del 1974 fu eseguita dal colonnello Innocenzo Zuntini, lo stesso che aveva eseguito la perizia balistica per il delitto del 1968. Tuttavia Zuntini non collegò i due duplici omicidi che pure coinvolgevano entrambi una coppia. Questo a dimostrazione di come il delitto del 1968 venisse considerato completamente risolto o comunque sicuramente maturato in ambito familiare.
● Dato per certo che Stefania e Pasquale si appartarono poco dopo le 21.30 e che verosimilmente l'attacco del killer con l'arma da fuoco avvenne fra le 23.30 e mezzanotte, c'è un buco di oltre due ore durante il quale nessuno ha visto o saputo più nulla dei due ragazzi. Questo ha portato alcuni mostrologi a ipotizzare che ci possa essere stata una lunga interazione precedente all'assalto fra assassino e vittime. Pur essendo questa ipotesi coerente con alcuni particolari della scena del crimine, la maggior parte della odierna mostrologia ritiene tuttavia che l'attacco abbia colto le vittime di sorpresa e che il lungo lasso di tempo precedente all'assalto sia stato trascorso dalla coppia in completa intimità, forse cercando una riappacificazione dopo un periodo turbolento che la coppia stessa aveva vissuto.
● Come accennato nel punto precedente, Stefania e Pasquale venivano da un periodo piuttosto travagliato da un punto di vista sentimentale. Circa un anno prima, precisamente nell'ottobre del 1973 quando lavorava come segretaria presso una ditta di autotrasporti di Barberino del Mugello, Stefania aveva conosciuto un tale Stefano Galanti, un ventitreenne studente di Barberino. I due ragazzi avevano avuto un breve flirt, durato circa una ventina di giorni. In quel lasso di tempo il Galanti aveva sovente accompagnato Stefania, al termine del proprio turno di lavoro, da Barberino a Pesciola.
Ascoltato dagli inquirenti dopo il delitto, il Galanti dichiarò di non aver mai avuto rapporti completi con Stefania che anzi gli aveva confidato di essere ancora vergine e difatti gli era sembrata "poco esperta" durante i loro momenti di intimità. Galanti dichiarò anche di non essere a conoscenza di altre relazioni che Stefania avrebbe intrattenuto in quel periodo, tranne quella ufficiale con il suo fidanzato, Pasquale. Inoltre affermò che non ebbe mai la sensazione di essere seguito quando era con Stefania, né quando si appartavano aveva mai notato la presenza di guardoni o avvertito situazioni di pericolo.
Gli inquirenti appurarono che il Galanti per la sera del delitto aveva un alibi inattaccabile. Inoltre scoprirono anche che altre due persone accompagnavano talvolta la Pettini da Barberino a Pesciola: uno di questi era tale Ovidio Cartucci, cinquantenne impiegato in una ditta di giocattoli, che Stefania aveva presentato al Galanti stesso come un vecchio amico di famiglia.
Oltre al breve flirt col Galanti, nell'agosto del 1974, vale a dire circa un mese prima del delitto, la giovane Stefania era stata in vacanza a Rimini con le sue cugine, Tiziana Bonini e Carla Bartoletti, e qui aveva conosciuto un tale Andrea di Bergamo, per cui verosimilmente aveva preso una tipica cotta da diciottenne. Stando al racconto della cugina Tiziana, in un'occasione, durante un ballo, Stefania aveva manifestato atteggiamenti che denotavano una certa intimità con questo ragazzo bergamasco. Ciò aveva causato la gelosia del Gentilcore che aveva raggiunto Stefania a Rimini e dato vita a una rumorosa scenata.
È dunque possibile che quando, qualche settimana dopo, la sera di sabato 14 settembre, i due ragazzi si appartarono in automobile a Rabatta, avessero parecchio di cui parlare e chiarirsi.
● I vestiti della coppia furono trovati perfettamente piegati all'esterno della macchina, a circa tre metri dallo sportello destro ai piedi di una vite. Tra questi vestiti c'era anche un paio di pantaloni che il Gentilcore aveva ritirato da una lavanderia di Firenze. Rimane ancora oggi difficile stabilire con certezza come fossero finiti quei vestiti in quel punto. Possiamo limitarci a fare tre ipotesi:
1. i ragazzi si erano spogliati e avevano poggiato di loro spontanea volontà con estrema cura i vestiti all'esterno della macchina prima di concedersi alle loro effusioni amorose. Pur non sapendo bene per quale fine, questa rimane l'ipotesi più probabile;
2. i ragazzi erano stati colti di sorpresa dall'assalitore ma non uccisi subito. Erano stati dunque obbligati a spogliarsi e, tenuti sotto tiro, avevano poggiato i vestiti all'esterno. Questa ipotesi potrebbe contrastare con la ricostruzione dell'assalto che vuole le due vittime colte di sorpresa, ma non è affatto improponibile. Il celebre avvocato Nino Filastò propende, ad esempio, per questa idea;
3. era stato lo stesso assassino, dopo aver compiuto l'eccidio, a prendere i vestiti dei ragazzi dall'abitacolo della vettura e posarli con cura all'esterno. Questa ipotesi risulta - a parere di chi scrive - poco verosimile non tanto perché è improbabile che l'assassino si preoccupasse di riporre i vestiti dei ragazzi con così tanta attenzione, quanto perché questi risultavano assolutamente intonsi, senza la più piccola macchia di sangue.
● Sappiamo con certezza che al termine dell'azione di sparo, la povera Stefania era ancora viva. Vi sono meno certezze sulle sue condizioni di salute, tuttavia, i colpi che l'attinsero oltre a non essere mortali non sembravano tali da produrre ferite di eccezionale gravità. È molto probabile dunque che la ragazza non solo fosse ancora cosciente nel momento in cui il killer cessò di sparare, ma anche in grado in un certo qual modo di difendersi. A questo proposito, fra le ferite rinvenute sul suo corpo c'era un graffio all'altezza del mento, appena sotto il labbro inferiore, che è stato univocamente interpretato come un'unghiata involontaria dell'assassino nel tentativo di tapparle la bocca. Questa ferita dimostrerebbe sia che al termine degli spari la Pettini era quanto meno in grado di urlare, sia che in questa occasione il killer non indossava guanti.
● Le piante dei piedi di Stefania sembrano, almeno a giudicare dalle foto, sporche di fango. Questo secondo alcuni mostrologi avvalora la teoria secondo cui la povera ragazza avrebbe provato persino a fuggire scalza dal suo assalitore, una volta terminata l'azione di sparo. Ma di questo particolare non si fece menzione nell'intero Processo Pacciani, né ha alcuna base di tipo documentale e può essere tranquillamente considerato alla stregua di mera suggestione.
IMPORTANTE: Come vedremo nel paragrafo dedicato alle "Teorie" e come ampiamente condiviso da buona parte della mostrologia odierna, in questo omicidio è ipotizzabile una conoscenza pregressa fra vittima femminile e carnefice, anche solo unilaterale. Questo potrebbe implicare che il killer avesse puntato e deciso di uccidere proprio quella coppia.
Dando momentaneamente per buona questa possibilità e dato per assodato che - come visto - l'automobile del Gentilcore non venne seguita, è lecito domandarsi come assassino e vittime si fossero ritrovati sul luogo del delitto. Possiamo valutare tre ipotesi:
1. sapendo dove Pasquale e Stefania erano soliti appartarsi, quel sabato sera l'assassino si era appostato con un certo anticipo in loco nella speranza di veder arrivare la giovane coppia;
2. l'assassino arrivò successivamente alla coppia sul luogo del delitto; forse vide uscire Stefania da casa della zia e - mosso da un raptus di gelosia - era corso ad armarsi e in seguito era andato a cercarli nella zona in cui più o meno sapeva si appartavano; o forse il killer si aspettava di incontrare la giovane coppia al TEEN CLUB, ma non vedendola arrivare, anche in questo caso andò a cercarla nella zona in cui sapeva si appartavano;
3. l'assassino si trovò a passare dal luogo dell'omicidio per puro caso, vide e riconobbe l'automobile del Gentilcore e, mosso da un impulso di gelosia nei confronti di Stefania, decise di attaccare.
Ognuna di queste ipotesi presenta una discreta varietà di sfaccettature. Se prendiamo per buona l'ipotesi 1, dobbiamo pensare che l'assassino rimase almeno un paio di ore a spiare la coppia prima di passare all'attacco oppure dobbiamo ipotizzare che si palesò molto prima dell'attacco e, armi in pugno, ebbe una qualche interazione con la coppia prima di passare all'azione omicidiaria vera e propria.
Se ipotizziamo invece che l'assassino arrivò alle Fontanine di Rabatta dopo la coppia, dobbiamo considerare che la conformazione del luogo rende piuttosto difficile avvicinarsi all'automobile senza essere visti. Dunque o la coppia era talmente impegnata nella propria intimità e fra effusioni d'amore e musica dal mangianastri, non si accorse di nulla fino agli spari o quasi, oppure si dovrebbe optare per un'ipotesi alla Filastò: un killer in divisa, dunque un'autorità, che si avvicina all'automobile come per controllare i documenti e poi improvvisamente fa partire l'azione di sparo.
A ogni modo, le ipotesi 1 e 2 prevedono che l'assassino arrivò alle Fontanine di Rabatta con il chiaro intento di uccidere la giovane coppia. L'ipotesi 3 prevede invece un incontro casuale e in questo caso nel killer scattò solo in quel momento l'impulso omicida. Dunque, o dovette andare a recuperare le proprie armi oppure erano oggetti che portava sempre con sé.
L'ipotesi 3, sempre in un eventuale contesto di conoscenza fra vittima e carnefice, è quella che ci sentiremmo di appoggiare con minor probabilità.
● L'abilità come sparatore del killer in questo delitto, almeno secondo la tesi ufficiale, non risulta così efficace. Ufficialmente si ritiene infatti che la Pettini sia stata finita a coltellate perché l'omicida aveva esaurito i proiettili senza essere riuscito ad ucciderla.
Il celebre criminologo Francesco De Fazio parlò, durante un'udienza del Processo Pacciani, di un assassino che non aveva ancora piena consapevolezza del potere d'arresto della propria pistola; evidenziò inoltre un miglioramento come sparatore negli omicidi che commise successivamente. Questa affermazione ovviamente contrasta con l'idea che vuole l'autore dei delitti appartenente alle forze dell'ordine o un ex componente di un qualche apparato militare (questa è la cosiddetta Teoria Filastò, dal nome del celebre avvocato che più di altri l'ha fatta propria).
● In relazione al punto precedente, è corretto riportare la risposta del generale Ignazio Spampinato, esperto balistico, alla domanda dell'avvocato di parte civile Aldo Colao durante il Processo Pacciani sull'abilità dimostrata nei delitti dall'assassino con l'arma da fuoco. Secondo il militare risultava difficile valutare l'abilità dello sparatore in quanto i colpi venivano solitamente esplosi da distanza piuttosto ravvicinata su vittime completamente colte di sorpresa con una pistola di modesto calibro, facile, maneggevole ed estremamente efficace da una distanza limitata.
● Ancora oggi, risulta molto dibattuta la dinamica del delitto, in special modo da quale lato dell'automobile il killer ebbe modo di sparare i primi colpi. Il colonnello Innocenzo Zuntini, nella sua perizia, ipotizzò che l'attacco fosse avvenuto dal lato passeggero, quindi dalla destra dell'automobile e a favore di questa ipotesi deporrebbe - a suo dire - la frantumazione del finestrino sinistro verso l'esterno della macchina, quindi con colpi provenienti da destra. Tuttavia, oggi, nella maggior parte degli ambienti mostrologici si tende a dar maggior credito a un attacco molto probabilmente avvenuto da sinistra, come testimonierebbero i bossoli ritrovati all'altezza della ruota posteriore del lato conducente dell'automobile.
Giova, in ogni caso, ricordare che quando i bossoli vennero repertati, la vettura era già stata portata via e che verosimilmente molte persone avevano calpestato e inquinato la scena del delitto.
● A proposito della dinamica del delitto, il criminologo Enea Oltremari che recentemente si sta interessando alla vicenda, ha fatto notare quella che può essere un'importante differenza fra i primi due omicidi storicamente attribuiti alla cosiddetta serie del Mostro di Firenze, quello del 1968 a Signa e quello del 1974 a Borgo San Lorenzo. Nel 1968, contro una coppia matura e decisamente più scafata (Locci e Lo Bianco erano entrambi sulla trentina ed avevano frequentazioni con persone che bene o male gravitavano attorno ad ambienti più o meno delinquenziali), il killer si mostrò freddo e deciso, arrivando ad aprire lo sportello e a far fuoco contro la coppia in maniera diretta, senza frapporre fra sé e le vittime nessun tipo di muro. Nel 1974, invece, contro una coppia giovanissima (Pettini e Gentilcore erano entrambi poco più che maggiorenni) e decisamente meno avvezza a frequentare situazioni e personaggi loschi, il killer si mostrò o si sarebbe mostrato più impacciato: sparò attraverso il finestrino, frapponendo distanza fra lui e le vittime; non riuscì ad uccidere la ragazza con l'arma da fuoco e fu dunque costretto a ricorrere al coltello per uccidere la Pettini (unico caso, a parte il delitto di Scopeti in cui il mostro uccide una sua vittima col coltello). Questo, sempre secondo l'idea di Oltremari, porta a pensare a due assassini diversi, dunque di conseguenza a due delitti con motivazione diverse (il primo maturato in ambiente familiare, dal secondo in poi di tipologia maniacale).
IMPORTANTE: Un punto su cui porre attenzione riguarda il numero di colpi esplosi dal MdF in questa occasione, che sappiamo essere otto. Si suole infatti spesso sostenere che il mostro terminò i colpi senza esser riuscito ad uccidere la Pettini. Il senno di poi, tuttavia, ci dice che in tre delitti successivi il mostro sparerà nove colpi di arma da fuoco contro le vittime, dunque è certo che la pistola del MdF potesse contenere (almeno) nove colpi: presumibilmente otto nel caricatore e uno in canna.
A questo punto abbiamo tre possibilità da valutare:
1. il MdF, giovane e inesperto, non aveva ancora scoperto la possibilità di inserire un ulteriore colpo in canna, quindi in questo delitto la pistola aveva esclusivamente otto proiettili a disposizione, terminati i quali senza riuscire ad uccidere la Pettini, aveva effettivamente esaurito i colpi;
2. come sostiene il criminologo Valerio Scrivo, a Rabatta il killer non aveva finito i colpi, ma volontariamente aveva estratto viva la Pettini dall'auto per ucciderla con il coltello;
3. pur claudicante e ferita da tre colpi d'arma da fuoco, la Pettini aveva provato la fuga; il killer aveva reputato una scelta migliore inseguirla e finirla col coltello, piuttosto che provare a fermarla sparandole dietro l'ultimo colpo di pistola.
Resta inteso che queste rimangono pure e semplici supposizioni, specie se - come parte dell'odierna mostrologia ritiene - è possibile che il killer portasse con sé durante i suoi assalti alle coppie un altro cariatore, da utilizzare per ogni evenienza.
● Le sevizie sul corpo di Stefania furono così feroci da provocare lo svenimento di un carabiniere della scorta mentre venivano proiettate in aula le foto del cadavere durante la deposizione del medico legale, il dottor Mauro Maurri, in un'udienza del processo Pacciani (26 Aprile 1994).
● Come visto, l'assassino infilò un tralcio di vite nella vagina della povera Stefania senza esercitare alcuna pressione. Molti hanno visto nell'utilizzo della pianta di vite per seviziare e umiliare la ragazza un gesto di chiara matrice esoterica. In realtà è possibile che il feroce omicida si sia servito di un tralcio di vite perché a ridosso dell'automobile dei ragazzi c'era proprio una vigna e quindi abbia facilmente attinto all'oggetto a lui più vicino per compiere la macabra penetrazione.
IMPORTANTE: La borsa di Stefania venne trafugata e il suo contenuto sparso per terra. Inoltre, l'assassino andò via portandosi dietro la suddetta borsa e lasciandola a circa 250 metri di distanza dal luogo del delitto in un campo di grano a 5 metri dal ciglio della strada che da Rabatta conduceva a Sagginale. A segnalare il luogo dove sarebbe stato possibile ritrovare la borsa fu una telefonata anonima giunta ai carabinieri di Borgo San Lorenzo il giorno dopo verso le 18.30. Appallottolato all'interno della borsa venne rinvenuto il maglione della Pettini. Da notare che sia borsa che maglione erano puliti, non presentando alcuna macchia di sangue.
Durante un'udienza del Processo Pacciani, la mamma di Stefania, la signora Bruna Bonini, dichiarò che la borsa della figlia le fu restituita dai carabinieri solo un paio d'anni dopo il delitto ed era completamente vuota.
Durante questa deposizione emerse anche il problema del reggiseno di Stefania, di cui non vi è traccia nel verbale di sequestro dei carabinieri di Borgo. La signora Bonini dichiarò, difatti, che all'epoca del delitto lei stessa notó l'assenza fra gli effetti personali della figlia di un reggiseno di colore rosso. Aveva quindi fatto presente questa mancanza ai carabinieri. Qualche giorno dopo le era stato comunicato dagli stessi carabinieri il ritrovamento dell'indumento. Non si sa tuttavia bene dove questo fosse stato rinvenuto. Il criminologo Valerio Scrivo riporta nel suo libro "Il Mostro di Firenze esiste ancora" che l'indumento era stato recuperato a una cinquantina di metri di distanza dal luogo in cui era stata rinvenuta la borsa. Da dove, però, lo Scrivo abbia preso quesa informazione non è dato saperlo. Certo, nulla impedisce che il reggiseno possa essere stato portato via dal killer che poi se ne sarebbe disfatto contemporaneamente alla borsa. Ipotesi contemplata anche dal già citato criminologo Francesco De Fazio, che nella sua perizia accenna "in linea di mera ipotesi" alla possibilità che l'indumento possa essere "stato asportato e trattenuto dall'omicida".
Secondo il noto blogger Antonio Segnini è anche possibile che il reggiseno possa essere stato trovato sul luogo del delitto e che per semplice dimenticanza non fosse stato riportato nel verbale di sequestro. In seguito alla segnalazione della signora Bonini, i carabinieri di Borgo avrebbero accennato a un ritrovamento successivo, in realtà mai avvenuto.
Non avendo ulteriori informazioni in merito, risulta difficile propendere per l'una o per l'altra ipotesi (si ringrazia a tal proposito l'utente Grantottero per la segnalazione nei commenti in calce a questo capitolo, NdA).
● Sono molteplici le teorie riguardo sia le motivazioni che spinsero l'assassino a portarsi dietro borsa (ed eventualmente reggiseno) della vittima femminile per poi lasciarla a circa 250 metri di distanza dal luogo del delitto, sia le modalità con cui l'oggetto sia stato abbandonato dall'omicida. Il killer, ad esempio, potrebbe aver avuto desiderio di portar con sé qualche effetto personale della ragazza, salvo poi ripensarci strada facendo; oppure, secondo altre teorie, avrebbe agito in tal modo per mettere in atto una specie di depistaggio.
Per quanto riguarda le modalità di abbandono, la borsa fu ritrovata in una scarpata sulla destra (considerando il senso di marcia di una vettura) oltre il bordo della strada. Sembra difficile credere che sia stata scagliata da un'automobile in corsa, in quanto non sarebbe stato agevole per l'assassino lanciarla oltre il finestrino destro della vettura. Hanno dunque preso piede altre teorie, ad esempio che l'assassino fosse fuggito a piedi e avesse abbandonato la borsetta durante il tragitto, oppure che fosse fuggito su un ciclomotore e da tale mezzo non avesse avuto difficoltà a lanciare la borsa (oppure in rapida successione borsa e reggiseno) oltre il bordo della strada. Secondo alcune correnti mostrologiche questa tesi ben si adatterebbe alla posizione della borsa fra i rovi, con una piantina di granturco schiacciata dal peso della stessa.
Si noti, a questo proposito, come parlando del duplice omicidio di Signa si era accennato al fatto che la Locci nei giorni precedenti all'omicidio fosse stata importunata da qualcuno in motorino.
Ricordiamo, infine, che sia Francesco Vinci, sia Giancarlo Lotti, entrambi futuri indagati per i delitti del MdF e secondo alcune correnti mostrologiche (quella Sardista e quella Lottiana) i reali autori di questi delitti, all'epoca si muovevano proprio su un ciclomotore.
● Secondo quanto riporta il già citato avvocato Nino Filastò, sul cruscotto dell'automobile della coppia venne ritrovato il libretto di circolazione della vettura. Questo ha portato molti a ritenere che l'omicidio di Rabatta ben si adatterebbe alla teoria dell'assassino in divisa proposta dallo stesso Filastò. Come vedremo, un particolare analogo verrà riscontrato anche nei due delitti successivi.
È bene tuttavia precisare che agli atti il particolare del libretto non è riscontrabile; l'unica fonte al momento risulta essere proprio quella del Filastò.
● Nel mese di giugno del 1974, dunque circa tre mesi prima del delitto, la Pettini aveva dichiarato alle cugine (le già citate Tiziana Bonini e Carla Bartoletti) di aver incontrato una persona molto poco piacevole che l'aveva seguita dalla Stazione Centrale di Firenze fino a Novoli, dove lei lavorava. Quest'uomo aveva circa 35 anni e un aspetto che le aveva incusso timore. Purtroppo, la testimonianza fornita dalle due ragazze agli inquirenti non fornì ulteriori spunti investigativi e non vi furono ulteriori riscontri sul tema.
Da notare che nel verbale viene espressamente citato il quartiere Novoli, dove aveva sede la "Magif" presso cui effettivamente aveva svolto il suo ultimo lavoro Stefania. Dunque questo episodio era sicuramente avvenuto dopo che la ragazza aveva cambiato lavoro, passando dalla "New-Flex", quartiere Isolotto, alla "Magif" in via Stradivari, quartiere Novoli.
● A proposito dei lavori svolti, la Pettini aveva lavorato dal settembre 1973 al gennaio 1974 a Barberino di Mugello come segretaria presso l'azienda di autotrasporti "Cammelli", dove - come visto - aveva conosciuto il Galanti.
Dal gennaio 1974 a giugno/luglio 1974 aveva lavorato presso l'azienda "New-Flex" (leader nel settore delle tende in legno e alluminio) in zona Isolotto a Firenze. Il quartiere Isolotto è confinante con il comune di Scandicci, che curiosamente qualche anno dopo sarebbe divenuto appunto celebre per i delitti commessi dal Mostro.
Infine, Stefania era stata appunto assunta come fatturista dalla "Magif", ditta di confezioni d'abbigliamento, in Via Stradivari a Firenze.
● Come emerge dalla retrospettiva sul delitto di Rabatta, curata dal ricercatore e studioso Francis Trinipet, il giorno prima del delitto (13 settembre 1974), la Pettini aveva fatto alcune guide con l'istruttore Alfredo Lombardi. L'istruttore ebbe modo di dichiarare che quel pomeriggio aveva avuto la sensazione che la loro vettura fosse seguita, ma anche qui non ci sono ulteriori riscontri in merito.
● Negli ambienti mostrologici circola la voce che il pomeriggio stesso del duplice omicidio, la Pettini avesse dichiarato a un'amica (forse una delle due cugine, forse la Daniela Lisi) di essere stata sgradevolmente importunata da un uomo. L'arrivo della mamma di Stefania aveva interrotto il discorso fra le due ragazze. Tuttavia, nei verbali non vi è traccia di questo particolare e anche nel processo Pacciani non vi fu alcun riferimento a questo episodio. Può essere - almeno fino a prova contraria - dunque derubricato a semplice diceria mostrologica.
● In giorni molto prossimi al delitto, nel Mugello si aggirava curiosamente (o forse no) Francesco Vinci, già indagato per il delitto di Signa e futuro indagato per i delitti del MdF. È bene subito precisare che, a differenza di quanto si sente dire in quasi tutti gli ambienti mostrologici, il Vinci non era a Borgo San Lorenzo in quei giorni, ma a Barberino del Mugello, una ventina di chilometri a nord-ovest. È invece vero che il Vinci fosse inferocito con l'amante perché mentre lui era in carcere, questa era fuggita da casa del Vinci stesso ed era ritornata a Barberino nell'abitazione della propria mamma. Qui Francesco Vinci era andato appunto a cercarla e, non trovandola, aveva dato vita e una clamorosa sfuriata (per maggiori dettagli, vedasi il capitolo dedicato a Francesco Vinci).
● In quello stesso periodo (Settembre 1974) si trovava a Firenze per svolgere il servizio militare, un altro futuro sospettato per i delitti del Mostro, vale a dire il dottor Francesco Narducci (vedasi capitolo Il medico di Perugia), la cui caserma era dalle parti di via Stradivari, la via in cui da poco lavorava la Pettini.
Da segnalare che nella stessa zona viveva anche Susanna Cambi, quasi coetanea della Pettini e vittima del Mostro di Firenze nel 1982 a Calenzano.
Subito dopo il settembre 1974, Narducci si fece riformare e tornò di fatto nella sua Perugia.
N.B: La Pettini era del 1956, la Cambi del 1957. Le due ragazze avevano quindi 18 e 17 anni nel 1974. Narducci invece ne aveva 25 (era del 1949).
● La sera del delitto, a casa degli zii di Stefania (i genitori di Carla Batoletti), casa praticamente confinante con quella della famiglia Pettini, c'erano alcuni parenti provenienti da Campi Bisenzio. Nello specifico era presente il signor Gino Chini (nato a Vicchio nel 1926 e residente appunto a Campi Bisenzio) e la moglie.
● Nel maggio del 1951, Vincenzo Gentilcore, padre della vittima maschile, era stato condannato a otto anni di reclusione per omicidio preterintenzionale: aveva infatti ucciso con una sassata una ragazza dopo un litigio scaturito dallo sconfinamento di animali durante il pascolo. Tale omicidio era avvenuto nel beneventano, dove la famiglia Gentilcore aveva vissuto prima di trasferirsi in Mugello. Per qualche tempo venne valutata l'ipotesi di un collegamento fra i due delitti e dunque di un'eventuale vendetta trasversale.
● Il primo giugno 1976 comparve sul luogo del delitto una misteriosa scultura in memoria di Stefania e Pasquale che portò gli inquirenti a fare le più disparate congetture. Appurato che nessuno della famiglia Pettini o Gentilcore e nessuno degli amici della coppia avesse eseguito o fatto eseguire tale installazione, gli inquirenti ipotizzarono una sorta di rivendicazione del duplice omicidio da parte dell'autore stesso o di un eventuale mandante, prendendo dunque in considerazione che il duplice omicidio potesse essere stato commesso per vendetta.
Alla fine, si scoprì che l'autore della scultura era tale Arduino Parigi, cinquantacinquenne artista mugellano, il cui fine era solo quello di ricordare le giovani vittime.
● Si è sparsa la voce che alcuni anni dopo il delitto, mano ignota avesse manomesso la tomba della Pettini nel cimitero di Borgo San Lorenzo. In realtà non si hanno riscontri documentali in merito.


Mostrologia a Rabatta
Ci sono due diverse interpretazioni delle 96 coltellate inflitte alla povera Stefania Pettini:

1. Una prima ipotesi, caldeggiata da diversi Mostrologi, ritiene che almeno in questo delitto il MdF conoscesse la vittima femminile: le 96 coltellate indicano infatti un accanimento brutale verso la donna, quasi a denotare odio e rancore maturati nel tempo o comunque tipici di una conoscenza pregressa.
Come affermava il compianto dottor Stefano Galastri, ben noto negli ambienti mostrologici come De Gothia, non è detto che la conoscenza fra l'assassino e la Pettini dovesse essere obbligatoriamente profonda o addirittura reciproca. Poteva benissimo trattarsi di conoscenza unilaterale. Per la serie, il MdF si era invaghito di Stefania e aveva preso a seguirla ovunque senza che lei neanche sapesse chi fosse.
Decisamente più radicale è la teoria del criminologo Valerio Scrivo, che ha fatto del delitto di Rabatta il proprio cavallo di battaglia, ritenendo infatti questo l'omicidio chiave della serie. Secondo lo Scrivo, il MdF non solo conosceva ma anzi era amico, forse vicino di casa, sicuramente assiduo frequentatore della famiglia Pettini e probabilmente segretamente innamorato di Stefania. La uccise mentre era appartata con il ragazzo, mosso da un impeto di rabbia e gelosia.
Sempre attendendoci alla "teoria Scrivo", l'autore dell'omicidio avrebbe evitato di proposito di uccidere la ragazza con la pistola in modo da poterla finire con l'arma bianca (questo tornerebbe con l'ipotesi che il MdF avesse ancora un colpo nel caricatore). Al termine del delitto il killer avrebbe poi effettuato un depistaggio andando a posizionare borsa (e secondo lo Scrivo anche il reggiseno) lontano dal luogo del delitto al fine di far credere agli inquirenti di essere fuggito in una particolare direzione e di essersi disfatto degli oggetti durante la fuga. In realtà poi il killer sarebbe tornato sui suoi passi per fuggire dalla parte opposta. In questo modo si spiegherebbe la telefonata anonima con cui veniva segnalata la borsa, evidentemente effettuata dall'assassino. Infatti, secondo Scrivo, era importante che la borsa venisse rinvenuta al più presto e che gli inquirenti credessero sin da subito che l'autore del duplice omicidio fosse fuggito nella direzione opposta a quella da lui realmente intrapresa.
La "teoria Scrivo" presenta alcune lacune e presta il fianco a diverse obiezioni, non ultima il fatto che, come fece notare il maresciallo Falcone durante il Processo Pacciani, il luogo in cui venne ritrovata la borsa dava poche indicazioni sulla via di fuga dell'assassino, perché passando da lì (a piedi o in automobile) si sarebbe potuto andare ovunque.
Sempre rimanendo alla questione borsa, il fatto che questa fosse priva di macchie di sangue, ha portato alcuni mostrologi a pensare che in realtà l'assassino l'avesse portata con sé fin nella propria abitazione e qui l'avesse pulita da qualsiasi traccia ematica con il chiaro fine di conservarla a mo' di souvenir. Solo successivamente, forse temendo per un qualsiasi motivo una perquisizione, avrebbe deciso di disfarsene in prossimità del luogo del delitto, avvisando poi successivamente le forze dell'ordine per permetterne il ritrovamento.

2. Una seconda possibile interpretazione delle 96 coltellate è che queste fossero indipendenti da un'eventuale conoscenza fra vittima e carnefice, ma siano semplicemente state il preludio alle escissioni degli anni successivi in un crescendo di follia e di violenza maturate di delitto in delitto (teoria avvallata dai medici legali De Fazio e Maurri). In pratica il MdF avrebbe iniziato nel 1974 circoscrivendo tramite punture di coltello alcune parti anatomiche della donna (dalle foto si evincono cinque coltellate che circoscrivono il pube di Stefania, altre punture circondano il seno destro, mentre il seno sinistro è attraversato dai colpi mortali), in seguito sarebbe passato all'escissione del pube (entrambi i delitti del 1981), infine all'escissione sia del pube che della mammella sinistra (delitti del 1984 e 1985).
Si noti comunque che anche De Fazio nella sua perizia del 1984 parlerà di possibile conoscenza fra vittima femminile e carnefice in occasione di questo delitto.

A oggi, la conoscenza reciproca o unilaterale fra il MdF e la Pettini rimane un'interpretazione non universalmente accettata ma che sicuramente incontra i favori di buona parte dell'universo mostrologico.


36 commenti:

  1. Gentile Sorrenti, innanzitutto complimenti per il suo ottimo blog.

    Vorrei pero' notare che, a mio avvviso, l'ipotesi che i vestiti dei ragazzi siano stati portati fuori dall' abitacolo e adagiati sul terreno dall'assassino e' del tutto verosimile. Innanzitutto, probabilmente questa non fu l'unica volta che il MdF ebbe a manipolare i vestiti delle sue vittime. A Scopeti, i pantaloni del ragazzo francese verngono ritrovati puliti vicino al suo cadavere. Ci sono buone probabilita' che sia stato l'assassino a spostarli. A Calenzano, il maglione del ragazzo viene ritrovato pulito, a mo' di cuneo, sotto i suoi glutei, quando invece la camicia che indossa e' del tutto insanguinata. Quel maglione fu molto probabilmente spostato dall'assassino.

    Inoltre, esistono altri serial killer che hanno manipolato i vestiti delle loro vittime. Ad esempio, Richard Cottingham (aka "the torso killer"), in una circostanza uccise una ragazza in una camera di motel, la smembro', e dopo ripose i sui vestiti puliti, perfettamente impilati, nella vasca del bagno.

    A me sembra evidente che la manipolazione dei vestiti facesse parte delle fantasie dell'assassino. Quale fosse il significato di tutto cio' non e' dato saperlo. Il senso comune in questo non ci aiuta. Ma questo non e' un buon motivo per ritenere l'ipotesi inverosimile.

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    1. Ciao, innanzitutto ti ringrazio per il commento e per i complimenti.
      Per rispondere alla tua ottima osservazione, vorrei farti notare che non ho reputato inverosimile da un punto di vista concettuale la teoria dell'assassino che sposta i vestiti, ma semplicemente da un punto di vista pratico, in quanto quei vestiti erano assolutamente puliti. Considerando la dinamica dell'attacco, il probabile stretto contatto fisico con la povera Stefania e la necessità di finirla con il coltello, è molto probabile che il killer fosse già vistosamente lordo di sangue ancor prima di cimentarsi con le 96 coltellate. In questo contesto, ipotizzare che abbia recuperato quei vestiti dall'angusto abitacolo della 127 dove era appena avvenuto un massacro e li abbia delicatamente posati all'esterno senza che questi presentassero il minimo sbaffo di sangue di sangue, a me sembra non molto verosimile. Poi, per carità, tutto può essere.
      Ancora una cosa, niente da dire sul maglione del Baldi, che rappresenta difatti un'anomalia, ma sui pantaloni di Jean-Michel non vi è molta chiarezza: se ti riferisci a quelli di taglia 44 su cui è stato isolato del DNA ignoto, almeno stando agli atti*, sarebbero stati rinvenuti nella tenda e non accanto al cadavere.
      * "Un profilo maschile, battezzato “uomo sconosciuto 1“, differente da quello della vittima Jean Michel Kraveichvili è stato isolato su una paio di pantaloni taglia 44 presenti nella tenda».

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  2. Ciao Luigi, grazie per il chiarimento e le ulteriori osservazioni.

    Sono ovviamente d'accordo con te sul fatto che, essendo stato presumibilmente insanguinato, e' difficile ipotizzare che l'assassino abbia toccato i vestiti dei ragazzi, che risultatoro puliti. Ma a mio avviso, questa e' un'altra delle tante circostanze che caratterizzano la vicenda del MdF, dove ci si trova costretti a scegliere quella che sembra essere la piu' verosimile tra una serie di ipotesi inverosimili, se cosi' mi posso esprimere.

    Ora, sempre che non si creda alla presenza di piu' persone sulla scena del delitto, l'alternativa all'idea che i vestitit furono spostati dall'assassino e' quella secondo cui i vestiti vennero spostati dai ragazzi stessi. Ma davvero vogliamo pensare che i ragazzi, prima di lasciarsi andare alle loro effusioni amorose, si fossero preoccupati di prendere buona parte dei loro vestiti per adagiarli fuori dall'abitacolo? Sarebbe una cosa piu' unica che rara. Oltretutto, perche' il giubbotto di Pasquale sarebbe stato trovato anch'esso fuori dall'abitacolo, per terra, ma dal lato opposto dell'auto? Tutto cio' non ha veramente senso.

    A questo punto ha piu' senso immaginare che l'assassino avesse modo di pulirsi o lavarsi alla fine delle sue orrende operazioni, per poi manipolare la scena in base a peculiarissime parafilie che solo lui, forse, potrebbe spiegare. E del resto, ribadisco, il maglione trovato pulito sotto al corpo del ragazzo a Calenzano fu molto probabilmente manipolato dall'assassino, che anche in quell'occasione si era sicuramente lordato di sangue.

    Riguardo ai pantaloni di Scopeti (si, mi riferisco a quelli nella cui tasca venne identificato del DNA ignoto), e vero che i verbali li collocano dentro la tenda. Ma una serie di fotografie della scena del crimine riportate alla luce da Paolo Cochi dimostrano in modo incontrovertibile che, in realta', i pantaloni (anch'essi puliti, se ricordo bene) furono ritrovati vicino al corpo del ragazzo (https://www.youtube.com/watch?v=fh9fNlc2gDk). A meno di non credere che il povero Jean-Michel, mentre l'assassino uccideva la sua compagna, si fosse preoccupato di cercare i pantaloni, afferrarli, e scappare con questi in mano, la cosa piu' plausibile e' il loro spostamento dal parte dell'assassino, a crimine compiuto.

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    1. Non ha senso? L'assassino cerca i documenti vuole sapere via e nomi delle sue vittime che di sicuro non conosce

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  3. il mostro fruga nelle borse e nelle tasche per un semlicissimo motivo, vuole sapere chi sono le vittime come si chiamano dove abitano per assaporare per primo la scena quando avvertiranno le famiglie.

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    1. lui vuole essere il primo a sapere il nome di chi e' morto per mano sua.

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  4. Luigi buongiorno.
    Non mi soffermo sui complimenti per la qualità della tua iniziativa giacchè la vedo ampiamente (e giustamente) riconosciuta da tutti. Se mai vorrei sottolineare l'equilibrio e la moderazione delle tue opinioni, qualità poco frequentate in rete.
    Ti chiedo un sintetico punto di vista sulla circostanza (a mio avviso non abbastanza dibattuta nella dottrina mostrologica) dell'intervallo temporale fra questo omicidio e i successivi.
    Non avendo competenza specifica nel campo dei serial killer non posso spingermi a definirla anomala, ma mi ha sempre colpito il lasso di 7 anni fra questo omicidio e quello di Mosciano contrapposto all'estrema concentrazione dei successivi (dall'81 al 85).
    Grazie.
    Giuseppe

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    1. Buongiorno Giuseppe, mi scuso con il ritardo con cui rispondo, ma solo ultimamente sto riprendendo le fila di questi scritti.
      Grazie per i complimenti.
      Riguardo la tua domanda, non sono un criminologo, ma un semplice storico/narratore di questi tragici fatti. Posso perciò ripsonderti in maniera molto generica.
      La letteratura sui serial killer ci dice che periodi più o meno lunghi cosiddetti di cooling-off esistono, soprattutto all'inizio della serie omicidiaria; intervalli di quiete apparente fra un omicidio e l'altro che si diradano con tempo, fino poi a una fitta esplosione di violenza.
      In questo senso non è propriamente un'anomalia la parabola temporale del MdF.
      Certo che poi spiegazioni alternative a questo andamento temporale potrebbero essere molteplici e disparate, anche a seconda se si includa il 68 o meno.

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  5. Buongiorno Luigi, complimenti per l'interessante blog.
    Per quanto riguarda la borsa e il reggiseno rinvenuti a distanza dal luogo del delitto, un' ipotesi non considerata ma a mio parere attendibile è quella che siano stati spostati da qualcun altro, ad esempio qualcuno arrivato sul luogo del delitto prima degli altri e che ha trafugato gli oggetti per poi abbandonarli, ad esempio dopo aver prelevato dalla borsa denaro o altro.

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    1. Ciao, sì è un'ipotesi plausibile. Unica controindicazione: se i vestiti fossero rimasti in auto durante l'eccidio, una pur minima traccia di sangue avrebbero dovuto averla... invece erano perfettamente puliti e piegati con cura.

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  6. E se i vestiti li avessero messi i due ragazzi o uno di loro perché richiesto da un mago ? Ricordate che è emerso nei processi che i ragazzi venivano individuati perché si rivolgevano a maghi , magari solo 1 di loro , ( nel processo è emerso il mago Indovino ) per fare legami d’amore e veniva chiesto di dire dove , quando con orario , targa di macchina si fossero appartati . Veniva chiesto identità o foto …. Se fosse stato chiesto di mettere i vestiti vicino alla vite come rituale ( la Pettini è stata poi seviziata con un tralcio come rituale ) . E in effetti il Gentilcore era amico di un mago , quindi frequentava l’ambiente . Una domanda : qualcuno sa come è morto il mago di Scarperia ? Per curiosità .

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    1. Ma su tutto il discorso dei ragazzi che si rivolgevano a maghi per farsi preparare filtri d'amore, non c'è una singola sparuta prova che sia vero! Nulla di nulla nella maniera più assoluta!
      L'unica cosa che si sa è che Pasquale si rivolgeva al Mocali per tutt'altri problemi (epatici).

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  7. Ho chiesto solo come è morto il Bruno Mocali a meno che non sua vivo e abbia più di 100 anni . Non ho scritto che sia coinvolto , ho scritto altro . Cioè che i maghi sono implicati è lo stesso Giuttari che lo riferisce in processo : c’è una testimonianza importante : una ragazza fu avvicinata in Chianti dal mago Indivino e le fu chiesto se volesse un filtro d’amore e per farlo avrebbe dovuto dire dove si incontrasse con il fidanzato , orario, targa della macchina . Lo stesso Giuttari ipotizza che fosse questo il modo di adescamento delle coppie . L’interesse esoterico accumuna le vittime del mostro . È particolare dico che anche tra gli interessi del Gentilcore ci fossero conoscenze di maghi e fosse tea l’altro in litigio con la fidanzata per gelosie , una ragazza molto bella e vivace molto corteggiata , forse un motivo per ricorrere a legami d’amore fatti da sedicenti maghi . Non è affatto strampalata la deduzione che proprio al ragazzo fosse stato detto di compiere un rituale la sera dell’incontro .

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    1. Ciao, scusami se nella mia risposta precedente ti sono sembrato scortese, in realtà andavo semplicemente di fretta e non mi sono soffermato più di tanto a spiegare. Mea culpa.
      Comunque, ho inteso bene ció che hai detto e mi riferivo proprio a quello. Tu hai scritto che è emerso dai processi che i ragazzi (le vittime?) venivano individuati perché si rivolgevano a maghi. Questa è una deduzione che non ha alcuna base probatoria. Si tratterebbe di una velatissima ipotesi avanzata al Processo contro i CdM e lasciata cadere senza neanche calcare troppo la mano perché assolutamente priva (all'epoca come oggi) di qualsivoglia riscontro.
      Ripeto e cerco di essere più chiaro: non c’è alcuna prova che attesti che le vittime si rivolgessero a maghi per la preparazione di filtri d’amore. Non esiste alcuna prova che nei delitti fossero coinvolti maghi o affini. Non è scritto da nessuna parte che le vittime avessero interessi esoterici. 
      L’unico contatto accertato fra una delle 14 o 16 vittime con un presunto mago è questo del Gentilcore con un guaritore per problematiche che comunque esulavano da qualsiasi interesse esoterico. 
      Per il resto cosa abbiamo? Una ragazza alla ricerca di casa che - dieci anni dopo i fatti - sostiene di aver parlato (deci anni prima) con un uomo che sempre lei sostiene essere Indovino e che le avrebbe riferito di filtri d'amore e di alcuni riti da eseguirsi in automobile in luogo appartato. 
      Ora, da qui a fare collegamenti con i delitti, sinceramente, c'è il mondo che passa di mezzo.
      Bisogna vedere se la ragazza ha detto la verità o ci ha romanzato; se a dieci anni di distanza ricordava bene oppure no; se ha parlato davvero con indovino oppure no; ma ammesso la risposta è sì a tutti i precedenti quesiti, bisogna vedere se Indovino preparava davvero questi filtri o erano una scusa per andare a spiare qua e là coppie appartate; ammesso li preparasse davvero, se avevano qualcosa a che fare con i delitti del mostro o avevano altri più o meno leciti fini; ammesso vi avessero a che fare, se realmente qualche vittima era stata adescata in questa maniera. Capisci bene che partendo dalle dichiarazione della Silvia per poi arrivare alle conclusioni che hai scritto, non è che sia proprio così immediato, per usare un eufemismo.

      PS. Per rispondere finalmente alla tua domanda, il Mocali è morto. Risulta accertato che non c'entra nulla con il delitto del 1974, tanto meno con i successivi, su come sia morto è argomento di stretta pertinenza della sua famiglia.

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  8. Le orge a casa di Indovino , con la partecipazione di molti degli indagati , la ragazza che ha testimoniato ha riferito che Indovino le chiese targa , luogo , ora informazioni molto ‘pesanti ‘visto i legami del soggetto … c’è un quadro non certo ma indiziario molto pesante soprattutto se lo riferisce Giuttari che come ebbe a dire il Rontini ‘ sento odore di verità ‘ . Anche i francesi erano alla ricerca dell’ esoterismo toscano . Purtroppo questo legame tra esoterismo maghi , quella ciurmaglia di personaggi come Pacciani insieme a personaggi più noti entrati nelle indagini con interessi comunque esoterici è in contatti con sensitivi non è stato indagato per lontananza dei tempi ( Indovino morto … tra l’altro con amici sparsi Toscana che non so se sono stati interrogati ) e perché Giuttari fu bloccato.
    Comunque lei non vede collegamenti perché il quadro indiziario non le pare probante , personalmente lo vedo molto forte .

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    1. Opinioni decisamente diverse, direi. I miei studi sull'argomento mi hanno portato piuttosto distante da quanto lei sta sostenendo; sarebbe decisamente lungo spiegarle il perché e poi è anche corretto che ognuno si faccia e sostenga la propria legittima idea.
      Io semplicemente vorrei farle notare che tutto quanto è da lei riassunto non ha alcuna base documentale e/o probatoria. Trattasi di voci che puntualmente sul più bello non hanno mai trovato alcun riscontro. E le assicuro che di riscontri ne son stati cercati senza badare a spese e senza risparmiare energie.
      Una sola cosa, a mio parere importane: che i francesi fossero alla ricerca dell'esoterismo toscano, ci andrei molto cauto con l'affermarlo, sia perché si tratta di semplice illazione senza alcuna base, sia perché potrebbe infastidire i parenti delle vittime, molto attive nella ricerca della verità.

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    2. Guardi mai vorrei urtare la sensibilità delle vittime , ci mancherebbe . Ricordo di averlo letto ma si tratta chiaramente di un ricordo e di testi non processuali, in effetti non ho precisato questo aspetto . Inoltre non credo che sia un’offesa nei confronti delle vittime . Spero vivamente che trovino il bandolo della matassa per arrivare ai colpevoli . Lo augurerei per la società intera . E aggiungo credo che parlarne tenga viva l’attenzione . Quanto a lei , non le nego che mi sembra infastidito da ipotesi diverse alla sue . Ad ogni modo le porgo i miei saluti

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    3. Ma no, figuriamoci! Se ha letto queste pagine saprà bene che non ho ipotesi precostituite né tanto meno da difendere, ma cerco sempre di valutare tutto con razionalità e spero obiettività.
      Certo, mi irrigidisco un po' quando mi rendo conto che si continua a prestare più fede alle voci di paese che ai documenti, quando si alimentano queste voci che col tempo si sedimentano e divenano le classiche bufale mostrologiche, quando si fanno illazioni (specie se coinvolgono le vittime) che non hanno alcuna base. Sì, questo un po' mi infastidisce, certo non la diversità di opinioni che, anzi, è momento di crescita indispensabile per la comprensione della storia.
      Per farle un esempio, la pista esoterica può certamente essere valutata, ma partendo dai fatti, dai riscontri oggettivi, non dai "si dice" che - le assicuro - fanno molto più male che bene alla vicenda e alla memoria delle vittime.
      La saluto anche io, la ringrazio per il piacevole confronto.
      Lu

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  9. Mi sono sempre chiesta poiché erano seguiti , attenzionati quindi scelti , come facessero a sapere i luoghi in cui si appartavano che spesso non sono mai gli stessi in una coppia e come trovarli proprio le sera in cui erano pronti ad uccidere .

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    1. Non per tutte le coppie i luoghi d'infratto variano. Di sicuro, NON per i poveri Pasquale e Stefania, purtroppo. Ce lo dice proprio lei nei suoi diari, dove dà conto del fatto che loro due andavano sempre e solo lì, tantè vero che in quei diari lei (poverina!) esprime il desiderio che, se fossero arrivati a sposarsi, potessero tenere quel luogo ("il prato", lo chiama lei) in conto di un santuario del loro amore, dove tornare una volta ogni tanto per delle visite nostalgico-romantiche...
      Dunque, purtroppo, per il loro assassino la cosa si fece facile: bastava che li avesse visti imboccare quel luogo una volta, che poi ci fosse tornato non visto e ce li avesse ritrovati, per sgamare dove cercarli da lì innanzi. E pertanto quella sera maledetta sarà andato ad appostarsi lì (anche in anticipo, in loro attesa) quasi a colpo sicuro ..

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    2. L'assassino gira a caso vittime casuali non scelte,lo dimostra il delitto mainardi,e' un attimo spara e fugge

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  10. Ad ogni modo purtroppo la verità non si saprà mai . Sono solo supposizioni post letture e non c’è da discutere molto . Rimangono gli atti processuali e delle sentenze .
    Buona vita e saluti

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  11. Buon pomeriggio. Innanzitutto, complimenti per l'ottimo blog.
    Detto questo, però, vorrei fare quello che, a seconda dei casi, potrebbe essere un rilievo, oppure una domanda.
    Si tratta di questo: scrivendo del giorno successivo al delitto di Rabatta, hai scritto che nella medesima occasione della segnalazione anonima e conseguente ritrovamento della borsa di Stefania, fu anche ritrovato, a lato strada, il suo reggiseno.
    Ecco il rilievo: questo particolare aggiuntivo del reggiseno, però, NON risulta affatto dal verbale dei CC (l'ho letto, scannerizzato, sul blog di Antonio Segnini) nel quale si dà atto del rinvenimento della borsa.
    Ed ecco la domanda: per caso, tu hai avuto accesso a delle fonti non note a tutti, e ulteriori rispetto a quel verbale? Se sì, se tu fossi in grado di confermare questo dettaglio, potresti indicare anche a noi del grosso pubblico queste fonti, e se il documento sia accessibile anche a noi?
    Saluti. Luca.

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    1. Bungiorno, ti ringrazio per la domanda che mi permette di approfondire e chiarire questo aspetto su cui le notizie sono confusee frammentarie.
      Che io sappia, l'unica fonte che parla di ritrovamento del reggiseno a 50 metri dal luogo in cui venne rinvenuta la borsa è la prima versione del libro dello Scrivo ("Il mostro di Firenze esiste ancora"). Non so se nella recente versione questo particolare è ancora riportato.
      Ne ho approfittato per correggere il mio scritto, specificando meglio la questione reggiseno. Grazie ancora per la segnalazione.
      Luigi

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    2. Certo che... Scrivo stesso avrebbe dovuto / dovrebbe precisare se questa cosa la sa da fonte certa o se anche lui lo seppe solo per "sentito dire"... Un po' di differenza, secondo me, la fa...
      Saluti. Luca (= "grantottero").

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  12. Post scriptum: il mio precedente commento/ domanda sul reggiseno trovato / non trovato a Rabatta, non so perché, ma me lo dà come pubblicato alle ore "6.18", quando in realtà l'ho fatto partire pochi minuti fa, pari-pari 9 (nove) ore dopo quella indicata. C'è per caso qualche problema tecnico incombente? O è un orario d'oltreoceano, dove magari sta il server del blog? (P.S. l'orologio del mio smartphone sta andando benissimo. Con l'orario italiano, ovviamente...).

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    1. Era semplicemente impostato l'orario di default, costa pacifica. Ho provveduto a impostare l'orario italiano.
      L.

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    2. Grazie per l'attenzione!
      Luca (= grantottero).

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  13. Inoltre, altro rilievo: per come descrivi tu la disputa sull'attacco dal lato destro o sinistro dell'auto, SEMBREREBBE (dalle tue parole) che ad essere frammentato e sporgente verso l'interno fosse il finestrino lato passeggero. Ti sei espresso male, perché invece è quello lato guidatore, convesso verso l'esterno dell'auto. Segnini spiega il fatto col vetro dapprima forato e crepato dai proiettili (attacco dal lato guidatore) ma non ancora sbriciolatosi, Pasquale crollato addosso a Stefania alla propria destra (perché freddato mentre istintivamente si buttava verso lo sportello più lontano dallo sparatore), poi, pochi attimi dopo, il cadavere di Pasquale spostato rudemente dall'assalitore (nel frattempo spostatosi dal lato esterno dell'auto dov'era la ragazza) al fine d'arrivare a Stefania (il cadavere del ragazzo le era crollato addosso) e, in tale movimento rude, la testa (fors'anche la spalla) del ragazzo mandata accidentalmente a sbattere verrso il finestrino LATO GUIDA già crepato, che così si frantuma definitivamente e i monconi rimasti, per effetto di questo impatto, rivolti verso l'ESTERNO.
    Una precisazione che, al di là delle diverse interpretazioni del dato, era comunque necessaria...
    Saluti. Luca.

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    1. Ti ringrazio per la precisazione, effettivamente nello scritto non era espresso molto chiaramente.
      Ciao, Luigi

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  14. Io da sempre ho una idea ben precisa intendo sul profilo di questo assassino: PERSONA SOLA lavoro mediocre, ha sofferto tantissimo per amore il delitto del 68 non c'entra niente coi successivi omicidi,nessun collegamento con sette e riti vari, fruga la borsa solo per uno scopo conoscere nome cognome e abitazione delle sue vittime

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  15. Se si cerca ancora un brandello di verità, infastidire i familiari ormai non sarebbe il primo pensiero. La ricerca è asettica. Sarebbe come dire che durante un'analisi al microscopio ci si preoccupa della fedina penale della persona da cui proviene il materiale. Sono proprio i parenti, spesso, a evitare le rivelazioni imbarazzanti sui congiunti, e si può capire per loro, ma non più per noi. D'altronde, se quelli dei francesi non si sono premurati nemmeno di fornire qualche parametro su date e scopi del viaggio e della presenza a San Casciano, non può che restare agli storici tale indagine. Il tempo trascorso purifica qualunque retropensiero malevolo, gli umani possono sbagliare e un errore costar loro caro

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  16. L'assassino ' sempre da solo , uccide e scappa da solo ,un pazzo solitario che vive solo ,non del luogo mia personale teoria viene da altra regione anche se conosce benissimo quei luoghi i luoghi dove ha tanto sofferto per amore di una ragazza ,la sua fortuna che a quei tempi non esistevano tutte queste telecamere puntate ovunque.

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  17. sempre mia personale teoria e' morto subito dopo l'ultimo duplice omicidio

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  18. 96 coltellate......per far contenti i mandanti oppure per appagare se stesso? Cose da pazzi! Teorie da nemmeno principianti di criminologia.

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  19. Anche i vestiti rimessi in ordine e puliti pacciani vanni e lotti lo hanno fatto su richiesta del mandante mago setta.....haaahhhhhhaaaaa da ridere!

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