Una morte misteriosa


Il giorno 8 ottobre 1985, l'allora trentaseienne dottor Francesco Narducci era impegnato in una sessione di esami presso la facoltà di medicina dell'università di Perugia. Per questo aveva dichiarato alla moglie che non sarebbe rientrato a casa per pranzo.
Durante la sessione ricevette una telefonata che gli fece cambiare i piani. Alcuni testimoni riferirono che dopo la telefonata il dottore era apparso pallido e sudato, ma non sappiamo quanto questa sia stata una suggestione dovuta a ciò che avvenne in seguito.
Subito dopo, il dottor Narducci lasciò frettolosamente la facoltà e rientrò a casa. Qui mangiò qualcosa, salutò la moglie con un bacio (cosa che a detta della stessa signora Spagnoli era piuttosto inusuale) e, a bordo della sua motocicletta, si diresse dapprima verso la villa dei Narducci sulle sponde del lago Trasimeno, indi verso la vicina darsena di San Feliciano. Prese il suo motoscafo, il cui serbatoio era pieno solo a metà, e si avventurò verso l'isola Polvese, al centro del lago.
Nessuno lo rivide più vivo.
Negli ultimi giorni, pare che Narducci fosse stato preoccupato, nervoso, addirittura spaventato; ma forse anche queste sono suggestioni o voci che non si sa bene quanto fondo di verità possano avere. Così come non si sa bene se è vero che la famiglia Narducci, poche ore dopo quella che poteva ancora apparire come una semplice scomparsa, aveva già dato per morto il congiunto. Lo scrittore e giornalista Giuseppe Alessandri riporta infatti nel suo libro "La Leggenda Del Vampa" la caustica risposta del fratello del dottor Narducci alla signora Spagnoli, preoccupata per una possibile fuga romatica del marito: "Adesso non cominciate a infangare la memoria di Francesco".
Frattanto, messi in moto i soccorsi, venne rinvenuta l'imbarcazione del dottore in un canneto dell'isola Polvese, con le chiavi inserite e il cambio in folle. A bordo c'erano il giubbotto, gli occhiali e le sigarette del dottore, ma di lui nessuna traccia.
Ci vollero quasi cinque giorni per ritrovarne ufficialmente il cadavere. Erano le 7.20 del mattino del 13 ottobre 1985 quando due pescatori di Sant'Arcangelo videro un corpo grosso e gonfio galleggiare sulle acque del lago. A recuperare il corpo giunsero il motoscafo dei carabinieri locali e quello delle guardie lacustri. Il cadavere fu deposto sul molo di Sant'Arcangelo. Di qui in avanti la faccenda si complica a dismisura.
Sul molo si precipitarono diverse autorità, compreso il questore di Perugia Framcesco Trio, amico della famiglia Narducci, che a ben vedere non aveva alcun motivo per essere lì in quel momento. Fu chiamata a certificare il decesso la dottoressa Daniela Seppoloni dell'ospedale di Castiglione del Lago. Secondo le dichiarazioni della dottoressa, il molo strabordava di gente quando lei arrivò.


Il cadavere era gonfio e di colore violaceo. Da parte di un'autorità in divisa le fu chiesto un'ispezione cadaverica che lei non aveva ruolo e competenze per svolgere. La richiesta divenne quasi un'imposizione, così la dottoressa la eseguì in maniera sommaria, direttamente sul molo, sollecitata dalla pressione dei presenti.
Da notare che la Seppoloni era stata chiamata solo per accertare la morte del corpo ripescato, mentre in loco le venne imposto di stabilire la causa di tale decesso. Confusa e intimidita per sua stessa ammissione, la dottoressa refertò un "probabile annegamento".
Forte del referto medico, la famiglia Narducci fece sapere che il caro congiunto era morto in seguito a una disgrazia, una caduta accidentale dalla barca che ne aveva procurato il decesso. Non venne eseguita alcuna autopsia, né esami più approfonditi sul cadavere. Il caso venne velocemente archiviato anche dalle autorità competenti.
Il nome del dottor Narducci continuò talvolta a essere associato al caso del Mostro di Firenze, più dalle voci di popolo che da fatti concreti; nel 1987 ci fu - come visto nel capitolo precedente - l'ultima indagine in tal senso, condotta dagli uomini della SAM giunti per l'occasione a Perugia. Anche questa indagine si chiuse con un nulla di fatto.


La riapertura dell'inchiesta
Per quattordici anni non si parlò più, almeno ufficialmente, del possibile legame di Francesco Narducci con i fatti del Mostro, fino al 2001, quando la titolare di un centro estetico a Foligno, di nome Dorotea Falso, ricevette nell'arco di svariati mesi numerose telefonate intimidatorie da parte di ignoti. In queste telefonate gli anonimi interlocutori minacciarono, fra insulti vari, di uccidere la donna e suo figlio durante non meglio identificati riti satanici e in un alcune occasioni uno di questi pronunciò la neanche troppo sibillina frase: "Ti faremo fare la stessa fine di Pacciani e del dottor Narducci annegato nel Trasimeno".
L'estetista, che aveva preso l'abitudine di registrare le telefonate, decise di rivolgersi alla polizia, cui consegnò i nastri. Fu indagando su queste strane minacce che in seguito la Procura di Perugia, nella persona del magistrato Giuliano Mignini, riaprì il fascicolo riguardante la morte del Narducci col fine di fare chiarezza su eventuali legami fra la sua morte e quella del Pacciani.

Piccola ma importante parentesi: Il più volte citato studioso e blogger Antonio Segnini, che ha potuto attingere al vasto archivio di Francesca Calamandrei, figlia del farmacista imputato nel processo sui presunti mandanti dei delitti del Mostro, sostiene - carte alla mano - che in realtà l'inchiesta sul Narducci sarebbe partita circa 6 mesi prima rispetto a quando in una delle telefonate anonime all'estetista venisse fatto per la prima volta il nome del Narducci. In pratica, l'inchiesta fu avviata nel novembre del 2001, mentre la prima telefonata che faceva riferimento al Narducci risaliva al 18 maggio 2002. Dunque, secondo l'encomiabile e complesso lavoro svolto da Segnini, l'inchiesta sul Narducci non avrebbe preso il via per colpa o per merito di quelle telefonate, come in realtà si è sempre pensato, ma indipendentemente dalle stesse per un motivo a noi ignoto o anche per semplice legittima volontà del magistrato inquirente. In raltà Segnini va molto oltre con i suoi discorsi, ipotizzando uno scenario ben più complesso in cui da un certo punto in poi nelle telefonate all'estetista avrebbero avuto un ruolo da protagonista alcuni poliziotti con il fine proprio di "giustificare" l'inchiesta già avviata sul medico perugino.
A queste tesi, ha risposto lo stesso magistrato Giuliano Mignini dalle pagine dell'interessante blog Mostro di Firenze, ribattendo punto per punto alle tesi sostenute da Segnini. Fra i due attori della contesa è nato nel febbraio 2021 un serrato botta e risposta, al termine del quale ognuno sembra essere rimasto delle proprie idee: da un lato il blogger che, sulla base dei documenti in possesso, scinde l'inchiesta sul Narducci dalle telefonate all'estetista, dall'altro il magistrato, secondo cui la visione del Segnini sarebbe parziale e influenzata da una non perfetta conoscenza delle procedure di diritto penale.

Indipendentemente dalla disputa, è bene precisare che le telefonate anonime a danno dell'estetista - come verrà scoperto in seguito - erano state fatte da svariate cabine pubbliche della provincia perugina da persone (poi rintracciate e processate) che nulla avevano a che fare con la morte del Narducci, con quella del Pacciani e tanto meno con la vicenda del MdF. E nulla avevano anche a che fare con questioni di usura, com'era invece stato ventilato all'inizio. Erano probabilmente telefonate ad opera di sbandati che avevano come non troppo chiaro fine quello di intimidire una persona, di cui uno degli autori si era probabilmente invaghito.
Insomma, a far riparire uno dei casi più contorti della cronaca nera italiana sembra essere stato (almeno secondo la versione ufficiale che per il momento non tiene conto delle ricerche del Segnini) uno stalker che aveva letto qualcosa sui giornali a proposito di Narducci e del Mostro di Firenze e aveva deciso di spaventare la sua preda con misteriosi riferimenti al satanismo e a tale vicenda.
Vediamo ora velocemente (ma non troppo) i passi che a questo punto percorse la Procura di Perugia:

► Per prima cosa Mignini, studiando le vecchie carte, fu insospettito dalla ferma volontà della famglia Narducci nel 1985 di non andare a fondo nelle indagini sulla morte di Francesco ma di volerle chiudere nel più breve tempo possibile, arrivando - a suo dire - a fare pressioni sulle autorità competenti affinché non ci fossero ulteriori sviluppi.

► In secondo luogo, nel cimitero di Perugia, nella cappella di famiglia, sulla tomba di Francesco era riportata come data della morte il 9 ottobre 1985, quando in quella data il dottore non era né vivo, né morto, ma semplicemente scomparso.

► Studiando le vecchie fotografie scattate sul molo di San'Arcangelo la mattina del 13 ottobre, Mignini ipotizzò che il cadavere ripescato dal Trasimeno non fosse quello di Francesco Narducci. Questo perché dalle foto tale cadavere risultava chiaramente più basso e più grosso rispetto a quello del Narducci.
Come riporta il giornalista Alvaro Fiorucci nel suo libro "48 small. Il dottore di Perugia e il mostro di Firenze" (a parere di chi scrive, il miglior resoconto sugli intrecci fra il medico perugino e la vicenda fiorentina) il corpo sul molo era una probabile taglia 60 a dispetto di una 48 Small che indossava il Narducci.

► Sulla base delle ipotesi maturate dallo studio delle fotografie, la Procura ordinò la riesumazione del cadavere del dottor Narducci. Una delle idee che aveva preso piede era che la bara potesse essere vuota o contenere un cadavere che non fosse quello del Narducci, mentre il famoso medico era all'estero, vivo, con un'altra identità e un'altra vita, lontano da Perugia e soprattutto da Firenze.
Invece la bara risultò piena e dalle analisi condotte dalla professoressa Gabriella Carlesi dell'università di Pavia e successivamente confermate dai RIS di Parma, all'epoca ancora sotto la guida del generale Luciano Garofano, emerse che il cadavere sepolto era senza ombra di dubbio quello del Narducci e che questo si presentava in ottimo stato di conservazione.
Il corpo, inoltre, indossava abiti di una taglia che era proprio quella del Narducci (la famosa 48 small) e dunque - sempre secondo l'ipotesi della Procura - era altamente improbabile si trattasse dello stesso cadavere, largo e gonfio, ripescato il 13 Ottobre del 1985. Infine l'esame autoptico stabilì che il corpo presentava la frattura del corno tiroideo superiore sinistro, un osso che si rompe tipicamente in caso di strangolamento.
Il referto riportava in merito: "...riteniamo quanto meno probabile che la morte di Francesco Narudcci risieda in un'asfissia meccanica violenta prodotta mediante costrizione del collo, o di tipo manuale (strozzamento) o mediante laccio (strangolamento)."
Dunque, nella mente di Mignini stavano maturando un paio di idee che sicuramente avrebbero fatto molto rumore nell'ambiente perugino: da un lato un cadavere ripescato dal lago il 13 ottobre che non era quello del Narducci; dall'altro la morte del medico, avvenuta verosimilmente il 9 ottobre, non più addebitale a incidente o a suicidio, ma a omicidio.

► A conferma delle ipotesi avanzate dalla Procura, gli esami antopometrici rilevarono che il cadavere riesumato (dunque quello del Narducci) aveva un'altezza di 180 centimetri e una larghezza in vita di 72/75 centimetri; mentre, i rilevamenti eseguiti (ovviamente sulla base delle fotografie) sul cadavere ripescato nel lontano 13 ottobre 1985 dal Trasimeno riportavano un'altezza di 173 centimetri e una larghezza in vita di 110 centimetri; dati questi ultimi che poi vennero corretti nel 2007 dagli esami condotti dal generale GAROFANO dei RIS, il quale fornì come misure un'altezza di 160.5 centimetri (più o meno sei millimetri) e una circonferenza di 99 centimetri. Ovviamente la successiva correzione da parte del RIS (ben 13 centimetri in meno per l'altezza e 11 in meno per la circonferenza) era dimostrazione per la difesa di come tali calcoli basati su fotografie fossero assolutamente aleatori e soggetti a evidenti errori.
Infine, dall'analisi dei capelli sul cadavere riesumato del Narducci venne rilevata la presenza di petidina, un oppiaceo usato anche in ambito medico per alzare la soglia del dolore nei pazienti che ad esempio venivano sottoposti a gastroscopia o altri esami invasivi. Tale sostanza era presente in quantità tale da poter ragionevolmente supporre un costante uso da parte del medico negli ultimi mesi di vita e dunque una leggera dipendenza.

► A completare il quadro dei sospetti che nella mente di Mignini si stavano tramutando in certezze, un tale Francesco Fagioli riferì al magistrato un particolare visto il giorno 9 ottobre 1985, mentre era a caccia, da un'altura del Monte Buono e che per gli inquirenti potrebbe essere stato un pezzo di scena del crimine. Il Fagioli dichiarò infatti di aver visto, osservando verso il lago, una barca lanciata a folle velocità verso l'isola Polvese compatibile con quella posseduta dal Narducci. La barca si era fermata a ovest dell'isola e dopo una decina di minuti era stata affiancata (a una distanza che l'uomo non poté valutare correttamente e indicò fra i 20 e i 200 metri) da una seconda imbarcazione. Null'altro da aggiungere da parte del testimone, dunque niente più che un'informazione di nessun valore ma che poteva rappresentare un tassello del puzzle, l'istantanea di un omicidio in procinto di compiersi.

► Infine, per la Procura di Perugia ci sarebbe stata (il condizionale è d'obbligo) una lettera scritta dal Narducci nella villa di famiglia sulle sponde del lago prima di salire sull'imbarcazione dove poi avrebbe trovato la morte. Di questa fantomatica lettera parlò per la prima volta la domestica della villa, la signora Emma Magara, moglie del giardiniere, Luigi Stefanelli.
Stando alle dichiarazioni della donna, lei stessa aveva trovato il foglio di carta scritto a penna sul davanzale della finestra (o forse su un tavolo) del salone il giorno della scomparsa del Narducci, dunque l'8 ottobre 1985. Aveva mostrato il foglio al marito, ma entrambi non erano stati in grado di decifrare la fitta grafia che - a loro dire - riempiva interamente entrambe le facciate. Avevano lasciato quel documento sul davanzale; quando erano ritornati nella villa quella stessa sera, il foglio era scomparso.
Non vi è ovviamente certezza che quel documento fosse stato scritto proprio da Francesco Narducci; i coniugi intesero comunque informare gli inquirenti dell'episodio. Della lettera riferirono anche i figli e alcuni amici della coppia, tutti concordi nell'affermare che, stando al racconto dei coniugi, la grafia con cui era stata vergata era quasi illegibile.
Agli occhi della Procura una presunta lettera scritta dal Narducci poco prima di scomparire per sempre e fatta sparire presumibilmente dai suoi familiari, poteva essere il tassello mancante per ricostruire l'intera ingarbugliata vicenda. Ma negli interrogatori successivi, questa volta davanti al giudice e con il contraddittorio delle parti, i testimoni riferirono che il foglio era in realtà un biglietto di piccole dimensioni su cui erano scarabocchiate alcune parole. E la lettera d'addio, quella in cui, secondo alcune voci, il Narducci avrebbe finalmente rivelato le sue verità prima di affrontare il proprio destino, divenne uno dei tanti biglietti d'auguri consegnati al dottore il 4 ottobre, in occasione del suo compleanno e onomastico.
Insomma quella lettera, ammesso fosse mai esistita, divenne ben presto non solo una pista che non avrebbe condotto a nulla, ma anche uno smacco per la Procura.
A seguito di questo episodio, la signora Magara (lo Stefanelli era frattanto deceduto) verrà portata a processo per falsa testimonianza.
Nota Bene: È sempre corsa voce dell'esistenza di una seconda lettera scritta dal Narducci che sarebbe stata ritrovata addosso al corpo del medico deceduto (non il corpo ripescato dal lago). Secondo una certa vulgata, in questa lettera il Narducci avrebbe scritto qualcosa del tipo: "Chiedo scusa al mondo intero".
Di questa seconda lettera, rinvenuta e fatta sparire dai parenti del Narducci nel momento in cui era stato ritrovato il vero cadavere del medico, ne parla anche la relazione della Commissione Parlamentare Antimafia, quasi come fosse un dato certo.
È bene precisare che non solo non vi è nulla di certo nell'esistenza di questa seconda lettera, così come della prima, ma si potrebbero muovere alcuni appunti a questa versione dei fatti:
1. sembrerebbe strano scrivere due lettere per annunciare al mondo di essere il Mostro: una lasciata sul davanzale della finestra di casa, l'altra portata con sé in barca; ma anche se la lettera fosse stata solo una e quella trovata dalla signora Magara fosse stato davvero un semplice biglietto, perché poi la donna sarebbe stata citata per falsa testimonianza?
2. se la lettera è stata trovata da un parente del Narducci (il fratello secondo la voce comune) e poi fatta sparire, come mai se ne conosce l'esistenza e soprattutto come sarebbe venuto fuori un frammento della stessa? In altre parole, la famiglia avrebbe messo in moto un meccanismo cervellotico per non far sapere la verità sulla sorte del congiunto Francesco facendo sparire una lettera estremamente compromettente, per poi lasciarsi sfuggire non solo dell'esistenza della stessa ma anche del suo contenuto o parte di essa?


Il doppio cadavere
A dispetto delle presunte ritrattazioni dei vari testimoni e delle voci di popolo che hanno sempre complicato a dismisura questa vicenda, la Procura di Perugia era ormai certa delle conclusioni audaci, ma in linea con i riscontri ottenuti fino a quel momento, cui era giunta.
Di seguito esponiamo tali ormai ovvie conclusioni, non mancando però di rilevare eventuali incongruenze o aspetti poco chiari:
1. Il Narducci era stato ucciso per strozzamento o strangolamento da ignoti e non era caduto accidentalmente in acqua, né si era suicidato come a volte era stato ventilato. L'omicidio doveva essere avvenuto il giorno 9 ottobre 1985, data riportata sulla lapide del medico, dunque il giorno successivo alla scomparsa. Dove il Narducci avesse passato la notte fra il giorno 8 e il giorno 9, non è dato sapersi. A ogni modo, ad ampia riprova dell'omicidio c'era la rottura del corno tiroideo.
Da notare che gli avvocati difensori della famiglia Narducci sostenevano invece che il corno tiroideo era stato rotto quando il dottore era già cadavere, nel frettoloso tentativo di spogliarne il corpo gonfio sul molo, in particolar modo nel tentativo di slacciare la cravatta e allentare il primo bottone della camicia.
2. Il cadavere del dottore era stato molto probabilmente recuperato dai familiari (o da persone a loro vicine) e nascosto da qualche parte. Considerando che le ricerche da parte delle forze dell'ordine erano partite il giorno prima (8 ottobre), è probabile che per un certo lasso di tempo si fossero sovrapposte le ricerche ufficiali con quelle - chiamiamole ufficiose - dei familiari. Non è dato sapere se la famiglia Narducci avesse avuto semplicemente più fortuna o fosse andata a colpo scuro, sapendo dove cercare.
3. In seguito era stato buttato nel lago il cadavere di una seconda persona, molto probabilmente un barbone o un extracomunitario prelevato dall'obitorio, se non addirittura ucciso per l'occasione (ipotesi quest'ultima mai formulata apertamente, invero). Tale cadavere era stato fatto rinvenire il 13 ottobre, dando il via a quella che - sempre secondo la Procura perugina - era stata una vera e propria messinscena.
4. Con l'aiuto di autorità compiacenti e complici, era stato fatto identificare il cadavere per quello di Francesco Narducci ed erano state fatte pressioni su una dottoressa inesperta perché certificasse che la morte era dovuta ad annegamento. In seguito erano state opportunamente evitate ulteriori indagini sul corpo.
5. Infine, prima della sepoltura, era stato effettuato lo scambio dei cadaveri in modo da seppellire il vero corpo del dottor Narducci, fino a quel momento opportunamente nascosto dalla famiglia del medico. Che fine, invece, avesse fatto il corpo ripescato dal Trasimeno, anche questo non è dato sapersi.

Dando momentaneamente per buono il complesso quadro investigativo realizzato dalla Procura perugina, la domanda da porsi è perché era stato messo in atto da persone rispettabili e altolocate un piano così cervellotico e pericoloso? È indubbio che le motivazioni dovevano essere ben importanti.
Secondo l'ipotesi del dottor Mignini, il fine della famiglia Narducci era non far emergere una scomoda verità sul decesso del proprio congiunto: non far sapere, cioè, che il giovane medico era stato ucciso e dunque evitare un'indagine per omicidio, che avrebbe potuto scoperchiare inquietanti e terribili segreti. E quali segreti avrebbero potuto essere più terribili di quelli relativi all'uccisione di sette (escludendo il 1968) coppiette appartate nella campagna fiorentina?
Sempre secondo il disegno della Procura di Perugia, Francesco Narducci era stato infatti uno dei mandanti dei delitti del Mostro di Firenze. Intenzionato a uscire dal giro o addirittura a fare scomode rivelazioni, dopo il delitto di Scopeti, era stato ucciso proprio dai suoi complici. In particolare il mandante dell'omicidio sarebbe stato identificato - come visto nel capitolo Il farmacista - nel dottor Francesco Calamandrei di San Casciano, il tramite fra il cosiddetto secondo livello e la manovalanaza spicciola formata dai Compagni di Merende.


La doppia inchiesta
L'inchiesta sulla strana morte del dottor Narducci a questo punto si sdoppiò:
● da un lato in collaborazione con la Procura di Firenze si indagava sulle connessioni con la vicenda del Mostro e sull'omicidio del Narducci da parte dei suoi presunti complici;
● dall'altro sul presunto scambio di cadavere e i relativi depistaggi realizzati da personaggi insospettabili appartenenti alla Perugia bene.

Il filone perugino: Per questo filone, Mignini chiese la misura cautelare degli arresti domiciliari per l'ex questore di Perugia Francesco Trio, per l'ex comandante provinciale dei carabinieri Francesco Di Carlo e per l'amico di infanzia del Narducci, Alfredo Brizioli.
Nel Novembre del 2004, il giudice per le indagini preliminari, dottoressa Marina De Robertis, respinse la richiesta. La Procura fece ricorso al Tribunale del Riesame che reputò verosimile il teorema dell'Accusa ma ribadì che non c'era necessità di provvedimenti cautelari.
Dal proprio canto, la difesa della famiglia Narducci si avvalse dei servigi di due eminenze nel campo della medicina legale, il professor Carlo Torre e il professor Nello Balassino, i quali contestarono a tutto tondo le conclusioni cui erano giunti i professori di Pavia, i RIS di Parma e di conseguenza la Pubblica Accusa sostenuta dal magistrato Mignini. Per i periti della difesa il doppio cadavere non era mai esistito, non c'era stata alcuna ingerenza nelle indagini da parte della famiglia Narducci e soprattutto le misure del cadavere sul molo ricavate da semplici fotografie erano completamente sbagliate (basti pensare alla discrepanza fra le misure calcolate dall'università di Pavia e quelle calcolate dai RIS di Parma).

Il filone fiorentino: Frattanto, sul fronte dell'inchieta fiorentina, le cose non andavano affatto bene per la Procura.
Nel marzo del 2008, lo stesso Mignini chiese l'archiviazione e il proscioglimento con formula dubitativa di tutti gli indagati (presunti mandanti, presunti esecutori e presunti finacheggiatori) per l'omicidio (anche questo presunto) di Francesco Narducci. Alla fine il PM perugino era stato costretto ad alzare bandiera bianca, non avendo trovato le prove contro il farmacista di San Casciano e i notabili che lui reputava appartenenti al cosiddetto secondo livello, coloro che - coinvolti nei delitti del Mostro di Frenze - avevano commissionato l'omicidio del medico perugino, intenzionato a uscire dal giro.
Come già visto nel relativo capitolo, due mesi dopo, il 21 maggio 2008, da Firenze giunse l'assoluzione del farmacista Calamandrei al Processo contro i mandanti per i delitti commessi dal Mostro di Firenze. In altre parole non solo Narducci non era stato ucciso su ordine del Calamandrei, ma il Calamandrei non era neanche uno dei mandanti degli omicidi del Mostro.
Nella sentenza di assoluzione, il giudice De Luca si occupava anche della vicenda Narducci, scrivendo a tal proposito:
"...D'altra parte sul medico di Perugia, che pur risulta investigato in tutti i modi e in due diverse indagini poi riunite, non è emerso, almeno allo stato, un suo coinvolgimento con i fatti per cui è causa, al più risultando coinvolto in qualche rapporto sessuale con prostitute della zona di San Casciano e Firenze ed essendo stato avvistato (sia pur con non pochi dubbi e non da tutte le persone sentite nella lunga indagine) nella zona...
...Tuttavia non essendo emerso alcun serio riscontro che leghi il Narducci al gruppo degli "intellettuali", anche tale ipotesi appare quale sospetto o indizio ma non si spinge oltre detta soglia e non può di certo costituire quindi conferma dell'assunto accusatorio."

Il 5 giugno 2009, il giudice per le indagini preliminari, sempre la dottoressa Marina De Robertis, accolse la richiesta formulata l'anno prima da Mignini e archiviò l'inchiesta della Procura sull'omicidio del Narducci e prosciolse tutti gli indagati. Nella sua sentenza il giudice non mancò di sottolineare che Narducci era stato sì ucciso (sconfessando dunque sia l'ipotesi sostenuta dalla famiglia dell'incidente, sia quella del suicidio), ma non erano stato trovate prove a carico degli indagati e lì dove erano state trovate, riguardavano reati minori già caduti in prescrizione.
La dottoressa De Robertis non mancò anche di elencare i numerosi indizi (tutti ripercorsi nel precedente capitolo) che collegavano Narducci alla vicenda del Mostro, anche in questo caso ritenendoli però non univoci e decisivi per una sentenza di condanna.

Di nuovo il filone perugino: Rimase a questo punto aperta esclusivamente l'inchiesta che coinvolgeva la famiglia del Narducci (padre e fratello), gli amici (come il Brizioli) e quanti avevano dato loro copertura per la presunta sostituzione del cadavere (come l'ex questore Trio). Erano numerosi i reati a loro imputati: andavano dall'abuso di potere alla falsità ideologica, dalla calunnia alla violazione dei doveri inerenti alla pubblica funzione rivestita, dall'occultamento di cadavere all'uso illegittimo e vilipendio e distruzione e soppressione o sottrazione di cadavere, dal rifiuto di atti d'ufficio alla violenza e minaccia contro pubblico ufficiale, per arrivare infine all'interruzione di pubblico servizio.
Dopo un paio di anni di serrate indagini, si risolse pure questa inchiesta, ancora una volta in maniera per nulla positiva per la Procura perugina.
La sera del 20 Aprile 2010 il giudice per l'udienza preliminare, dottor Paolo Micheli, stabilì infatti il non luogo a procedere per i 41 indagati dal Pubblico Ministero Mignini, alcuni perché i fatti non sussistevano, altri perché i fatti non costituivano reato. Venne decretato il non luogo a procedere anche per la domestica di casa Narducci, la già citata signora Emma Magara, chiamata in giudizio per falsa testimonianza per la faccenda della lettera d'addio.
Tutti assolti dunque, senza distinzione alcuna.
Due anni dopo, il 20 febbraio 2012, il giudice Paolo Micheli ebbe modo di spiegare: "Sono state condotte indagini perché era doveroso farle. Non vi sarebbe stato motivo di compierle se venticinque anni fa le cose fossero andate diversamete."
Per Micheli, tuttavia, Narducci si era suicidato per un qualsiasi motivo che poteva andare dalla scoperta di una malattia al suo reale coinvolgimento nei delitti del Mostro. A ogni modo, a suo insindacabile parere, Narducci non era stata ucciso, né tanto meno era morto per cause accidentali. Mancando l'omicidio, perdevano di senso le accuse di sostituzione del cadavere e dunque di associazione a delinquere fra tutti coloro che avevano partecipato al diabolico, quanto cervellotico piano. Piano, a proposito del quale il dottor Micheli fu piuttosto tranciante: "Siamo nel campo dell'inverosimiglianza."
Il dottor Mignini intese impugnare la sentenza e fare ricorso in Cassazione. Il 21 Marzo 2013 la Corte Suprema di Cassazione annullò larga parte della sentenza Micheli, comfermando peró la non sussistenza del primo e più importante capo d'accusa, quello di associazione a delinquere, mentre per gli altri reati decretò l'intervenuta prescrizione. Prescrizione di cui non intese beneficiare il già citato amico d'infanzia del Narducci, l'avvocato Alfredo Brizioli che, per sua legittima volontà, decise di andare fino in fondo e farsi processare. Poco più di un anno dopo, nel luglio del 2014, il Brizioli venne definitivamente assolto da ogni accusa.
Con tale sentenza d'assoluzione si chiuse ufficialmente la complessa vicenda giudiziaria sulla misteriosa morte del dottor Francesco Narducci.


Francesco Narducci in Mostrologia
Ora, mettendo un momento da parte gli esiti processuali, cerchiamo di fare chiarezza su alcuni punti chiave della vicenda e di valutare le varie ipotesi sulla morte del dottor Narducci, indipendentemente dal famigerato scambio del cadavere. Scambio su cui al momento non siamo in grado di dire con certezza (come probabilmente non lo è nessuno) se sia effettivamente avvenuto o meno, anche se l'esposizione dei fatti ci dovrebbe quantomeno portare a prendere in considerazione l'eventualità.

Ipotesi N. 1: Il dottor Francesco Narducci è morto per una disgrazia. Probabilmente è caduto dalla barca, ha perso i sensi e secondo il referto stilato dalla dottoressa Seppoloni, è morto per annegamento. In questo caso, il cadavere sul molo era ovviamente il suo, non c'era alcun motivo per cui potesse essere stato ordito alcuno scambio. La frattura al corno tiroideo è stata procurata durante la frettolosa opera di svestizione. Il corpo, inizialmente molto gonfio per via dell'acqua ingurgitata, ha perso col tempo i liquidi ritornando alle dimensioni normali.
Ora risulta evidente come l'ipotesi della disgrazia sembri essere probabilisticamente la meno quotata sotto diversi punti di vista, non ultimo le dichiarazioni di alcuni dei presenti sul molo (fra cui la stessa dottoressa Seppoloni) sulle pressioni esercitate dalla famiglia Narducci al momento del rinvenimento del cadavere. Pressioni che non avrebbero avuto ragion d'essere in caso di morte accidentale. Escludendo quindi tale ipotesi, rimangono due possibili alternative: il suicidio e l'omicidio.

Ipotesi N. 2: Il dottor Francesco Narducci ha scelto di suicidarsi per motivi personali che non conosciamo e che possiamo solo sommariamente e maldestramente ipotizzare. In linea con questo punto vi potrebbe essere l'utilizzo di Petidina e la conseguente leggera dipendenza che il medico aveva maturato negli ultimi mesi di vita.
2a: Il dottore si è suicidato per cause che possono essere completamente indipendenti dalla faccenda del Mostro di Firenze, come ad esempio un profondo stato depressivo o l'esser venuto a conoscenza di essere afflitto da una grave malattia (per esempio l'Aids, all'epoca dei fatti considerato ancora qualcosa di cui verognarsi, tanto piú per uno della posizione sociale del Narducci). Malattia di cui però non vi è traccia documentale da nessuna parte.
2b: Il dottore si è suicidato a causa di un suo reale coinvolgimento nella faccenda del MdF che può aver generato dei profondi sensi di colpa o il terrore di essere scoperto o comunque anche in questo caso un forte stato depressivo.
2c: Il suicidio potrebbe essere stato istigato da qualcuno (ad esempio un familiare) che, resosi conto del coinvolgimento di Francesco con i delitti del Mostro, ha preferito indurlo a togliersi la vita piuttosto che fargli affrontare lo scandalo che sarebbe conseguito alla scoperta della verità.

Nell'ipotesi del suicidio, qualunque sia stata la causa scatenante, lo scambio di cadavere può essere o meno avvenuto, non risultando in pratica fattore dirimente.
Potrebbe infatti non essere stato effettuato qualora il Narducci si fosse tolto la vita lasciandosi cadere in acqua e fosse stato realmente ritrovato cinque giorni dopo; in questo caso tutti i discorsi sulle diverse fisicità dei cadaveri sono frutto di errate valutazioni della Procura, di errate percezioni fotografiche e dunque di errate misurazioni.
In tal caso, il comportamento e le pressioni esercitate da alcuni individui sodali alla famiglia Narducci sul molo al momento del rinvenimento del cadavere possono essere spiegati semplicemente con la volontà di chiudere in fretta il caso senza dover attendere eventuali indagini e un'autopsia. Un banale incidente nautico sarebbe infatti risultato molto meno compromettente e avrebbe suscitato molte meno domande rispetto a un suicidio che, in maniera inquietante, avrebbe ulteriormente alimentato le voci sul conto di Francesco.
Lo scambio del cadavere potrebbe altresì aver avuto luogo ove il Narducci si fosse tolto la vita per esempio impiccandosi e fosse stato ritrovato dai familiari prima del 13 ottobre. In tal caso nascondere il suicidio sarebbe stato molto più difficile. Né a quel punto, buttare il corpo di un proprio caro nel lago per simulare un incidente, oltretutto con la possibilità che venisse ritrovato dopo pochissimo tempo dai ricercatori, deve essere sembrata un'ipotesi plausibile a coloro che avevano interesse a nascondere la verità. Di qui potrebbe essere sorta l'idea di nasconderne il corpo e farne rinvenire un altro dopo diversi giorni, in modo da rendere meno probabile un riconoscimento.

È abbastanza intuitivo, tuttavia, che un suicidio - per quanto scomodo e qualunque fossero state le motivazioni - come ci dice lo stesso giudice Micheli, non potrebbe giustificare un piano così rischioso e cervellotico, che oltretutto andava a coinvolgere un numero rilevante di persone, per lo più appartenenti alla Perugia bene.
Dunque, se si predilige la teoria del suicidio è ipotizzabile che non si sia verificato alcuno scambio di cadavere. Il che equivale a dire che se ipotizziamo lo scambio del cadavere, dobbiamo anche ipotizzare che il dottor Narducci è stato con ogni probabilità ucciso. E qui veniamo alla terza ipotesi.

Ipotesi N. 3: Il dottor Francesco Narducci è stato ucciso da mano ignota per motivi che non conosciamo e che anche in questo caso possiamo solo marginalmente ipotizzare.
3a: Il dottore è stato ucciso per una qualsiasi motivazione a noi ignota e su cui non vogliamo minimamente indugiare che però nulla ha a che fare col caso del MdF.
3b: Il dottore è stato ucciso dai propri complici, coinvolti con lui nei delitti del MdF, i quali si erano resi conto che Narducci stava diventando l'anello debole della catena perché mentalmente non reggeva più la pressione della vicenda o perché aveva deciso di tirarsi fuori o perché aveva lasciato dietro di sé tracce troppo compromettenti.
3c: Il dottore è stato ucciso da qualcuno che, venuto a conoscenza del suo coinvolgimento nei delitti del MdF, ha inteso intervenire personalmente al fine di evitare uno scandalo che avrebbe coinvolto la sua importante famiglia.

Anche in caso di omicidio, qualunque sia stata la causa, lo scambio di cadavere può essere o meno avvenuto, non risultando fattore dirimente. È ovvio, tuttavia, che un caso di omicidio desti non solo più scandalo, ma anche molte più indagini da parte degli inquirenti per risalire agli esecutori del delitto (con tutto ció che ne potrebbe conseguire) rispetto a un caso di suicidio. Di conseguenza se contempliamo l'ipotesi omicidio esiste una probabilità più alta che si sia verificato lo scambio di cadavere.


14 commenti:

  1. Da semi-profano ma fortemente appassionato dell'intera vicenda, mi chiedevo quale spiegazione si possa dare - ammesso che Narducci fosse il MdF - al delitto di Signa del '68.
    L'eventuale depistaggio del Narducci per attirare l'attenzione sull'omicidio Locci-Lo Bianco avrebbe certamente ragione d'esistere, ma la pistola che sparò fu la stessa e questo pare fortemente documentato.
    Può voler quindi dire che Narducci entrò in possesso della pistola sarda (se sì, come?) e sapendo ciò che aveva contributo a compiere, ne approfittò?
    Per quanto i serial killer inizino a uccidere anche molto presto, l'assassinio del 1968 sembra fin troppo pulito e organizzato per un ragazzo di 19 anni al probabile 'debutto' omicidiario.

    Per quanto la tesi di Narducci sia suggestiva e mi affascini, non riesco proprio a inserirla nel quadro generale con Signa '68.

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    1. Ciao, collegare Narducci al 1968 non è difficile solo per te, ma per chiunque. Non è un caso se la corrente mostrologica "narducciana" esclude che il medico possa essere stato coinvolto nel delitto del 1968, propendendo per un depistaggio oppure per un passaggio della pistola, che può asusmere qualsiasi sfaccettatura, a seconda del proprio "credo".

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  2. Buona giornata, mi permetto di suggerire una direzione, dichiarando che si tratta di un mero pensiero personale, e di una ipotesi. Perchè la mano omicida, se omicida si trattò non la consideriamo di un vendicatore. Qualcuno che per fatti magari anche non collegati a quelli del MdF ma assimilabili, abbia provveduto da se, senza denunciare. Questo giustificherebbe le ipotesi che vogliono le coperture da parte della famiglia del medico. Certo sarebbe la trama di un film....Ma questa vicenda ci ha abituato ad ogni evoluzione.

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    1. Buongiorno Giuseppe e grazie per il commento.
      La tua ipotesi rientrerebbe nella 3c, vale a dire:
      "Il dottore è stato ucciso da qualcuno che, venuto a conoscenza del suo coinvolgimento nei delitti del MdF, ha inteso intervenire personalmente..."
      In questo caso non per evitare uno scandalo ma per vendetta.
      Ciao e grazie ancora per il commento.

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  3. Buongiorno sig.Sorrenti ottimo blog, veramente dettagliato e ben curato. Sul caso Narducci si potrebbe vagliare anche una quarta ipotesi, ossia un tentativo di fuga all'estero, il che spiegherebbe molto bene anche il tentativo di depistaggio con il falso cadavere. In questo caso ci sarebbero 2 ipotesi. Nella prima la fuga riesce ma Narducci muore comunque qualche anno dopo all'estero, la salma viene fatta rientrare in qualche modo in Italia. Certo tecnicamente molto difficile, ma non impossibile con qualche funzionario compiacente negli anni 80/90. Nella seconda ipotesi Narducci viene scoperto nel tentativo di fuga ed ucciso, si ritorna quindi all'ipotesi numero 3 descritta.

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    1. Buongiorno Arrigo e grazie per il commento.
      Il tentativo di fuga è un'ipotesi che ha un suo perché. Ma che la fuga riesca, il dottore muoia all'estero e la salma venga fatta rientrare in Italia all'insaputa di tutti e senza lasciare la minima traccia anche a dispetto di pletore di inquirenti e investigatori che hanno cercato in qualsiasi modo di "inchiodarlo", la vedo davvero improbabile come cosa.
      Che la fuga sia stata tentata ma il dottore sia stato fatto fuori prima è un'ipotesi che rientra nella numero 3.
      Ciao e grazie ancora per il commento.

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  4. Da medico e patologo reputo assodato che ci sia stato uno scambio di cadavere. In entrambe le valutazioni antropometriche fatte, per quanto discordanti, il corpo ripescato aveva dimensioni chiaramente diverse da quelle del Narducci. Tra le varie caratteristiche riferite dagli addetti alle pompe funebri (che non avevano motivo per mentire), inoltre, la salma presentava un aspetto "negroide", pochi capelli, era gonfio e in stato putrefattivo. In contrasto, la salma del Narducci era perfettamente conservata e il soggetto facilmente riconoscibile (alcune foto sono disponibili online). Escludo tassativamente che nella bara il cadavere abbia acquisito di nuovo le sembianze del Dott. Narducci. Non è biologicamente possibile. Che poi il medesimo fosse o meno coinvolto nelle vicende del Mostro di Firenze è un'altra questione.

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    1. Sono pienamente d'accordo. Il doppio cadavere probabilmente c'è stato, che poi il tutto fosse collegato alla faccenda del Mostro è un altro paio di maniche, su cui al momento non solo non vi è alcuna prova, ma addirittura svariati tentativi di farla rientrare per forza.

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    2. Buongiorno e grazie a entrambi per i commenti.
      Direi che su questo punto in molti nei vari ambienti mostrologici sono d'accordo: qualcosa di molto poco chiaro e limpido su quel molo è avvenuto, ma che il Narducci c'entrasse davvero con le questioni fiorentine è un sillogismo per nulla scontato.
      Ciao e grazie ancora.

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  5. Riguardo al presunto doppio cadavere faccio una domanda forse ingenua: dal momento che sembra assodato siano state fatte delle pressioni sulla dottoressa intervenuta sul molo, non era sufficiente da parte della famiglia narducci limitarsi a ciò per chiudere in fretta la vicenda? cioè lasciare che la dottoressa esaminasse il reale cadavere del narducci e poi "obbligarla" a conclusioni gradite, piuttosto che inscenare uno sostituzione del cadavere che sembra davvero troppo rischiosa perfino per chi può contare su appoggi importanti?

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    1. Ciao e grazie per il commento.
      Il tuo ragionamento appare logico, ma non saprei risponderti nel merito perché rientrano troppe variabili, troppi "se" e troppi "ma" in gioco.
      Possiamo maldestramente dire che, ammettendo (e non concendendo) che ci sia stato un doppio cadavere, quello "reale" sicuramente era in buone condizioni (considerando lo stato dopo la riesumazione) e propabilmente non era morto per annegamento. Questo potrebbe aver influito sulle scelte successive.
      Ciao.

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  6. Complimenti per il blog.
    Ad oggi c'è un fascicolo aperto per il presunto omicidio di FN oppure no?

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    1. No, nessun fascicolo.
      Grazie per il commento e per i complimenti.
      L.

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