Il duplice omicidio di Vicchio fu un duro colpo per il teorema cosiddetto Tricomi-Rotella e per quanti inseguivano il mostro fra i componenti del clan dei sardi. Eppure, la certezza che il delitto del 1968 fosse maturato all'interno del clan e le difficoltà a pensare a un passaggio di mano della pistola portarono il Giudice Istruttore a inseguire comunque il MdF sempre nello stesso ambiente.
Scarcerati Giovanni Mele, Pietro Mucciarini e Francesco Vinci, il maggior indiziato divenne a quel punto Salvatore Vinci, fratello maggiore di Francesco, ex amante della Locci, secondo molti il vero padre di Natalino e personaggio dalle indubbie stranezze.
Nato il 1 Dicembre 1935 a Villacidro, in provincia di Cagliari, Salvatore era il secondo dei fratelli Vinci. Della sua infanzia si sa ben poco se non che all'età di dieci anni era stato percosso in maniera talmente violenta dal padre da dover rimanere a letto, impossibilitato a muoversi, per circa due settimane. Durante l'espletamento del servizio militare subì un grave colpo alla testa che lo rese sordo all'orecchio destro. Nel periodo di ricovero ebbe i primi rapporti omosessuali. Al rientro a Villacridro, pur a conoscenza del suo orientamento sessuale, i familiari, in special modo il padre, lo spinsero a prendere moglie.
All'età di 23 anni, nel 1958, Salvatore sposò la giovanissima Barbarina Steri, a quanto si dice contro la volontà della ragazza, ma in accordo con il di lei fratello, l'allora diciannovenne Salvatore Steri. Nel febbraio del 1959 nacque il primo figlio della coppia, Antonio.
Meno di un anno dopo, il 14 gennaio 1960, la Steri morì in circostanze misteriose. La successiva inchiesta stabilì che la donna si era suicidata con il gas, in realtà è opinione abbastanza diffusa che fosse stata uccisa dal marito, il quale aveva scoperto una relazione extraconiugale della moglie con il precedente fidanzato, di nome Antonio Pili. Come vedremo meglio in seguito, una coincidenza che i Sardisti non mancano di far notare è che i due amanti si chiamavano come le vittime del delitto di Signa del 1968, appunto Barbara e Antonio.
Non è fine di questi scritti soffermarsi sulla morte della povera Barbara Steri, ma è bene precisare che oggi all'ipotesi del suicidio credono in pochi (uno è il blogger Antonio Segnini) e per almeno tre buoni motivi: il primo è che Barbarina sembrava in procinto di lasciare il marito, cambiare vita e appariva lontana da propositi suicidi; il secondo è che da quanto è stato accertato sulla base della testimonianza di un vicino, quella sera la bombola del gas in casa Vinci era esaurita; infine, l'alibi di Salvatore col tempo ha cominciato pesantemente a scricchiolare.
All'epoca l'inchiesta venne però rapidamente archiviata e, scampato il pericolo, Salvatore si affrettò a cambiare aria e trasferirsi in Toscana, dove raggiunse suo fratello maggiore Giovanni Vinci a Lastra a Signa. Qui, si dice durante una fiera di paese, conobbe Barbara Locci e ne divenne l'amante, subentrando proprio a suo fratello. Per qualche tempo Salvatore prese in affitto una stanza in casa Mele-Locci, finché agli inizi del 1961 Barbara rimase incinta e i due amanti si allontanarono.
Al processo Pacciani, la seconda moglie del Vinci, Rosina Massa, all'epoca fidanzata di Salvatore, disse che anche lei aveva avuto il sospetto che Natalino potesse essere figlio di Salvatore, ma a suo dire, lo stesso Vinci aveva tacciato questa ipotesi come un vaneggiamento. In realtà, fino al luglio 2025 quasi tutti gli studiosi del caso erano convinti che Salvatore fosse il padre biologico di Natalino. Salvo poi scoprire, a seguito dei relativi accertamenti genetici, che il padre del bambino era, in realtà, il maggiore dei fratelli Vinci, il già citato Giovanni (vedasi la sezione dedicata agli "Aggiornamenti").
L'anno dopo, nell'aprile del 1962, Salvatore sposò la predetta Rosina Massa; i due si trasferirono dapprima a Calenzano, poi a La Briglia, frazione del comune di Vaiano. Dal matrimonio nacquero 3 figli maschi, inoltre giunse dalla Sardegna per unirsi al padre anche Antonio Vinci, figlio della prima moglie Barbarina.
Nel contempo Salvatore riprese a frequentare assiduamente Barbara Locci. Dirà a tal proposito Stefano Mele: "Era più marito lui di me". Il morboso triangolo sarebbe continuato fino all'ingresso in questo ménage di Francesco Vinci, fratello minore di Salvatore ed estremamente geloso e possessivo nei confronti della disinibita Barbara.
Salvatore, al contrario del fratello, aveva invece un rapporto molto aperto sia con la Locci che con le altre donne che frequentava: amava infatti farle accoppiare con uomini – solitamente sconosciuti - alle Cascine o nelle piazzole dell'autostrada, mentre lui guardava; egli stesso amava accoppiarsi con uomini e donne, prediligeva le orge, i rapporti promiscui, maturando negli anni numerosissimi amanti di ambo i sessi.
Non è un caso se il rapporto fra Salvatore Vinci e Barbara Locci includesse anche Stefano Mele, che non si limitava a portare il caffè a letto ai due amanti (come avrebbe fatto in seguito, quando in casa sarebbe arrivato Francesco Vinci), ma partecipava ai rapporti, arrivando a instaurare un profondo feeling sessuale con Salvatore. Questo, secondo gli inquirenti, sarebbe stato il motivo che avrebbe spinto il Mele a non confessare la verità sul delitto di Signa e incolpare altri soggetti diversi dal reale autore.
Dopo l'omicidio Locci/Lo Bianco, Salvatore Vinci fu il primo a essere accusato del delitto da Stefano Mele. Ma quando se lo ritrovò davanti per un confronto, l'ex marito di Barbara ritrattò prontamente le sue accuse, scoppiando a piangere, gettandosi ai piedi di Salvatore e mostrando uno stato di completa prostrazione e sudditanza psicologica nei suoi confronti.
Uscito completamente indenne dalla vicenda delittuosa e dal relativo processo, nel 1970 Salvatore lasciò assieme alla propria famiglia il comune di Vaiano per trasferirsi a Firenze, in via Cironi.
Il suo nome tornò agli onori della cronaca tre anni dopo, nel 1973, quando suo figlio Antonio, nato dalla prima moglie e con cui i rapporti erano pessimi, scappò di casa. A quell'epoca Antonio aveva appena 14 anni.
Nella tarda primavera del 1974, anche la seconda moglie di Salvatore, la signora Rosina Massa, abbandonò il marito e tornò in Sardegna dai suoi genitori, stanca di subire le percosse, le sevizie e le perversioni del coniuge. Pochi mesi dopo, i genitori obbligarono la povera Rosina a tornare dal marito in Toscana.
Nello stesso periodo potrebbe essersi verificato il famoso quanto dibattuto episodio della denuncia presentata da Salvatore Vinci per un presunto furto subito nella sua abitazione di via Cironi. L'episodio potrebbe rivestire una certa importanza, ma non offre particolari certezze.
Il primo a parlarne era stato il giornalista Mario Spezi, il quale sosteneva che nella primavera del 1974 (alcune fonti riportano aprile, altre giugno), Salvatore aveva presentato una denuncia al commissariato di polizia di Rifredi nei confronti di suo figlio Antonio per un furto nella sua abitazione, senza però che fosse stato in grado o al più avesse voluto specificare cosa gli fosse stato sottratto.
Secondo lo Spezi, in quella occasione Antonio aveva rubato al padre la Beretta Calibro 22 con cui nel 1968 erano stati uccisi Locci e Lo Bianco, e che di lì a breve avrebbe sparato a Rabatta divenendo l'arma del mostro. Il problema è che questa rimane una mera ipotesi dello Spezi, non documentata in alcun modo. Della fantomatica denuncia non vi è traccia e - a quanto sembra - neanche lo Spezi l'aveva mai vista. A parlargliene era stata la scrittrice Magdalen Nabb, colei che gli avrebbe suggerito la cosiddetta "Teoria Carlo".
Oggi sappiamo che la denuncia presentata da Salvatore è realmente esistita, in quanto vi è lo stralcio di un documento inviato dal commissariato di Pubblica Sicurezza di Rifredi-Peretola alla Procura di Firenze in data 30 luglio 1975, che ha per oggetto: "Vinci Salvatore... patito furto ad opera di ignoti".
Tuttavia, da questo stralcio si desume in primo luogo che la denuncia non farebbe alcun riferimento ad Antonio Vinci come invece sostenuto dallo Spezi, ma sarebbe a carico di ignoti. Inoltre, non si evince quando questa sarebbe stata presentata, sicuramente prima di luglio 1975, ma non è possibile essere più precisi. La data è piuttosto importante perché se la denuncia fosse stata presentata dopo il duplice omicidio di Rabatta del settembre 1974, quello che storicamente viene ritenuto il primo omicidio del Mostro di Firenze, cadrebbe il legame fra l'eventuale pistola rubata e il delitto.
Frattanto, ad alimentare dubbi e sospetti, in quel settembre 1974, il giovane Antonio tornò (alcuni dicono fuggì) in Sardegna, ma non è dato sapere con certezza se il ritorno nella terra natia fosse avvenuto prima o dopo il duplice omicidio.
Trascorsero sei anni di anonimato per giungere al 1980, quando il ventunenne Antonio lasciò Como, città in cui aveva trovato lavoro, per far ritorno a Firenze a casa del padre. Ma nuovamente la convivenza fra i due durò ben poco: a quanto si sa, infatti, il ragazzo venne cacciato da Salvatore perché quest'ultimo lo aveva trovato ad amoreggiare con la domestica, da cui in precedenza lui era stato rifiutato. Fu in questo periodo che Antonio andò a vivere per un breve periodo a casa dello zio Francesco, prima di sposarsi nel 1982 con una ragazza folignate di nome Lorella B.
Nel frattempo, Salvatore era sempre più patologicamente dipendente dal sesso, una dipendenza che causava in lui improvvise alterazioni dell'umore culminanti in stati depressivi. Gli inquirenti avrebbero scritto a tal proposito come ormai "vivesse solo e unicamente per il sesso e ciò che rimane, nulla conta per lui, la famiglia, l'onore, il rispetto umano".
Fra il 29 aprile e il 17 maggio 1980, Salvatore si fece spontaneamente ricoverare nel reparto psichiatrico dell'ospedale Santa Maria Nuova a causa della sua smodata dipendenza. Gli venne diagnosticato uno scompenso nervoso da personalità abnorme. Al medico che lo aveva in cura avrebbe riferito di essere un vulcano di iniziative, dalla mente in continua evoluzione.
Il 6 giugno (esattamente un anno prima del delitto di Mosciano) morì il padre Antonio, mentre il 7 luglio 1980 Salvatore venne definitivamente lasciato dalla moglie Rosina, stanca di subire le percosse e le perversioni del marito. La donna si trasferì a Trieste con un nuovo compagno, di nome Sergio.
Nota Bene: La fuga di Rosina Massa non avvenne, come riportano alcuni siti nel 1970, ma come dichiara la stessa Rosina al processo Pacciani nell'udienza del 14 Luglio 1994, appunto nel luglio del 1980.
Per tutta risposta, Salvatore denunciò la moglie per abbandono del tetto coniugale, ma nel marzo del 1981 la donna fu assolta dalle accuse, in quanto veniva accertato che il marito l'aveva ripetutamente spinta verso "condotte deplorevoli".
Tre mesi dopo, il 6 giugno del 1981, a Mosciano di Scandicci ci fu il primo delitto, fra quelli a cadenza annuale, del Mostro di Firenze.
Poco dopo, Salvatore cominciò a frequentare una donna di nome Ada Pierini, ma anche costei venne coinvolta nelle sfrenate fantasie sessuali del compagno e finì per lasciarlo nel giro di un paio di anni.
Nel 1982, subito dopo il collegamento con l'episodio delittuoso del 1968, le attenzioni degli inquirenti si indirizzarono verso altri soggetti del clan dei sardi, più affini al profilo violento e pericoloso del MdF. Venne arrestato Francesco Vinci e fu tenuto sotto stretto controllo il nipote Antonio, con cui Francesco aveva un profondo legame. Si scoprì che era stato proprio Antonio a nascondere l'automobile di Francesco a Civitella Marittima, nella campagna grossetana subito dopo il duplice omicidio di Baccaiano. Interrogato in merito, il ragazzo (all'epoca ventitreenne) si giustificò motivando l'episodio con storie di amanti e di corna in cui lo zio era rimasto coinvolto.
Scoprirono che non solo Salvatore era uomo dalle spiccate perversioni, ma anche un guardone estremamente abile e attrezzato, provvisto ad esempio di lunghi chiodi per arrampicarsi sugli alberi e spiare le coppie ignare.
Il giorno dopo l'omicidio di Vicchio, il 30 luglio 1984, Salvatore Vinci subì una perquisizione in casa. Qui vennero rinvenuti, all'interno di una borsa di paglia nascosta in un armadio della sua camera da letto sotto alcune coperte invernali, tre stracci di cotone. Uno di questi aveva 38 macchie rosso scuro e - stando a quanto riporta il rapporto Torrisi - "un segno lungo, grigio, lasciato dalla canna, c'erano poi simmetrici altri segni. Era indubbio che lo straccio fosse stato usato per pulire un'arma".
Il reperto fu analizzato dalla scientifica, i risultati giunsero nella primavera del 1985. Le macchie rosse risultarono tracce di sangue umano dei gruppi B e 0. Le macchie grigie erano state prodotte dalla combustione di polvere da sparo.
Salvatore Vinci dichiarò che la borsa non era sua e che probabilmente apparteneva a una delle donne che aveva vissuto con lui.
La compagna del momento, Antonietta D'Onofrio, negò però di aver mai visto prima quella borsa. Anche l'ex moglie e l'ex convivente, Ada Pierini, negarono d'averla mai posseduta. La donna delle pulizie disse d'averla notata tra l'inverno del 1983 e la primavera del 1984.
Sul momento le indagini parvero comunque arenarsi, in quanto una volta repertate le tracce, "non fu possibile il paragone con reperti delle vittime dei duplici omicidi, perché non conservati dopo le autopsie", stando alle parole di Rotella.
Nel 1987 fu fatto un ultimo tentativo. Lo straccio venne inviato in Gran Bretagna per comparare le tracce di DNA sul tessuto con il DNA di Salvatore Vinci, ma i periti inglesi lo rispedirono indietro in quanto era trascorso troppo tempo e i campioni erano inutilizzabili. I magistrati, in mancanza dei risultati delle perizie, furono costretti ad alzare bandiera bianca.
In tempi più recenti, con le nuove opportunità offerte dalla tecnologia, è stato possibile eseguire analisi più approfondite su quei pezzi di stoffa. Nel 1998 fu infatti stabilito che i campioni di sangue rinvenuti sullo straccio erano compatibili con quelli delle vittime dei delitti del 1983 (uno dei due tedeschi aveva gruppo sanguigno B) e del 1984 (Claudio Stefanacci era del comunissimo gruppo 0), tuttavia i segni di polvere da sparo riportavano tracce di BARIO, ANTIMONIO e PIOMBO, mentre i proiettili della Winchester calibro 22 LR non risulta contenessero antimonio. Dunque, se fosse vero, lo straccio era stato sì usato per avvolgere o pulire una pistola, ma ragionevolmente non la pistola del mostro. Questo porterebbe a stabilire che Salvatore Vinci probabilmente mentiva quando diceva di non aver mai posseduto una pistola, ma nulla più di questo.
Un ulteriore piccolissimo passo avanti è stato fatto a fine 2019, quando il perito Ugo Ricci è riuscito a isolare sullo straccio tracce epiteliali che combaciavano con il DNA di Salvatore Vinci.
Anche in questo caso, non sembra una grande scoperta l'aver trovato tracce di DNA del Vinci su uno straccio contenuto in una borsetta rinvenuta a casa sua, tuttavia questo ci dimostra quanto meno che il Vinci mentiva quando affermava di non aver mai saputo nulla di quella borsetta. Cosa che, comunque, era facilmente intuibile a priori.
Sarebbe potuto essere interessante eseguire ulteriori analisi, ma incredibile a dirsi, a oggi tali reperti risultano dispersi.
Esaurita la parentesi legata alla borsa di paglia che non consente grossi passi sul fronte "indagini relative al MdF", torniamo al post-Vicchio e più precisamente al giugno del 1985, quando Stefano Mele, dopo numerose altre confessioni e relative ritrattazioni, riprese ad accusare Salvatore Vinci del delitto del 1968 che - a suo dire - aveva commesso con la complicità di Piero Mucciarini, Giovanni Mele e di un altro cognato, Marcello Chiaramonti, marito di sua sorella Teresa.
Ancora una volta, dunque, il Mele cominciava (o riprendeva in questo caso) a indicare come autore dell'omicidio del 1968 colui che era al centro dei sospetti degli inquirenti. È ovvio che il dubbio che fossero gli stessi inquirenti a stimolare (se non proprio imporre) queste accuse, sussiste.
Salvatore Vinci divenne dunque fortemente sospettato di essere il Mostro di Firenze.
Il 21 giugno 1985 fu ascoltata nuovamente la sua ex compagna Ada Pierini. Costei ribadì i comportamenti violenti di Salvatore, le sue perversioni sessuali, aggiungendo anche una minaccia mediante una pistola e lo sfruttamento della prostituzione. La Pierini covava però un forte astio nei confronti dell'ex compagno e il suo racconto non sembrò sincero agli inquirenti. La donna alla fine ritrattò parte della sua testimonianza, confermando la minaccia con la pistola, che - a suo dire - Salvatore nascondeva sotto una mattonella in camera da letto. Gli inquirenti programmarono una nuova perquisizione in casa di Salvatore.
La perquisizione, effettuata in data 26 giugno 1985 con l'utilizzo di strumentazione idonea alla ricerca di armi, portò alla rimozione di parte delle mattonelle del pavimento della stanza da letto, ma diede esito negativo.
Secondo quanto avrebbe scritto Rotella nella sua sentenza del 1989 c'era però il sospetto che il Vinci potesse essere stato avvisato per tempo del provvedimento a suo carico da un sottufficiale dei carabinieri di Prato (il cui nome è facilmente intuibile se si è letto queste pagine) e dunque potesse aver avuto gioco facile a far sparire eventuali prove compromettenti. Di interesse piuttosto modesto per le indagini venne rinvenuto esclusivamente un foglietto rettangolare, tratto da un blocco di appunti per telefono, con la scritta a penna: "Sign. Magiore Toriso Via Colli n. 101 – 264261".
La calligrafia era verosimilmente quella di Salvatore Vinci; il maggiore Torrisi (che in quel giugno 1985 aveva comunque già il grado di colonnello) era l'ufficiale dei carabinieri che indagava su di lui.
Furono, a quel punto, analizzati con più cura tutti gli alibi che Salvatore aveva fornito in occasione dei delitti del MdF, a partire da quello del 1968 e molti di questi furono giudicati estremamente labili. Il sospettato venne messo sotto controllo dalle forze dell'ordine, pedinato e intercettato telefonicamente.
Secondo il rapporto Torrisi, le intercettazioni cominciarono il 26 aprile 1985, mentre i pedinamenti ebbero inizio il primo luglio 1985 nei giorni di venerdì, sabato e domenica dalle ore 20.00 alle ore 24.00.
Quando il MdF colpì per l'ultima volta nel settembre del 1985 alla piazzola degli Scopeti, Salvatore era ancora sotto stretta osservazione, ma essendoci - come vedremo - assoluta aleatorietà sulla data e l'ora del delitto, quei pedinamenti, eseguiti nei fine settimana fino alla mezzanotte, non possono essere ritenuti un fattore discolpante nei confronti del Vinci.
Secondo il professor Francesco De Fazio dell'università di Modena, incaricato dalla Procura di Firenze di realizzare un profilo dell'assassino, l'ultimo duplice omicidio presentava alcune differenze rispetto ai precedenti: innanzitutto, il killer sembrava aver agito d'impulso senza un'accurata pianificazione, quindi aveva mostrato maggiore eccitazione durante la fase di sparo, infine era apparso meno sicuro rispetto ai precedenti assalti.
La causa poteva risiedere nel differente stato emotivo che l'assassino stata vivendo in quei giorni, con il fiato degli inquirenti sul collo e la consapevolezza di essere ormai braccato. E questo, se da un lato aveva acuito il suo stato di eccitazione, dall'altro lo aveva reso meno freddo e calcolatore, più esposto a commettere errori. Inoltre, vedremo come a Scopeti, per la prima volta, il killer aveva nascosto i cadaveri delle vittime, il che - secondo gli inquirenti - combaciava con i controlli e i pedinamenti cui era sottoposto il Vinci e con l'esigenza di sistemare le proprie cose prima che i corpi venissero scoperti.
La sera stessa del rinvenimento dei cadaveri, il 9 settembre alle ore 23.30, Salvatore fu sottoposto alla prova del guanto di paraffina. Le sue mani erano arrossate e doloranti sul dorso e sulle dita, come se in precedenza le avesse lavate con una qualche sostanza corrosiva. L'esame effettuato al Centro Carabinieri Investigazioni Scientifiche rilevò apprezzabili quantità di antimonio sulla mano destra. Non vennero rinvenute tracce di bario, altro elemento indispensabile per la determinazione dei residui carboniosi della polvere da sparo. L'esame diede quindi esito negativo, pur lasciando notevoli dubbi e perplessità negli inquirenti.
Il giorno successivo arrivò alla Procura di Firenze, nella persona della dottoressa Silvia Della Monica, una lettera anonima contenente un lembo di seno dell'ultima vittima del Mostro (vedasi il relativo capitolo). Agli inquirenti che indagavano su Salvatore Vinci apparve sin da subito una vera e propria sfida, perpetrata secondo il costume sardo dell'anonima sequestri.
Il 9 dicembre del 1985, il Vinci ricevette un avviso di garanzia per i delitti del Mostro. Quella mattina alle ore 10.45, dinanzi al colonnello Torrisi che lo informava di tutti i gravi indizi a suo carico, Salvatore asserì glacialmente: "Se non c'è errore non può esserci rischio".
Comunque la si pensi, pur risultando doveroso ribadire che non esiste alcuna prova sul fatto che Salvatore Vinci fosse davvero implicato negli omicidi del MDF, nel rapporto emergono avvistamenti, particolarità e coincidenze sinistre, oltre ad alcuni dubbi che tuttora permangono sugli alibi forniti dall'indagato in occasione di tre delitti attribuiti al MdF. In estrema sintesi:
● Per quanto riguarda gli avvistamenti del Vinci, come abbiamo già accennato nei capitoli dedicati a Baccaiano e Giogoli, in prossimità dei luoghi di questi due delitti in orari compatibili con gli stessi, era stata segnalata da due differenti testimoni la presenza di un uomo che - almeno a parere del Torrisi - aveva fattezze e verosimilmente abbigliamento simili a quelli di Salvatore Vinci.
● Per quanto riguarda le coincidenze, alcuni dei momenti più significativi della vita di Salvatore Vinci erano coincisi, sempre a parere del Torrisi, con alcune date significative nell'epopea del MdF.
Ad esempio, nella primavera del 1974 Salvatore era stato abbandonato dalla moglie Rosina Massa e nel settembre di quello stesso anno il MdF aveva commesso il suo primo omicidio. Successivamente, nel 1980, Salvatore era stato dapprima ricoverato in una clinica psichiatrica, in seguito lasciato definitivamente dalla moglie che era fuggita a Trieste con un altro uomo; a partire dal 1981 era cominciata la catena di omicidi a cadenza annuale del MdF.
Ma la coincidenza più grande riguardava le presunte similitudini fra la morte nel 1960 della prima moglie di Salvatore, Barbarina Steri, e l'omicidio del 1968 a Signa. In entrambe le occasioni era stata coinvolta una donna di nome Barbara, in un caso moglie e nell'altro amante di Salvatore. Entrambe le donne avevano coltivato una relazione con un uomo di nome Antonio ed entrambe avevano un figlio che era stato presente nel momento del delitto (Locci) o presunto tale (Steri). Infine, in entrambe le occasioni il bambino era rimasto illeso.
Come afferma argutamente l'avvocato e criminologo Edoardo Orlandi nel suo recente podcast "Il mostro di Firenze": "In Sardegna come in Toscana quando una Barbara incontra un Antonio a discapito di Salvatore Vinci, una Barbara muore e il bambino sopravvive. E soprattutto Salvatore Vinci la fa franca".
● Per quanto riguarda gli alibi, abbiamo tre situazioni da valutare:
1. Castelletti di Signa: Per il delitto del '68, l'alibi del Vinci si rivelò forse falso, sicuramente non verificabile. All'epoca il verbale con le dichiarazioni del Vinci riportava: "...uscito di casa, sita in località "La Briglia " di Vaiano, verso le ore 20.30, si è intrattenuto presso il locale bar Sport, sino alle ore 22.15, in compagnia di Vargiu Silvano e di un certo Nicola Antenucci, suo dipendente, di essersi recati successivamente con i due amici a Prato, presso il Circolo dei Preti, ove sarebbero rimasti a giocare fino alle ore 24, facendo rientro a casa. Egli conclude affermando di aver saputo dell'omicidio il mattino del giorno successivo, perché un suo operaio aveva il giornale e lo stava leggendo..."
In realtà, come si scoprirà in seguito, il "Circolo dei Preti" osservava il giorno di chiusura proprio il mercoledì e dunque probabilmente la sera del delitto di Signa era chiuso; è doveroso precisare che non se ne ha tuttavia la certezza. Interrogato in merito nel 1986 (a distanza di 18 anni), il Vargiu dichiarerà di ricordare di essere stato a giocare a biliardo con il Vinci e l'Antenucci, ma (ovviamente, NdA) di non essere assolutamente in grado di precisare il giorno.
2. Giogoli: Per il delitto del 1983, Salvatore aveva dichiarato di essersi recato per lavoro verso le 16.00 del giorno dell'omicidio presso un'abitazione in via della Chiesa 42 a Firenze; al termine dell'intervento era tornato a casa e ivi era rimasto, eccezion fatta per un breve lasso di tempo fra le 20 e le 21 in cui aveva accompagnato la propria signora delle pulizie nella sua abitazione a Prato.
Dunque nell'orario interessato al delitto (fra le 21 e la mezzanotte di quel 9 settembre 1983), Salvatore aveva potuto fornire un alibi di tipo familiare.
D'altro canto, di particolare interesse mostrologico riveste l'intervento lavorativo effettuato quel pomeriggio in via della Chiesa: sul momento, essendo stato eseguito in un orario non compatibile con quello del delitto, non venne tenuto in considerazione dagli inquirenti. In seguito, dopo che a quell'indirizzo nell'ottobre del 1984 si era verificato l'omicidio della prostituta Luisa Meoni (vedasi capitolo Le morti collaterali), le forze dell'ordine svolsero indagini più accurate.
Emerse che nessuno degli abitanti in via della Chiesa 42 aveva mai chiesto l'intervento della PIC (Pronto Intervento Casa, la società di Salvatore Vinci), dunque per esclusione gli inquirenti ipotizzarono che l'intervento, il giorno del delitto di Giogoli, fosse stato fatto proprio a casa della ormai defunta Meoni. Questa ipotesi fu resa pressoché certa dal ritrovamento in casa della signora uccisa di una ricevuta emessa dalla PIC, risalente ad ottobre del 1982. Tale ricevuta evidenziava quanto meno un rapporto lavorativo fra la defunta e la società di Salvatore Vinci; inoltre, sul pianerottolo dell'abitazione della Meoni, venne trovato un adesivo pubblicitario della ditta.
Premesso che ci soffermeremo nel prossimo paragrafo sulla ricevuta ritrovata a casa della Meoni, da questi dati non si può ovviamente dedurre nulla di certo, ma si possono fare alcune logiche considerazioni:
▪ la Meoni era stata cliente della società del Vinci, non si sa se abituale, ma sicuramente almeno una volta (il 21 ottobre 1982) si era avvalsa dei servizi della PIC;
▪ non si può stabilire con certezza se Salvatore fosse andato veramente dalla Meoni il pomeriggio dell'omicidio di Giogoli; tuttavia non sembra improbabile considerando l'accertato rapporto lavorativo fra le due parti;
▪ la probabile visita del Vinci alla Meoni avvenne in orario non sospetto, attorno alle 16:00; l'omicidio dei tedeschi sarebbe avvenuto almeno cinque ore dopo. Quindi il Vinci non si servì della Meoni per procurarsi un alibi (come spesso si sente dire in giro); al contrario l'alibi del Vinci per l'orario del delitto era di tipo esclusivamente familiare;
▪ di conseguenza quando si sente dire che la Meoni era stata uccisa dal Vinci nell'ottobre del 1984 (quando cioè Salvatore era al centro delle indagini) perché non smentisse il suo alibi, bisogna tenere in considerazione che non c'era alcun alibi che la Meoni potesse smentire o avvalorare;
▪ esiste la ragionevole possibilità che se la Meoni non fosse morta, sarebbe stata interrogata dalle forze dell'ordine per appurare se realmente fra le 16 e le 17 del 9 settembre 1983 il Vinci fosse andato da lei per fare un intervento; la Meoni avrebbe potuto confermare o meno questo intervento, in entrambi i casi non sarebbe cambiato nulla per l'alibi di Salvatore nell'orario dell'omicidio. Risulta dunque difficile comprendere perché il Vinci - nell'ipotesi fosse stato il MdF - avrebbe dovuto uccidere la Meoni. Possiamo fare esclusivamente due ipotesi, forse a questo punto non troppo realistiche: o il Vinci si era confidato con la Meoni, rivelandole qualcosa di compromettente circa gli omicidi da lui commessi; oppure il Vinci era uno psicopatico che uccideva per il piacere di farlo e questo omicidio era avvenuto per motivi indipendenti dalla vicenda del MdF.
3. Vicchio: Infine, per il delitto del 1984, il Vinci aveva dichiarato che il giorno del duplice omicidio verso le ore 17.00 aveva compiuto un intervento di lavoro in via Nigra a Firenze. Fra le 19.30 e le 21.30 era rimasto a casa e aveva cenato con la compagna Antonietta D'Onofrio, con il proprio figlio Roberto e con la di lei figlia, Michela. Dopo cena era andato a prendere un gelato con la compagna e la piccola Michela; era rientrato a casa verso le 22.00/22.30, per poi uscire nuovamente per andare a recuperare il cane, che era andato "da solo" ai giardinetti. Era tornato verso le 23.30, si era fermato nel proprio laboratorio, posto di fronte all'abitazione, fino a mezzanotte circa; infine era rientrato a casa e ivi era rimasto fino alle 3.00 del mattino a guardare le Olimpiadi in televisione col figlio Roberto. A quell'ora era nuovamente uscito per praticare un po' di corsa con il cane ai giardini della Fortezza. Qui era stato raggiunto dalla compagna verso le 4.30 o le 5.00 e insieme erano andati a fare colazione in un bar di via Novoli. Erano rientrati definitivamente a casa verso le sei del mattino.
Il sedicenne Roberto Vinci confermò, grosso modo e per quanto ne potesse sapere, le dichiarazioni del padre.
La D'Onofrio, dopo diversi tentennamenti, confermò di aver raggiunto il compagno ai giardini della Fortezza in piena notte, ma smentì i movimenti di Salvatore proprio nelle ore in cui si sarebbe compiuto il delitto. Dichiarò, infatti, di non aver ricordi di essere andata a prendere un gelato con lui verso le 21.30 e che Salvatore era andato a recuperare il cane attorno all'una del mattino e non alle 22.30. Precisava che durante la sua convivenza con Salvatore, solo due o tre volte era capitato che andassero a prendere un gelato dopo cena e che mai prima di allora, Salvatore fosse andato a correre e far ginnastica in piena notte.
Da sottolineare perché curioso il particolare del cane recatosi da solo ai giardinetti. Scrisse in merito Torrisi nel proprio rapporto: "L'episodio del cane è un'offesa alla normale intelligenza, perché è improbabile che una persona possa sostenere, convinto di affermare il credibile, e cioè di essere andato a prelevare con l'autovettura il proprio cane, da solo recatosi prima in una determinata zona della città, per andare ad incontrare i suoi simili, sicuro che questi, quasi fosse stato convenuto, attende il padrone all'orario ed al posto prestabilito, come se si trattasse di una persona".
Il primo riguarda l'utilizzo del titolo dato all'intestataria della ricevuta stessa: "Sig" anziché "Sig.ra". Ciò inevitabilmente richiama alla mente il titolo dato alla Della Monica nella famosa lettera del MdF nel settembre 1985: in quel caso era stato scritto "Dott." anziché "Dott.ssa" (vedasi il capitolo dedicato al delitto degli Scopeti).
Il secondo aspetto riguarda la parola "Apertura", in cui lo scrivente, non avendo probabilmente calcolato con esattezza lo spazio a propria disposizione, era stato costretto a spezzare la parola in fin di riga e andare a capo, utilizzando l'apposito trattino. La parola risultava così scritta: "Apertu-ra". Anche in questo caso, inutile sottolineare come richiami alla mente la parola "Repubbli-ca" sempre nella lettera alla Della Monica del MdF.
Similitudini queste che i sardisti non hanno mancato (giustamente) di far notare. C'è però da dire che da un lato l'utilizzo del titolo al maschile e del trattino per andare a capo era molto diffuso fra la gente di bassa scolarità, soprattutto all'epoca; dall'altro che non si ha la certezza che la ricevuta rinvenuta a casa della Meoni fosse stata scritta dal Vinci in persona e non da qualche suo aiutante. Questo perché la calligrafia (peraltro molto simile a quella della missiva anonima denominata "In me la notte non finisce mai", vedasi capitolo Accadimenti finali) sembrerebbe piuttosto diversa da quella dell'appunto in cui il Salvatore Vinci aveva annotato l'indirizzo e il numero di telefono del colonnello Torrisi.
Quell'anno – così come i successivi – il MdF non avrebbe colpito.
Mentre Salvatore e i suoi avvocati dovevano difendersi dall'infamante accusa che era stata mossa, gli uffici del Giudice Istruttore, Mario Rotella, lavoravano furiosamente per trovare le prove della sua partecipazione ai delitti delle coppiette e dunque confezionare sulle spalle del Vinci un'accusa ben più grave, quella di essere il Mostro di Firenze.
Dal carcere, secondo fonti non meglio verificate, Salvatore, pur dichiarandosi comunque innocente, era solito ripetere: "Il mostro è grande, non lo prenderanno mai."
Il 12 aprile del 1988, dopo due anni di carcere, cominciò il processo a carico di Salvatore Vinci per uxoricidio. In quell'occasione, il suo avvocato Aldo Marongiu dichiarò: "Se vogliono processarlo per i delitti del Mostro, devono farlo direttamente, non prendendo questo episodio come scusa."
Durante il dibattimento ebbe modo di testimoniare il figlio Antonio, all'epoca anch'egli detenuto per tutt'altri reati. In quell'occasione Salvatore affermò pubblicamente che Antonio era suo figlio e non figlio dell'amante di Barbarina Steri come da alcune parti si vociferava.
Il 19 aprile 1988 Salvatore Vinci fu assolto per non aver commesso il fatto. Era di fatto una sconfitta anche per il Giudice Istruttore Rotella, nei cui uffici si stavano ancora cercando le prove per accusare formalmente Salvatore per i delitti del Mostro.
A proposito del processo e della inaspettata assoluzione, in tempi recenti è stata intervistata l'avvocata Rita Dedola, all'epoca giovanissima praticante nello studio dell'avvocato Aldo Marongiu, difensore di Salvatore Vinci. L'avvocata Dedola ha dichiarato che il Vinci era un uomo che metteva inquietudine, dai profondi occhi azzurri e dallo sguardo magnetico e indagatore. Un uomo chiuso, riservato, ironico, intelligente, che si era fatto una buona cultura leggendo molto, attento a misurare le parole, molto guardingo. Un uomo, infine, secondo il suo parere, che poteva essere a conoscenza di qualcosa d'importante sugli omicidi del Mostro di Firenze.
A conferma, nella stessa intervista, l'avvocato Renato Figari, all'epoca praticante nello studio legale del padre, avvocato Vittorio Figari, difensore della famiglia Steri, si è detto convinto che Salvatore Vinci non solo avesse ucciso la prima moglie, Barbarina Steri, ma fosse anche responsabile degli omicidi attribuiti al Mostro di Firenze.
Cecioni ricorda la vocetta stridula, quasi in falsetto, del Vinci e tuttora afferma che se fossero stati soli, lui difficilmente avrebbe lasciato vivo quel matrimonio.
Quella fu l'ultima volta che Salvatore Vinci venne intervistato sull'argomento. Dal novembre del 1988, almeno a livello mediatico, se ne persero le tracce.
Un anno dopo, il 13 dicembre 1989, il giudice istruttore Mario Rotella chiuse definitivamente l'indagine sul Mostro di Firenze relativa alla cosiddetta Pista Sarda con una sentenza di 162 pagine nella quale assolse rispettivamente Francesco Vinci, Giovanni Mele, Pietro Mucciarini, Marcello Chiaramonti e Salvatore Vinci. Tale sentenza indispettì i vertici dell'Arma dei Carabinieri, da sempre legatissimi alla pista investigativa sarda (e in particolar modo a quella che conduceva a Salvatore Vinci). Fu da quel momento che i carabinieri smisero di occuparsi del caso del Mostro di Firenze.
A onor del vero va detto che Rotella, pur essendo convinto della colpevolezza del Vinci, intese agire in tal maniera perché, non avendo trovato alcuna prova a carico di Salvatore, sarebbe stato controproducente portarlo a Processo e vederlo assolto. In tal caso, infatti, il Vinci non sarebbe stato più imputabile per i delitti del Mostro, neanche se in futuro fossero emerse nuove prove.
Un proscioglimento in fase di istruttoria, invece, avrebbe permesso una riapertura delle indagini e una nuova imputazione, in caso di eventuali sviluppi futuri di carattere probante. Inutile affermare che nuove prove non sono mai emerse, nanche a distanza di molti anni. Anzi, a dirla tutta, di Salvatore Vinci non si è saputo più nulla per un lungo periodo, salvo sporadici avvistamenti, fino a perderne completamente le tracce. Persino i suoi familiari e gli stessi figli dichiararono in più di un'occasione di non sapere che fine potesse avere fatto.
Il 6 aprile 1991 venne fermato dalla polizia in servizio presso l'aeroporto di Roma Fiumicino mentre rientrava da Madrid, munito di documento di viaggio emesso dal consolato italiano in quanto aveva in precedenza denunciato lo smarrimento del proprio documento d'identità. Nella circostanza, su richiesta del dottor Rotella, tempestivamente informato del fermo, Salvatore Vinci elesse come sua residenza anagrafica la casa paterna di Villacidro, senza però mai andarci ad abitare.
Qualche giorno dopo, precisamente il 12 aprile 1991, nella trasmissione televisiva dal titolo "Detto tra noi", l'avvocato Marongiu dichiarò che era stato in contatto con Salvatore Vinci; riferiva che stava bene, che era riuscito a rifarsi una vita, pur rimanendo convinto di essere stato vittima di una persecuzione giudiziaria. L'avvocato non aveva voluto rivelare dove il Vinci avesse trovato rifugio, limitandosi a parlare genericamente di "Americhe".
L'11 maggio 1992, l'avvocato Marongiu morì all'età di 54 anni, stroncato da una leucemia e dalle infamanti, quanto false, accuse che in un lontano passato gli erano state mosse e che nulla hanno a che fare con la nostra storia. Come ha dichiarato in una recente intervista l'avvocata Dedola, poco dopo la morte del Marongiu, Salvatore Vinci le affidò la causa di divorzio dalla moglie Rosina, con cui era separato sin dal 1980. Attorno al 1993 o 1994, il Vinci passò dal suo studio a Cagliari per ringraziarla e salutarla, comunicandole l'intenzione di non tornare mai più a Villacidro. A detta dell'avvocata, aveva una nuova compagna, presumibilmente spagnola, di nome Marisol.
Il 15 gennaio 1996, Salvatore venne cancellato dall'ufficio anagrafe del comune, per irreperabilità al censimento del 1991. Nell'occasione i suoi parenti dichiararono di non averne notizie sin dall'autunno del 1988.
Diversi anni dopo, nella trasmissione "Chi l'ha visto", il detective privato Davide Cannella dichiarò che Salvatore Vinci era ancora vivo, si era trasferito in Spagna e telefonava regolarmente ai suoi parenti in Sardegna.
Nel 2017 anche il documentarista Paolo Cochi ha espresso in un'intervista su youtube la certezza che Salvatore fosse ancora vivo, non specificando tuttavia la fonte di questa informazione.
Nel maggio del 2021, un interlocutore telefonico della trasmissione "La notte del Mistero" dell'emittente radiofonica "Florence International Radio" ha dichiarato di aver incontrato Salvatore Vinci nel settembre 2020 e che lo stesso tuttora è ancora vivo. Per maggiori dettagli, vedasi la sezione dedicata agli Aggiornamenti.
Oggi (primo scorcio 2022) Salvatore avrebbe circa 86 anni.
Da notare che in teoria Salvatore avrebbe avuto interesse a sostenere il contrario per allontanare i sospetti dal giro dei sardi.
● A metà ottobre del 2025, il ricercatore Francesco Cappelletti ha pubblicato su youtube un breve video in cui per la prima volta è stato possibile ascoltare la voce di Salvatore Vinci. La traccia audio, di pochi secondi, è tratta dal processo a suo carico, svoltosi a Cagliari. Un documento di notevole importanza storica e che conferma quanto già si sapeva riguardo alla voce piuttosto stridula del Vinci.
In seguito lo Spezi sarebbe riuscito a identificare il soggetto descritto da Francesco Vinci nel cosiddetto "Carlo".
Carlo (lo pseudonimo si era reso necessario per questione legali) sarebbe in realtà Antonio Vinci, figlio di Salvatore e della prima moglie Barbarina, molto legato proprio allo zio Francesco.
Nato nel 1959, attualmente ancora vivo e di professione camionista, stando a quanto sosteneva Spezi, nel 1974 avrebbe rubato la Beretta calibro 22 dalla casa del padre e commesso il suo primo duplice omicidio a Rabatta. A muovere la terribile furia omicida del ragazzo, all'epoca appena quindicenne, sarebbe stato il dolore per la morte della mamma nel 1960 e l'odio inestinguibile per il padre che l'aveva presuntivamente uccisa.
Ma di "Carlo" e delle varie ipotesti sardiste si parlerà meglio nel capitolo successivo.
Scarcerati Giovanni Mele, Pietro Mucciarini e Francesco Vinci, il maggior indiziato divenne a quel punto Salvatore Vinci, fratello maggiore di Francesco, ex amante della Locci, secondo molti il vero padre di Natalino e personaggio dalle indubbie stranezze.
Nato il 1 Dicembre 1935 a Villacidro, in provincia di Cagliari, Salvatore era il secondo dei fratelli Vinci. Della sua infanzia si sa ben poco se non che all'età di dieci anni era stato percosso in maniera talmente violenta dal padre da dover rimanere a letto, impossibilitato a muoversi, per circa due settimane. Durante l'espletamento del servizio militare subì un grave colpo alla testa che lo rese sordo all'orecchio destro. Nel periodo di ricovero ebbe i primi rapporti omosessuali. Al rientro a Villacridro, pur a conoscenza del suo orientamento sessuale, i familiari, in special modo il padre, lo spinsero a prendere moglie.
All'età di 23 anni, nel 1958, Salvatore sposò la giovanissima Barbarina Steri, a quanto si dice contro la volontà della ragazza, ma in accordo con il di lei fratello, l'allora diciannovenne Salvatore Steri. Nel febbraio del 1959 nacque il primo figlio della coppia, Antonio.
Meno di un anno dopo, il 14 gennaio 1960, la Steri morì in circostanze misteriose. La successiva inchiesta stabilì che la donna si era suicidata con il gas, in realtà è opinione abbastanza diffusa che fosse stata uccisa dal marito, il quale aveva scoperto una relazione extraconiugale della moglie con il precedente fidanzato, di nome Antonio Pili. Come vedremo meglio in seguito, una coincidenza che i Sardisti non mancano di far notare è che i due amanti si chiamavano come le vittime del delitto di Signa del 1968, appunto Barbara e Antonio.
Non è fine di questi scritti soffermarsi sulla morte della povera Barbara Steri, ma è bene precisare che oggi all'ipotesi del suicidio credono in pochi (uno è il blogger Antonio Segnini) e per almeno tre buoni motivi: il primo è che Barbarina sembrava in procinto di lasciare il marito, cambiare vita e appariva lontana da propositi suicidi; il secondo è che da quanto è stato accertato sulla base della testimonianza di un vicino, quella sera la bombola del gas in casa Vinci era esaurita; infine, l'alibi di Salvatore col tempo ha cominciato pesantemente a scricchiolare.
All'epoca l'inchiesta venne però rapidamente archiviata e, scampato il pericolo, Salvatore si affrettò a cambiare aria e trasferirsi in Toscana, dove raggiunse suo fratello maggiore Giovanni Vinci a Lastra a Signa. Qui, si dice durante una fiera di paese, conobbe Barbara Locci e ne divenne l'amante, subentrando proprio a suo fratello. Per qualche tempo Salvatore prese in affitto una stanza in casa Mele-Locci, finché agli inizi del 1961 Barbara rimase incinta e i due amanti si allontanarono.
Al processo Pacciani, la seconda moglie del Vinci, Rosina Massa, all'epoca fidanzata di Salvatore, disse che anche lei aveva avuto il sospetto che Natalino potesse essere figlio di Salvatore, ma a suo dire, lo stesso Vinci aveva tacciato questa ipotesi come un vaneggiamento. In realtà, fino al luglio 2025 quasi tutti gli studiosi del caso erano convinti che Salvatore fosse il padre biologico di Natalino. Salvo poi scoprire, a seguito dei relativi accertamenti genetici, che il padre del bambino era, in realtà, il maggiore dei fratelli Vinci, il già citato Giovanni (vedasi la sezione dedicata agli "Aggiornamenti").
L'anno dopo, nell'aprile del 1962, Salvatore sposò la predetta Rosina Massa; i due si trasferirono dapprima a Calenzano, poi a La Briglia, frazione del comune di Vaiano. Dal matrimonio nacquero 3 figli maschi, inoltre giunse dalla Sardegna per unirsi al padre anche Antonio Vinci, figlio della prima moglie Barbarina.
Nel contempo Salvatore riprese a frequentare assiduamente Barbara Locci. Dirà a tal proposito Stefano Mele: "Era più marito lui di me". Il morboso triangolo sarebbe continuato fino all'ingresso in questo ménage di Francesco Vinci, fratello minore di Salvatore ed estremamente geloso e possessivo nei confronti della disinibita Barbara.
Salvatore, al contrario del fratello, aveva invece un rapporto molto aperto sia con la Locci che con le altre donne che frequentava: amava infatti farle accoppiare con uomini – solitamente sconosciuti - alle Cascine o nelle piazzole dell'autostrada, mentre lui guardava; egli stesso amava accoppiarsi con uomini e donne, prediligeva le orge, i rapporti promiscui, maturando negli anni numerosissimi amanti di ambo i sessi.
Non è un caso se il rapporto fra Salvatore Vinci e Barbara Locci includesse anche Stefano Mele, che non si limitava a portare il caffè a letto ai due amanti (come avrebbe fatto in seguito, quando in casa sarebbe arrivato Francesco Vinci), ma partecipava ai rapporti, arrivando a instaurare un profondo feeling sessuale con Salvatore. Questo, secondo gli inquirenti, sarebbe stato il motivo che avrebbe spinto il Mele a non confessare la verità sul delitto di Signa e incolpare altri soggetti diversi dal reale autore.
Dopo l'omicidio Locci/Lo Bianco, Salvatore Vinci fu il primo a essere accusato del delitto da Stefano Mele. Ma quando se lo ritrovò davanti per un confronto, l'ex marito di Barbara ritrattò prontamente le sue accuse, scoppiando a piangere, gettandosi ai piedi di Salvatore e mostrando uno stato di completa prostrazione e sudditanza psicologica nei suoi confronti.
Uscito completamente indenne dalla vicenda delittuosa e dal relativo processo, nel 1970 Salvatore lasciò assieme alla propria famiglia il comune di Vaiano per trasferirsi a Firenze, in via Cironi.
Il suo nome tornò agli onori della cronaca tre anni dopo, nel 1973, quando suo figlio Antonio, nato dalla prima moglie e con cui i rapporti erano pessimi, scappò di casa. A quell'epoca Antonio aveva appena 14 anni.
Nella tarda primavera del 1974, anche la seconda moglie di Salvatore, la signora Rosina Massa, abbandonò il marito e tornò in Sardegna dai suoi genitori, stanca di subire le percosse, le sevizie e le perversioni del coniuge. Pochi mesi dopo, i genitori obbligarono la povera Rosina a tornare dal marito in Toscana.
Nello stesso periodo potrebbe essersi verificato il famoso quanto dibattuto episodio della denuncia presentata da Salvatore Vinci per un presunto furto subito nella sua abitazione di via Cironi. L'episodio potrebbe rivestire una certa importanza, ma non offre particolari certezze.
Il primo a parlarne era stato il giornalista Mario Spezi, il quale sosteneva che nella primavera del 1974 (alcune fonti riportano aprile, altre giugno), Salvatore aveva presentato una denuncia al commissariato di polizia di Rifredi nei confronti di suo figlio Antonio per un furto nella sua abitazione, senza però che fosse stato in grado o al più avesse voluto specificare cosa gli fosse stato sottratto.
Secondo lo Spezi, in quella occasione Antonio aveva rubato al padre la Beretta Calibro 22 con cui nel 1968 erano stati uccisi Locci e Lo Bianco, e che di lì a breve avrebbe sparato a Rabatta divenendo l'arma del mostro. Il problema è che questa rimane una mera ipotesi dello Spezi, non documentata in alcun modo. Della fantomatica denuncia non vi è traccia e - a quanto sembra - neanche lo Spezi l'aveva mai vista. A parlargliene era stata la scrittrice Magdalen Nabb, colei che gli avrebbe suggerito la cosiddetta "Teoria Carlo".
Oggi sappiamo che la denuncia presentata da Salvatore è realmente esistita, in quanto vi è lo stralcio di un documento inviato dal commissariato di Pubblica Sicurezza di Rifredi-Peretola alla Procura di Firenze in data 30 luglio 1975, che ha per oggetto: "Vinci Salvatore... patito furto ad opera di ignoti".
Tuttavia, da questo stralcio si desume in primo luogo che la denuncia non farebbe alcun riferimento ad Antonio Vinci come invece sostenuto dallo Spezi, ma sarebbe a carico di ignoti. Inoltre, non si evince quando questa sarebbe stata presentata, sicuramente prima di luglio 1975, ma non è possibile essere più precisi. La data è piuttosto importante perché se la denuncia fosse stata presentata dopo il duplice omicidio di Rabatta del settembre 1974, quello che storicamente viene ritenuto il primo omicidio del Mostro di Firenze, cadrebbe il legame fra l'eventuale pistola rubata e il delitto.
Frattanto, ad alimentare dubbi e sospetti, in quel settembre 1974, il giovane Antonio tornò (alcuni dicono fuggì) in Sardegna, ma non è dato sapere con certezza se il ritorno nella terra natia fosse avvenuto prima o dopo il duplice omicidio.
Trascorsero sei anni di anonimato per giungere al 1980, quando il ventunenne Antonio lasciò Como, città in cui aveva trovato lavoro, per far ritorno a Firenze a casa del padre. Ma nuovamente la convivenza fra i due durò ben poco: a quanto si sa, infatti, il ragazzo venne cacciato da Salvatore perché quest'ultimo lo aveva trovato ad amoreggiare con la domestica, da cui in precedenza lui era stato rifiutato. Fu in questo periodo che Antonio andò a vivere per un breve periodo a casa dello zio Francesco, prima di sposarsi nel 1982 con una ragazza folignate di nome Lorella B.
Nel frattempo, Salvatore era sempre più patologicamente dipendente dal sesso, una dipendenza che causava in lui improvvise alterazioni dell'umore culminanti in stati depressivi. Gli inquirenti avrebbero scritto a tal proposito come ormai "vivesse solo e unicamente per il sesso e ciò che rimane, nulla conta per lui, la famiglia, l'onore, il rispetto umano".
Fra il 29 aprile e il 17 maggio 1980, Salvatore si fece spontaneamente ricoverare nel reparto psichiatrico dell'ospedale Santa Maria Nuova a causa della sua smodata dipendenza. Gli venne diagnosticato uno scompenso nervoso da personalità abnorme. Al medico che lo aveva in cura avrebbe riferito di essere un vulcano di iniziative, dalla mente in continua evoluzione.
Il 6 giugno (esattamente un anno prima del delitto di Mosciano) morì il padre Antonio, mentre il 7 luglio 1980 Salvatore venne definitivamente lasciato dalla moglie Rosina, stanca di subire le percosse e le perversioni del marito. La donna si trasferì a Trieste con un nuovo compagno, di nome Sergio.
Nota Bene: La fuga di Rosina Massa non avvenne, come riportano alcuni siti nel 1970, ma come dichiara la stessa Rosina al processo Pacciani nell'udienza del 14 Luglio 1994, appunto nel luglio del 1980.
Per tutta risposta, Salvatore denunciò la moglie per abbandono del tetto coniugale, ma nel marzo del 1981 la donna fu assolta dalle accuse, in quanto veniva accertato che il marito l'aveva ripetutamente spinta verso "condotte deplorevoli".
Tre mesi dopo, il 6 giugno del 1981, a Mosciano di Scandicci ci fu il primo delitto, fra quelli a cadenza annuale, del Mostro di Firenze.
Poco dopo, Salvatore cominciò a frequentare una donna di nome Ada Pierini, ma anche costei venne coinvolta nelle sfrenate fantasie sessuali del compagno e finì per lasciarlo nel giro di un paio di anni.
Nel 1982, subito dopo il collegamento con l'episodio delittuoso del 1968, le attenzioni degli inquirenti si indirizzarono verso altri soggetti del clan dei sardi, più affini al profilo violento e pericoloso del MdF. Venne arrestato Francesco Vinci e fu tenuto sotto stretto controllo il nipote Antonio, con cui Francesco aveva un profondo legame. Si scoprì che era stato proprio Antonio a nascondere l'automobile di Francesco a Civitella Marittima, nella campagna grossetana subito dopo il duplice omicidio di Baccaiano. Interrogato in merito, il ragazzo (all'epoca ventitreenne) si giustificò motivando l'episodio con storie di amanti e di corna in cui lo zio era rimasto coinvolto.
La borsa di paglia
Quando nel 1984, dopo gli inutili arresti di Francesco Vinci, di Giovanni Mele e del Mucciarini, le forze dell'ordine tornarono a interessarsi alla figura di Salvatore, emersero ai loro occhi tutte le verità sulla vita che costui aveva sempre condotto. Scoprirono che nonostante l'aspetto mite e quasi da intellettuale, Salvatore era in realtà anch'egli un uomo violento, manipolatore, aduso a picchiare le proprie compagne quando queste non accondiscendevano ai suoi disinibiti desideri sessuali.Scoprirono che non solo Salvatore era uomo dalle spiccate perversioni, ma anche un guardone estremamente abile e attrezzato, provvisto ad esempio di lunghi chiodi per arrampicarsi sugli alberi e spiare le coppie ignare.
Il giorno dopo l'omicidio di Vicchio, il 30 luglio 1984, Salvatore Vinci subì una perquisizione in casa. Qui vennero rinvenuti, all'interno di una borsa di paglia nascosta in un armadio della sua camera da letto sotto alcune coperte invernali, tre stracci di cotone. Uno di questi aveva 38 macchie rosso scuro e - stando a quanto riporta il rapporto Torrisi - "un segno lungo, grigio, lasciato dalla canna, c'erano poi simmetrici altri segni. Era indubbio che lo straccio fosse stato usato per pulire un'arma".
Il reperto fu analizzato dalla scientifica, i risultati giunsero nella primavera del 1985. Le macchie rosse risultarono tracce di sangue umano dei gruppi B e 0. Le macchie grigie erano state prodotte dalla combustione di polvere da sparo.
Salvatore Vinci dichiarò che la borsa non era sua e che probabilmente apparteneva a una delle donne che aveva vissuto con lui.
La compagna del momento, Antonietta D'Onofrio, negò però di aver mai visto prima quella borsa. Anche l'ex moglie e l'ex convivente, Ada Pierini, negarono d'averla mai posseduta. La donna delle pulizie disse d'averla notata tra l'inverno del 1983 e la primavera del 1984.
Sul momento le indagini parvero comunque arenarsi, in quanto una volta repertate le tracce, "non fu possibile il paragone con reperti delle vittime dei duplici omicidi, perché non conservati dopo le autopsie", stando alle parole di Rotella.
Nel 1987 fu fatto un ultimo tentativo. Lo straccio venne inviato in Gran Bretagna per comparare le tracce di DNA sul tessuto con il DNA di Salvatore Vinci, ma i periti inglesi lo rispedirono indietro in quanto era trascorso troppo tempo e i campioni erano inutilizzabili. I magistrati, in mancanza dei risultati delle perizie, furono costretti ad alzare bandiera bianca.
In tempi più recenti, con le nuove opportunità offerte dalla tecnologia, è stato possibile eseguire analisi più approfondite su quei pezzi di stoffa. Nel 1998 fu infatti stabilito che i campioni di sangue rinvenuti sullo straccio erano compatibili con quelli delle vittime dei delitti del 1983 (uno dei due tedeschi aveva gruppo sanguigno B) e del 1984 (Claudio Stefanacci era del comunissimo gruppo 0), tuttavia i segni di polvere da sparo riportavano tracce di BARIO, ANTIMONIO e PIOMBO, mentre i proiettili della Winchester calibro 22 LR non risulta contenessero antimonio. Dunque, se fosse vero, lo straccio era stato sì usato per avvolgere o pulire una pistola, ma ragionevolmente non la pistola del mostro. Questo porterebbe a stabilire che Salvatore Vinci probabilmente mentiva quando diceva di non aver mai posseduto una pistola, ma nulla più di questo.
Un ulteriore piccolissimo passo avanti è stato fatto a fine 2019, quando il perito Ugo Ricci è riuscito a isolare sullo straccio tracce epiteliali che combaciavano con il DNA di Salvatore Vinci.
Anche in questo caso, non sembra una grande scoperta l'aver trovato tracce di DNA del Vinci su uno straccio contenuto in una borsetta rinvenuta a casa sua, tuttavia questo ci dimostra quanto meno che il Vinci mentiva quando affermava di non aver mai saputo nulla di quella borsetta. Cosa che, comunque, era facilmente intuibile a priori.
Sarebbe potuto essere interessante eseguire ulteriori analisi, ma incredibile a dirsi, a oggi tali reperti risultano dispersi.
Esaurita la parentesi legata alla borsa di paglia che non consente grossi passi sul fronte "indagini relative al MdF", torniamo al post-Vicchio e più precisamente al giugno del 1985, quando Stefano Mele, dopo numerose altre confessioni e relative ritrattazioni, riprese ad accusare Salvatore Vinci del delitto del 1968 che - a suo dire - aveva commesso con la complicità di Piero Mucciarini, Giovanni Mele e di un altro cognato, Marcello Chiaramonti, marito di sua sorella Teresa.
Ancora una volta, dunque, il Mele cominciava (o riprendeva in questo caso) a indicare come autore dell'omicidio del 1968 colui che era al centro dei sospetti degli inquirenti. È ovvio che il dubbio che fossero gli stessi inquirenti a stimolare (se non proprio imporre) queste accuse, sussiste.
Salvatore Vinci divenne dunque fortemente sospettato di essere il Mostro di Firenze.
Il 21 giugno 1985 fu ascoltata nuovamente la sua ex compagna Ada Pierini. Costei ribadì i comportamenti violenti di Salvatore, le sue perversioni sessuali, aggiungendo anche una minaccia mediante una pistola e lo sfruttamento della prostituzione. La Pierini covava però un forte astio nei confronti dell'ex compagno e il suo racconto non sembrò sincero agli inquirenti. La donna alla fine ritrattò parte della sua testimonianza, confermando la minaccia con la pistola, che - a suo dire - Salvatore nascondeva sotto una mattonella in camera da letto. Gli inquirenti programmarono una nuova perquisizione in casa di Salvatore.
La perquisizione, effettuata in data 26 giugno 1985 con l'utilizzo di strumentazione idonea alla ricerca di armi, portò alla rimozione di parte delle mattonelle del pavimento della stanza da letto, ma diede esito negativo.
Secondo quanto avrebbe scritto Rotella nella sua sentenza del 1989 c'era però il sospetto che il Vinci potesse essere stato avvisato per tempo del provvedimento a suo carico da un sottufficiale dei carabinieri di Prato (il cui nome è facilmente intuibile se si è letto queste pagine) e dunque potesse aver avuto gioco facile a far sparire eventuali prove compromettenti. Di interesse piuttosto modesto per le indagini venne rinvenuto esclusivamente un foglietto rettangolare, tratto da un blocco di appunti per telefono, con la scritta a penna: "Sign. Magiore Toriso Via Colli n. 101 – 264261".
La calligrafia era verosimilmente quella di Salvatore Vinci; il maggiore Torrisi (che in quel giugno 1985 aveva comunque già il grado di colonnello) era l'ufficiale dei carabinieri che indagava su di lui.
Furono, a quel punto, analizzati con più cura tutti gli alibi che Salvatore aveva fornito in occasione dei delitti del MdF, a partire da quello del 1968 e molti di questi furono giudicati estremamente labili. Il sospettato venne messo sotto controllo dalle forze dell'ordine, pedinato e intercettato telefonicamente.
Secondo il rapporto Torrisi, le intercettazioni cominciarono il 26 aprile 1985, mentre i pedinamenti ebbero inizio il primo luglio 1985 nei giorni di venerdì, sabato e domenica dalle ore 20.00 alle ore 24.00.
Quando il MdF colpì per l'ultima volta nel settembre del 1985 alla piazzola degli Scopeti, Salvatore era ancora sotto stretta osservazione, ma essendoci - come vedremo - assoluta aleatorietà sulla data e l'ora del delitto, quei pedinamenti, eseguiti nei fine settimana fino alla mezzanotte, non possono essere ritenuti un fattore discolpante nei confronti del Vinci.
Secondo il professor Francesco De Fazio dell'università di Modena, incaricato dalla Procura di Firenze di realizzare un profilo dell'assassino, l'ultimo duplice omicidio presentava alcune differenze rispetto ai precedenti: innanzitutto, il killer sembrava aver agito d'impulso senza un'accurata pianificazione, quindi aveva mostrato maggiore eccitazione durante la fase di sparo, infine era apparso meno sicuro rispetto ai precedenti assalti.
La causa poteva risiedere nel differente stato emotivo che l'assassino stata vivendo in quei giorni, con il fiato degli inquirenti sul collo e la consapevolezza di essere ormai braccato. E questo, se da un lato aveva acuito il suo stato di eccitazione, dall'altro lo aveva reso meno freddo e calcolatore, più esposto a commettere errori. Inoltre, vedremo come a Scopeti, per la prima volta, il killer aveva nascosto i cadaveri delle vittime, il che - secondo gli inquirenti - combaciava con i controlli e i pedinamenti cui era sottoposto il Vinci e con l'esigenza di sistemare le proprie cose prima che i corpi venissero scoperti.
La sera stessa del rinvenimento dei cadaveri, il 9 settembre alle ore 23.30, Salvatore fu sottoposto alla prova del guanto di paraffina. Le sue mani erano arrossate e doloranti sul dorso e sulle dita, come se in precedenza le avesse lavate con una qualche sostanza corrosiva. L'esame effettuato al Centro Carabinieri Investigazioni Scientifiche rilevò apprezzabili quantità di antimonio sulla mano destra. Non vennero rinvenute tracce di bario, altro elemento indispensabile per la determinazione dei residui carboniosi della polvere da sparo. L'esame diede quindi esito negativo, pur lasciando notevoli dubbi e perplessità negli inquirenti.
Il giorno successivo arrivò alla Procura di Firenze, nella persona della dottoressa Silvia Della Monica, una lettera anonima contenente un lembo di seno dell'ultima vittima del Mostro (vedasi il relativo capitolo). Agli inquirenti che indagavano su Salvatore Vinci apparve sin da subito una vera e propria sfida, perpetrata secondo il costume sardo dell'anonima sequestri.
Il 9 dicembre del 1985, il Vinci ricevette un avviso di garanzia per i delitti del Mostro. Quella mattina alle ore 10.45, dinanzi al colonnello Torrisi che lo informava di tutti i gravi indizi a suo carico, Salvatore asserì glacialmente: "Se non c'è errore non può esserci rischio".
Il rapporto Torrisi
Il 22 aprile del 1986 venne completato dal predetto colonnello Nunziato Torrisi dell'arma dei carabinieri il già più volte citato rapporto di 180 pagine su Salvatore Vinci. Questo documento, passato alla storia appunto come Rapporto Torrisi, è considerato uno dei capisaldi della vicenda del MdF, nonché uno dei maggiori capi d'accusa nei confronti di un indagato per i delitti del Mostro, e riassume anni di serrate indagini dal punto di vista di chi – l'intera arma dei carabinieri - credeva fermamente nella colpevolezza di Salvatore Vinci. Un supplemento del rapporto venne rilasciato in data 14 ottobre 1986.Comunque la si pensi, pur risultando doveroso ribadire che non esiste alcuna prova sul fatto che Salvatore Vinci fosse davvero implicato negli omicidi del MDF, nel rapporto emergono avvistamenti, particolarità e coincidenze sinistre, oltre ad alcuni dubbi che tuttora permangono sugli alibi forniti dall'indagato in occasione di tre delitti attribuiti al MdF. In estrema sintesi:
● Per quanto riguarda gli avvistamenti del Vinci, come abbiamo già accennato nei capitoli dedicati a Baccaiano e Giogoli, in prossimità dei luoghi di questi due delitti in orari compatibili con gli stessi, era stata segnalata da due differenti testimoni la presenza di un uomo che - almeno a parere del Torrisi - aveva fattezze e verosimilmente abbigliamento simili a quelli di Salvatore Vinci.
● Per quanto riguarda le coincidenze, alcuni dei momenti più significativi della vita di Salvatore Vinci erano coincisi, sempre a parere del Torrisi, con alcune date significative nell'epopea del MdF.
Ad esempio, nella primavera del 1974 Salvatore era stato abbandonato dalla moglie Rosina Massa e nel settembre di quello stesso anno il MdF aveva commesso il suo primo omicidio. Successivamente, nel 1980, Salvatore era stato dapprima ricoverato in una clinica psichiatrica, in seguito lasciato definitivamente dalla moglie che era fuggita a Trieste con un altro uomo; a partire dal 1981 era cominciata la catena di omicidi a cadenza annuale del MdF.
Ma la coincidenza più grande riguardava le presunte similitudini fra la morte nel 1960 della prima moglie di Salvatore, Barbarina Steri, e l'omicidio del 1968 a Signa. In entrambe le occasioni era stata coinvolta una donna di nome Barbara, in un caso moglie e nell'altro amante di Salvatore. Entrambe le donne avevano coltivato una relazione con un uomo di nome Antonio ed entrambe avevano un figlio che era stato presente nel momento del delitto (Locci) o presunto tale (Steri). Infine, in entrambe le occasioni il bambino era rimasto illeso.
Come afferma argutamente l'avvocato e criminologo Edoardo Orlandi nel suo recente podcast "Il mostro di Firenze": "In Sardegna come in Toscana quando una Barbara incontra un Antonio a discapito di Salvatore Vinci, una Barbara muore e il bambino sopravvive. E soprattutto Salvatore Vinci la fa franca".
● Per quanto riguarda gli alibi, abbiamo tre situazioni da valutare:
1. Castelletti di Signa: Per il delitto del '68, l'alibi del Vinci si rivelò forse falso, sicuramente non verificabile. All'epoca il verbale con le dichiarazioni del Vinci riportava: "...uscito di casa, sita in località "La Briglia " di Vaiano, verso le ore 20.30, si è intrattenuto presso il locale bar Sport, sino alle ore 22.15, in compagnia di Vargiu Silvano e di un certo Nicola Antenucci, suo dipendente, di essersi recati successivamente con i due amici a Prato, presso il Circolo dei Preti, ove sarebbero rimasti a giocare fino alle ore 24, facendo rientro a casa. Egli conclude affermando di aver saputo dell'omicidio il mattino del giorno successivo, perché un suo operaio aveva il giornale e lo stava leggendo..."
In realtà, come si scoprirà in seguito, il "Circolo dei Preti" osservava il giorno di chiusura proprio il mercoledì e dunque probabilmente la sera del delitto di Signa era chiuso; è doveroso precisare che non se ne ha tuttavia la certezza. Interrogato in merito nel 1986 (a distanza di 18 anni), il Vargiu dichiarerà di ricordare di essere stato a giocare a biliardo con il Vinci e l'Antenucci, ma (ovviamente, NdA) di non essere assolutamente in grado di precisare il giorno.
2. Giogoli: Per il delitto del 1983, Salvatore aveva dichiarato di essersi recato per lavoro verso le 16.00 del giorno dell'omicidio presso un'abitazione in via della Chiesa 42 a Firenze; al termine dell'intervento era tornato a casa e ivi era rimasto, eccezion fatta per un breve lasso di tempo fra le 20 e le 21 in cui aveva accompagnato la propria signora delle pulizie nella sua abitazione a Prato.
Dunque nell'orario interessato al delitto (fra le 21 e la mezzanotte di quel 9 settembre 1983), Salvatore aveva potuto fornire un alibi di tipo familiare.
D'altro canto, di particolare interesse mostrologico riveste l'intervento lavorativo effettuato quel pomeriggio in via della Chiesa: sul momento, essendo stato eseguito in un orario non compatibile con quello del delitto, non venne tenuto in considerazione dagli inquirenti. In seguito, dopo che a quell'indirizzo nell'ottobre del 1984 si era verificato l'omicidio della prostituta Luisa Meoni (vedasi capitolo Le morti collaterali), le forze dell'ordine svolsero indagini più accurate.
Emerse che nessuno degli abitanti in via della Chiesa 42 aveva mai chiesto l'intervento della PIC (Pronto Intervento Casa, la società di Salvatore Vinci), dunque per esclusione gli inquirenti ipotizzarono che l'intervento, il giorno del delitto di Giogoli, fosse stato fatto proprio a casa della ormai defunta Meoni. Questa ipotesi fu resa pressoché certa dal ritrovamento in casa della signora uccisa di una ricevuta emessa dalla PIC, risalente ad ottobre del 1982. Tale ricevuta evidenziava quanto meno un rapporto lavorativo fra la defunta e la società di Salvatore Vinci; inoltre, sul pianerottolo dell'abitazione della Meoni, venne trovato un adesivo pubblicitario della ditta.
Premesso che ci soffermeremo nel prossimo paragrafo sulla ricevuta ritrovata a casa della Meoni, da questi dati non si può ovviamente dedurre nulla di certo, ma si possono fare alcune logiche considerazioni:
▪ la Meoni era stata cliente della società del Vinci, non si sa se abituale, ma sicuramente almeno una volta (il 21 ottobre 1982) si era avvalsa dei servizi della PIC;
▪ non si può stabilire con certezza se Salvatore fosse andato veramente dalla Meoni il pomeriggio dell'omicidio di Giogoli; tuttavia non sembra improbabile considerando l'accertato rapporto lavorativo fra le due parti;
▪ la probabile visita del Vinci alla Meoni avvenne in orario non sospetto, attorno alle 16:00; l'omicidio dei tedeschi sarebbe avvenuto almeno cinque ore dopo. Quindi il Vinci non si servì della Meoni per procurarsi un alibi (come spesso si sente dire in giro); al contrario l'alibi del Vinci per l'orario del delitto era di tipo esclusivamente familiare;
▪ di conseguenza quando si sente dire che la Meoni era stata uccisa dal Vinci nell'ottobre del 1984 (quando cioè Salvatore era al centro delle indagini) perché non smentisse il suo alibi, bisogna tenere in considerazione che non c'era alcun alibi che la Meoni potesse smentire o avvalorare;
▪ esiste la ragionevole possibilità che se la Meoni non fosse morta, sarebbe stata interrogata dalle forze dell'ordine per appurare se realmente fra le 16 e le 17 del 9 settembre 1983 il Vinci fosse andato da lei per fare un intervento; la Meoni avrebbe potuto confermare o meno questo intervento, in entrambi i casi non sarebbe cambiato nulla per l'alibi di Salvatore nell'orario dell'omicidio. Risulta dunque difficile comprendere perché il Vinci - nell'ipotesi fosse stato il MdF - avrebbe dovuto uccidere la Meoni. Possiamo fare esclusivamente due ipotesi, forse a questo punto non troppo realistiche: o il Vinci si era confidato con la Meoni, rivelandole qualcosa di compromettente circa gli omicidi da lui commessi; oppure il Vinci era uno psicopatico che uccideva per il piacere di farlo e questo omicidio era avvenuto per motivi indipendenti dalla vicenda del MdF.
3. Vicchio: Infine, per il delitto del 1984, il Vinci aveva dichiarato che il giorno del duplice omicidio verso le ore 17.00 aveva compiuto un intervento di lavoro in via Nigra a Firenze. Fra le 19.30 e le 21.30 era rimasto a casa e aveva cenato con la compagna Antonietta D'Onofrio, con il proprio figlio Roberto e con la di lei figlia, Michela. Dopo cena era andato a prendere un gelato con la compagna e la piccola Michela; era rientrato a casa verso le 22.00/22.30, per poi uscire nuovamente per andare a recuperare il cane, che era andato "da solo" ai giardinetti. Era tornato verso le 23.30, si era fermato nel proprio laboratorio, posto di fronte all'abitazione, fino a mezzanotte circa; infine era rientrato a casa e ivi era rimasto fino alle 3.00 del mattino a guardare le Olimpiadi in televisione col figlio Roberto. A quell'ora era nuovamente uscito per praticare un po' di corsa con il cane ai giardini della Fortezza. Qui era stato raggiunto dalla compagna verso le 4.30 o le 5.00 e insieme erano andati a fare colazione in un bar di via Novoli. Erano rientrati definitivamente a casa verso le sei del mattino.
Il sedicenne Roberto Vinci confermò, grosso modo e per quanto ne potesse sapere, le dichiarazioni del padre.
La D'Onofrio, dopo diversi tentennamenti, confermò di aver raggiunto il compagno ai giardini della Fortezza in piena notte, ma smentì i movimenti di Salvatore proprio nelle ore in cui si sarebbe compiuto il delitto. Dichiarò, infatti, di non aver ricordi di essere andata a prendere un gelato con lui verso le 21.30 e che Salvatore era andato a recuperare il cane attorno all'una del mattino e non alle 22.30. Precisava che durante la sua convivenza con Salvatore, solo due o tre volte era capitato che andassero a prendere un gelato dopo cena e che mai prima di allora, Salvatore fosse andato a correre e far ginnastica in piena notte.
Da sottolineare perché curioso il particolare del cane recatosi da solo ai giardinetti. Scrisse in merito Torrisi nel proprio rapporto: "L'episodio del cane è un'offesa alla normale intelligenza, perché è improbabile che una persona possa sostenere, convinto di affermare il credibile, e cioè di essere andato a prelevare con l'autovettura il proprio cane, da solo recatosi prima in una determinata zona della città, per andare ad incontrare i suoi simili, sicuro che questi, quasi fosse stato convenuto, attende il padrone all'orario ed al posto prestabilito, come se si trattasse di una persona".
La ricevuta della PIC
Ci sono un paio di aspetti di sicuro interesse nella ricevuta emessa dalla PIC, la società di Salvatore Vinci, e rinvenuta a casa di Luisa Meoni. Aspetti su cui riteniamo opportuno soffermarci.Il primo riguarda l'utilizzo del titolo dato all'intestataria della ricevuta stessa: "Sig" anziché "Sig.ra". Ciò inevitabilmente richiama alla mente il titolo dato alla Della Monica nella famosa lettera del MdF nel settembre 1985: in quel caso era stato scritto "Dott." anziché "Dott.ssa" (vedasi il capitolo dedicato al delitto degli Scopeti).
Il secondo aspetto riguarda la parola "Apertura", in cui lo scrivente, non avendo probabilmente calcolato con esattezza lo spazio a propria disposizione, era stato costretto a spezzare la parola in fin di riga e andare a capo, utilizzando l'apposito trattino. La parola risultava così scritta: "Apertu-ra". Anche in questo caso, inutile sottolineare come richiami alla mente la parola "Repubbli-ca" sempre nella lettera alla Della Monica del MdF.
Similitudini queste che i sardisti non hanno mancato (giustamente) di far notare. C'è però da dire che da un lato l'utilizzo del titolo al maschile e del trattino per andare a capo era molto diffuso fra la gente di bassa scolarità, soprattutto all'epoca; dall'altro che non si ha la certezza che la ricevuta rinvenuta a casa della Meoni fosse stata scritta dal Vinci in persona e non da qualche suo aiutante. Questo perché la calligrafia (peraltro molto simile a quella della missiva anonima denominata "In me la notte non finisce mai", vedasi capitolo Accadimenti finali) sembrerebbe piuttosto diversa da quella dell'appunto in cui il Salvatore Vinci aveva annotato l'indirizzo e il numero di telefono del colonnello Torrisi.
L'arresto per uxoricidio
Anche sulla base del rapporto Torrisi, ormai certi che Salvatore fosse il MdF e dopo averlo ufficialmente indagato per gli otto duplici omicidi, in attesa di trovare prove che lo inchiodassero, l'11 giugno del 1986 il Vinci venne arrestato per l'omicidio volontario premeditato nei confronti della sua prima moglie, Barbarina Steri, nel 1960. Da sottolineare come l'arresto avvenne proprio in prossimità dell'estate, la stagione di caccia del mostro, in una Firenze terrorizzata dai possibili eventi.Quell'anno – così come i successivi – il MdF non avrebbe colpito.
Mentre Salvatore e i suoi avvocati dovevano difendersi dall'infamante accusa che era stata mossa, gli uffici del Giudice Istruttore, Mario Rotella, lavoravano furiosamente per trovare le prove della sua partecipazione ai delitti delle coppiette e dunque confezionare sulle spalle del Vinci un'accusa ben più grave, quella di essere il Mostro di Firenze.
Dal carcere, secondo fonti non meglio verificate, Salvatore, pur dichiarandosi comunque innocente, era solito ripetere: "Il mostro è grande, non lo prenderanno mai."
Il 12 aprile del 1988, dopo due anni di carcere, cominciò il processo a carico di Salvatore Vinci per uxoricidio. In quell'occasione, il suo avvocato Aldo Marongiu dichiarò: "Se vogliono processarlo per i delitti del Mostro, devono farlo direttamente, non prendendo questo episodio come scusa."
Durante il dibattimento ebbe modo di testimoniare il figlio Antonio, all'epoca anch'egli detenuto per tutt'altri reati. In quell'occasione Salvatore affermò pubblicamente che Antonio era suo figlio e non figlio dell'amante di Barbarina Steri come da alcune parti si vociferava.
Il 19 aprile 1988 Salvatore Vinci fu assolto per non aver commesso il fatto. Era di fatto una sconfitta anche per il Giudice Istruttore Rotella, nei cui uffici si stavano ancora cercando le prove per accusare formalmente Salvatore per i delitti del Mostro.
A proposito del processo e della inaspettata assoluzione, in tempi recenti è stata intervistata l'avvocata Rita Dedola, all'epoca giovanissima praticante nello studio dell'avvocato Aldo Marongiu, difensore di Salvatore Vinci. L'avvocata Dedola ha dichiarato che il Vinci era un uomo che metteva inquietudine, dai profondi occhi azzurri e dallo sguardo magnetico e indagatore. Un uomo chiuso, riservato, ironico, intelligente, che si era fatto una buona cultura leggendo molto, attento a misurare le parole, molto guardingo. Un uomo, infine, secondo il suo parere, che poteva essere a conoscenza di qualcosa d'importante sugli omicidi del Mostro di Firenze.
A conferma, nella stessa intervista, l'avvocato Renato Figari, all'epoca praticante nello studio legale del padre, avvocato Vittorio Figari, difensore della famiglia Steri, si è detto convinto che Salvatore Vinci non solo avesse ucciso la prima moglie, Barbarina Steri, ma fosse anche responsabile degli omicidi attribuiti al Mostro di Firenze.
La presunta fuga
Il giornalista Alessandro Cecioni, da sempre convinto che Salvatore Vinci fosse il MdF, andò a cercarlo fin in Sardegna subito dopo l'assoluzione. Lo trovò a un matrimonio. Il Vinci all'inizio si mostrò cordiale e disponibile (del resto Cecioni già lo aveva intervistato in passato), poi quando le domande si fecero via via più inquisitorie, cambiò atteggiamento; finché alla domanda "quando confesserai di essere il mostro?", ebbe una vera e propria esplosione di rabbia.Cecioni ricorda la vocetta stridula, quasi in falsetto, del Vinci e tuttora afferma che se fossero stati soli, lui difficilmente avrebbe lasciato vivo quel matrimonio.
Quella fu l'ultima volta che Salvatore Vinci venne intervistato sull'argomento. Dal novembre del 1988, almeno a livello mediatico, se ne persero le tracce.
Un anno dopo, il 13 dicembre 1989, il giudice istruttore Mario Rotella chiuse definitivamente l'indagine sul Mostro di Firenze relativa alla cosiddetta Pista Sarda con una sentenza di 162 pagine nella quale assolse rispettivamente Francesco Vinci, Giovanni Mele, Pietro Mucciarini, Marcello Chiaramonti e Salvatore Vinci. Tale sentenza indispettì i vertici dell'Arma dei Carabinieri, da sempre legatissimi alla pista investigativa sarda (e in particolar modo a quella che conduceva a Salvatore Vinci). Fu da quel momento che i carabinieri smisero di occuparsi del caso del Mostro di Firenze.
A onor del vero va detto che Rotella, pur essendo convinto della colpevolezza del Vinci, intese agire in tal maniera perché, non avendo trovato alcuna prova a carico di Salvatore, sarebbe stato controproducente portarlo a Processo e vederlo assolto. In tal caso, infatti, il Vinci non sarebbe stato più imputabile per i delitti del Mostro, neanche se in futuro fossero emerse nuove prove.
Un proscioglimento in fase di istruttoria, invece, avrebbe permesso una riapertura delle indagini e una nuova imputazione, in caso di eventuali sviluppi futuri di carattere probante. Inutile affermare che nuove prove non sono mai emerse, nanche a distanza di molti anni. Anzi, a dirla tutta, di Salvatore Vinci non si è saputo più nulla per un lungo periodo, salvo sporadici avvistamenti, fino a perderne completamente le tracce. Persino i suoi familiari e gli stessi figli dichiararono in più di un'occasione di non sapere che fine potesse avere fatto.
Il 6 aprile 1991 venne fermato dalla polizia in servizio presso l'aeroporto di Roma Fiumicino mentre rientrava da Madrid, munito di documento di viaggio emesso dal consolato italiano in quanto aveva in precedenza denunciato lo smarrimento del proprio documento d'identità. Nella circostanza, su richiesta del dottor Rotella, tempestivamente informato del fermo, Salvatore Vinci elesse come sua residenza anagrafica la casa paterna di Villacidro, senza però mai andarci ad abitare.
Qualche giorno dopo, precisamente il 12 aprile 1991, nella trasmissione televisiva dal titolo "Detto tra noi", l'avvocato Marongiu dichiarò che era stato in contatto con Salvatore Vinci; riferiva che stava bene, che era riuscito a rifarsi una vita, pur rimanendo convinto di essere stato vittima di una persecuzione giudiziaria. L'avvocato non aveva voluto rivelare dove il Vinci avesse trovato rifugio, limitandosi a parlare genericamente di "Americhe".
L'11 maggio 1992, l'avvocato Marongiu morì all'età di 54 anni, stroncato da una leucemia e dalle infamanti, quanto false, accuse che in un lontano passato gli erano state mosse e che nulla hanno a che fare con la nostra storia. Come ha dichiarato in una recente intervista l'avvocata Dedola, poco dopo la morte del Marongiu, Salvatore Vinci le affidò la causa di divorzio dalla moglie Rosina, con cui era separato sin dal 1980. Attorno al 1993 o 1994, il Vinci passò dal suo studio a Cagliari per ringraziarla e salutarla, comunicandole l'intenzione di non tornare mai più a Villacidro. A detta dell'avvocata, aveva una nuova compagna, presumibilmente spagnola, di nome Marisol.
Il 15 gennaio 1996, Salvatore venne cancellato dall'ufficio anagrafe del comune, per irreperabilità al censimento del 1991. Nell'occasione i suoi parenti dichiararono di non averne notizie sin dall'autunno del 1988.
Diversi anni dopo, nella trasmissione "Chi l'ha visto", il detective privato Davide Cannella dichiarò che Salvatore Vinci era ancora vivo, si era trasferito in Spagna e telefonava regolarmente ai suoi parenti in Sardegna.
Nel 2017 anche il documentarista Paolo Cochi ha espresso in un'intervista su youtube la certezza che Salvatore fosse ancora vivo, non specificando tuttavia la fonte di questa informazione.
Nel maggio del 2021, un interlocutore telefonico della trasmissione "La notte del Mistero" dell'emittente radiofonica "Florence International Radio" ha dichiarato di aver incontrato Salvatore Vinci nel settembre 2020 e che lo stesso tuttora è ancora vivo. Per maggiori dettagli, vedasi la sezione dedicata agli Aggiornamenti.
Oggi (primo scorcio 2022) Salvatore avrebbe circa 86 anni.
Particolarità su Salvatore Vinci
● Durante il processo ai CdM, venne chiamata a testimoniare la signora Rosina Massa, moglie di Salvatore Vinci. La Massa escluse categoricamente che suo marito potesse aver conosciuto Pietro Pacciani. Inoltre affermò che sia lei che Salvatore ritenevano molto probabile che Natalino fosse stato accompagnato dal luogo del delitto del 1968 fino alla casa dei De Felice. Sempre a sentire la signora Massa, Salvatore sosteneva che anche Stefano Mele era stato sicuramente accompagnato da qualcuno sul luogo del delitto, anche perché da solo e senza altri mezzi che una bicicletta, non sarebbe stato in grado di raggiungerlo.Da notare che in teoria Salvatore avrebbe avuto interesse a sostenere il contrario per allontanare i sospetti dal giro dei sardi.
● A metà ottobre del 2025, il ricercatore Francesco Cappelletti ha pubblicato su youtube un breve video in cui per la prima volta è stato possibile ascoltare la voce di Salvatore Vinci. La traccia audio, di pochi secondi, è tratta dal processo a suo carico, svoltosi a Cagliari. Un documento di notevole importanza storica e che conferma quanto già si sapeva riguardo alla voce piuttosto stridula del Vinci.
La teoria "Carlo"
Il giornalista Mario Spezi, a partire dalla seconda metà degli anni '80 fervente sostenitore della pista sarda, ha elaborato un'ipotesi diversa che non vedeva in Salvatore Vinci il MdF. A far nascere questa ipotesi era stata una conversazione avuta con Francesco Vinci durante una cena. Complice forse qualche bicchiere di troppo, pare che il Vinci gli avesse infatti confidato: "Il mostro è uno che si sa muovere di notte, in campagna, e che ha sofferto tanto da bambino". A sentire lo Spezi, il tono con cui Francesco aveva detto queste parole era stato estremamente affettuoso.In seguito lo Spezi sarebbe riuscito a identificare il soggetto descritto da Francesco Vinci nel cosiddetto "Carlo".
Carlo (lo pseudonimo si era reso necessario per questione legali) sarebbe in realtà Antonio Vinci, figlio di Salvatore e della prima moglie Barbarina, molto legato proprio allo zio Francesco.
Nato nel 1959, attualmente ancora vivo e di professione camionista, stando a quanto sosteneva Spezi, nel 1974 avrebbe rubato la Beretta calibro 22 dalla casa del padre e commesso il suo primo duplice omicidio a Rabatta. A muovere la terribile furia omicida del ragazzo, all'epoca appena quindicenne, sarebbe stato il dolore per la morte della mamma nel 1960 e l'odio inestinguibile per il padre che l'aveva presuntivamente uccisa.
Ma di "Carlo" e delle varie ipotesti sardiste si parlerà meglio nel capitolo successivo.


Complimenti, ho scoperto il suo blog solo di recente, trovo i suoi post delle ottime sintesi. Lei meriterebbe molta più visibilità!
RispondiEliminaCiao, grazie, in realtà sono io a non cercare visibilità. Non mi è mai capitato di pubblicizzare il mio blog o di segnalarlo a qualcuno. Vorrei rimanere fuori dal bailamme mostrologico odierno ed essere letto solo da chi sa cercare.
EliminaAd integrazione.
RispondiElimina*****1974******
"...Infatti, la propria moglie M. R., nella tarda primavera del 1974, stanca delle
continue sevizie a cui viene sottoposta, lo abbandona, recandosi in Sardegna presso i suoi vecchi genitori i quali, invece, la rimandano dal marito alla fine dello stesso anno". [Rapporto Torrisi]
*****1981*******
Il Pretore di Firenze diede ragione a R. M., nonostante la denuncia di SV per abbandono del tetto coniugale.
"Va rimarcato che costei, denunciata dal marito, nel 1981, per abbandono del
tetto coniugale, è stata assolta, pur essendo pacifico il fatto — era scappata con un giovane a Trieste —, per aver dimostrato che egli la determinava, tra l'altro, a condotte riprovevoli." [Sentenza Rotella]
La sentenza di assoluzione per la R.M. fu emessa il 2 Marzo 1981 [Fonte: "Al di la di ogni ragionevole dubbio", prima ediz.], circa tre mesi prima del duplice delitto di Scandicci, il primo della serie degli anni 80, dopo un periodo di cooling off del mdf di 7 anni.
A correzione.
Non e' vero che fu SV a ricoverarsi volontariamente. Fu la R.M. a convincerlo:
"... Lui e' malato di sesso. Io ho tentato di farlo curare facendolo ricoverare per una quindicina di giorni a Careggi nella clinica Psichiatrica o di quelle che si occupavano di disturbi mentali. Mi sono spaventata io perche' manifestava delle crisi di pianto poi non mangiava adeguatamente e continuava lo stesso il ritmo solito delle prestazioni sessuali..." [R.M., moglie di SV, verbale del 16-4-85, fonte: al di la ecc...].
Ciao, ti ringrazio molto per le integrazioni, le avevo omesse per non appesantire ulteriormente il pezzo, ma posso sempre aggiungerle.
RispondiEliminaPer quanto riguarda la correzione, invece, nelle strutture in special modo psichiatriche, abbiamo i ricoveri volontari e quelli senza consenso del paziente (Tso).
Nel caso specifico, anche se è stata Rosina (ma potrebbe essere stato chiunque) a convincere il Vinci a ricoverarsi, si tratta sempre di ricovero volontario.
Hai ragione, ritiro la correzione. Grazie per le specifiche.
RispondiEliminaIn una recente intervista che si trova in rete sul Blog di Flanz Vinci, in una miniserie da lui imbastita dal titolo " Mostro di Firenze - Salvatore Vinci: "Vi sembro un mostro?" , l'avvocato Rita Dedola, dichiara che anni dopo l'assoluzione al processo che lo indagava per la morte della moglie, il salvatore Vinci si fosse rifatto vivo, presso lo studio legale "Marongiu" in compagnia dell'allora sua nuova compagna , che appunto era di origini ispaniche. Ciò avvallerebbe dunque l'ipotesi che ora viva in Spagna.
RispondiEliminaSalve a tutti mi chiamo Simon
RispondiEliminaOvviamente complimenti per il blog
Anche se più variegata la storia di SV, in relazione al MdF, mi sembra molto simile a quella di Pacciani. Personaggi dal profilo ideale per essere posti sotto la lente degli inquirenti,ma che tuttavia risultano infine estranei alla vicenda. Anche in relazione al delitto di Signa credo che SV sia davvero estraneo, anche se probabilmente se non fosse intrvenuto il mostro entro poco l avrebbe uccisa lui la Locci,perché si sarebbe creato un alibi mooolto più valido, considerando che dappertutto si legge che è scaltro e furbo. Sapeva che lo avrebbero indagato e probabilmente per quella sera non aveva un alibi verificabile e ne ha imbastito uno al volo con Vargiu,più servo che dipendente, seguendo la tradizione sarda della coppia che si supporta ad oltranza coprendo sempre l altro.
Un saluto a tutti e rinnovo i complimenti
sto cercando di recuperare dalla cronologia del mio pc una intervista di un po di tempo fa in cui la persona intervistata (credo un giornalista che si era occupato del delitto del 68) affermava di aver saputo "con certezza" che salvatore vinci ha di recente fatto richiesta della pensione, cosa che non aveva mai fatto prima. SE (ed è un SE enorme) questa cosa fosse riscontrabile potrebbe essere interessante. Si potrebbe speculare che sino ad oggi non ne abbia avuto necessita, magari perche godeva dell emolumento dato dal programma di protezione testimoni (che, sempre secondo l intervistato in questione) è a tempo determinato. La mia speculazione ulteriore è che SV prima delal sparizione in spagna abbia reso testimonianze riguardo a vicende criminose (anonima sequestri?) in cui era coinvolto assieme al fratello. questo getterebbe una nuova luce sulla strana morte di FV e magari anche su quella della Malatesta (vendetta trasversale?). OK troppi condizionali. Mi chiedevo se per caso Lei avesse qualche info in merito, togliere quei due duplici omicidi dall ambito strettamente mostrologico contribuirebbe a fare chiarezza. Mario.
RispondiEliminaBuongiorno Mario, ho sentito anche io l'intervista allo Zanetti in cui riportava queste informazioni. Si potrebbero fare tantissime ipotesi, ma ci son di mezzo veramente molti "se". Vanno benissimo le speculazioni, l'importante è essere consapevoli che rimangono tali, senza alcuna certezza.
EliminaGrazie ancora, L.
trovato, zanetti a 1.11.00 https://www.youtube.com/watch?v=IQ0jDoWVAUw
RispondiEliminaÈ possibile sapere i nomi dei tre figli di Salvatore Vinci? Uno mi sembra di aver letto si chiama Roberto, gli altri due?
RispondiEliminaGrazie.
Salvatore ha avuto 4 figli: Antonio dal primo matrimonio e Marco, Giancarlo e Roberto dal secondo.
EliminaIo credo che non si possa escludere a priori che lo straccio rinvenuto potesse aver avvolto la famigerata Beretta. Per quanto sia vero che il munizionamento "tipico" non contiene antimonio, niente vieta che possa aver utilizzato altro munizionamento per altri motivi (banalmente esercizio di tiro). Non è neanche da escludere che le tracce di antimonio rinvenute sullo straccio vi fossero perché provenienti da altra fonte. Mi pare troppo forte asserire che "sicuramente" lo straccio non ha avvolto la Beretta.
RispondiEliminaCiao, grazie per il commento.
EliminaConcordo con le tue osservazioni.
LS
nessuno sembra rendersi conto che mele mucciarini vinci spalletti lotti pacciani vanni e altra centinaia di gente non centra assolutamente na mazza
RispondiEliminaA quanto pare i commenti che indicano novita' e possibili nuove verita vengono cancellati, tutto deve seguire un certo iter per poter scrivere altri libri
RispondiEliminaCiao Anonimo,
Eliminavengono semplicimente cancellati tutti i commenti offensivi. Se tu fossi capace di presentare "novità e possibili nuove verità" senza offendere gli inquirenti, i mostrologi e chi è intervenuto prima di te, i tuoi commenti non verrebbero cancellati. Se poi ti firmassi con un nickname sarebbe ancora meglio.
Ciao,
LS
Per chiarire dissi solo che una asta guidamolla con relativa molla la puo' aquisire e aquistare chiunque , anche senza porto d'armi ,quindi anche se corrisponde al modello della pistola usata dall'assassino non puo' in nessun caso venire collegata alla pistola usata dal mostro , altro discorso sarebbe se l'anonimo spediva canna percussore estrattore .
RispondiEliminaPoi riguardo al lotti un povero handicappato mentale ma come si fa a credergli? la ghiribelli si vede a occhio che e' una bugiarda
RispondiEliminaHanno dato troppo peso all'asta guidamolla alla telefonata ad allegranti e a cercare di incriminare pacciani narducci mele eccecc.. tutte boiate . e ne sono straconvinto che il vero assassino ma nemmeno alla lontanissima e' stato indagato o sospettato o entrato nella lista della sam
RispondiElimina"Il mostro è uno che si sa muovere di notte, in campagna, e che ha sofferto tanto da bambino". Magari un giorno diranno che era Natalino, traumatizzato dal viaggio di notte in campagna e dall'omicidio.
RispondiEliminaQuesta teoria fu avanzata nell'aprile del 1992 dal criminologo e investigatore privato Carmelo Lavorino (lo trovi in questo blog nella sezione "Seconda parte: La vicenda giudiziaria - 21 Mostrologia minore")
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