Giogoli


Data: Venerdì, 9 Settembre 1983;
Orario: Fra le 21.00 e le 24.00 secondo i referti medici;
Luogo: Località Galluzzo, via di Giogoli;
Vittime: Horst Meyer, 24 anni; Uwe Rüsch (spesso italianizzato in Rush), 24 anni;
Automobile: Furgone Volkswagen T1, targato DH-EK 42;
Fase Lunare: Un giorno dopo il Novilunio (età lunare -27gg). Illuminazione al 4%. Il 9 settembre a Firenze la luna è tramontata alle ore 21:15 per poi sorgere il giorno successivo (10 settembre) alle ore 10:36.


Prima del delitto
A bordo di un furgone Volkswagen Transporter, attrezzato a camper, due ragazzi tedeschi, Horst Meyer e Uwe Rüsch, partirono nel settembre del 1983 per una vacanza in Italia. La mattina di mercoledì 7 lasciarono la città di Münster, nel nord-ovest della Germania. Come riporta una nota della SAM per la Procura di Firenze, quella sera il Rüsch telefonò ai suoi familiari dalla città di Spessart. Premesso che non esiste una città di nome Spessart, è molto probabile che la nota si riferisse alla zona di Spessart, circa 350 km a sud di Münster. Questo è l'ultimo contatto certo che abbiamo. Di qui in avanti bisogna procedere facendo qualche (lecita) supposizione e prendendo in considerazione alcune testimonianze.
Verosimilmente i due giovani ripartirono la mattina successiva, giovedì 8 settembre. La distanza fra Spessart e Firenze è di circa 950 km, percorsi a bordo di una vettura che certamente non permetteva alte velocità. È lecito supporre che i due ragazzi arrivarono in Toscana non prima della tarda sera di giovedì e questo sarebbe in linea con la testimonianza di un metronotte che quella sera li vide nei pressi della piazzola degli Scopeti a San Casciano Val di Pesa (vedasi più in basso il paragrafo dedicato alle Particolarità).
Non è tuttavia possibile escludere a priori che nel lungo tratto fra Spessart e Firenze, i giovani tedeschi avessero deciso di fare una tappa intermedia e dunque giunsero nel capoluogo toscano proprio nella giornata di venerdì 9, purtroppo appena in tempo per rimanere vittime del MdF. In tal caso, però, ci sarebbe da chiedersi chi vide il metronotte a Scopeti la sera precedente; la risposta potrebbe essere un'altra coppia di stranieri a bordo di un furgone Volkswagen, il che sarebbe una coincidenza ben strana e che dunque difficilmente potremmo prendere in considerazione.
Risulta comunque certo che nel pomeriggio di venerdì, fra le 16.25 e le 18.25, i due giovani lasciarono il camper in un parcheggio dalle parti di Santa Maria Novella a Firenze (venne rinvenuto il tagliandino della sosta all'interno del furgone) e successivamente quella sera si allontanarono dal centro della città e parcheggiarono in un prato adiacente a via di Giogoli, zona Galluzzo, per trascorrervi la notte.
Stando al referto medico stilato dal dottor Mauro Maurri, il duplice omicidio ebbe luogo fra le 21 e mezzanotte di quel tragico 9 settembre, un orario dunque coerente con i delitti fino a quel momento commessi dal Mostro.


Scena del crimine
I ragazzi vennero raggiunti dai colpi sparati con una certa perizia dalla solita Beretta calibro 22 attraverso la carrozzeria e i vetri del furgone. Nel dettaglio, furono sparati tre colpi dalla fiancata sinistra, rispettivamente attraverso il penultimo finestrino, l'ultimo finestrino e la lamiera del montante posteriore. Entrambi i finestrini del lato sinistro rimasero integri, nonostante i fori di proiettile. Altri due colpi furono sparati dalla fiancata destra, attraverso l'ultimo finestrino (rimasto integro) e il penultimo finestrino (su cui invece si venne a formare una fitta ragnatela di crepe).
I fori dei proiettili sui vetri del furgone vennero calcolati dal dottor Francesco De Fazio a una distanza da terra compresa fra i 137 e i 140 centimetri. Questa misurazione permise all'equipe di Modena di stabilire un'altezza dell'assassino superiore ai 180 centimetri. Vedremo in seguito come questa è una ipotesi non condivisa da tutti (specialmente per ovvietà di cose dai Sardisti) perché inizialmente i calcoli furono fatti non tenendo conto dell'altezza da terra cui giacevano i giovani tedeschi al momento dell'attacco.
Ai cinque colpi sparati dall'esterno del furgone, son da aggiungere altri due colpi sparati all'interno e conteggiati grazie al rinvenimento di due bossoli. Il killer esplose dunque in totale - almeno stando alla dinamica ufficiale quasi unanimamente condivisa dalla mostrologia moderna - sette colpi d'arma da fuoco. Vennero tuttavia recuperati solo quattro bossoli.
Per amor di cronaca, recentemente un ingegnere e ricercatore di Prato molto noto negli ambienti mostrologici, Luca Scuffio, ha proposto una dinamica alternativa del delitto (reperibile facilmente su youtube) secondo cui il killer avrebbe esploso 9 e non 7 colpi d'arma da fuoco.
Rimanendo comunque fedeli alla dinamica ufficiale, l'assassino (o eventualmente gli assassini, se vogliamo attenerci alle sentenze) sparò dall'esterno attraverso entrambe le fiancate verso le vittime, uccidendo quasi subito il Meyer, quindi entrò nel furgone, finì il Rüsch con altri due colpi, si rese conto che si trattava di due uomini e decise di non infierire sui cadaveri con l'arma bianca, né di effettuare alcun tipo di escissione.
Le macchine fotografiche e il denaro dei due giovani tedeschi non vennero toccati, né sembrarono mancare oggetti di valore. L'autoradio del furgone rimase accesa fino alla scoperta dei cadaveri, la sera successiva.


Dopo il delitto
Il duplice omicidio venne scoperto quasi ventiquattro ore dopo; precisamente sabato 10 dicembre alle 19.30 da Rolf Reinecke, imprenditore tedesco che viveva in un appartamento di villa La Sfacciata, costruzione vicinissima al luogo del delitto e che domina tutta via di Giogoli. Il Reinecke, avendo già visto il furgone con targa tedesca fermo nello spiazzo nella stessa posizione quella mattina, ma a suo dire impossibilitato a fermarsi per via del traffico su via di Giogoli, in serata si avvicinò al mezzo per scambiare due chiacchiere con i connazionali. Fatta la macabra scoperta, l'uomo avvertì immediatamente le forze dell'ordine.
Lo stesso Reinecke si ritrovò in seguito coinvolto nelle indagini: una prima volta subito dopo l'omicidio quando a seguito di una perquisizione le forze dell'ordine scoprirono che era possessore di alcune armi da fuoco non dichiarate; una seconda volta molti anni dopo quando gli inquirenti cominciarono a indagare sui presunti festini esoterici a villa La Sfacciata e sul cosiddetto secondo livello, vale a dire i presunti mandanti degli omicidi (vedasi a tal proposito il capitolo Il secondo livello).
Tornando alla scoperta dei cadaveri, il fatto che le vittime fossero due uomini ha dato adito sul momento a due possibili ipotesi: un errore del mostro che aveva scambiato il Rüsch per una donna oppure un tentativo di scagionare Francesco Vinci da parte di un complice, il quale aveva inteso colpire una coppia qualsiasi con la pistola del MdF, ma senza essere costretto a effettuare le escissioni.
Col tempo sono nate altre ipotesi, come la scelta volontaria del MdF di colpire una coppia di uomini oppure la necessità di agire in tal modo data dalla mancanza di coppie appartate in auto.
Il giorno successivo alla scoperta del delitto, nelle vicinanze del camper (10/15 metri secondo il maresciallo Storchi; 30 metri secondo l'ispettore Autorino) furono ritrovate fra la vegetazione, in condizioni tutto sommato buone, alcune pagine di una rivista pornografica italiana, denominata Golden Gay. Si trattava di una rivista di pubblicazione mensile il cui primo numero era uscito nell'aprile del 1981 e che aveva riscontrato scarsissimo successo fra il pubblico. Stando a quanto riporta l'Avvocato Santoni Franchetti al Processo Pacciani, a dispetto del nome, tale rivista era di tipologia eterosessuale (cosa oggi non unanimamente condivisa) e le pagine trovate a poca distanza dal camper, disposte a formare una specie di altarino, appartenevano al quinto numero, uscito nell'agosto del 1981.
Poiché quei fogli con buona probabilità erano lì da pochissimo tempo in quanto non particolarmente usurati dagli agenti atmosferici e poiché alcuni risultavano tagliati da una lama affilatissima, è idea abbastanza diffusa fra i mostrologi (anche se non unanimamente condivisa) che fossero stati lasciati dallo stesso MdF in occasione del delitto, con lo scopo evidentemente di inviare un ben preciso messaggio agli inquirenti. Una sorta di primordiale comunicazione che avrebbe anticipato di un paio di anni la famigerata lettera inviata alla dottoressa Silvia Della Monica.
Ovviamente, anche ammettendo che l'ipotesi dell'altarino creato dal killer sia corretta, questo non ci dà modo di capire se l'assalto al camper dei tedeschi fosse stato o meno un errore. Certo, se sapessimo con certezza che il killer aveva appositamente portato con sé quei fogli, non avremmo dubbi sulla sua volontà di colpire una coppia di uomini. Tuttavia, non può essere esclusa la possibilità che il MdF avesse trovato la rivista fra gli effetti personali delle vittime e avesse in quel momento deciso (indipendentemente dall'errore o meno) di lasciare una sorta di messaggio.
Potrebbe venire naturale chiedersi perché due ragazzi tedeschi avrebbero dovuto possedere una rivista pornografica italiana di scarsissima distribuzione, pubblicata addirittura un paio d'anni prima. Tuttavia, come ci fa sapere sempre l'ottimo avvocato Santoni Franchetti durante il Processo Pacciani, dalla copertina di quella rivista era stato spuntato l'angolo in alto a sinistra. Il taglio dell'angolo indicava che la rivista era stata allegata a un'altra pubblicazione. Questa era una pratica molto in voga negli anni '80 e '90, quando riviste o fumetti a lungo invenduti, soprattutto nel periodo estivo, venivano incellofanati fra loro ed esposti al pubblico per pochi spiccioli oppure allegati a una nuova uscita per incentivarne l'acquisto. È dunque possibile che quel numero di Golden Gay fosse capitato fra le mani dei ragazzi tedeschi in seguito all'acquisto di un'altra rivista in una qualsiasi edicola italiana: a tal proposito, proprio all'interno e nei pressi della stazione Santa Maria Novella, c'erano un paio di ben noti carretti ambulanti colmi di fumetti o riviste, molte delle quali a carattere pornografico.
D'altro canto, l'ispettore di polizia Giovanni Autorino riferì nell'udienza del Processo ai CdM del 28 ottobre 1997 che nel prato antistante la piazzola del delitto di Giogoli vi era una quantità tale di riviste pornografiche da necessitare di un camion per poterle repertare tutte. A parte l'iperbole usata dall'ispettore, risulta un'affermazione importante perché non esclude l'ipotesi che la rivista, abbandonata comunque da poco, potesse essere stata recuperata (dal MdF o da chiunque altro) esternamente al furgone.
Rimangono ovviamente queste, mere speculazioni che tengono aperto tutto il novero di possibilità contemplate dalla mostrologia passata e presente.


Avvistamenti e segnalazioni
► Una guardia giurata di nome Giancarlo Menichetti dichiarò che fra le 23.30 e la mezzanotte del 9 settembre 1983 (dunque, verosimilmente a delitto appena compiuto), transitando per via di Giogoli, aveva visto il furgone dei ragazzi tedeschi parcheggiato nella ben nota piazzola. Il Menighetti non aveva notato nulla di strano e dunque aveva proseguito il suo giro d'ispezione. Ripassò in zona la mattina successiva verso le 9.30/10 (dunque a omicidio non ancora scoperto) e stavolta notò una FIAT 126 bianca parcheggiata accanto al furgone, col motore spento e senza nessuno all'interno. Anche in questa occasione il predetto Menichetti non intese fermarsi.
Successivamente gli inquirenti credettero di individuare nel signor Mario Robert Parker, all'epoca abitante a villa La Sfacciata, il proprietario della 126. Finito nel mirino delle indagini, Parker dimostrò di aver ricevuto la 126 bianca, di proprietà della madre, solo nell'ottobre del 1983 e dunque di non poter essere lui il proprietario della vettura vista dal Menichetti.
Come il Reinecke, il Parker tornò al centro delle indagini quasi una ventina d'anni dopo quando le attenzioni della Procura si spostarono sul cosiddetto secondo livello e anche lui fu accusato di far parte dei misteriosi mandanti (vedasi capitolo Il secondo livello).
Piccola postilla: il Menichetti morì nell'ottobre del 1998, colpito a morte da una fucilata sparata da un ex collega, Lorenzo Boretti, che affetto da turbe psichiche, si era convinto che il Menichetti stesso fosse il Mostro di Firenze.
► Un'altra testimonianza emersa nei giorni successivi al delitto è quella del signor Attilio Pratesi, giardiniere e tuttofare di Villa La Sfacciata, il quale dichiarò che la mattina del venerdì 9 settembre verso le 11.30 aveva notato nello spazio dove poi quella stessa sera sarebbe avvenuto il delitto, un ciclomotore di tipo BETA col serbatoio a goccia, di colore scuro, appoggiato a un muretto. Notò anche, a una distanza di cinque o sei metri dal ciclomotore, un individuo seminascosto dai cespugli sui 45/50 anni, alto circa 165/170 centimetri, di corporatura robusta, con maglietta a maniche corte a strisce blu e bianche, dai capelli radi, lisci e curati. Costui, che gli dava le spalle, guardava attentamente verso il campo, con la schiena rivolta appunto verso la strada.
Qualche anno dopo, quando la Procura di Firenze individuò in Pacciani l'autore di questi delitti, tornò a interrogare il Pratesi, mostrandogli le foto di un motorino del Pacciani. Il Pratesi confermò che presumibilmente si trattava dello stesso ciclomotore, tanto più che dalle foto si intravedeva sotto la seconda mano di vernice un colore rossastro molto simile a quello del ciclomotore che aveva visto a Giogoli la mattina del delitto.
► Una testimone di nome Laura Simoncini riferì di aver percorso in automobile, verso le 21:15 del 9 settembre 1983, ora in cui si può far risalire l'omicidio dei due tedeschi, via del Vingone, parallela e sottostante a via di Giogoli. In quell'occasione la donna illuminò con i fari un uomo proveniente verosimilmente dalla zona del delitto, dall'età di 40-45 anni, di circa 170 centimetri di altezza, con indosso una maglietta celeste con strisce rosso orizzontali, pantaloni scuri, capelli folti, lisci e tirati indietro.
Tale testimonianza verrà riportata testualmente nel celebre rapporto del colonnello Nunziato Torrisi, il quale ipotizzerà che l'uomo visto dalla Simoncini fosse Salvatore Vinci.
Scrive a tal proposito, il colonnello: "...Il VINCI Salvatore, che secondo il nostro parere potrebbe corrispondere alla descrizione della donna, avrebbe avuto una maglietta a fondo bleu (celeste) con delle righe orizzontali."
A parlare della maglietta del Salvatore Vinci, sarebbe stata la sua compagna dell'epoca Ada Pierini
► Da un articolo del giornalista Mario Spezi su La Nazione, emerge che uno o due giorni prima di accamparsi nello spiazzo di via di Giogoli, i tedeschi provarono a fermarsi con il loro furgoncino nei pressi di via degli Scopeti (precisamente davanti al cancello di una villa non lontana delle cantine Serristori), ma da lì furono allontanati da un metronotte di nome Gian Pietro Salvadori.
Tale episodio venne confermato durante il Processo ai CdM dal maresciallo Giuseppe Storchi che nell'udienza del 28 ottobre 1997 riportò questo particolare. Lo stesso Canessa dichiarò che questo episodio era confermato dagli atti (effettivamente esiste ed è rintracciabile in rete il verbale del predetto Salvadori). Stando a quanto detto prima, se i ragazzi sul furgoncino allontanati dal metronotte erano gli stessi che vennero uccisi a Giogoli (cosa molto probabile, ma di cui non abbiamo certezza), questo episodio deve essere necessariamente avvenuto la sera precedente al delitto (giovedì, 8 settembre 1983), cioè non appena i due giovani tedeschi erano giunti in zona.
Inutile dire che la piazzola degli Scopeti sarà il luogo dell'ultimo duplice omicidio del MdF.
Nota a margine: nel verbale redatto, Salvadori dichiarò di aver scambiato uno dei due ragazzi all'interno del furgone (precisamente il Rüsch) per una donna. Ed effettivamente ad un'occhiata distratta il Rüsch, biondino, glabro, lineamenti delicati, fisico longilineo, avrebbe potuto trarre in inganno. Ciò potrebbe avvalorare la tesi dell'errore anche da parte del MdF.
► Come già riportato, da accertamenti testimoniali risultò che i due ragazzi tedeschi erano partiti dalla città universitaria di Münster il 7 settembre. Avevano lasciato la zona di Spessart la mattina successiva per arrivare a Firenze verso la tarda serata di giovedì 8 settembre, dunque ventiquattro ore prima del delitto.
Tuttavia questo contrasta con la testimonianza della signora Teresa Buzzichini che nell'udienza del giorno 8 luglio 1997 del Processo ai CdM dichiarò: "...vedevamo questi ragazzi già da una settimana, che avevano questo pulmino. Non un camper, un pulmino qualsiasi insomma. La mattina, si vedeva la radio... si sentiva perlomeno la radio, presto..."
Dunque da un lato abbiamo accertamenti testimoniali che indicano che i ragazzi la sera del 7 settembre erano ancora in Germania, dall'altro abbiamo una rispettabile, anziana e simpatica signora che testimonia in maniera particolareggiata che il camper dei tedeschi stazionava dalle parti della piazzola di Giogoli già da una settimana e veniva visto tutti i giorni da lei e dal marito, nel frattempo deceduto.
È ovvio come la dichiarazione della Buzzichini, sebbene probabilmente in buona fede, non può considerarsi attendibile. Non venne tenuta in considerazione neanche nella sentenza del Processo ai CdM perché non coerente con le testimonianze che provenivano dalla Germania.
Ne abbiamo accennato sia perché è ottimo esempio di come la memoria possa riservare brutti scherzi a tanti anni di distanza, sia perché decisamente più interessante fu la testimonianza resa in occasione del delitto, del marito della suddetta signora, Giovanni Nenci.
In data 13 settembre 1983, il Nenci dichiarò ai carabinieri del Galluzzo che la sera di giovedì 8 settembre attorno alle 20.30 aveva notato nello spiazzo dove il giorno successivo sarebbe avvenuto l'omicidio, il camper dei ragazzi tedeschi regolarmente parcheggiato. La mattina dopo, verso le 7.30, transitando per la stessa via, aveva notato parcheggiata al fianco del camper un'automobile Fiat 128 color rosso targata Firenze.
La testimonianza del Nenci potrebbe essere importante perché:
▪ come visto, è molto probabile che la sera dell'otto settembre i due tedeschi fossero già in zona ed è anche possibile che sostarono nella stessa piazzola dove il giorno dopo sarebbero stati uccisi;
▪ a possedere una FIAT 128 coupé color rosso in quel periodo era il futuro compagno di merende, Giancarlo Lotti, il quale proprio nel febbraio del 1983 aveva acquistato tale vettura;
▪ al momento dell'acquisto la vettura del Lotti era targata Gorizia, ma il 28 aprile 1983 il Lotti aveva provveduto al cambio di targa (all'epoca obbligatorio);
▪ il Nenci parla genericamente di una 128 rossa, quindi potrebbe essere lecito supporre che si riferisse alla "berlina" della 128, perché se avesse visto una ben più rara e particolare coupé, avrebbe sentito il bisogno di specificarlo.
Risulta comunque una coincidenza piuttosto curiosa (ammesso lo sia) la testimonianza di un uomo che riferisce di aver visto un modello di macchina simile a quello posseduto da uno dei compagni di merende parcheggiato a fianco del furgone di due vittime del Mostro, una quindicina d'ore prima dell'omicidio.


Particolarità a Giogoli
● In questo duplice delitto, il MdF tornò a usare una cartuccia a palla ramata insieme a quelle a piombo nudo. Il motivo secondo alcuni è dato dal fatto che il proiettile a palla ramata si sarebbe prestato meglio a forare la carrozzeria del furgone, idea smentita comunque da diversi esperti balistici.
È opportuno ricordare che le cartucce a palla ramata erano state usate nel 1968 e 1974. Quelle a piombo nudo nei due delitti del 1981 e in quello del 1982. Ricordiamo inoltre che i proiettili venivano comunque tutti dalla stessa partita (avendo lo stesso difetto sulla lettera H) e che sono indubbiamente sparati dalla stessa pistola.
● Il singolo proiettile a palla ramata in questo delitto ha comunque una discreta importanza perché ci mostra come l'autore della serie omicidiaria a cadenza annuale degli anni '80 avesse conservato almeno un proiettile della scatola di proiettili usati nel 1968 e nel 1974. Dunque questo singolo proiettile lega una volta di più la serie omicidiaria degli anni '80 al delitto del 1968. Può sembrare un dato scontato, ma considerati i 7 anni trascorsi fra il 1974 e il 1981 e gli addirittura 13 trascorsi fra il 1968 e il 1981, avrebbe anche potuto non essere così ovvio.
● Come detto, dai fori dei proiettili sul vetro del furgone fu possibile stabilire da parte dell'equipe di Modena, guidata del celebre e più volte citato criminologo Francesco De Fazio, che il killer dovesse essere alto almeno 180 centimetri. Questo calcolo fu poi contestato dal PM Canessa durante il Processo Pacciani; in quell'occasione gli stessi criminologi dichiararono di aver creduto erroneamente che il corpo del Meyer si trovasse sul pianale anziché su una piattaforma rialzata e dunque l'altezza dello sparatore doveva essere abbassata di una quindicina di centimetri. Con tale affermazione si arrivava più o meno proprio all'altezza dell'imputato Pacciani, compresa fra i 165 e i 170 centimetri.
Questo ovviamente ha fatto nascere diversi dibattiti in seno alle varie correnti mostrologiche. Per i Paccianisti, i Merendari e ovviamente anche per i Sardisti (Salvatore Vinci, ad esempio, non era particolarmente alto), la presunta "ritrattazione" dell'equipe di Modena sull'altezza del killer era acqua a favore del proprio mulino. Per i fautori del serial killer unico mai rientrato nelle indagini o per i Lottiani, invece, è stato solo un tentativo dei periti di andare incontro alle tacite richieste della Pubblica Accusa. Ipotesi che - a parere di chi scrive - contrasterebbe nella maniera più assoluta con la professionalità al di sopra di ogni sospetto da sempre mostrata dai criminologi modenesi.
● Come detto, fino al delitto di Travalle, gli inquirenti erano stati convinti che il MdF scegliesse con notevole anticipo le proprie vittime femminili, probabilmente sulla base di alcuni canoni fisici, quindi le pedinasse, ne studiasse le abitudini e i luoghi in cui solevano appartarsi con i rispettivi compagni. Se però il delitto di Baccaiano aveva fatto nascere qualche dubbio in merito, quello di Giogoli effettivamente stroncò questa teoria. Infatti se il delitto era stato un errore del MdF che aveva confuso il Rüsch per una donna, sicuramente i due ragazzi tedeschi non erano stati adeguatamente controllati. Ma anche ammettendo che il mostro li avesse comunque pedinati e avesse voluto uccidere proprio loro, considerando che i due tedeschi la sera del 7 settembre erano ancora a Spessart e che verosimilmente erano partiti per Firenze la mattina dell'8 settembre, nella migliore delle ipotesi non potevano essere giunti in zona da più di 24 ore, un lasso di tempo minimo per essere individuati, pedinati e studiati.
● Questo risulta il secondo omicidio consecutivo in cui il killer – per un motivo o per un altro – non solo non ha compiuto escissioni, ma non ha neanche infierito sui cadaveri con l'arma bianca. Risulta a questo punto inevitabile pensare come nei primi tre delitti (1974 e i due del 1981) il killer non avesse almeno apparentemente riscontrato problemi di sorta, cosa che non può certamente dirsi per gli ultimi due (1982, 1983).
● A proposito della tipologia di vittime scelte dal MdF e del suo modus operandi, questo risulta un delitto anomalo non solo perché furono uccisi due uomini, ma anche perché i due tedeschi verosimilmente non erano impegnati in un rapporto sessuale né in effusioni amorose.
Scrive a tal proposito il Giudice Istruttore, dottor Mario Rotella: "Gli uccisi sono due uomini e, pur sussistendo un sospetto di relazione omosessuale tra loro (poi avallata da riscontri della polizia tedesca), non risulta minimamente che fossero in atteggiamento intimo al momento del fatto."
Dunque, indipendentemente dall'orientamento sessuale dei due giovani tedeschi (la polizia italiana ebbe riscontri sulla loro omosessualità dai colleghi tedeschi), ciò che veramente ci preme sottolineare in questa sede è la certezza - come scrive Rotella - che i ragazzi non erano nel momento dell'assalto impegnati in effusioni amorose. Ciò significa che l'assassino non era intervenuto per impedire un rapporto sessuale o durante lo stesso, come era sempre accaduto nei delitti precedenti.
Sembra dunque cadere, almeno in questa occasione, il movente sessuale legato a una qualche parafilia dell'assassino. È dunque un omicidio che, anche se frutto di un errore, risulta apparentemente slegato dalla serie poiché riguarda una coppia (di fidanzati, di amici, etero, omo, non è importante), accampata in uno spiazzo, apparentemente senza legami sentimentali, in cui i due componenti erano ognuno per fatti propri.
Questo ovviamente acuì nelle forze dell'ordine l'idea che tale omicidio fosse stato commesso per scagionare Francesco Vinci.
● A tal proposito, il delitto di Giogoli avvenne oltre un anno dopo quello di Baccaiano e il successivo arresto di Francesco Vinci. Se il fine del delitto era scarcerare il Vinci, ci si potrebbe chiedere come mai il MdF o chi per lui avesse aspettato così tanto prima di intervenire, quando in occasione dell'arresto di Spalletti aveva atteso circa quattro mesi. Potremmo avere diverse risposte a questa domanda:
▪ l'omicidio di Giogoli non è stato eseguito per scarcerare il Vinci;
▪ il Vinci era meno importante di Spalletti; o meglio, per una serie di motivi che non conosciamo, c'era più urgenza di scarcerare lo Spalletti che non il Vinci;
▪ questo duplice omicidio ha richiesto una preparazione più accurata che ha portato via molto più tempo;
▪ l'omicidio delle Bartoline non era stato eseguito per scarcerare lo Spalletti e dunque il fatto che fosse avvenuto a soli quattro mesi di distanza dal precedente era solo un caso.
● La convinzione maturata in seno agli inquirenti che si trattasse di un delitto nato con motivazioni diverse dagli altri, portò nei giorni immediatamente successivi ad alcune perquisizioni nei confronti dei personaggi che erano stati coinvolti nel delitto del 1968. Abbiamo nell'ordine:
1. All'alba dell'11 settembre (dunque poche ore dopo la scoperta dei cadaveri), venne eseguita una perquisizione a casa del ventiquattrenne Antonio Vinci, figlio di Salvatore, nipote e amico di Francesco. La perquisizione nacque in seguito a una segnalazione anonima che denunciava la presenza di armi a casa di Antonio, ma non diede alcun esito. L'alibi del ragazzo per la sera del 9 settembre venne confermato dalla moglie e da alcuni amici.
2. Quello stesso giorno venne effettuata una perquisizione a casa di Salvatore Vinci. Anche questa non diede esiti. Per il giorno del delitto, Salvatore dichiarò di essere stato sempre in casa, tranne per un intervento di lavoro eseguito verso le 16:00 a Firenze (a casa presumibilmente di una prostituta di nome Luisa Meoni) e per un breve lasso di tempo fra le 20 e le 21 quando aveva accompagnato la signora delle pulizie nella sua abitazione a Prato (per il dettaglio degli alibi di Salvatore Vinci in occasione dei delitti si veda il paragrafo dedicato al rapporto Torrisi nel capitolo a lui dedicato).
3. Sempre in data 11 settembre, fu eseguita una terza perquisizione a casa del maggiore dei fratelli Vinci, Giovanni. Anche questa diede esito negativo.
4. Fu poi la volta della perquisizione a casa di Carmelo Cutrona, già sospettato e incarcerato per il delitto di Signa del 1968, prima di venire completamente assolto. Inutile dire che non venne rilevato nulla di significativo per le indagini.
5. Il 14 settembre i difensori di Francesco Vinci chiesero al giudice istruttore Rotella la scarcerazione del proprio assistito. Richiesta che venne respinta.
6. Due giorni dopo, il 16 settembre, Antonio Vinci venne scoperto in un cascinale ad Artimino (vicino Prato) mentre trafficava con dei fucili da caccia detenuti illegalmente. Fu arrestato e processato, infine assolto con formula piena.
Le indagini sui sardi continueranno ancora a lungo e sfoceranno di lì a qualche mese con l'arresto di Giovanni Mele e Piero Mucciarini, rispettivamente fratello e cognato di Stefano Mele. Entrambi, nel gennaio del 1984, saranno accusati di aver commesso tutti i delitti attribuiti al Mostro.
● Questo delitto è passato alla storia come quello che attesta maggiormente l'inefficienza della polizia, dei rilevamenti balistici e di conseguenza delle indagini dell'epoca di fronte ai delitti del MdF. Storica a questo proposito fu la testimonianza del maresciallo dei carabinieri Giovanni Leonardi, durante il Processo ai CdM. Emersero nell'occasione la superficialità con cui furono fatti i rilievi (misurazioni prese ad occhio a detta dello stesso maresciallo) e la totale mancanza di un cordone di sicurezza che tenesse lontano i curiosi. A questa testimonianza risale la famosa frase del presidente Ognibene: "Maresciallo, mancavano i brigidini e poi era la fiera all'Impruneta".
● Un altro particolare che sollevò l'indignazione della Corte durante il Processo Pacciani, fu il trasporto del furgone dei tedeschi dal luogo del delitto alla caserma dei carabinieri di Ognissanti la sera stessa del duplice omicidio. Durante questo trasporto, si ruppe il vetro del furgone, rendendo di fatto impossibile ripetere le misurazioni sull'altezza dei fori del proiettile rispetto al terreno.
Tuttavia, come ebbe modo di chiarire nell'udienza del 28 ottobre 1997 del Processo ai CdM sempre il maresciallo Giuseppe Storchi, tale decisione era stata presa dal magistrato (presumibilmente la dottoressa Della Monica) perché sembrava potesse piovere da un momento all'altro e dunque per evitare che la pioggia pulisse il furgone da eventuali impronte digitali.
● Parecchi anni dopo (metà anni '90), il reo-confesso Giancarlo Lotti dichiarerà esplicitamente che questo delitto era stato commesso dai Compagni di Merende per scagionare appunto il Vinci. Vedremo come anche questa parte di deposizione presterà il fianco a un serrato contraddittorio e lascerà molti dubbi sulla veridicità complessiva di tal dichiarazione.
● Questo risulta l'omicidio che ha fornito alla Procura di Firenze un paio degli indizi su cui poi si è basato l'intero processo a Pietro Pacciani. Il blocchetto Skizzen Brunnen e il portasapone di marca Deis, secondo la Pubblica Accusa, provenivano infatti proprio dal camper dei tedeschi. Ma di questo si avrà modo di parlare adeguatamente nei capitoli dedicati alla vicenda giudiziaria che ha visto Pietro Pacciani protagonista.
IMPORTANTE: La piazzola del delitto di Giogoli dista pochissimi chilometri dalla piazzola degli Scopeti, luogo in cui, esattamente due anni dopo, il Mostro di Firenze avrebbe colpito per l'ultima volta e anche in questo caso avrebbe ucciso una coppia di stranieri. La distanza fra Giogoli e Scopeti è quantificabile in poco meno di 8 km, percorrendo la via più breve (via Torricella, via Volterrana, per poi imboccare la stessa via di Giogoli), ma in linea d'area si tratta di una distanza decisamente inferiore. La vicinanza fra questi due luoghi e il particolare che in entrambi i casi siano state uccise coppie straniere (dunque parliamo di due delitti in cui sicuramente le vittime non erano state attenzionate da troppo tempo), potrebbe portare a pensare a delitti "improvvisati", in cui il killer avrebbe individuato le vittime in maniera casuale, incrociandole o incontrandole quindi per un puro caso. Questo porterebbe a pensare che la zona fra Giogoli e Scopeti fosse solitamente frequentata dall'assassino, vuoi perché abitava in zona, vuoi perché la percorreva abitualmente per questioni private/lavorative, vuoi perché la bazzicava proprio alla ricerca di possibili vittime, vuoi per un insieme di questi fattori.
● Qualche mese dopo l'omicidio di Giogoli, agli inizi del 1984, la dottoressa Silvia Della Monica abbandonò le indagini; ne prese il posto il Sostituto Procuratore Paolo Canessa. A capo delle operazioni di indagine sarebbe comunque rimasto Pier Luigi Vigna, Procuratore Aggiunto della Repubblica di Firenze, coinvolto in prima persona a partire dal 1982.


Mostrologia a Giogoli
Ovviamente le teorie per questo duplice omicidio riguardano la volontarietà o meno del MdF di uccidere proprio due ragazzi. Vediamo le ipotesi in oggetto:

Errore Del Mdf: Il Rüsch era di costituzione esile, biondino, da dietro poteva essere scambiato per una ragazza. Per onor di cronaca, lo stesso maresciallo Giuseppe Storchi, durante la deposizione del 28 ottobre 1997 al Processo contro i CdM, ebbe modo di dichiarare che appena entrato nel furgone, di primo impatto anche lui ebbe l'impressione che il Rüsch fosse una donna. Anche il metronotte Gian Pietro Salvadori che allontanò presumibilmente la coppia tedesca dagli Scopeti dichiarò di aver scambiato uno dei due per una donna.
Dunque, dato per assodato che era possibile sbagliarsi, anche il mostro venne tratto in inganno dall'aspetto del ragazzo e commise l'errore di attaccare una coppia di uomini; quando entrò nel furgone, si accorse del tragico equivoco, dunque andò via senza commettere escissioni.

Omicidio Volontario Del Mdf: Il mostro sapeva che i due occupanti del camper erano uomini. Commise l'omicidio perché evidentemente voleva uccidere proprio due uomini, magari per sfregio nei confronti di una coppia che lui riteneva omosessuale.
Motivi omofobi a parte, perché il MdF avrebbe dovuto voler uccidere due uomini, andando contro quelli che erano gli schemi adottati fino a quel momento? Ovviamente non c'è una risposta certa a questa domanda. Alcuni ritengono che dopo Baccaiano il MdF fosse braccato dalle forze dell'ordine, quindi soggetto a immediata perquisizione in caso di nuovo delitto. Di qui la scelta di colpire due stranieri qualsiasi (persino di sesso maschile), senza parenti prossimi, senza che nessuno denunciasse prematuramente la scomparsa degli stessi dando immediato allarme, con il rischio dunque di subire un'immediata perquisizione nella propria abitazione.

Omicidio Volontario Di Un Complice Del Mdf: Il MdF era impossibilitato a commettere l'annuale duplice omicidio. Era tuttavia necessario che quest'omicidio venisse commesso con la Beretta calibro 22 del mostro, al fine di non far nascere ulteriori sospetti o addirittura delle certezze in seno agli investigatori. Dunque, l'MdF incaricò dell'azione delittuosa un suo complice/parente, il quale per non essere costretto a compiere le escissioni scelse di attaccare proprio una coppia di uomini. Questa ipotesi venne all'epoca presa in seria considerazione dagli inquirenti; covarono infatti il sospetto che questo duplice delitto fosse stato commesso da qualcuno che non fosse il MdF solo e soltanto per scagionare il vero Mostro, cioè il detenuto Francesco Vinci. Questo è il motivo per cui il Vinci rimase in carcere ben oltre il delitto di Giogoli e fu definitivamente scarcerato solo dopo il delitto di Vicchio, quest'ultimo sicuramente commesso dal Mostro.


3 commenti:

  1. un segreto simile impossibile che piu persone siano riuscite a tenerlo nascosto per tanti anni,il mostro e' una sola persona , e' stata una sola persona morta e sepolta subito dopo l'ultimo omicidio del mi sembra 1985

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  2. Omicidio commesso da un complice teoria ridicola.

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  3. h aahha ah haahha ah il lotti lo mostro de firenze ah ha ah povero uomo

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