Come abbiamo visto, oltre a Giancarlo Lotti, un ruolo fondamentale durante le indagini preliminari e il processo, nonché ai fini della condanna degli imputati, lo ebbero altri tre testimoni, anch'essi presentati inizialmente in forma anonima durante il processo d'Appello a Pietro Pacciani.
Vediamoli nel dettaglio.
A differenza di Lotti, però, il Pucci non risultò mai indagato per i delitti del Mostro. Il suo ruolo fu semplicemente quello di teste chiave nel processo a carico dei Compagni di Merende. In virtù del suo ruolo di testimone fu periziato dai consulenti Marco Lagazzi e Ugo Fornari cui venne affidato il compito di redigere un profilo psicologico e accertare in quale grado fosse affetto da oligofrenia e dunque se fosse idoneo a rendere testimonianza.
Il responso fu che, sebbene dotato di bassissimo livello culturale, di povertà di linguaggio e di pensiero, non c'era motivo – almeno a livello psicoattitudinale - per cui il Pucci non dovesse essere considerato in grado di testimoniare.
La sua testimonianza, tuttavia, è quella che presta maggiormente il fianco agli attacchi di chi crede nell'innocenza dei Compagni di Merende. Già durante gli interrogatori in Procura il Pucci commise alcuni plateali errori nella ricostruzione del delitto degli Scopeti.
Dall'interrogatorio del 2 gennaio 1996, riportiamo uno dei passaggi piú controversi della sua testimonianza: "Una volta fermatici all'inizio della stradina che conduce nella piazzola, ricordo bene che notammo una macchina, di colore chiaro, ferma a pochi metri di distanza da una tenda e, alla nostra vista, due uomini, che si trovavano a bordo di quell'auto, scesero da essa e si misero a vociare contro di noi con atteggiamento minaccioso, tanto che subito andammo via".
In pratica il Pucci sosteneva che i due uomini, che in seguito avrebbero commesso il delitto, erano a bordo dell'automobile chiara posta davanti alla tenda. Questa era in realtà la Golf bianca dei giovani ragazzi francesi.
Nel successivo interrogatorio del 23 gennaio 1996, Pucci ribadì che i due uomini erano scesi dalla suddetta automobile, ma commise anche l'errore di invertire le posizioni di tenda e automobile: "Ricordo di avere visto una macchina ferma, a luci spente, con la parte anteriore rivolta nella direzione di San Casciano e, più oltre la macchina, una tenda. Non posso fornire particolari sulle caratteristiche della tenda e sul suo colore dato che era buio; posso però dire che la forma era a capanna. Mentre ci stavamo avvicinando alla parte posteriore della macchina sono usciti fuori da questa due individui, venendoci incontro".
In seguito, durante il dibattimento in aula, Pucci si celò dietro una sequela interminabile di "non ricordo" e di lunghi silenzi. Apparve spesso in difficoltà e chiese più volte conto di ció che egli stesso aveva dichiarato durante gli interrogatori. Riportiamo alcuni passaggi particolarmente significativi delle sue deposizioni.
Dall'udienza del 6 ottobre 1997 del processo di primo grado ai CdM:
P.M.: "Senta, le faccio ancora qualche domanda. Lei, poi, con il Lotti, ha parlato di altri omicidi? Degli altri omicidi del Mostro? Con il Lotti..."
Pucci: "Ma io... Ma che c'è mica scritto, costì?"
P.M.: "Eh..."
Pucci: "No, lo voglio sapere, perché vu' scrivete un monte di robe, io 'un me lo ricordo!"
P.M.: "Noi, queste robe, per fortuna le abbiamo anche registrate. Quindi..."
Pucci: "Abbia pazienza... 'Un mi posso ricordare di ogni cosa"
P.M.: "No, ma lei non si deve ricordare cosa c’è scritto qui, capito, signor Pucci?"
Pucci: "Ecco..."
P.M.: "Lei si deve ricordare se questi discorsi li ha fatti e se sono veri"
Pucci: "Ma io non me lo ricordo"
Sempre nella stessa udienza:
Presidente: "...E il Lotti cosa le ha detto su questo punto? Le ha detto qualche cosa sull'omicidio dei tedeschi, il Lotti?"
Pucci: "No, l'abbia pazienza un momento. Costì, come c'è scritto sul foglio?"
Presidente: "Scusi, eh..."
Pucci: "Perché io non me ne ricordo mica icché c'è scritto, costì"
Presidente: "Cosa ha detto?"
Avv. Filastò: "Ha chiesto come c'è scritto sul foglio. Perché per lui il punto di riferimento è il foglio scritto là, che ha il Pubblico Ministero"
Pucci: "Appunto"
Dall'udienza del 19 maggio 1999 del processo d'appello ai CdM:
Pucci: "Si, ma che c'è scritto lì?"
P.M.: "Lo ha dichiarato lei!"
Pucci: "Allora se c'è scritto costì vuol dire che va bene, ma che vuole, gliè passato un monte di tempo, un me ne ricordo!"
È opportuno ricordare che nell'attuale sistema processuale la prova si dovrebbe formare in dibattimento nel contraddittorio delle parti. Ma a parte questo, abbiamo già fatto notare nel capitolo dedicato a "La credibilità del Lotti" come durante gli interrogatori in Procura, il Pucci era stato perfettamente in grado di ricordare eventi di 10/11 anni prima, mentre in aula non era stato in grado di ricordare cosa aveva fatto mettere a verbale su quegli stessi eventi uno o due anni prima.
Incalzato dalla difesa, Pucci cadde più volte in contraddizione se non in veri e propri errori. In special modo:
▪ si contraddisse più volte sulla presenza sua e di Lotti alla piazzola de La Boschetta di Vicchio (delitto 1984), dicendo nel giro di pochi minuti tutto e il contrario di tutto: avevano spiato la coppia uccisa nella piazzola prima del delitto; non erano mai stati nella piazzola prima del delitto; erano stati alla piazzola prima del delitto ma non avevano spiato la coppia;
▪ confuse più volte cosa avevano fatto lui e Lotti il giorno del delitto degli Scopeti, dichiarando prima che quel pomeriggio erano stati dalla Gabriella Ghiribelli, poi che erano stati al cinema, infine tornando a dire che sì, erano andati dalla Ghiribelli;
▪ dichiarò che entrambe le vittime francesi erano state uccise nella tenda, quando invece il ragazzo era stato ucciso all'esterno;
▪ dichiarò che la sera del delitto degli Scopeti la piazzola era illuminata dalla luna, "quella buona per i funghi". Risulta certo che la notte in cui Lotti e Pucci fanno risalire il delitto (8 settembre 1985) la luna sorse dopo mezzanotte; secondo le loro dichiarazioni il delitto sarebbe invece avvenuto fra le 23 e le 23:30;
▪ dichiarò che il Vanni era entrato nella tenda dal retro (lì dove venne trovato lo squarcio presumibilmente prodotto dal coltello dell'omicida), quando in realtà l'accesso dal retro era impossibile poiché il taglio era lungo circa 40 centimetri. Questo fu un punto molto dibattuto e che quasi creò scalpore, perché alla difesa parve che l'intervento del giudice Lombardi, che prese la parola durante il controinterrogatorio della difesa, servì a suggerire al Pucci una risposta più coerente ed evitare potesse fornire dichiarazioni completamente errate rispetto alla reale dinamica degli eventi.
▪ dichiarò di non conoscere il Faggi personalmente, ma che lo stesso gli era stato indicato dal Lotti una sera a San Casciano. Il Lotti aveva invece dichiarato più volte di non aver mai visto o incontrato il Faggi, ma di averlo soltanto sentito nominare dal Pacciani e dal Vanni. Questa, in special modo, appare non una contraddizione o un cattivo ricordo, ma una vera menzogna di cui però non si capisce il fine, forse compiacere la Pubblica Accusa e permettere la condanna di un altro imputato. Ció dovrebbe far ben riflettere sia sulla coscenza civica dell'individuo, sia piú in generale sul valore delle sue accuse.
Nel corso delle varie testimonianze rese, emerse che subito dopo il delitto degli Scopeti, l'amicizia fra Lotti e Pucci si era incrinata fortemente, tanto che i due avevano persino smesso di frequentarsi. Secondo il Pucci questo era avvenuto perché: "...non frequentai più il Giancarlo, in quanto, la domenica successiva, mi diede l'appuntamento per la consueta visita a Firenze, ma non si presentò ed io giudicai questo comportamento sleale, per cui ruppi l'amicizia". Secondo l'Accusa, invece, causa di questa rottura era stato proprio lo shock del Pucci nell'assistere al duplice omicidio e nello scoprire che il suo amico Lotti fosse invischiato nei delitti.
In realtà, da un'attenta analisi delle dichiarazioni di Valdemaro Pucci, fratello di Fernando, emerge che la rottura fra i due avvenne diversi anni dopo, probabilmente nel 1990 o 1991, e che ad averla provocata furono altri fattori, molto più banali: forse una questione di soldi (un prestito di pochi spiccioli non restituito) o un mancato appuntamento per cui il Pucci si offese con l'amico fino a smettere di frequentarlo. Se si vuole approfondire l'argomento sulla rottura fra Lotti e Pucci, si può fare riferimento a questo interessante articolo, Il teste alfa (4), del blogger e ricercatore Omar Quatar.
Dopo il Processo che – come visto – si concluse con la condanna di Vanni e Lotti e in cui dunque fu determinante la sua testimonianza, il Pucci si ritirò a vita privata nella sua San Casciano.
È stato l'ultimo dei compagni di merende a morire, il 25 febbraio 2017, all'età di 85 anni.
All'età di 26 anni, nel 1977, divorziò dal marito e si trasferì a Prato. Al bar Rolando di piazza Duomo (meglio noto come il bar dei sardi) conobbe tale Sebastiano Indovino che divenne per un breve periodo suo compagno. Sebastiano le presentò il fratello, il ben più noto Salvatore Indovino, con cui la Ghiribelli iniziò un lungo rapporto d'amicizia che durò praticamente fino alla morte di quest'ultimo nell'estate del 1986.
Non sembra, invece, trovare conferma la voce secondo cui Gabriella e Salvatore si sarebbero conosciuti qualche tempo dopo, precisamente nel dicembre del 1981 quando la donna venne ricoverata presso l'ospedale di Prato per abuso di alcool e l'uomo, da poco uscito di galera, fu ricoverato presso lo stesso nosocomio per una frattura al braccio.
In ogni caso, nel 1978 Gabriella si trasferì a Firenze e conobbe Norberto Galli, colui che la portò (o la riportò) sulla strada, inducendola a praticare la prostituzione. Abbiamo intesto dire "la riportò" perché da alcuni verbali di polizia è risultato che la donna si prostituisse saltuariamente già dagli inizi degli anni '70.
Il Galli divenne compagno e protettore della Ghiribelli; la donna continuò comunque ad intrattenere rapporti con i fratelli Indovino, soprattutto con Salvatore, la cui abitazione era in via Faltignano 5, poco distante da via degli Scopeti.
Una certa vulgata mostrologica vuole che a casa dell'Indovino la Ghiribelli avesse conosciuto prima il Lotti, amico e amante di Filippa Nicoletti, compagna di Salvatore Indovino, e dopo il Pucci, a sua volta amico di Giancarlo. Tuttavia, questa appare un'inesattezza perché da quanto dichiarato dagli stessi protagonisti, era stato il Pucci a conoscere per primo la Ghiribelli frequentandola come prostituta a Firenze e poi a coinvolgere nell'amicizia anche Giancarlo. Oltretutto non risulta che il Pucci abbia mai frequentato la casa di via Faltignano.
Nella prima metà degli anni '80 la Ghiribelli si trasferì a San Casciano, in Borgo Sarchiani 80; qui conobbe il Vanni, suo vicino di casa. Secondo le testimonianze da lei rese, il Vanni le chiese più volte prestazioni particolari ma lei, infastidita dalla sua volgarità, non acconsentì mai ad averlo come cliente.
L'anno preciso del trasferimento della Ghiribelli a San Casciano, molto importante per valutare l'attendibilità di alcune sue dichiarazioni, è fortemente dibattuto. In un'occasione la Ghiribelli dichiarò che era avvenuto nel 1982, in un'altra nella seconda metà del 1984. Secondo il Galli, risaliva invece all'inizio del 1985. L'avvocato Gabriele Zanobini, durante il Processo Calamandrei, affermò ripetutamente che tale trasferimento era avvenuto, carte alla mano, nell'estate del 1984.
A conferma di ciò ci sono le dichiarazioni della Filippa Nicoletti, secondo cui la Ghiribelli aveva iniziato a frequentare via di Faltignano attorno al 1984, dopo che lei stessa aveva abbandonato San Casciano e si era trasferita ad Arezzo con un nuovo amante. Dirà a tal proprosito la Sentenza De Luca, che nel 2008 assolverà il farmacista Calamandrei e di cui avremo ampiamente modo di parlare nel relativo capitolo:
"...Secondo la Nicoletti, dunque, la Ghiribelli nel 1982-1983 non aveva ancora messo piede nella casa di via di Faltignano, ove lei dimorava in pianta stabile, avendola conosciuta nel 1984-1985, quando era andata ad Arezzo e da quel momento la Ghiribelli l'aveva in pratica, quantomeno parzialmente, sostituita, come amica del Salvatore, a cui andava a fare le iniezioni essendo gravemente malato, tanto che successivamente morirà per un tumore. Da queste ultime dichiarazioni emerge un dato assolutamente certo circa la non contestualità di frequentazione fra la lei e la Ghiribelli nella stamberga di via di Faltignano di Indovino".
Nel 1983 Ghiribelli e Galli furono denunciati per ricettazione, contraffazione e alterazioni di titoli di credito.
La sera di domenica 8 settembre 1985, ipotetica data del delitto degli Scopeti, tornando da Firenze verso San Casciano, in compagnia del Galli, la Ghiribelli scorse sia la tenda dei francesi nella piazzola, sia un'automobile rossa ferma all'imbocco della piazzola stessa. Dieci anni dopo riconoscerà quell'automobile come quella del Lotti.
Di quella che fu la vita della Ghiribelli dalla metà degli anni '80 fino alla metà degli anni '90, sappiamo ben poco, se non che nel 1977 lasció San Casciano e nel 1988, dopo che si era interrotta la relazione con il Galli, denunciò il suo ex compagno per sfruttamento della prostituzione.
Come visto nel capitolo denominato I Compagni di Merende, con le sue dichiarazioni del 27 Dicembre 1995 relative all'automobile rossa con portiera più chiara vista a Scopeti, la Ghiribelli diede il via a quello che poi diventerà il Processo ai Compagni di Merende.
Abbiamo anche visto come queste dichiarazioni fossero probabilmente fallaci fin dall'inizio in quanto la Ghiribelli accostò la vettura vista a Scopeti nel settembre 1985 con quella che il Lotti possedeva non all'epoca del delitto, ma all'epoca di tali dichiarazioni, circa dieci anni dopo. Eppure da tali dichiarazioni fallaci, gli inquirenti arrivano a ritenere che l'automobile ferma all'imbocco della piazzola la presunta sera del delitto fosse comunque del Lotti.
Durante quella stessa deposizione del 27 Dicembre 1995, la Ghiribelli cominciò anche a parlare di strane sedute spiritiche che si sarebbero svolte a casa di Salvatore Indovino e che solevano concludersi con rapporti sessuali fra i vari partecipanti. Riportiamo le parole della donna sull'argomento:
"...Ho avuto modo di notare direttamente i segni della riunione e cioè candele spente, croci di carbonella combusta, preservativi, bottiglie di liquori vari vuote, nonché un cartellone appoggiato sul tavolo contenente tutte le lettere dell'alfabeto e numeri con all'estremità di questo cartellone che era di forma ovale due cerchi con scritte in uno SI e nell'altro NO. Nel mezzo di questo cartellone vi era un piattino da caffé sporco di nero. Queste cose le notavo la domenica mattina, prima di recarmi a Firenze per prostituirmi, in quanto ero solita passare dall'Indovino, per cui ritengo che le riunioni si tenevano sicuramente il sabato sera... Mi spiegavano che prima facevano le carte, poi bevevano e poi facevano le orge. Erano comunque persone molto strane... Mi risulta che anche Filippa Nicoletti partecipava a queste orge e, quando era ubriaca, si faceva prendere da Lotti Giancarlo che la portava presso la di lui abitazione, all'epoca a Ponte Rotto... Ho sentito dire che presso l'abitazione dell'Indovino vi era un via vai di gente superstiziosa che si faceva fare le carte e filtri d'amore. Ho sentito anche dire che giovani coppie della zona, in prossimità del matrimonio, si recavano dall'Indovino per le suddette finalità.... Queste cose le ho sentite dire nel paese di San Casciano un po’ da tutte le persone, in quanto era notoria l'attività dell'Indovino e ricordo, tra gli altri, di averlo sentito dire anche nella bottega di Ezio, il quale rimproverava la moglie di essere molto superstiziosa..."
Da notare che, come vedremo nel capitolo dedicato ai frequentatori di via Faltignano, la Nicoletti avrebbe seccamente smentito le dichiarazioni della Ghiribelli sul punto. Anche altri frequentatori della casa dell'Indovino, fra cui lo stesso Norberto Galli, si sarebbero detti piuttosto scettici su tali dichiarazioni.
Il giorno 8 del mese di febbraio del 1996, la Ghiribelli venne riascoltata e oltre a confermare quanto detto nell'interrogatorio precedente, cominciò ad allargare il ventaglio delle sue accuse, calcando la mano sulle strane pratiche che avvenivano a casa di Salvatore Indovino e creando di fatto l'humus perché la Procura di Firenze iniziasse a vedere dietro i delitti del Mostro un variegato gruppo di personaggi dediti a messe nere e riti esoterici e facenti riferimento alla casa del mago Indovino e della sua compagna, Filippa Nicoletti.
In pratica furono le dichiarazioni soprattutto della Ghiribelli, ancor piú di quelle del Lotti, a dare il via alle indagini sulla cosiddetta pista esoterica e sul cosiddetto secondo livello.
Di seguito le testuali parole della Ghiribelli in proposito (omettiamo le parti già riportate nella precedente dichiarazione): "Ogni domenica mattina, nell'appartamento dei due c'erano i resti di messe nere, vedevo cose strane, c'erano inequivocabili tracce di cosa era successo il sabato sera e la notte. Nella stanza appena si entrava, c'erano ceri spenti, una stella a cinque punte disegnata in terra con il carbone, una indicibile sporcizia e confusione dappertutto... Sulle lenzuola del letto grande c'erano tracce di sangue. Erano macchie larghe quanto un foglio di carta da lettera".
Ascoltata al Processo contro i CdM, la donna confermò tutto quanto dichiarato negli interrogatori precedenti ma, incalzata dalla difesa, ammise di aver fatto in passato ampio uso di alcool per superare la vergogna che provava nell'esercitare il mestiere della prostituzione, tanto da essere stata ricoverata più volte per disintossicarsi dalla sua dipendenza.
Lo stesso Galli, durante il processo, diede una testimonianza tesa a sminuire i ricordi della Ghiribelli, tacciandola come un'alcolista largamente inattendibile, nonché avida lettrice di romanzetti d'appendice che andavano ad alimentare la sua fervida fantasia.
Anche oggi, buona parte della mostrologia non giuttariana e in parte non merendara tende a non dare granché credito alle dichiarazioni della Ghiribelli o almeno a buona parte di queste. Ciò è dovuto sia al fatto che tali dichiarazioni appaiono spesso piuttosto improbabili, se non assolutamente farneticanti (vedasi nel capitolo "Il secondo livello" i riferimenti agli esperimenti di mummificazione condotti da un tale medico svizzero), sia al fatto che alcune sue dichiarazioni sono risultate inconciliabili con fatti e prove documentali.
"...Mi è venuto parlando con Canino un flash in mente e gli ho fatto il racconto di una cena che c'era stata a casa della Filippa l'antivigilia di Natale del 1980... Lei mi chiede a questo punto di spiegare come faccio ad essere certa che la cena di cui ho parlato a casa della Filippa è avvenuta proprio il 23/12/1980. Io le dico che questa data mi è venuta man mano in mente parlando con Canino. Lei mi chiede allora di spiegare attraverso quali riferimenti parlando con il giornalista Canino sia arrivata a ricordare che la cena sia avvenuta in tale anno e non prima o dopo. Mi è venuto un flash spontaneo. Lei mi chiede di ricordare dove abitavo all'epoca di quella cena. Io le dico che abitavo a San Casciano, Borgo Sarchiani, ma non c'era numero, con il Galli Norberto.
Lei a questo punto mi fa notare che in data 08/02/1996 ho dichiarato al PM che ho abitato con il Galli a Borgo Sarchiani nel periodo che và dalla metà del 1984 a tutto il 1987 e mi invita a spiegare il motivo di tale contraddizione. Io ricordo che la sera in cui c'è stata quella cena abitavo a San Casciano Borgo Sarchiani, almeno mi sembra è sicuro che abitassi con il Galli...
Lei mi chiede nuovamente come faccio ad essere sicura che la cena di cui ho parlato nell'intervista è avvenuta il 23/12/1980 e mi invita a dire la verità. Io sono sicura che la cena avvenne in quella data. Circa i fatti che avvennero quella sera, ricordo che festeggiavamo insieme a casa di Salvatore l'antivigilia di Natale. Eravamo io e il Galli; c'erano la Filippa, che si sbronzò subito; c'era anche il Sebastiano, fratello di Salvatore; c'erano con lui due ragazzine minorenni; c'era il Vanni Mario, che conoscevo, e Pacciani, con cui però non ho parlato. Ricordo che, dopo cena, Pacciani andò in camera, telefonò da un telefono di quelli avana a disco, ma non sentii con chi parlava perché era nella camera. Dopo un po' arrivò una macchina che suonò il clacson, non so chi fosse, intravidi che era una macchina blu con la scritta bianca e mi sembrò dei carabinieri. Era un'auto di tipo comune e non di quelle che fanno i posti di blocco. Ricordo che si alzarono tutti: Salvatore, Sebastiano, il Vanni e il Pacciani e ricordo che andò con loro anche la Sperduto che era fuori sulla porta e non era stata a cena con noi.
Dissero: "Si va fuori". Io dissi: "Ma la Filippa resta sola" dato che era sbronza e si era messa a letto. Poi aggiunsi: "Rimango io" e dissi anche al Galli, che io chiamavo Roberto, di rimanere con me e così fu. Chiesi quindi agli altri dove andavano dato che erano tutti i locali chiusi. Ricordo che era dopo cena, saranno state le 23. Ricordo che mi fu risposto, non so da chi: "Si va a dare una lezione a qualcuno". Ricordo che andarono via il Salvatore, Sebastiano, Vanni, Pacciani, l'Antonietta e le due ragazzine. Ricordo che il Salvatore aveva una autovettura di grossa cilindrata, non so dire il tipo, lo sa la Filippa. Anche Vanni o il Pacciani avevano un'auto, ma non so chi dei due. Poi c'era l'altra auto che penso fosse dei carabinieri. lo non uscii completamente di casa, li vidi uscire e non vidi come si dividevano sulle macchine. Dopo un'ora, un'ora e mezza, era dopo la mezza notte, li vidi tornare; ricordo che era abbastanza tardi e io volevo tomare a casa mia a San Casciano. Quando tornarono non erano tutti: c'erano solo Salvatore, il fratello, le due ragazzine ed il Vanni. Mancavano Pacciani e Antonietta e mi sembra che a una mia domanda Salvatore disse: "Saranno voluti rimanere un po' insieme". Non mi dissero dove erano stati. Ricordo che avevano una specie di risolino. Come ho detto, io ho ricollegato questi miei ricordi parlandone a lungo l'altra sera con il giornalista Canino. Prima non mi erano venuti in mente...
Lei mi chiede quando ho saputo della morte del Malatesta. Io vi dico che l'ho saputo da voi quando sono stata sentita l'altra volta. Pensavo che fosse sparito perché come ho già detto l'altra volta il Malatesta Renato era uno che veniva da me quando facevo la prostituta e poi non era più venuto.
Non sapevo che il Renato Malatesta era il marito della Sperduto, che avevo visto per la prima volta quella sera alla cena a via Di Faltignano. Lei mi chiede come venne quella sera la Sperduto in via Faltignano. Io ricordo bussò alla porta; qualcuno la voleva fare entrare, ma lei disse aspetto fuori. Non so come fosse arrivata; non so se quella sera del dicembre 80 abitava in via di Faltignano; l'ho saputo dopo. Ho saputo in seguito che la Sperduto aveva una figlia che credevo si chiamasse Silvia, ma che poi il giornalista Canino mi disse si chiamava Milva. Ho visto in seguito che sia la Sperduto che la Milva si prostituivano in Piazza Santa Maria Novella; la Silvia proprio nella piazza; la madre di fronte al palazzo della moda alla stazione.
Lei a questo punto mi chiede come è possibile che io sia certa che quella cena avvenne il 23/12/1980. Io le assicuro che il fatto è avvenuto esattamente nei modi che ho descritto... Non ho altro che questi elementi che sono la pura verità, ma non ho alcun altro riferimento preciso per dire quando avvenne quella cena che ripeto è sicuramente avvenuta nei modi che ho raccontato...
Circa la casa dove abitavo quando ci fu quella sera il mio ricordo è che abitavo già a Borgo Sarchiani e quindi basta verificare tale circostanza. Che abitassi a San Casciano più che un ricordo è una deduzione perché a pensarci mi sembra che sarebbe stato assurdo andare a cena da Salvatore se abitavo a Firenze. Io, come ho già detto, Salvatore l'ho conosciuto a Prato insieme al fratello quando abitavo a Prato e lui abitava a San Casciano..."
Si tratta di una deposizione che, a parte le inverosimiglianze, contiene alcune palesi contraddizioni di fondo che il lettore attento non può non avere notato e che riportiamo schematicamente:
1. Come ampiamente visto, la Ghiribelli andò ad abitare a Borgo Sarchiani nell'estate del 1984, dunque a fine 1980 non viveva ancora a San Casciano, come invece sembra sostenere. Delle due l'una, o questa fantomatica cena prenatalizia non c'era mai stata o se c'era stata era da posticipare di almeno quattro anni. Invece la Ghiribelli la colloca proprio la notte dell'assassinio di Renato Malatesta.
2. Un punto su cui la Ghiribelli si è contraddetta più volte è la presenza di Pacciani a casa dell'Indovino. Premesso che nessuno degli abituali frequentatori della casa di via Faltignano ha mai fornito alcun riscontro in merito, in data 21 dicembre 1995 la Ghiribelli sosteneva che il Pacciani fosse stato uno dei partecipanti alle sedute spiritiche a casa dell'Indovino. Testuali parole: "...Per quanto riguarda Pacciani Pietro io l'ho visto a casa di Indovino Salvatore quando arrivava il camper del personaggio che faceva il medium e che parlava siciliano (il mago Manuelito, NdA)..."
Sei giorni dopo, in data 27 dicembre 1995, la Ghiribelli smentiva se stessa, dichiarando: "...Devo, infatti, precisare che non ho mai visto il Pacciani Pietro né a casa dell'Indovino nella circostanza erroneamente riferita nel precedente verbale, né in altre occasioni. Ho visto il Pacciani solamente in televisione o suoi giornali in occasione della nota vicenda del Mostro di Firenze..."
Dunque la Ghiribelli non aveva mia visto di persona il Pacciani, ma solo in TV. A conferma di ciò, durante un'intercettazione telefonica dello stesso giorno, confidò al Lotti: "...No, il Pacciani poi io non lo conoscevo..."
Eppure, durante l'intervista del marzo 1996 e nella successiva testimonianza in questura, sembrò dimenticarsene dichiarando di essere stata a cena con Pacciani e Vanni l'antivigilia di Natale del 1980 e di aver praticamente assistito alla preparazione dell'omicidio di Renato Malatesta. Un omicidio che avrebbe visto coinvolti diverse persone, fra cui la di lui moglie, Maria Antonietta Sperduto, lo stesso Indovino, il fratello Sebastiano e presuntivamente uno o più membri delle forze dell'ordine, visto che la donna aveva parlato di una vettura dei carabinieri giunta in loco suonando il clacson.
Si lascia al lettore qualsiasi considerazione e/o valutazione su quanto riportato.
A dispetto di tutto ciò, la Ghiribelli continuò a essere ascoltata a intervalli regolari dalla Procura, ormai decisa a continuare le indagini per arrivare ai presunti mandanti dei delitti attribuiti al Mostro. La donna stava infatti progressivamente coinvolgendo nel caso oltre agli abituali frequentatori di via Faltignano (gente dalla bassissima estrazione sociale), anche i cosiddetti notabili, medici (il medico svizzero, il medico di Perugia, il medico delle malattie tropicali), il famacista di San Casciano, avvocati e professionisti vari. A cavallo del nuovo millennio, divenne così la testimone principale dell'Accusa per quello che pareva destinato a diventare il grande Processo contro il secondo livello.
A seguire le dichiarazioni del 5 marzo 2003: "...Posso dire che quando il venerdì notte avvenivano, ed io ero presente, c'erano molte persone che partecipavano, tra cui c'era l'orafo, di cui vi ho già raccontato, il carabiniere di San Casciano, il medico delle malattie tropicali, la Filippa Nicoletti, la Milva Malatesta, Ezio, che è il droghiere, assieme alla moglie, il capo degli Hare Krishna, Sebastiano Indovino che si accompagnava con dei bambini minorenni di circa otto-undici anni... Non sono a conoscenza di cosa facessero fare a questi bambini, in quanto io dovevo venire a Firenze a lavorare; comunque, questi bambini erano sempre diversi. So che provenivano dalla zona di Prato, ma non sono a conoscenza di come facessero a convincerli... Io ho anche parlato con loro, ma non ho avuto l'impressione che fossero stati costretti, i bambini di otto-undici anni...".
Le due sorelle che - a detta della Ghiribelli - fornivano i minori alla turpe congrega di via Faltignano, si scoprirà in seguito non erano sorelle. Si trattava di Veronica Candido, alias Marisa, detta anche "la Mora", all'epoca minorenne, e di Alessandra Marchi, detta "la Bionda". Entrambe prostitute provenienti da Massa. Di eventuali loro deposizioni non si sa nulla.
In quello stesso periodo la Ghiribelli coinvolse nelle indagini anche uno stilista italoamericano che aveva vissuto per un breve periodo a "La Sfacciata". La Ghiribelli dichiaró agli inquirenti: "Ho visto questo individuo (Mario Robert Parker, NdA) dare soldi al Lotti. Queste somme erano costituite da svariate banconote da cento, credo che fossero qualche milione; credo che usava questi soldi per portare la nipote del Vanni al mare, o per andare con la Nicoletti Filippa a mangiare e a farci l'amore..."
Sull'oggettiva attendibilità anche di queste dichiarazioni, avremo modo di soffermarci in seguito, per ora ci limitiamo a far notare due evidenti contraddizioni, una relativa alla Marisa di Massa, l'altra relativa ai soldi che il Parker avrebbe dato al Lotti:
1. A detta della Ghiribelli, le due sorelle di Massa andavano a mangiare da lei per poi recarsi a villa "La Sfacciata", dove la Ghiribelli aveva iniziato sostenere che avvenivano i festini. Ciò doveva essere avvenuto dopo la metà del 1984, in quanto solo allora la Ghiribelli era andata ad abitare a San Casciano. Ma già dall'inizio del 1984, a "La Sfacciata" non potevano più svolgersi i festini, in quanto i due "mandanti" che vi avevano abitato (il Reinecke e il predetto Parker, entrambi citati nel capitolo dedicato al delitto di Giogoli) avevano già lasciato la villa e la zona.
2. Come avremo modo di vedere - il Parker aveva appunto abbandonato "La Sfacciata" agli inizi del 1984, lasciando ben presto la Toscana. Il Lotti aveva frequentato la nipote del Vanni oltre dieci anni dopo, nell'estate del 1995. Appaiono, dunque, anche in questo caso prive di fondamento le dichiarazioni della Ghiribelli.
Gabriella morì l'anno seguente, il 5 dicembre del 2004, all'età di 53 anni a causa di una cirrosi epatica dovuta ad anni di alcolismo, privando la Procura che si apprestava a celebrare il processo sul cosiddetto secondo livello del testimone più importante.
Il Galli non fu mai in grado di affermare con certezza di che tipo di auto si trattasse. Genericamente durante gli interrogatori in Procura parlò prima di una vettura chiara, forse bianca, in seguito di una vettura sicuramente non scura, più in linea con quanto dichiarato dalla sua ex compagna. Successivamente, durante il Processo ai CdM, la sua testimonianza fu tesa a sminuire le dichiarazioni della Ghiribelli che a suo dire aveva trascorso la maggior parte di quegli anni annebbiata dall'uso eccessivo di alcool.
Da un lato le dichiarazioni del Galli hanno, difatti, contribuito a tracciare un quadro più o meno attendibile dei personaggi che bazzicavano la casa di Salvatore Indovino, che nell'idea maturata in seno alla Procura costituiva il centro nevralgico dei delitti del Mostro di Firenze, dall'altro son state tese a ridimensionare la credibilità della sua ex compagna.
Ad esempio, il Galli ha sempre dichiarato di non aver mai visto compiersi riti magici, né tantomeno orge a casa dell'Indovino. Ha sempre dichiarato, altresì, di non aver mai visto il Pacciani e il Vanni frequentare tale abitazione.
Di seguito riportiamo alcune delle sue dichiarazioni che giudichiamo più significative.
Dichiarazione del 17 Dicembre 1995:
"Frequentai Indovino negli ultimi tempi; mi fu presentato dalla Gabriella, che gli faceva le iniezioni. Mi risulta che tra gli amici di Indovino vi erano prevalentemente persone di origine meridionale che abitavano a Prato, verso Pistoia, e che lo andavano a trovare anche perché aveva fama di essere un mago. Tra le persone di San Casciano che conoscevano l'Indovino ricordo che vi era un certo Giancarlo, che abitava al Ponte Rotto e che aveva avuto degli screzi con Salvatore in quanto si era messo con la Filippa che era la donna di Indovino, quando Salvatore era in carcere..."
Dichiarazioni del giorno 8 Febbraio 1996:
"So che Salvatore faceva o, almeno, diceva di fare, delle pratiche di magia. Ricordo che c'era una stanzina che doveva essere il suo studio. Lì, sopra un tavolo, c'erano un libro e un pendolino. Non so che pratiche di magia facesse il Salvatore, ricordo solo che un paio di volte era venuta da lui una bella signora di Pistoia, che il Salvatore mi disse che aveva problemi con il marito. In sostanza, capii che il Salvatore era professionalmente interessato per una storia di rappacificamento tra la donna ed il marito..."
Degne di nota le dichiarazioni del 29 febbraio 1996:
"Non ho mai visto in quella casa Vanni; mai ho visto il Pacciani. Io di riti magici e simili non ho mai visto tracce... Posso solo dire, come ho già riferito, che nella stanza in fondo, che ho indicato nel disegno come camerina-studio, c'era un tavolo dove vidi un libro nero con accanto un pendolino. Salvatore mi disse che gli serviva a fare riavvicinare moglie e marito..."
Infine, le dichiarazioni del 23 marzo 1996:
"Io Vanni lo conosco, ma non l'ho mai visto a casa di Salvatore. Escludo di aver mai visto il Pacciani a casa e tantomeno a cena da Salvatore. Sono sicuro che quando iniziai a frequentare la casa di Salvatore era il 1984, quando andammo a stare a San Casciano... Mai ho partecipato a cene a casa di Salvatore con Pacciani, Vanni, Salvatore, Sebastiano e la Filippa..."
Vediamoli nel dettaglio.
Il Testimone Alfa, Fernando Pucci:
Nato a Montefiridolfi l'8 novembre del 1932, Fernando Pucci aveva un'invalidità civile riconosciuta nel 1983 per oligofrenia. Amico di vecchia data del Lotti con cui era solito frequentare prostitute e cinema porno a Firenze, fu colui che per primo ammise di aver assistito al delitto degli Scopeti assieme al Lotti.A differenza di Lotti, però, il Pucci non risultò mai indagato per i delitti del Mostro. Il suo ruolo fu semplicemente quello di teste chiave nel processo a carico dei Compagni di Merende. In virtù del suo ruolo di testimone fu periziato dai consulenti Marco Lagazzi e Ugo Fornari cui venne affidato il compito di redigere un profilo psicologico e accertare in quale grado fosse affetto da oligofrenia e dunque se fosse idoneo a rendere testimonianza.
Il responso fu che, sebbene dotato di bassissimo livello culturale, di povertà di linguaggio e di pensiero, non c'era motivo – almeno a livello psicoattitudinale - per cui il Pucci non dovesse essere considerato in grado di testimoniare.
La sua testimonianza, tuttavia, è quella che presta maggiormente il fianco agli attacchi di chi crede nell'innocenza dei Compagni di Merende. Già durante gli interrogatori in Procura il Pucci commise alcuni plateali errori nella ricostruzione del delitto degli Scopeti.
Dall'interrogatorio del 2 gennaio 1996, riportiamo uno dei passaggi piú controversi della sua testimonianza: "Una volta fermatici all'inizio della stradina che conduce nella piazzola, ricordo bene che notammo una macchina, di colore chiaro, ferma a pochi metri di distanza da una tenda e, alla nostra vista, due uomini, che si trovavano a bordo di quell'auto, scesero da essa e si misero a vociare contro di noi con atteggiamento minaccioso, tanto che subito andammo via".
In pratica il Pucci sosteneva che i due uomini, che in seguito avrebbero commesso il delitto, erano a bordo dell'automobile chiara posta davanti alla tenda. Questa era in realtà la Golf bianca dei giovani ragazzi francesi.
Nel successivo interrogatorio del 23 gennaio 1996, Pucci ribadì che i due uomini erano scesi dalla suddetta automobile, ma commise anche l'errore di invertire le posizioni di tenda e automobile: "Ricordo di avere visto una macchina ferma, a luci spente, con la parte anteriore rivolta nella direzione di San Casciano e, più oltre la macchina, una tenda. Non posso fornire particolari sulle caratteristiche della tenda e sul suo colore dato che era buio; posso però dire che la forma era a capanna. Mentre ci stavamo avvicinando alla parte posteriore della macchina sono usciti fuori da questa due individui, venendoci incontro".
In seguito, durante il dibattimento in aula, Pucci si celò dietro una sequela interminabile di "non ricordo" e di lunghi silenzi. Apparve spesso in difficoltà e chiese più volte conto di ció che egli stesso aveva dichiarato durante gli interrogatori. Riportiamo alcuni passaggi particolarmente significativi delle sue deposizioni.
Dall'udienza del 6 ottobre 1997 del processo di primo grado ai CdM:
P.M.: "Senta, le faccio ancora qualche domanda. Lei, poi, con il Lotti, ha parlato di altri omicidi? Degli altri omicidi del Mostro? Con il Lotti..."
Pucci: "Ma io... Ma che c'è mica scritto, costì?"
P.M.: "Eh..."
Pucci: "No, lo voglio sapere, perché vu' scrivete un monte di robe, io 'un me lo ricordo!"
P.M.: "Noi, queste robe, per fortuna le abbiamo anche registrate. Quindi..."
Pucci: "Abbia pazienza... 'Un mi posso ricordare di ogni cosa"
P.M.: "No, ma lei non si deve ricordare cosa c’è scritto qui, capito, signor Pucci?"
Pucci: "Ecco..."
P.M.: "Lei si deve ricordare se questi discorsi li ha fatti e se sono veri"
Pucci: "Ma io non me lo ricordo"
Sempre nella stessa udienza:
Presidente: "...E il Lotti cosa le ha detto su questo punto? Le ha detto qualche cosa sull'omicidio dei tedeschi, il Lotti?"
Pucci: "No, l'abbia pazienza un momento. Costì, come c'è scritto sul foglio?"
Presidente: "Scusi, eh..."
Pucci: "Perché io non me ne ricordo mica icché c'è scritto, costì"
Presidente: "Cosa ha detto?"
Avv. Filastò: "Ha chiesto come c'è scritto sul foglio. Perché per lui il punto di riferimento è il foglio scritto là, che ha il Pubblico Ministero"
Pucci: "Appunto"
Dall'udienza del 19 maggio 1999 del processo d'appello ai CdM:
Pucci: "Si, ma che c'è scritto lì?"
P.M.: "Lo ha dichiarato lei!"
Pucci: "Allora se c'è scritto costì vuol dire che va bene, ma che vuole, gliè passato un monte di tempo, un me ne ricordo!"
È opportuno ricordare che nell'attuale sistema processuale la prova si dovrebbe formare in dibattimento nel contraddittorio delle parti. Ma a parte questo, abbiamo già fatto notare nel capitolo dedicato a "La credibilità del Lotti" come durante gli interrogatori in Procura, il Pucci era stato perfettamente in grado di ricordare eventi di 10/11 anni prima, mentre in aula non era stato in grado di ricordare cosa aveva fatto mettere a verbale su quegli stessi eventi uno o due anni prima.
Incalzato dalla difesa, Pucci cadde più volte in contraddizione se non in veri e propri errori. In special modo:
▪ si contraddisse più volte sulla presenza sua e di Lotti alla piazzola de La Boschetta di Vicchio (delitto 1984), dicendo nel giro di pochi minuti tutto e il contrario di tutto: avevano spiato la coppia uccisa nella piazzola prima del delitto; non erano mai stati nella piazzola prima del delitto; erano stati alla piazzola prima del delitto ma non avevano spiato la coppia;
▪ confuse più volte cosa avevano fatto lui e Lotti il giorno del delitto degli Scopeti, dichiarando prima che quel pomeriggio erano stati dalla Gabriella Ghiribelli, poi che erano stati al cinema, infine tornando a dire che sì, erano andati dalla Ghiribelli;
▪ dichiarò che entrambe le vittime francesi erano state uccise nella tenda, quando invece il ragazzo era stato ucciso all'esterno;
▪ dichiarò che la sera del delitto degli Scopeti la piazzola era illuminata dalla luna, "quella buona per i funghi". Risulta certo che la notte in cui Lotti e Pucci fanno risalire il delitto (8 settembre 1985) la luna sorse dopo mezzanotte; secondo le loro dichiarazioni il delitto sarebbe invece avvenuto fra le 23 e le 23:30;
▪ dichiarò che il Vanni era entrato nella tenda dal retro (lì dove venne trovato lo squarcio presumibilmente prodotto dal coltello dell'omicida), quando in realtà l'accesso dal retro era impossibile poiché il taglio era lungo circa 40 centimetri. Questo fu un punto molto dibattuto e che quasi creò scalpore, perché alla difesa parve che l'intervento del giudice Lombardi, che prese la parola durante il controinterrogatorio della difesa, servì a suggerire al Pucci una risposta più coerente ed evitare potesse fornire dichiarazioni completamente errate rispetto alla reale dinamica degli eventi.
▪ dichiarò di non conoscere il Faggi personalmente, ma che lo stesso gli era stato indicato dal Lotti una sera a San Casciano. Il Lotti aveva invece dichiarato più volte di non aver mai visto o incontrato il Faggi, ma di averlo soltanto sentito nominare dal Pacciani e dal Vanni. Questa, in special modo, appare non una contraddizione o un cattivo ricordo, ma una vera menzogna di cui però non si capisce il fine, forse compiacere la Pubblica Accusa e permettere la condanna di un altro imputato. Ció dovrebbe far ben riflettere sia sulla coscenza civica dell'individuo, sia piú in generale sul valore delle sue accuse.
Nel corso delle varie testimonianze rese, emerse che subito dopo il delitto degli Scopeti, l'amicizia fra Lotti e Pucci si era incrinata fortemente, tanto che i due avevano persino smesso di frequentarsi. Secondo il Pucci questo era avvenuto perché: "...non frequentai più il Giancarlo, in quanto, la domenica successiva, mi diede l'appuntamento per la consueta visita a Firenze, ma non si presentò ed io giudicai questo comportamento sleale, per cui ruppi l'amicizia". Secondo l'Accusa, invece, causa di questa rottura era stato proprio lo shock del Pucci nell'assistere al duplice omicidio e nello scoprire che il suo amico Lotti fosse invischiato nei delitti.
In realtà, da un'attenta analisi delle dichiarazioni di Valdemaro Pucci, fratello di Fernando, emerge che la rottura fra i due avvenne diversi anni dopo, probabilmente nel 1990 o 1991, e che ad averla provocata furono altri fattori, molto più banali: forse una questione di soldi (un prestito di pochi spiccioli non restituito) o un mancato appuntamento per cui il Pucci si offese con l'amico fino a smettere di frequentarlo. Se si vuole approfondire l'argomento sulla rottura fra Lotti e Pucci, si può fare riferimento a questo interessante articolo, Il teste alfa (4), del blogger e ricercatore Omar Quatar.
Dopo il Processo che – come visto – si concluse con la condanna di Vanni e Lotti e in cui dunque fu determinante la sua testimonianza, il Pucci si ritirò a vita privata nella sua San Casciano.
È stato l'ultimo dei compagni di merende a morire, il 25 febbraio 2017, all'età di 85 anni.
La Testimone Gamma, Gabriella Ghiribelli:
Della vita della testimone Gamma, al secolo Gabriella Ghiribelli, prima del 1977 si sa ben poco. Nacque a Firenze nel giugno del 1951, si diplomò in ragioneria e si sposò piuttosto giovane.All'età di 26 anni, nel 1977, divorziò dal marito e si trasferì a Prato. Al bar Rolando di piazza Duomo (meglio noto come il bar dei sardi) conobbe tale Sebastiano Indovino che divenne per un breve periodo suo compagno. Sebastiano le presentò il fratello, il ben più noto Salvatore Indovino, con cui la Ghiribelli iniziò un lungo rapporto d'amicizia che durò praticamente fino alla morte di quest'ultimo nell'estate del 1986.
Non sembra, invece, trovare conferma la voce secondo cui Gabriella e Salvatore si sarebbero conosciuti qualche tempo dopo, precisamente nel dicembre del 1981 quando la donna venne ricoverata presso l'ospedale di Prato per abuso di alcool e l'uomo, da poco uscito di galera, fu ricoverato presso lo stesso nosocomio per una frattura al braccio.
In ogni caso, nel 1978 Gabriella si trasferì a Firenze e conobbe Norberto Galli, colui che la portò (o la riportò) sulla strada, inducendola a praticare la prostituzione. Abbiamo intesto dire "la riportò" perché da alcuni verbali di polizia è risultato che la donna si prostituisse saltuariamente già dagli inizi degli anni '70.
Il Galli divenne compagno e protettore della Ghiribelli; la donna continuò comunque ad intrattenere rapporti con i fratelli Indovino, soprattutto con Salvatore, la cui abitazione era in via Faltignano 5, poco distante da via degli Scopeti.
Una certa vulgata mostrologica vuole che a casa dell'Indovino la Ghiribelli avesse conosciuto prima il Lotti, amico e amante di Filippa Nicoletti, compagna di Salvatore Indovino, e dopo il Pucci, a sua volta amico di Giancarlo. Tuttavia, questa appare un'inesattezza perché da quanto dichiarato dagli stessi protagonisti, era stato il Pucci a conoscere per primo la Ghiribelli frequentandola come prostituta a Firenze e poi a coinvolgere nell'amicizia anche Giancarlo. Oltretutto non risulta che il Pucci abbia mai frequentato la casa di via Faltignano.
Nella prima metà degli anni '80 la Ghiribelli si trasferì a San Casciano, in Borgo Sarchiani 80; qui conobbe il Vanni, suo vicino di casa. Secondo le testimonianze da lei rese, il Vanni le chiese più volte prestazioni particolari ma lei, infastidita dalla sua volgarità, non acconsentì mai ad averlo come cliente.
L'anno preciso del trasferimento della Ghiribelli a San Casciano, molto importante per valutare l'attendibilità di alcune sue dichiarazioni, è fortemente dibattuto. In un'occasione la Ghiribelli dichiarò che era avvenuto nel 1982, in un'altra nella seconda metà del 1984. Secondo il Galli, risaliva invece all'inizio del 1985. L'avvocato Gabriele Zanobini, durante il Processo Calamandrei, affermò ripetutamente che tale trasferimento era avvenuto, carte alla mano, nell'estate del 1984.
A conferma di ciò ci sono le dichiarazioni della Filippa Nicoletti, secondo cui la Ghiribelli aveva iniziato a frequentare via di Faltignano attorno al 1984, dopo che lei stessa aveva abbandonato San Casciano e si era trasferita ad Arezzo con un nuovo amante. Dirà a tal proprosito la Sentenza De Luca, che nel 2008 assolverà il farmacista Calamandrei e di cui avremo ampiamente modo di parlare nel relativo capitolo:
"...Secondo la Nicoletti, dunque, la Ghiribelli nel 1982-1983 non aveva ancora messo piede nella casa di via di Faltignano, ove lei dimorava in pianta stabile, avendola conosciuta nel 1984-1985, quando era andata ad Arezzo e da quel momento la Ghiribelli l'aveva in pratica, quantomeno parzialmente, sostituita, come amica del Salvatore, a cui andava a fare le iniezioni essendo gravemente malato, tanto che successivamente morirà per un tumore. Da queste ultime dichiarazioni emerge un dato assolutamente certo circa la non contestualità di frequentazione fra la lei e la Ghiribelli nella stamberga di via di Faltignano di Indovino".
Nel 1983 Ghiribelli e Galli furono denunciati per ricettazione, contraffazione e alterazioni di titoli di credito.
La sera di domenica 8 settembre 1985, ipotetica data del delitto degli Scopeti, tornando da Firenze verso San Casciano, in compagnia del Galli, la Ghiribelli scorse sia la tenda dei francesi nella piazzola, sia un'automobile rossa ferma all'imbocco della piazzola stessa. Dieci anni dopo riconoscerà quell'automobile come quella del Lotti.
Di quella che fu la vita della Ghiribelli dalla metà degli anni '80 fino alla metà degli anni '90, sappiamo ben poco, se non che nel 1977 lasció San Casciano e nel 1988, dopo che si era interrotta la relazione con il Galli, denunciò il suo ex compagno per sfruttamento della prostituzione.
Come visto nel capitolo denominato I Compagni di Merende, con le sue dichiarazioni del 27 Dicembre 1995 relative all'automobile rossa con portiera più chiara vista a Scopeti, la Ghiribelli diede il via a quello che poi diventerà il Processo ai Compagni di Merende.
Abbiamo anche visto come queste dichiarazioni fossero probabilmente fallaci fin dall'inizio in quanto la Ghiribelli accostò la vettura vista a Scopeti nel settembre 1985 con quella che il Lotti possedeva non all'epoca del delitto, ma all'epoca di tali dichiarazioni, circa dieci anni dopo. Eppure da tali dichiarazioni fallaci, gli inquirenti arrivano a ritenere che l'automobile ferma all'imbocco della piazzola la presunta sera del delitto fosse comunque del Lotti.
Durante quella stessa deposizione del 27 Dicembre 1995, la Ghiribelli cominciò anche a parlare di strane sedute spiritiche che si sarebbero svolte a casa di Salvatore Indovino e che solevano concludersi con rapporti sessuali fra i vari partecipanti. Riportiamo le parole della donna sull'argomento:
"...Ho avuto modo di notare direttamente i segni della riunione e cioè candele spente, croci di carbonella combusta, preservativi, bottiglie di liquori vari vuote, nonché un cartellone appoggiato sul tavolo contenente tutte le lettere dell'alfabeto e numeri con all'estremità di questo cartellone che era di forma ovale due cerchi con scritte in uno SI e nell'altro NO. Nel mezzo di questo cartellone vi era un piattino da caffé sporco di nero. Queste cose le notavo la domenica mattina, prima di recarmi a Firenze per prostituirmi, in quanto ero solita passare dall'Indovino, per cui ritengo che le riunioni si tenevano sicuramente il sabato sera... Mi spiegavano che prima facevano le carte, poi bevevano e poi facevano le orge. Erano comunque persone molto strane... Mi risulta che anche Filippa Nicoletti partecipava a queste orge e, quando era ubriaca, si faceva prendere da Lotti Giancarlo che la portava presso la di lui abitazione, all'epoca a Ponte Rotto... Ho sentito dire che presso l'abitazione dell'Indovino vi era un via vai di gente superstiziosa che si faceva fare le carte e filtri d'amore. Ho sentito anche dire che giovani coppie della zona, in prossimità del matrimonio, si recavano dall'Indovino per le suddette finalità.... Queste cose le ho sentite dire nel paese di San Casciano un po’ da tutte le persone, in quanto era notoria l'attività dell'Indovino e ricordo, tra gli altri, di averlo sentito dire anche nella bottega di Ezio, il quale rimproverava la moglie di essere molto superstiziosa..."
Da notare che, come vedremo nel capitolo dedicato ai frequentatori di via Faltignano, la Nicoletti avrebbe seccamente smentito le dichiarazioni della Ghiribelli sul punto. Anche altri frequentatori della casa dell'Indovino, fra cui lo stesso Norberto Galli, si sarebbero detti piuttosto scettici su tali dichiarazioni.
Il giorno 8 del mese di febbraio del 1996, la Ghiribelli venne riascoltata e oltre a confermare quanto detto nell'interrogatorio precedente, cominciò ad allargare il ventaglio delle sue accuse, calcando la mano sulle strane pratiche che avvenivano a casa di Salvatore Indovino e creando di fatto l'humus perché la Procura di Firenze iniziasse a vedere dietro i delitti del Mostro un variegato gruppo di personaggi dediti a messe nere e riti esoterici e facenti riferimento alla casa del mago Indovino e della sua compagna, Filippa Nicoletti.
In pratica furono le dichiarazioni soprattutto della Ghiribelli, ancor piú di quelle del Lotti, a dare il via alle indagini sulla cosiddetta pista esoterica e sul cosiddetto secondo livello.
Di seguito le testuali parole della Ghiribelli in proposito (omettiamo le parti già riportate nella precedente dichiarazione): "Ogni domenica mattina, nell'appartamento dei due c'erano i resti di messe nere, vedevo cose strane, c'erano inequivocabili tracce di cosa era successo il sabato sera e la notte. Nella stanza appena si entrava, c'erano ceri spenti, una stella a cinque punte disegnata in terra con il carbone, una indicibile sporcizia e confusione dappertutto... Sulle lenzuola del letto grande c'erano tracce di sangue. Erano macchie larghe quanto un foglio di carta da lettera".
Ascoltata al Processo contro i CdM, la donna confermò tutto quanto dichiarato negli interrogatori precedenti ma, incalzata dalla difesa, ammise di aver fatto in passato ampio uso di alcool per superare la vergogna che provava nell'esercitare il mestiere della prostituzione, tanto da essere stata ricoverata più volte per disintossicarsi dalla sua dipendenza.
Lo stesso Galli, durante il processo, diede una testimonianza tesa a sminuire i ricordi della Ghiribelli, tacciandola come un'alcolista largamente inattendibile, nonché avida lettrice di romanzetti d'appendice che andavano ad alimentare la sua fervida fantasia.
Anche oggi, buona parte della mostrologia non giuttariana e in parte non merendara tende a non dare granché credito alle dichiarazioni della Ghiribelli o almeno a buona parte di queste. Ciò è dovuto sia al fatto che tali dichiarazioni appaiono spesso piuttosto improbabili, se non assolutamente farneticanti (vedasi nel capitolo "Il secondo livello" i riferimenti agli esperimenti di mummificazione condotti da un tale medico svizzero), sia al fatto che alcune sue dichiarazioni sono risultate inconciliabili con fatti e prove documentali.
Piuttosto interessante per valutare il grado di attendibilità della donna risulta, a questo proposito, la testimonianza rilasciata in data 22 Marzo 1996 negli uffici della squadra mobile della questura di Firenze, davanti al PM Paolo Canessa e al dottor Michele Giuttari.
In questa occasione, la Ghiribelli raccontò di un'intervista rilasciata a un giornalista della RAI, tale Canino. Di seguito una parte del verbale redatto:"...Mi è venuto parlando con Canino un flash in mente e gli ho fatto il racconto di una cena che c'era stata a casa della Filippa l'antivigilia di Natale del 1980... Lei mi chiede a questo punto di spiegare come faccio ad essere certa che la cena di cui ho parlato a casa della Filippa è avvenuta proprio il 23/12/1980. Io le dico che questa data mi è venuta man mano in mente parlando con Canino. Lei mi chiede allora di spiegare attraverso quali riferimenti parlando con il giornalista Canino sia arrivata a ricordare che la cena sia avvenuta in tale anno e non prima o dopo. Mi è venuto un flash spontaneo. Lei mi chiede di ricordare dove abitavo all'epoca di quella cena. Io le dico che abitavo a San Casciano, Borgo Sarchiani, ma non c'era numero, con il Galli Norberto.
Lei a questo punto mi fa notare che in data 08/02/1996 ho dichiarato al PM che ho abitato con il Galli a Borgo Sarchiani nel periodo che và dalla metà del 1984 a tutto il 1987 e mi invita a spiegare il motivo di tale contraddizione. Io ricordo che la sera in cui c'è stata quella cena abitavo a San Casciano Borgo Sarchiani, almeno mi sembra è sicuro che abitassi con il Galli...
Lei mi chiede nuovamente come faccio ad essere sicura che la cena di cui ho parlato nell'intervista è avvenuta il 23/12/1980 e mi invita a dire la verità. Io sono sicura che la cena avvenne in quella data. Circa i fatti che avvennero quella sera, ricordo che festeggiavamo insieme a casa di Salvatore l'antivigilia di Natale. Eravamo io e il Galli; c'erano la Filippa, che si sbronzò subito; c'era anche il Sebastiano, fratello di Salvatore; c'erano con lui due ragazzine minorenni; c'era il Vanni Mario, che conoscevo, e Pacciani, con cui però non ho parlato. Ricordo che, dopo cena, Pacciani andò in camera, telefonò da un telefono di quelli avana a disco, ma non sentii con chi parlava perché era nella camera. Dopo un po' arrivò una macchina che suonò il clacson, non so chi fosse, intravidi che era una macchina blu con la scritta bianca e mi sembrò dei carabinieri. Era un'auto di tipo comune e non di quelle che fanno i posti di blocco. Ricordo che si alzarono tutti: Salvatore, Sebastiano, il Vanni e il Pacciani e ricordo che andò con loro anche la Sperduto che era fuori sulla porta e non era stata a cena con noi.
Dissero: "Si va fuori". Io dissi: "Ma la Filippa resta sola" dato che era sbronza e si era messa a letto. Poi aggiunsi: "Rimango io" e dissi anche al Galli, che io chiamavo Roberto, di rimanere con me e così fu. Chiesi quindi agli altri dove andavano dato che erano tutti i locali chiusi. Ricordo che era dopo cena, saranno state le 23. Ricordo che mi fu risposto, non so da chi: "Si va a dare una lezione a qualcuno". Ricordo che andarono via il Salvatore, Sebastiano, Vanni, Pacciani, l'Antonietta e le due ragazzine. Ricordo che il Salvatore aveva una autovettura di grossa cilindrata, non so dire il tipo, lo sa la Filippa. Anche Vanni o il Pacciani avevano un'auto, ma non so chi dei due. Poi c'era l'altra auto che penso fosse dei carabinieri. lo non uscii completamente di casa, li vidi uscire e non vidi come si dividevano sulle macchine. Dopo un'ora, un'ora e mezza, era dopo la mezza notte, li vidi tornare; ricordo che era abbastanza tardi e io volevo tomare a casa mia a San Casciano. Quando tornarono non erano tutti: c'erano solo Salvatore, il fratello, le due ragazzine ed il Vanni. Mancavano Pacciani e Antonietta e mi sembra che a una mia domanda Salvatore disse: "Saranno voluti rimanere un po' insieme". Non mi dissero dove erano stati. Ricordo che avevano una specie di risolino. Come ho detto, io ho ricollegato questi miei ricordi parlandone a lungo l'altra sera con il giornalista Canino. Prima non mi erano venuti in mente...
Lei mi chiede quando ho saputo della morte del Malatesta. Io vi dico che l'ho saputo da voi quando sono stata sentita l'altra volta. Pensavo che fosse sparito perché come ho già detto l'altra volta il Malatesta Renato era uno che veniva da me quando facevo la prostituta e poi non era più venuto.
Non sapevo che il Renato Malatesta era il marito della Sperduto, che avevo visto per la prima volta quella sera alla cena a via Di Faltignano. Lei mi chiede come venne quella sera la Sperduto in via Faltignano. Io ricordo bussò alla porta; qualcuno la voleva fare entrare, ma lei disse aspetto fuori. Non so come fosse arrivata; non so se quella sera del dicembre 80 abitava in via di Faltignano; l'ho saputo dopo. Ho saputo in seguito che la Sperduto aveva una figlia che credevo si chiamasse Silvia, ma che poi il giornalista Canino mi disse si chiamava Milva. Ho visto in seguito che sia la Sperduto che la Milva si prostituivano in Piazza Santa Maria Novella; la Silvia proprio nella piazza; la madre di fronte al palazzo della moda alla stazione.
Lei a questo punto mi chiede come è possibile che io sia certa che quella cena avvenne il 23/12/1980. Io le assicuro che il fatto è avvenuto esattamente nei modi che ho descritto... Non ho altro che questi elementi che sono la pura verità, ma non ho alcun altro riferimento preciso per dire quando avvenne quella cena che ripeto è sicuramente avvenuta nei modi che ho raccontato...
Circa la casa dove abitavo quando ci fu quella sera il mio ricordo è che abitavo già a Borgo Sarchiani e quindi basta verificare tale circostanza. Che abitassi a San Casciano più che un ricordo è una deduzione perché a pensarci mi sembra che sarebbe stato assurdo andare a cena da Salvatore se abitavo a Firenze. Io, come ho già detto, Salvatore l'ho conosciuto a Prato insieme al fratello quando abitavo a Prato e lui abitava a San Casciano..."
Si tratta di una deposizione che, a parte le inverosimiglianze, contiene alcune palesi contraddizioni di fondo che il lettore attento non può non avere notato e che riportiamo schematicamente:
1. Come ampiamente visto, la Ghiribelli andò ad abitare a Borgo Sarchiani nell'estate del 1984, dunque a fine 1980 non viveva ancora a San Casciano, come invece sembra sostenere. Delle due l'una, o questa fantomatica cena prenatalizia non c'era mai stata o se c'era stata era da posticipare di almeno quattro anni. Invece la Ghiribelli la colloca proprio la notte dell'assassinio di Renato Malatesta.
2. Un punto su cui la Ghiribelli si è contraddetta più volte è la presenza di Pacciani a casa dell'Indovino. Premesso che nessuno degli abituali frequentatori della casa di via Faltignano ha mai fornito alcun riscontro in merito, in data 21 dicembre 1995 la Ghiribelli sosteneva che il Pacciani fosse stato uno dei partecipanti alle sedute spiritiche a casa dell'Indovino. Testuali parole: "...Per quanto riguarda Pacciani Pietro io l'ho visto a casa di Indovino Salvatore quando arrivava il camper del personaggio che faceva il medium e che parlava siciliano (il mago Manuelito, NdA)..."
Sei giorni dopo, in data 27 dicembre 1995, la Ghiribelli smentiva se stessa, dichiarando: "...Devo, infatti, precisare che non ho mai visto il Pacciani Pietro né a casa dell'Indovino nella circostanza erroneamente riferita nel precedente verbale, né in altre occasioni. Ho visto il Pacciani solamente in televisione o suoi giornali in occasione della nota vicenda del Mostro di Firenze..."
Dunque la Ghiribelli non aveva mia visto di persona il Pacciani, ma solo in TV. A conferma di ciò, durante un'intercettazione telefonica dello stesso giorno, confidò al Lotti: "...No, il Pacciani poi io non lo conoscevo..."
Eppure, durante l'intervista del marzo 1996 e nella successiva testimonianza in questura, sembrò dimenticarsene dichiarando di essere stata a cena con Pacciani e Vanni l'antivigilia di Natale del 1980 e di aver praticamente assistito alla preparazione dell'omicidio di Renato Malatesta. Un omicidio che avrebbe visto coinvolti diverse persone, fra cui la di lui moglie, Maria Antonietta Sperduto, lo stesso Indovino, il fratello Sebastiano e presuntivamente uno o più membri delle forze dell'ordine, visto che la donna aveva parlato di una vettura dei carabinieri giunta in loco suonando il clacson.
Si lascia al lettore qualsiasi considerazione e/o valutazione su quanto riportato.
A dispetto di tutto ciò, la Ghiribelli continuò a essere ascoltata a intervalli regolari dalla Procura, ormai decisa a continuare le indagini per arrivare ai presunti mandanti dei delitti attribuiti al Mostro. La donna stava infatti progressivamente coinvolgendo nel caso oltre agli abituali frequentatori di via Faltignano (gente dalla bassissima estrazione sociale), anche i cosiddetti notabili, medici (il medico svizzero, il medico di Perugia, il medico delle malattie tropicali), il famacista di San Casciano, avvocati e professionisti vari. A cavallo del nuovo millennio, divenne così la testimone principale dell'Accusa per quello che pareva destinato a diventare il grande Processo contro il secondo livello.
A tal proposito, in un'intervista del 2001, rilasciata alla giornalista Roberta Petrelluzzi, conduttrice della trasmissione televisiva "Un giorno in pretura", dichiarò: "...a San Casciano, del gruppo di merende lo sapevano e lo sa anche qualche altro... anche in farmacia dovresti andare, però li devi prendere di brutto, cattiva devi andare eh!..."
Anche in questo caso si tratta di affermazioni in controtendenza con quanto aveva affermato in precedenza, come non mancherà di far notare la già citata Sentenza De Luca.Nel frattempo, la Ghiribelli aveva cominciato anche a parlare di un giro di pedofilia, sia a casa dell'Indovino, sia in una villa non lontana da Faltignano, che sorgeva nei pressi del luogo dove era avvenuto il duplice omicidio del 1983. Stava ovviamente parlando di villa "La Sfacciata". Stando alle sue dichiarazioni, era una tale Marisa di Massa, bruna e dall'aspetto volgare, a procurare i bambini e portarli in zona.
Queste le dichiarazioni del 28 febbraio 2003: "...la Marisa veniva da Massa unitamente alla sorella e alle ragazzine che portava... ricordo che venivano in pullman ed io personalmente ebbi modo di vederle insieme a queste minorenni; era sempre di venerdì e venivano a mangiare a casa mia a San Casciano. Devo precisare che venivano solo le due sorelle a mangiare, mentre i bambini sparivano."A seguire le dichiarazioni del 5 marzo 2003: "...Posso dire che quando il venerdì notte avvenivano, ed io ero presente, c'erano molte persone che partecipavano, tra cui c'era l'orafo, di cui vi ho già raccontato, il carabiniere di San Casciano, il medico delle malattie tropicali, la Filippa Nicoletti, la Milva Malatesta, Ezio, che è il droghiere, assieme alla moglie, il capo degli Hare Krishna, Sebastiano Indovino che si accompagnava con dei bambini minorenni di circa otto-undici anni... Non sono a conoscenza di cosa facessero fare a questi bambini, in quanto io dovevo venire a Firenze a lavorare; comunque, questi bambini erano sempre diversi. So che provenivano dalla zona di Prato, ma non sono a conoscenza di come facessero a convincerli... Io ho anche parlato con loro, ma non ho avuto l'impressione che fossero stati costretti, i bambini di otto-undici anni...".
Le due sorelle che - a detta della Ghiribelli - fornivano i minori alla turpe congrega di via Faltignano, si scoprirà in seguito non erano sorelle. Si trattava di Veronica Candido, alias Marisa, detta anche "la Mora", all'epoca minorenne, e di Alessandra Marchi, detta "la Bionda". Entrambe prostitute provenienti da Massa. Di eventuali loro deposizioni non si sa nulla.
In quello stesso periodo la Ghiribelli coinvolse nelle indagini anche uno stilista italoamericano che aveva vissuto per un breve periodo a "La Sfacciata". La Ghiribelli dichiaró agli inquirenti: "Ho visto questo individuo (Mario Robert Parker, NdA) dare soldi al Lotti. Queste somme erano costituite da svariate banconote da cento, credo che fossero qualche milione; credo che usava questi soldi per portare la nipote del Vanni al mare, o per andare con la Nicoletti Filippa a mangiare e a farci l'amore..."
Sull'oggettiva attendibilità anche di queste dichiarazioni, avremo modo di soffermarci in seguito, per ora ci limitiamo a far notare due evidenti contraddizioni, una relativa alla Marisa di Massa, l'altra relativa ai soldi che il Parker avrebbe dato al Lotti:
1. A detta della Ghiribelli, le due sorelle di Massa andavano a mangiare da lei per poi recarsi a villa "La Sfacciata", dove la Ghiribelli aveva iniziato sostenere che avvenivano i festini. Ciò doveva essere avvenuto dopo la metà del 1984, in quanto solo allora la Ghiribelli era andata ad abitare a San Casciano. Ma già dall'inizio del 1984, a "La Sfacciata" non potevano più svolgersi i festini, in quanto i due "mandanti" che vi avevano abitato (il Reinecke e il predetto Parker, entrambi citati nel capitolo dedicato al delitto di Giogoli) avevano già lasciato la villa e la zona.
2. Come avremo modo di vedere - il Parker aveva appunto abbandonato "La Sfacciata" agli inizi del 1984, lasciando ben presto la Toscana. Il Lotti aveva frequentato la nipote del Vanni oltre dieci anni dopo, nell'estate del 1995. Appaiono, dunque, anche in questo caso prive di fondamento le dichiarazioni della Ghiribelli.
Gabriella morì l'anno seguente, il 5 dicembre del 2004, all'età di 53 anni a causa di una cirrosi epatica dovuta ad anni di alcolismo, privando la Procura che si apprestava a celebrare il processo sul cosiddetto secondo livello del testimone più importante.
Il Testimone Delta, Norberto Galli:
Del testimone Delta, Norberto Galli, si sa che negli anni '80 lavorava come cameriere e lavapiatti ai ristoranti di Firenze "Mamma Gina" e "Donnini". La data in cui conobbe la Ghiribelli è piuttosto incerta (nel '78 secondo Gabriella, nell'82 secondo lui) e ne divenne compagno e protettore dopo che la indusse a prostituirsi. Frequentò per un breve periodo la casa di Salvatore Indovino: nel 1985 era solito accompagnare la Ghiribelli a San Casciano dopo che la stessa aveva terminato il suo lavoro a Firenze. Durante uno di questi viaggi, la sera dell'8 settembre 1985, avvistarono un'automobile di media cilindrata ferma all'imbocco della piazzola di Scopeti.Il Galli non fu mai in grado di affermare con certezza di che tipo di auto si trattasse. Genericamente durante gli interrogatori in Procura parlò prima di una vettura chiara, forse bianca, in seguito di una vettura sicuramente non scura, più in linea con quanto dichiarato dalla sua ex compagna. Successivamente, durante il Processo ai CdM, la sua testimonianza fu tesa a sminuire le dichiarazioni della Ghiribelli che a suo dire aveva trascorso la maggior parte di quegli anni annebbiata dall'uso eccessivo di alcool.
Da un lato le dichiarazioni del Galli hanno, difatti, contribuito a tracciare un quadro più o meno attendibile dei personaggi che bazzicavano la casa di Salvatore Indovino, che nell'idea maturata in seno alla Procura costituiva il centro nevralgico dei delitti del Mostro di Firenze, dall'altro son state tese a ridimensionare la credibilità della sua ex compagna.
Ad esempio, il Galli ha sempre dichiarato di non aver mai visto compiersi riti magici, né tantomeno orge a casa dell'Indovino. Ha sempre dichiarato, altresì, di non aver mai visto il Pacciani e il Vanni frequentare tale abitazione.
Di seguito riportiamo alcune delle sue dichiarazioni che giudichiamo più significative.
Dichiarazione del 17 Dicembre 1995:
"Frequentai Indovino negli ultimi tempi; mi fu presentato dalla Gabriella, che gli faceva le iniezioni. Mi risulta che tra gli amici di Indovino vi erano prevalentemente persone di origine meridionale che abitavano a Prato, verso Pistoia, e che lo andavano a trovare anche perché aveva fama di essere un mago. Tra le persone di San Casciano che conoscevano l'Indovino ricordo che vi era un certo Giancarlo, che abitava al Ponte Rotto e che aveva avuto degli screzi con Salvatore in quanto si era messo con la Filippa che era la donna di Indovino, quando Salvatore era in carcere..."
Dichiarazioni del giorno 8 Febbraio 1996:
"So che Salvatore faceva o, almeno, diceva di fare, delle pratiche di magia. Ricordo che c'era una stanzina che doveva essere il suo studio. Lì, sopra un tavolo, c'erano un libro e un pendolino. Non so che pratiche di magia facesse il Salvatore, ricordo solo che un paio di volte era venuta da lui una bella signora di Pistoia, che il Salvatore mi disse che aveva problemi con il marito. In sostanza, capii che il Salvatore era professionalmente interessato per una storia di rappacificamento tra la donna ed il marito..."
Degne di nota le dichiarazioni del 29 febbraio 1996:
"Non ho mai visto in quella casa Vanni; mai ho visto il Pacciani. Io di riti magici e simili non ho mai visto tracce... Posso solo dire, come ho già riferito, che nella stanza in fondo, che ho indicato nel disegno come camerina-studio, c'era un tavolo dove vidi un libro nero con accanto un pendolino. Salvatore mi disse che gli serviva a fare riavvicinare moglie e marito..."
Infine, le dichiarazioni del 23 marzo 1996:
"Io Vanni lo conosco, ma non l'ho mai visto a casa di Salvatore. Escludo di aver mai visto il Pacciani a casa e tantomeno a cena da Salvatore. Sono sicuro che quando iniziai a frequentare la casa di Salvatore era il 1984, quando andammo a stare a San Casciano... Mai ho partecipato a cene a casa di Salvatore con Pacciani, Vanni, Salvatore, Sebastiano e la Filippa..."
cose da pazzi! faggi lotti pacciani vanni questa matta aooooo ma che siamo impazziti a credere che tra questi ubriaconi da osteria ci sta' il mostro di firenze
RispondiEliminaMi presento ancora come "Illuminista", non avendo account google (ma forse presto lo farò).
RispondiEliminaA proposito di “alfa” e “beta”, vorrei porre una domanda: forse, qualcuno è in grado di rispondere. Ricordiamo che, nella fase conclusiva del processo di appello a Pacciani, le identità dei quattro testimoni erano state secretate, e, appunto, sostituite con le lettere greche in uso all’algebra, per MOTIVI DI SICUREZZA. Il Lotti, come noto, è stato inserito nel “programma di protezione dei collaboratori di giustizia” e, in tal modo, “gestito” dagli inquirenti. Tale condizione, se determinata in buona fede, comporterebbe la convinzione, da parte dell’Autorità Giudiziaria, del forte rischio di vita che il testimone correva, per l’esistenza di un’organizzazione criminale potente e priva di scrupoli, che poteva facilmente eliminarlo per quanto egli sapeva. Allora, pongo la domanda: passi pure per “gamma” e “delta” (Ghiribelli e Galli), che avevano soltanto visto un’auto parcheggiata, ma non erano testimoni oculari di delitti. Però, se davvero si era convinti di questi gravi pericoli di vita, perché mai non è stato inserito nel medesimo programma di protezione anche Fernando Pucci? Secondo gli inquirenti, egli a Scopeti aveva svolto un ruolo assolutamente “gemello” a quello del Lotti: aveva visto personalmente in azione omicida gli assassini materiali e riconosciuto la relativa identità. E allora perché non ritenere doveroso dotarlo di “protezione”? La sua incolumità aveva valore inferiore a quella del Katanga? Oppure si riteneva che, a differenza del Lotti, bastava il fatto di avere un fratello pizzicagnolo per garantirne la sicurezza nei confronti della potente organizzazione criminale? Non vedo altre ipotesi, salvo una: che gli inquirenti erano ben consapevoli che non esisteva affatto alcuna organizzazione così minacciosa e pericolosa per i testimoni “gemelli”, e che la “segregazione gestita” del Lotti avesse finalità diverse dalla “messa in sicurezza” stile mafia.
Ciao e grazie per il commento.
EliminaDomanda spigolosa quella che poni. Effettivamente non si capisce perché Lotti sì e Pucci no. Forse le tue considerazioni finali potrebbero essere quelle che più si avvicinano alla realtà.
Ciao e grazie ancora.
LS
Concordo con lei, ha perfettamente ragione.
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